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RELIGIONI E CONFLITTI

Ultimo Aggiornamento: 28/04/2016 13:56
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03/12/2014 18:24
 
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Guerra o pace nel nome di Dio? 
Esperti a confronto a Roma

 
Iraq, ragazzino sfollato
(©Reuters)

(©REUTERS) IRAQ, RAGAZZINO SFOLLATO

Quali le possibili soluzioni ai conflitti? Dove e perchè questi scontri sono più accesi? A queste e ad altre questioni darà risposta il convegno «Religioni e conflitti»

REDAZIONE
TORINO

 

Moschee profanate e incendiate, cristiani perseguitati, violazione delle libertà religiose, episodi sempre più diffusi di fondamentalismo e terrorismo. È il panorama che sarà indagato nel corso del convegno nazionale «Religioni e conflitti – Conoscere la divisione per progettare l’incontro in un mondo in guerra nel nome di Dio», in programma a Roma dal 3 al 5 dicembre presso l’«Aula Volpi» dell’Università degli Studi Roma Tre (via Milazzo, 11/B), organizzato dall’Accademia di Scienze umane e sociali di Roma, con il patrocinio dell’università Roma Tre, della facoltà di Filosofia dell’Università di Roma Tor Vergata e della sezione italiana di Religions for Peace. Il Convegno, che è accreditato presso il Miur, prevede gli interventi di docenti universitari ed esperti di Teologia, Scienze politiche, Relazioni internazionali, Filosofia della Religione e antropologia filosofica, oltre alle testimonianze di esponenti di associazioni e movimenti espressione delle diverse fedi, ma accomunati dall’impegno per la promozione del dialogo interreligioso.

 Il primo giorno (3 dicembre dalle 15 alle 19), la riflessione sarà dedicata alle possibili soluzioni ai conflitti religiosi che insanguinano il pianeta, a partire dalla dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, affrontando poi i binomi “monoteismo e conflitti” e “integralismo e laicismo”, il monoteismo radicale e infine i fondamentalismi religiosi, quali modi distruttivi di intendere la fede.

 Il secondo giorno del Convegno (4 dicembre dalle 9,30 alle 13 e dalle 15 alle 19) consentirà una mappatura delle violenze a motivo religioso, continente per continente. Si inizierà dall’America, trattando fra l’altro il fondamentalismo evangelical degli Stati Uniti e la religiosità mesoamericana divisa fra tradizione indigena e cristianesimo. Riguardo all’Europa, si rifletterà sui nuovi scenari del confronto interreligioso e sulla secolarizzazione, con approfondimenti sugli scontri in Irlanda del Nord e sul genocidio armeno. Si passerà quindi alla situazione in Medio Oriente, trattando i temi della jihad, della crisi siriana e del conflitto arabo-israeliano. Poi l’Asia, dai capisaldi del buddhismo tibetano, al fondamentalismo religioso in Sri Lanka, all’induismo. Infine l’Africa, con i conflitti nella regione subsahariana, le uccisioni religiose in Nigeria, la guerra tra hutu e tutsi, l’islam radicale in Mali.

 Il terzo e ultimo giorno (5 dicembre, dalle 9,30 alle 13) sarà dedicato al contributo che le diverse religioni possono offrire al dialogo e alla pace, con la partecipazione di rappresentanti, tra gli altri, della Comunità di Sant’Egidio, del Movimento dei Focolari, della Comunità religiosa islamica italiana (Coreis), dell’American Jewish Commitee, dell’associazione Amicizia ebraico-cristiana, di Religions for peace, della rivista Confronti, della John Cabot University Interfaith Initiative.

 Il Convegno sarà concluso dagli interventi del filosofo Gaspare Mura, presidente dell’Accademia di Scienze umane e sociali di Roma e di David Meghnagi, docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre.


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28/04/2016 13:56
 
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Il monoteismo ebraico e le sue implicazioni



disagio monoteismoIl processo al monoteismo è tornato alla ribalta a motivo della recente pubblicazione italiana del libro Il disagio dei monoteismi (Morcelliana 2016) di Jan Assmann, egittologo e principale accusatore del monoteismo come fenomeno di violenza.


In quest’ultimo libro, l’egittologo tedesco approfondisce una sua tesi, precedentemente esposta in Mosè l’egizio (Adelphi 2000) e La distinzione mosaica (Adelphi 2011), secondo cui il monoteismo ebraico ereditò la componente integralista del monoteismo imposto dal faraone egiziano Amenofi IV, introducendo come novità la convinzione che l’unico vero Dio sia soltanto il proprio («non avrai altro Dio all’infuori di me»), portando a considerare “falsi dèi” le altrui divinità, scatenando per questo sanguinosi conflitti di religione. La sua proposta, anche davanti al fenomeno dell’Islam fondamentalista, è quella di limitarsi  a valorizzare la tensione all’Assoluto espressa da ogni forma religiosa (“religione profonda”), lasciando perdere il “vero” e il “falso” e l’unica verità. Una tesi simile è stata proposta anche in Origine del monoteismo e sue conseguenze in Europa, scritto dall’italiano Gianantonio Valli, medico nazista e antisemita, morto suicida nel 2015.


Alla tesi -molto relativista- di Assmann, che di fatto non è altro che una palese riproposizione di quella di Sigmund Freud, esposta in L’uomo Mosè e la religione monoteistica, ha strizzato l’occhio -sorprendentemente sull’Osservatore Romano!- il controverso studioso “indipendente” Marco Vannini, autore di un libro -assieme a Corrado Augias-, nel quale ha tentato di accusare la natura “pagana” del culto mariano (lavoro confutato ottimamente da Mario Iannaccone, che lo ha definito “cospirazionismo teologico”). Curioso come nel 2006 l’ateologo Vito Mancuso abbia definito Vannini «il maggior studioso di mistica», mentre nel 2010 lo ha accusato di far trasparire nei suoi scritti un «un livore che contrasta con quel “distacco” da lui posto al cuore dell’esperienza mistica», arrivando a definirlo antisemita (o «sinistro antigiudaista») per «parole che non dovrebbero essere più scritte dopo la Shoah». Ovvero, l’accusa agli ebrei di deicidio nei confronti di Gesù.


Tornando ad Assmann, certamente è da apprezzare il riconoscimento di un “senso religioso” insito nell’uomo, tale da averlo portato fin dalla sua apparizione a tentare un aggancio con la divinità che presentiva sopra di sé (il primo uomo è l’homo religiosusha insegnato il compianto antropologo Julien Ries). In secondo luogo, bisogna tuttavia precisare che gli studiosi sono divisi sul considerare “monoteismo” il cambiamento religioso introdotto da Akhenaton (vero nome di Amenofi IV), il quale «in sé non aveva nulla di rivoluzionario, e siamo ben lontani dalla “religione rivelata” che alcuni hanno voluto vedervi»ha scritto ad esempio Nicolas Grimal, celebre egittologo francese. «Dagli inizi della XVIII dinastia si può seguire l’ascesa dei culti di Heliopolis, che in realtà sono poi la continuazione di una tendenza già iniziata nel Medio Regno: la “solarizzazione” dei principali dèi, come Amon, per mezzo della forma sincretistica Amon-Ra». Perciò, è «senz’altro esagerato parlare di monoteismo, dal momento che questa concentrazione non escludeva gli altri dèi».


Altri egittologi, invece, come il canadese Donald Redford, sostengono che si trattò proprio di un vero monoteismo, ma che in nessun modo è possibile paragonarlo a quello ebraico: «vi è poca o nessuna prova a sostegno dell’idea che Akhenaton era un progenitore del monoteismo conclamato che troviamo nella Bibbia»ha scritto il prof. Redford. «Il monoteismo della Bibbia ebraica e del Nuovo Testamento hanno avuto il loro proprio e separato sviluppo, che è cominciato più di mezzo millennio dopo la morte del faraone. Dopo la morte di Akhenaton, gli egiziani sono ritornati immediatamente alle loro vecchie norme religiose». Era un monoteismo «privo di contenuto etico», ha scritto ancora, citato in questo interessante articolo di approfondimento. Lo stesso ha spiegato Brian Fagan, noto egittologo inglese. Anche Freud, d’altra parte, riconobbe l’originalità del culto ebraico, in particolare per «l’idea che un dio tutt’a un tratto “scelga” un popolo, dichiarandolo suo popolo e dichiarando sé stesso suo dio. Io credo che sia l’unico caso del genere nella storia delle religioni umane» (S. Freud, “L’uomo Mosè e la religione monoteistica”, Boringhieri 1979, p.355).


Bisogna considerare anche la seconda tesi di Assmann, riproposta da tanti altri pensatori, ovvero l’accusa al monoteismo ebraico-cristiano di averoriginato violenza ed intolleranza religiosa in nome dell’unico vero Dio (spingendo l’esempio fino alla crociate e al colonialismo). E’ una leggenda, come abbiamo già avuto modo di considerare. Infatti, ha spiegato il prestigioso storico francese Alain Besançon, comunista convertitosi al cattolicesimo, «se andiamo a vedere cosa è accaduto nell’India delle miriadi di dei, nella Cina di Tao o di Confucio, nel Messico precolombiano, nell’Africa degli spiriti della foresta, si scopre una storia il cui abominio non è affatto inferiore al nostro», per non parlare degli orrori prodotti dal marxismo ateo, ad esempio in Unione Sovietica.


La solfa del politeismo “pacifico” -in quanto relativista-, è stata smontata recentemente anche dal filologo Luciano Canfora, comunista di ferro e non certo simpatizzante per il cristianesimo: «la polarità politeismo/monoteismo può apparire, in casi storicamente molto significativi, come unasemplificazione depistante. Una giuria popolare ateniese mandò a morte Socrate con l’accusa di “non credere agli dèi della città”. E analoga sorte sarebbe toccata al filosofo e scienziato Anassagora, se questi non si fosse sottratto per tempo a un assurdo processo. E un secolo più tardi Aristotele, nell’Atene dominata dai sempreverdi capi della democrazia, si sottrasse fuggendo a un processo per empietà. Ed è una tradizione greca di pensiero critico, che prende avvio dal sofista Crizia, che addita nella religione uno strumento di controllo etico e politico. Il che, secoli dopo, pensava lo storico Polibio, ammiratore dell’uso romano della religione come instrumentum regni». Ancora oggi nelle politeistiche società induiste è proibito il proselitismo di appartenenti ad altre religioni, tantissimi cristiani subiscono conversioni forzate, tanti altri vengono massacrati e la chiese cristianedate alle fiamme. E lo stesso è accaduto e accade nelle (tolleranti) società buddhiste. La cruda violenza presente nelle società politeiste e ateiste è la principale confutazione dell’accusa al monoteismo di essere causa di divisione e intolleranza.


Bisognerebbe infine aprire un capitolo sul progresso civile e morale apportato proprio dal monoteismo, al contrario delle società politeiste, oggetto di ricerca del prof. Rodney Stark, il più importante sociologo delle religioni vivente, nel suo libro Un unico vero Dio. Le conseguenze storiche del monoteismo (Lindau 2009). E’ consigliato anche il lavoro dello psicologo dell’University of British Columbia, Ara Norenzayan, intitolato Big Gods: How Religion Transformed Cooperation and Conflict, nel quale ha evidenziato come la religione monoteista ha risolto molto meglio i dilemmi della cooperazione e ha favorito il progresso civile.


La soluzione ai conflitti religiosi è riconoscere, come fa il cristianesimo, che la verità non la si possiede, ma la si incontra. Anzi, si viene incontrati da Essa, tramite un’esperienza umana, quella con il Risorto («io sono la via, la verità e la vita»). Tale verità si caratterizza sempre come una proposta agli uomini, mai un’imposizione, e quando non è stato così si è sempre trattato di un terribile abuso e tradimento della sua natura. Un tradimento da parte di uomini, non certo attribuibile al monoteismo o all’abbracciare la verità. Nella Lumen fidei, scritta da Francesco e da Benedetto XVI, si legge:«Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti».



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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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