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PASSIONE E MORTE DI GESU' NEI 4 VANGELI

Ultimo Aggiornamento: 06/01/2021 18:47
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24/10/2017 13:09
 
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  1. La crocifissione




Nel racconto dei Vangeli si sorvola sui particolari della crocifissione di Gesù. Questa forma di tortura, nota ai lettori dei Vangeli, è censurata nei testi dell’ambiente greco-romano. Solo nelle satire di Orazio e nelle commedie di Plauto, o in alcuni testi giuridici e astrologici si parla in modo realistico della morte in croce. In un testo oratorio, Cicerone, senza esagerare, chiama la croce il supplizio “più crudele e atroce”, “il massimo e vertice delle pene inflitte ad un condannato a morte” (Cicerone, In Verrem 11,5 [165.168.169]). Nel discorso in difesa del senatore romano Gaio Rabirio, nel 63 a.C., Cicerone riesce a strappare il consenso popolare a favore del suo protetto, presentando in tutta la sua crudezza la tortura e l’infamia della croce, indegna di un cittadino romano e uomo libero. Cicerone chiede che le sofferenze della crocifissione e il nome stesso della croce «siano tenuti lontani non solo dal corpo dei cittadini romani, ma perfino dai loro pensieri, dai loro occhi e orecchie» (Cicerone, Pro C. Rabirio V,16). Presso i Cartaginesi la condanna alla morte di croce è inflitta ai capi militari e ai politici colpevoli di rivolta e tradimento. I romani, che la conoscono durante le guerre puniche, la riservano ai delinquenti delle classi “umili”, stranieri e schiavi. Nei periodi di agitazioni sociali e di rivolte civili la condanna alla morte di croce è usata come strumento di repressione e dissuasione. Nelle province dell’impero e in particolare in Giudea, si ricorre alle crocifissioni esemplari dei ribelli antiromani o di pericolosi briganti, per tenere sotto controllo le situazioni di crisi sociale e politica.
Flavio Giuseppe conferma l’uso della crocifissione nell’epoca degli Asmonei, prima del dominio di Roma. Lo storico ebreo racconta lo scontro, dall’esito incerto, tra il capo della nazione ebraica, Alessandro Ianneo, e il re seleucida Demetrio, detto Acairo. Alessandro Ianneo, per vendicarsi del tradimento dei Giudei di Gerusalemme, che si sono alleati con Demetrio, fa crocifiggere 800 Giudei – farisei – nel mezzo della città e fa uccidere sotto i loro occhi le mogli e i figli, mentre egli sta gozzovigliando in mezzo alle sue concubine. Giuseppe condanna questa feroce repressione che, a suo modo di vedere, confina con l’empietà (G. Flavio, Bell. 1,4,5-6 [93-98]; Ant. 13,14,2 [380-381]). Un’eco di questa orrenda vendetta di Alessandro Ianneo si trova a Qumran, nel commento al testo di Nahum 2,12, dove si dice: «La sua interpretazione si riferisce al Leone furioso (Alessandro Ianneo) che [riempì la sua tana con una moltitudine di cadaveri, eseguendo vendette contro i cercatori di interpretazioni facili, che appese uomini vivi [all’albero, commettendo un abominio che non si commetteva] in Israele dall’antichità, poiché è terribile per l’appeso vivo all’albero» (4QpNah I, 6-8 [4Q169], fr. 3-4, col. I).
Con la presenza militare di Roma s’intensificano le esecuzioni capitali mediante la croce nella provincia della Giudea, fino a raggiungere il parossismo nell’ultimo periodo della guerra antiromana del 66-70 d.C. Flavio Giuseppe ricorda le crocifissioni collettive e di singoli eseguite dai romani. Alla morte di Erode, nel 4 a.C., in seguito alle rivolte nelle città e villaggi, il legato imperiale Quintilio Varo fa mettere in croce, nei pressi di Gerusalemme, duemila ribelli ebrei (G. Flavio, Bell. II, 5,2 [75]); cf. Ant. 17,10,10 [295]). Il legato imperiale della Siria Ummidio Durmio Quadrato, nel 51 d.C., venuto a Cesarea Marittima, dopo aver appurato chi erano i responsabili degli scontri tra Giudei e Samaritani, fa crocifiggere i prigionieri catturati dal governatore della Giudea Ventidio Cumano (Bell. Il, 12,6 [241]; Ant. 20, 6,2 [129]). Antonio Felice – governatore della Giudea negli anni cinquanta – dopo aver fatto prigioniero il capobrigante Eleazar, con molti della sua banda, prese «un’infinità di briganti, che lui stesso fece crocifiggere» (G. Flavio, Bell. II ,13,2 [253]). Giuseppe racconta la feroce repressione messa in atto dal governatore Gessio Floro, negli anni che precedono la grande rivolta antiromana (64-66 d.C.). Giunto a Gerusalemme, nonostante l’intervento dei capi dei sacerdoti e dei notabili della città per evitare il peggio, Gessio Floro diede ordine ai soldati di saccheggiare
la città e di uccidere chiunque incontrassero, fece flagellare dinanzi al suo tribunale e poi crocifiggere anche persone appartenenti all’ordine equestre, ebrei per nascita, ma romani per il rango sociale (G. Flavio, Bell. II, 14,9 [305-308]; 3,7,33 [321]).

Durante l’assedio della città di Gerusalemme da parte di Tito la crocifissione dei Giudei, che riuscivano a scappare dalla città, è usata come deterrente contro gli assediati. Flavio Giuseppe racconta che, in un attacco, fu fatto prigioniero un giudeo «e Tito ordinò di crocifiggerlo dinanzi alle mura per atterrire con lo spettacolo gli altri e indurli alla resa» (G. Flavio, Bell. V, 6,5 [289]). Nell’acme dell’assedio, molti poveri popolani, costretti dalla fame, tentavano di lasciare la città di Gerusalemme, ma, catturati dai Romani «venivano flagellati, e, dopo aver subìto ogni sorta di supplizi prima di morire, erano crocifissi di fronte alle mura» (G. Flavio, Bell. V, 11,1 [449]). I prigionieri presi ogni giorno erano circa cinquecento e più, al punto che per il loro numero «mancavano lo spazio e le croci per le vittime» (G. Flavio, Ben. V, 11,1 [451]).

Anche se i Vangeli non raccontano come Gesù è stato crocifisso, ai lettori cristiani del primo secolo il termine “crocifissione” evoca immediatamente l’orribile spettacolo del condannato appeso a due pali incrociati. La crocifissione può essere ora ricostruita grazie al ritrovamento dei resti di un crocifisso in un cimitero del periodo del secondo tempio, nel giugno del 1968, a Giv’at ha-Mivtar, a nord-est del monte Scopus o monte degli Ulivi. Nel quarto loculo-ossario della prima tomba sono state rinvenute le ossa di un giovane dai 24 ai 28 anni, di 1,67 m. di altezza – il nome è Jehohanan bar Hagq– che recavano evidenti segni di morte violenta per crocifissione. Le ossa dei calcagni erano ancora attraversate da un chiodo di ferro di oltre una decina di centrimetri, che non potè essere estratto al momento della sepoltura. I piedi erano stati fissati con un solo chiodo al palo verticale della croce, con le gambe accostate e ripiegate; una tavoletta di acacia separava la testa del chiodo dalla caviglia.
L’analisi delle altre ossa fa supporre che la parte superiore del corpo fosse attaccata alla croce con chiodi che attraversavano i polsi. Data la precaria fissazione dei piedi alla trave verticale – la punta del chiodo ricurva non era penetrata nel legno di ulivo – si pensa che il peso maggiore del corpo fosse sostenuto da una specie di sedile o gancio tra le gambe. La tibia destra recava il segno di una rottura violenta. Questa sarebbe una conferma del colpo di grazia mediante frattura delle gambe (cf. Gv 19,32).


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