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Scritti di Papa s.Leone Magno

Ultimo Aggiornamento: 14/10/2014 14:37
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14/10/2014 14:18
 
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S. LEONE MAGNO


DISCORSO DI SAN LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO,
TENUTO NEL GIORNO DELLA SUA CONSACRAZIONE


“Le mie labbra proclamino la lode del Signore”: l'anima mia e il mio spirito, la carne e la lingua benedicano il suo santo nome. Infatti non è indice di modestia, ma di ingratitudine tacere i benefici divini, ed è cosa conveniente che si incominci a prestare la venerazione al consacrato pontefice innalzando un sacrificio di lode al Signore. Egli “nella nostra bassezza si ricordò di noi”, e ci ha benedetti; “Lui solo ha operato cose meravigliose” per me, quando l'affetto della vostra santità mi ha tenuto a voi presente, mentre un viaggio, lungo e necessario, mi aveva portato lontano. Per questo rendo grazie al nostro Dio e sempre lo ringrazierò per quanto mi ha donato.

Nello stesso tempo esalto con i dovuti ringraziamenti la libera decisione del vostro favore, comprendendo chiaramente quanta riverenza, quanto amore e quanta fiducia mi offrono le vostre devote attenzioni, mentre io bramo con pastorale sollecitudine la salvezza delle anime vostre, che hanno dato di me un giudizio così sacrosanto, quando io non avevo nessun precedente merito.

Dunque, vi scongiuro per la misericordia del Signore, aiutate con le preghiere colui che avete richiesto con desiderio, affinché lo Spirito di grazia resti in me e le vostre decisioni non abbiano a barcollare. Conceda a noi tutti il bene della pace colui che dona a voi l'amore per la concordia. In ogni giorno della mia vita, servendo l'onnipotente Dio e accogliendo la vostra obbedienza, io possa supplicare con fiducia il Signore: “Padre santo, conserva nel tuo nome coloro che tu mi hai dato”.

Mentre voi progredite di continuo nella via della salvezza, l'anima mia magnifichi il Signore e nel premio del futuro giudizio l'esercizio del mio sacerdozio appaia agli occhi del giusto giudice in modo che voi con le vostre opere buone siate il mio gaudio, voi siate la mia corona, che con la buona volontà avete reso una sincera testimonianza nella vita presente. Per Gesù Cristo, nostro Signore.
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14/10/2014 14:19
 
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SECONDO DISCORSO DI S. LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE


I - La generosità della divina bontà

Dilettissimi, la divina degnazione ha reso venerando per me il presente giorno. Il Signore, innalzando alla somma dignità la mia umile persona, ha mostrato di non disprezzare nessuno dei suoi. Onde, nonostante sia necessario, conoscendo i miei demeriti, stare sempre in timore, è sensibilità religiosa rallegrarsi per il dono: poiché egli che mi ha affidato un tal peso, mi offre il suo aiuto. Colui che mi ha conferito questa dignità, mi donerà anche la forza perché io non soccomba sotto l'immensità della grazia.

Dunque, nella ciclica ricorrenza del giorno in cui il Signore ha voluto dare inizio al mio ufficio episcopale, io ho un giusto motivo di rallegrarmi a gloria di Dio. Egli, affinché io molto lo ami, mi ha perdonato molto: e per mostrare mirabile la sua grazia ha elargito i suoi doni a colui nel quale non ha trovato titoli speciali di merito. Con questo fatto il Signore ha voluto suggerire e raccomandare ai nostri cuori che nessuno presuma della propria santità e nessuno diffidi della misericordia di lui, la quale con più evidenza è glorificata quando il peccatore viene santificato e chi giace viene rialzato.

La misura dei doni celesti non dipende dalla natura delle nostre opere. In questo mondo dove tutta la vita è un servizio , non si attribuisce a ciascuno ciò che merita. Se, infatti, il Signore stesse a far caso dei peccati, nessuno potrebbe reggere al suo giudizio.

II - La venerazione dei vescovi per il successore di S.Pietro

Ora, dilettissimi, “magnificate il Signore con me, e insieme esaltiamo il suo nome”, perché il motivo della festa di oggi deve essere riferito totalmente a lode di Dio. Per quel che riguarda propriamente il mio affetto, confesso di godere moltissimo per la vostra devozione. E quando contemplo questa splendidissima presenza di tanti miei venerabili vescovi, ho l'impressione che a noi sia presente uno stuolo di angeli . Sono certo che oggi noi siamo visitati da più abbondante grazia della divina presenza, quando simultaneamente sono presenti e risplendono di una sola luce tanti fulgidissimi tabernacoli di Dio, tante eccellentissime membra del corpo di Cristo. Non è assente da questa assemblea - ne ho piena fiducia - la pia degnazione e il sincero amore del beatissimo apostolo Pietro: egli non trascura la devozione vostra e la riverenza che a lui portate e che ora vi ha qui riuniti. Certamente pure lui si rallegra del vostro affetto e si compiace in quelli che gli sono soci nella dignità, per la grande venerazione con cui circondano la Sede Apostolica, istituita dal Signore, approvando l'ordinatissima carità di tutta la chiesa che accoglie Pietro nella sede di Pietro e non si intiepidisce nell'amore di un tanto pastore neppur quando ne è successore una persona così meschina. E perché, dilettissimi, questa venerazione che voi all'unisono offrite alla mia persona, possa raggiungere il risultato che merita, pregate supplichevolmente la misericordiosissima clemenza del nostro Dio, affinché nei nostri giorni prostri quelli che ci fanno guerra, difenda la nostra fede, accresca la carità, aumenti la pace e si degni farmi idoneo a tanto lavoro e utile alla vostra edificazione, giacché ha voluto che io, suo servo, presiedessi al governo della sua Chiesa per mostrare l'abbondanza della sua grazia. Egli si degni far sì che il tempo del nostro servizio sia proteso verso questo scopo, che cioè il prolungamento della nostra età giovi alla religione. Per Cristo, nostro Signore. Amen.
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14/10/2014 14:20
 
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TERZO DISCORSO DI S. LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE

1 - L'origine soprannaturale del sacerdozio cristiano

Ogni qualvolta la misericordia di Dio si degna rinnovarci il giorno della sua grazia, vi è giusto e ragionevole motivo di essere lieti, purché si riferisca a gloria di Dio l'origine dell'ufficio ricevuto. Io so che questo atteggiamento dell'animo, conveniente a tutti i sacerdoti, è necessario soprattutto a me, perché, guardando la mia pochezza e la grandezza dell'ufficio ricevuto, pure io debbo esclamare con la frase del profeta: “Signore, io ho udito il tuo annuncio e ho temuto; son preso dal timore per l'opera tua”. Che c'è di più insolito e più terribile della fatica per chi è debole, della grandezza per chi è umile, della dignità per chi non la merita? Tuttavia non disperiamo, né veniamo meno, perché non presumiamo di noi stessi ma di colui che opera in noi. Per questo abbiamo cantato all'unisono il salmo di David, non per nostra esaltazione, ma per gloria di Cristo Signore.

Infatti è lui del quale con spirito profetico è stato scritto: “Tu sei sacerdote in eterno al modo di Melchisedec”: cioè non al modo di Aronne, il cui sacerdozio, propagandosi attraverso la generazione, appartiene a un ministero temporaneo, e di fatto è cessato insieme alla legge del Vecchio Testamento; ma al modo di Melchisedec in cui si significò prima la figura del pontefice eterno. E siccome non viene riferito da quali genitori sia nato, si comprende che in lui è mostrato quegli la cui generazione non può narrarsi. Così, pervenendo all'umana natura il mistero di questo divin sacerdozio, non si propaga per via della generazione, né viene eletto quel che la carne e il sangue ha formato. E' cessato il privilegio dei padri; è abolita la gerarchia delle famiglie: la Chiesa riceve come pastori quelli che lo Spirito santo ha preparato. In tal modo, nel popolo, adottato alla figliolanza divina, totalmente sacerdotale e regale, non ottengono l'unzione i privilegiati dall'origine terrena, ma fa nascere il sacerdozio il favore della grazia celeste.

II - Cristo in San Pietro

Dilettissimi, nel ministero che il nostro ufficio ci impone ci ritroviamo deboli e pigri, giacché, se abbiamo desiderio di fare qualcosa con devozione e prontezza, siamo ritardati dalla fragilità della nostra stessa condizione. Tuttavia, avendo a nostro favore l'ininterrotta propiziazione dell'onnipotente ed eterno sacerdote, il quale, simile a noi e uguale al Padre, ha abbassato la divinità fino alle cose umane, e ha innalzato l'umanità fino alle cose divine, degnamente e con pietà ci rallegriamo della sua glorificazione. Infatti, benché abbia delegato a molti pastori la cura delle sue pecore, egli non ha abbandonato la custodia del suo amato gregge. Da questo singolare ed eterno sostegno deriva anche la protezione della fortezza della Sede Apostolica, che certamente non resta inattiva rispetto alla sua missione. La stabilità della base, su cui s'innalza l'edificio della chiesa, non viene meno, comunque sia grande la mole del tempio che la sovrasta. Infatti la fortezza di quella fede, lodata nel principe degli apostoli, è perpetua: e come resta quel che Pietro ha creduto in Cristo, così persiste quello che Cristo ha istituito in Pietro. In realtà, avendo il Signore, come la pericope evangelica ha narrato, domandato ai discepoli chi essi lo credessero, tra tante diverse opinioni degli altri, e avendo san Pietro risposto: “Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente”, il Signore disse: “Beato te, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io dico a te, che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno mai prevarranno contro di lei. E a te darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli”.

III - San Pietro nei suoi successori

Resta dunque, la deliberazione della verità; e Pietro, perseverando in quella fermezza di pietra che ha ricevuto, non abbandona il governo della Chiesa, che una volta ha assunto. Egli è stato messo al sommo della gerarchia, sicché quando viene detto Pietra, quando lo si afferma fondamento, quando lo si costituisce portinaio del regno dei cieli e quando lo si istituisce arbitro che lega e scioglie con decisione valida anche nei cieli, noi possiamo comprendere quale unione egli abbia con Cristo attraverso i misteri contenuti nei suoi titoli.

Egli adesso compie con più perfezione e potenza quanto gli è stato commesso, ed esegue ogni parte del suo ufficio e della sua cura insieme a quegli e in quegli dal quale è stato glorificato. Se, dunque, qualcosa è da noi compiuta bene e rettamente giudicata, se si ottiene qualcosa dalla misericordia di Dio con le quotidiane suppliche, è opera e merito di colui del quale la potestà vive e l'autorità eccelle nella propria sede.

Dilettissimi, quella confessione che, ispirata da Dio Padre al cuore dell'apostolo, trascese tutte le incertezze delle opinioni umane e ricevette la stabilità della pietra, al fine di non essere scossa da nessun attacco, ha ottenuto questo felice risultato. Infatti, in tutta la Chiesa Pietro ogni giorno esclama: “Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente”; e ogni lingua, che confessa il Signore, viene ammaestrata dal magistero di questa voce. Questa fede vince il diavolo e spezza le catene che tengono stretti gli schiavi. Questa fede fa entrare nel cielo quelli che sono stati liberati: contro di essa le porte dell'inferno non possono vincere: è stata premunita divinamente con tanta fortezza che mai potrà corromperla l'eretica iniquità, né superarla la pagana perfidia. Soltanto così, dilettissimi, viene celebrata con intelligente venerazione la festività di oggi, sicché si veda e si onori nella mia umile persona colui nel quale persevera la sollecitudine di tutti i pastori e la cura delle pecore che gli sono state affidate, e la cui dignità non viene meno neppure nell'indegno successore. Per questo la presenza desiderata e degna di ogni onore, dei miei venerabili fratelli nell'episcopato, è più sacra e più devota se trasferiscono la venerazione verso questa sede, nella quale si sono degnati di venire, principalmente a colui che non solo conoscono essere il presule di questa sede, ma anche il primate di tutti i vescovi.

Quando, dunque, rivolgiamo le nostre esortazioni all'attenzione della vostra santità, pensate che vi parla colui del quale noi facciamo le veci: noi vi ammoniamo con l'affetto di lui e non altro vi predichiamo che la dottrina da lui insegnata. Vi scongiuro, che cinti i fianchi della vostra mente, conduciate una vita casta e sobria nel timore di Dio: la mente non acconsenta, dimentica del proprio dominio, alle concupiscenze della carne. Le gioie dei piaceri terreni sono brevi e caduche, e tentano di allontanare dal sentiero della vita quelli che sono chiamati all'eternità. L'uomo, religioso e fedele, brami le cose celesti, e, avido delle divine promesse, si innalzi all'amore del bene incorruttibile e alla speranza della vera luce.

Siate certi, dilettissimi, che la vostra fatica con cui resistete ai vizi e combattete i carnali desideri, è gradita e preziosa al cospetto di Dio e gioverà non solo a voi, ma anche a me presso la misericordia di Dio, perché il sollecito pastore si gloria del progresso che fa il gregge del Signore. Infatti come dice l'apostolo, “la nostra gioia, la nostra corona siete voi”, se la vostra fede, predicata in tutto il mondo fin dai primordi del Vangelo, rimarrà nella carità e nella santità. E' vero, tutta la Chiesa, diffusa nel mondo intero, deve fiorire di tutte le virtù; ma tra gli altri popoli voi dovete eccellere per merito di devozione, perché siete fondati sul baluardo della pietra apostolica. Infatti, Gesù Cristo, nostro Signore, pur avendo redenti tutti, ammaestrò meglio di tutti san Pietro apostolo. Per lo stesso Cristo, nostro Signore. Amen.
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14/10/2014 14:21
 
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QUARTO DISCORSO DI S. LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE



I - La comune dignità dei cristiani

Dilettissimi, mi rallegro per il religioso affetto della vostra devozione, e ringrazio Dio perché vedo in voi l'amore per l'unità cristiana. Come lo attesta lo stesso vostro accorrere qui, voi siete convinti che questo giorno è motivo di gioia per tutti e che l'annua festa del pastore deve essere celebrata con la venerazione di tutto il gregge. Infatti la Chiesa di Dio, secondo distinti gradi gerarchici, è ordinata in modo che attraverso i differenti membri sussista l'integro suo corpo. Quindi, come dice l'Apostolo, “tutti siete un solo uomo in Cristo Gesù”; né alcuno, benché sia un umilissimo membro, è diviso dalla funzione di un altro così da non appartenere per connessione al capo. Perciò nella unità della fede e del battesimo noi formiamo una indistinta società, dilettissimi, e abbiamo una generale dignità, secondo l'insegnamento di san Pietro apostolo, che dice: “E voi pure, come pietre vive, costruitevi in modo da formare una casa spirituale, un santo sacerdozio, per offrire dei sacrifici spirituali, graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo”; e un poco più avanti: “Voi però siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione sacra, popolo tratto in salvo”.

Infatti, tutti i rigenerati in Cristo sono trasformati in re dal segno della croce e consacrati sacerdoti dall'unzione dello Spirito santo. Perciò, salvo il servizio del nostro speciale ministero, tutti i cristiani, divenuti spirituali e sapienti, si riconoscono di stirpe regale e partecipi di un ufficio sacerdotale.

Che cosa è più regale di un animo sottomesso a Dio, dominatore del proprio corpo? Che cosa è tanto sacerdotale, quanto sacrificare al Signore una coscienza pura e offrire vittime immacolate sull'altare del cuore? Questo per grazia di Dio è diventato a tutti comune. Tuttavia è per voi cosa pia e ottima godere per il giorno della nostra esaltazione quasi come fosse a vostro onore, perché si celebri in tutto il corpo della Chiesa l'unico sacramento dell'episcopato che, con l'effusione dell'unguento consacrato, è scorso, bensì, più abbondantemente nelle parti più alte, ma è anche disceso non scarsamente nelle parti inferiori.

II - Il primato di Pietro

Pertanto, dilettissimi, avendo noi grande motivo di rallegrarci per questa nostra comune dignità, sarà per noi più vera ed eccellente causa di letizia se non vi fermerete a considerare la nostra umile persona. E', infatti, molto più utile e più conveniente innalzare lo sguardo della mente a contemplare la gloria del beatissimo Pietro e soprattutto celebrare questo giorno in ossequio a lui che è stato inondato dal fonte stesso di tutti i carismi con grazie abbondantissime, tanto che, avendo Pietro molto ricevuto da solo, nulla passa agli altri che non sia partecipazione a quanto è stato dato a lui.

Il Verbo, fatto carne, già abitava tra noi. Cristo già si dedicava totalmente alla redenzione del genere umano. Tutto era ben disposto dalla sua sapienza; nulla era arduo per la sua potestà. Gli elementi del mondo si piegavano soggetti, gli spiriti obbedivano, gli angeli servivano: in nessun modo poteva riuscire senza risultato il mistero della redenzione che era operato allo stesso tempo da Dio uno e trino.

Eppure di tutti gli uomini soltanto Pietro è scelto perché sia preposto all'economia divina, che chiama tutte le genti alla salvezza, e sia il capo di tutti gli Apostoli e di tutti i Padri della Chiesa.

E' vero, nel popolo di Dio molti sono i sacerdoti e molti i pastori, tuttavia Pietro a titolo proprio governa tutti quelli che in modo principale sono guidati da Cristo.

Dilettissimi, la divina bontà ha favorito questo uomo di una grande e mirabile partecipazione alla potenza divina. E se volle che gli altri principi della Chiesa avessero qualcosa in comune con lui, mai donò, senza far passare per Pietro, quello che ha elargito agli altri.

Il Signore interroga tutti gli apostoli che cosa pensino di lui gli uomini. E più suona simile la loro risposta e più appare evidente l'ambiguità della ignoranza umana. Ma quando si chiede quale sia il parere degli apostoli, nel confessare il Signore è primo colui che è il primo nella dignità apostolica. E appena disse: “Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente”, Gesù gli rispose: “Beato te, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli”. E voleva dire: precisamente per questo sei beato, cioè perché il Padre mio ti ha ammaestrato; non ti sei lasciato ingannare da congetture terrene, ma è stata l'ispirazione celeste a istruirti; non un uomo mi ha svelato a te, ma colui del quale io sono l'unigenito.

“E io dico a te”: cioè, come il Padre mio ti ha manifestato la mia divinità, così io faccio nota a te la tua eccellenza.

“Perché tu sei Pietro”: cioè come io sono pietra inviolabile, pietra di angolo che unisco i due in un solo popolo, così anche tu sei pietra, perché in forza della mia virtù acquisti stabilità e quelle prerogative che mi appartengono per potestà sono comuni tra me e te per comune partecipazione.

“E su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno mai prevarranno contro di lei”: cioè, sopra questa pietra voglio costruire un tempio eterno e la grandezza della mia Chiesa, che deve essere trapiantata nel cielo, si eleverà con la fermezza di questa fede.

III - Poteri e grazie agli Apostoli attraverso san Pietro

Le porte dell'inferno non fermeranno questa confessione, né i lacci della morte la legheranno. Queste parole, infatti, sono parole di vita: come esaltano fino al regno celeste quelli che le ritengono, così fanno scendere nell'inferno quelli che le negano. Per questo è detto a san Pietro: “E a te darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa avrai legato sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli”. Il diritto di questa potestà è stato trasmesso anche agli altri apostoli, però non senza ragione è attribuito a uno quel che si dice a tutti. Lo si afferma singolarmente di Pietro, perché l'esempio di Pietro è proposto a tutti i rettori della Chiesa. Resta, dunque, la prerogativa di Pietro, dovunque sia emessa sentenza in conformità alla giustizia di lui: non vi è troppa severità né troppa indulgenza dove nulla sarà sciolto e nulla legato se non ciò che avrà sciolto o legato san Pietro. Mentre era imminente la passione, che doveva scuotere la costanza degli apostoli, il Signore disse a Pietro: “Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto che gli foste consegnati, per vagliarvi come il grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno: e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli, perché non cadiate in tentazione”.

Il pericolo della prova e della paura era comune a tutti gli apostoli e tutti avevano ugualmente bisogno dell'aiuto della divina protezione, perché il diavolo voleva molestare e piegare tutti; però il Signore si prende cura speciale di Pietro e prega propriamente per la fede di Pietro, quasi che la condizione degli altri sarebbe più sicura, qualora la mente del capo non fosse sconfitta. Dunque, in Pietro è difesa la fortezza di tutti e l'aiuto della divina grazia è ordinato in modo che, donato a Pietro per mezzo di Cristo, è distribuito agli apostoli attraverso Pietro.

IV - Il buon Pastore

Perciò, dilettissimi, vedendo l'aiuto divino che ci è stato donato, giustamente e con ragione ci rallegriamo dei meriti e della dignità della nostra guida. Rendiamo pure grazie a Gesù Cristo, Signore, eterno re e nostro redentore, perché ha investito di tanti poteri colui che ha fatto capo di tutta la Chiesa, sicché se nei nostri tempi noi operiamo bene e governiamo a dovere, bisogna attribuirlo all'opera e al governo di colui al quale è detto: “E tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli”, e al quale, dopo la sua risurrezione, il Signore, invitandolo con mistica allusione alla triplice professione di eterno amore, tre volte disse: “Pasci le mie pecore”.

Certamente anche ora egli pascola e, qual pio pastore, esegue il comando del Signore dandoci forza con le sue esortazioni e non cessando di pregare per noi, affinché nessuna tentazione ci superi. Ma se estende, come è da credersi, questa cura amorosa dovunque e a tutto il popolo di Dio, quanto più si degnerà donare il suo aiuto a noi che siamo i suoi protetti e che abbiamo vicino a noi, nella sacra tomba, ove beato riposa, quello stesso corpo che qui presiedette?

Perciò, a sua gloria questo giorno natalizio del nostro servizio! A lui ascriviamo questa festa: infatti, solo per il suo patrocinio abbiamo meritato di essere suoi successori in questa sede.

Ci aiuti in tutto la grazia di Gesù Cristo, nostro Signore, il quale vive e regna con Dio Padre e lo Spirito santo nei secoli dei secoli. Amen.
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14/10/2014 14:22
 
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QUINTO DISCORSO DI S.LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE



I - Dio origine di ogni grazia

Dilettissimi, come è onore dei figli la dignità dei padri, così è letizia del popolo il gaudio del vescovo. Or questo proviene dal dono divino, infatti, “ogni grazia eccellente, ogni dono perfetto, discendono dall'alto, dal Padre della luce”; perciò dobbiamo ringraziare l'autore di tutti i beni, poiché sia riguardo agli sviluppi naturali, sia riguardo alle istituzioni morali, “egli ci creò e di lui siamo”. Quando con pietà e fedeltà confessiamo questa verità, non gloriandoci in noi, ma nel Signore, con il ciclo del tempo i nostri voti con frutto si rinnovano, e le feste religiose costituiscono dei gaudi giusti, perché celebrandoli non siamo ingrati tacendo dei doni ricevuti, né siamo superbi presumendo dei nostri meriti.

Dilettissimi, riferiamo ogni motivo dell'odierna festività a colui che ne è l'origine e il capo. Lodiamo con dovuto ringraziamento colui nelle mani del quale stanno la dignità degli uffici e gli istanti del tempo. Se, infatti, volgiamo lo sguardo a noi e alle cose nostre, difficilmente troviamo qualche cosa da poterne meritatamente godere, giacché, circondati da carne mortale e soggetti alla fragilità della corruzione, non siamo mai del tutto liberi e sicuri dagli attacchi della guerra. In tale lotta non si ottiene mai una vittoria così completa, che dopo i trionfi non sorgano nuove battaglie. Per questo nessun pontefice è così perfetto, nessun vescovo è tanto immacolato che possa offrire la vittima di propiziazione soltanto per i delitti del popolo e non debba offrirla anche per i suoi peccati.

II - L'universale sollecitudine del Vescovo di Roma

Se tale condizione è propria di ogni vescovo, quanto più aggrava e lega noi, per i quali la stessa grandezza dell'ufficio ricevuto è prossima occasione d'inciampo? I singoli pastori presiedono con particolare sollecitudine ai loro greggi e sanno che dovranno rendere conto delle pecorelle loro affidate. Ma noi abbiamo una cura comune con tutti: non vi è amministrazione di alcuno che non sia parte della nostra fatica. Infatti, se da una parte da tutto il mondo si ricorre alla sede di Pietro, dall'altra si esige dal nostro ministero quella carità verso la Chiesa universale che il Signore raccomandò a san Pietro. E noi siamo tanto più consapevoli del peso che portiamo, quanto è maggiore il nostro debito verso tutti. Tra questi motivi di timore potremmo noi nutrire fiducia per l'esercizio del nostro ministero per altro, se non perché non sonnecchia né dorme chi custodisce Israele? se non perché si degna essere non solo il custode del gregge, ma anche il pastore dei pastori colui che ai discepoli suoi disse: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo”? Egli non si vede con sguardo corporeo, ma si sente presente con intuito spirituale: è assente con il corpo per cui poteva essere visto, è presente con la divinità con la quale è sempre e dovunque. Infatti “il giusto vive di fede” e la giustizia del credente è proprio questa, che, cioè, accolga con l'animo quello che non vede con l'occhio. “Quando il Signore è asceso in alto, ha trascinato con sè i prigionieri: ha dato doni agli uomini”; cioè, ha dato la fede, la speranza e la carità che sono virtù grandi, forti e preziose per il fatto che senza vedere con gli occhi della carne, con mirabile affetto del cuore si crede, si spera, si ama.

III - La perenne presenza di Cristo nella Chiesa

E' vero, dunque, dilettissimi, che noi non senza motivo ma seguendo la fede confessiamo che Gesù Cristo, il Signore, è in mezzo ai credenti. Benché egli sieda alla destra del Padre, finché avrà posto i suoi nemici a scanno dei suoi piedi, tuttavia il Pontefice sommo non è assente dall'assemblea dei suoi pontefici. Giustamente a lui si canta con le labbra di tutta la Chiesa e di tutti i sacerdoti: “Il Signore ha giurato e non si pente: tu sei sacerdote in eterno al modo di Melchisedec”. Egli è il vero ed eterno vescovo, la cui cura non può mutare né finire. Egli è colui del quale il pontefice Melchisedec fu figura offrendo a Dio non le vittime giudaiche, ma il sacrificio di quel sacramento che il nostro Redentore consacrò nel suo corpo e nel suo sangue. Egli è colui del quale il Padre con attestato di inviolabile giuramento istituì il sacerdozio non al modo di Aronne, che doveva passare insieme con il tempo della legge, ma al modo di Melchisedec che si doveva in perpetuo celebrare.

Come tra gli uomini il giuramento si usa nelle questioni che sanciscono patti perpetui, così anche la conferma del giuramento divino si trova in quelle promesse che si stabiliscono con decreti immutabili. E perché il pentirsi significa la mutazione della volontà, Dio non si pente in quelle cose che, secondo l'eterno beneplacito, non può volere diversamente da quel che ha voluto.

IV - La continua cura di san Pietro per il gregge di Cristo

Perciò, dilettissimi, non è una festa presuntuosa la nostra, quella con cui, memori del dono divino, onoriamo l'anniversario della nostra esaltazione a pontefice, poiché con pietà e verità confessiamo che in tutto quello che operiamo di bene è presente Cristo che compie l'opera del nostro ministero. E non ci gloriamo in noi stessi, che senza di lui nulla possiamo, ma soltanto in lui che è la nostra sufficienza. Si aggiunge, inoltre, come motivo della nostra solennità, non solo la dignità apostolica, ma anche quella episcopale di san Pietro, che non cessa di presiedere nella sua sede e che possiede una inalienabile partecipazione con l'eterno sacerdote. La fermezza che dalla Roccia, cioè Cristo, ha ricevuto, divenendo egli stesso Pietra, si tramanda anche nei suoi eredi e, dovunque c'è stabilità, appare evidente la fortezza del pastore. Se, infatti, a tutti i martiri e dovunque, in premio della pazienza con cui hanno accolto le sofferenze e perché si manifestino i loro meriti, è stata data la possibilità di portare soccorso alle persone che si trovano in pericolo, di allontanare le malattie, di scacciare gli spiriti immondi e di curare innumerevoli infermità, chi sarà così ignaro della gloria di san Pietro, chi così invidioso estimatore, da credere che le diverse parti della Chiesa non siano governate dalla sua sollecitudine e non siano incrementate dal suo aiuto? Fiorisce, senza dubbio, e vive nel principe degli apostoli quella carità di Dio e degli uomini che non i recinti del carcere, né le catene, né il furore dei popoli, né le minacce dei re poterono spaventare; e vive in lui quella fede insuperabile che non cessò di combattere, né si intiepidì per la vittoria.

V - A Pietro la venerazione dei popoli

Ma poiché ai nostri giorni la tristezza è cambiata in letizia, la fatica in riposo, la guerra in pace, noi riconosciamo di essere aiutati dai meriti e dalle preghiere del nostro presule e con prove frequenti sperimentiamo che egli presiede ai sani consigli e ai giusti giudizi, sicché, rimanendo presso noi il diritto di legare e di sciogliere, chi dai decreti di san Pietro è stato condannato sia richiamato a penitenza e chi è stato riconciliato sia graziato dal perdono. E perciò tutta quella venerazione che, e con la degnazione dei fratelli e con la pietà dei figli, voi avete reso a me, siate convinti di averla, con più devozione e verità, resa insieme con me a colui alla sede del quale noi godiamo non tanto di presiedere, quanto di servire. Abbiamo fiducia che, per le preghiere di lui, Dio misericordioso benignamente riguardi i tempi del nostro ministero e si degni sempre di custodire e pascere il pastore delle sue pecore.
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14/10/2014 14:23
 
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Commento al Vangelo dell'Ascensione

S. Leone Magno
 
Dilettissimi, il Signore dopo aver compiuto tutto ciò che conveniva alla predicazione del Vangelo e ai misteri del Nuovo Testamento, quaranta giorni dopo la risurrezione, elevandosi al cielo sotto lo sguardo dei discepoli, pose termine alla sua presenza corporale per restare alla destra del Padre fino a quando si compiranno i tempi divinamente stabiliti per moltiplicare i figli della Chiesa: allora egli verrà per giudicare i vivi e i morti in quella stessa carne nella quale ascese. Quel che era visibile del nostro Redentore, passò sotto i segni sacramentali. E perché più eccellente e più forte fosse la fede, la dottrina prese il posto della visione con lo scopo che i cuori dei credenti, illuminati da suprema luce, ne seguissero l’autorità.
Tale fede fu accresciuta con l’ascensione del Signore e irrobustita col dono dello Spirito Santo. Per questo essi non temettero più le catene, le carceri, l’esilio, la fame, il fuoco, l’essere sbranati dalle fiere, né i supplizi raffinati dalla crudeltà dei persecutori. Per questa fede in ogni parte del mondo non solo uomini, ma anche donne, non solo fanciulletti inermi, ma anche tenere bambine, combatterono fino all’effusione del loro sangue.
Questa è la fede che ha messo in fuga i demoni, ha scacciato le malattie, ha risuscitato i morti. Persino i santi Apostoli che erano stati confermati da tanti miracoli e ammaestrati da frequenti discorsi, ma che avevano provato spavento per la atrocità della passione del Signore e non senza esitazione avevano accettato la verità della risurrezione di lui, dal momento dell’ascensione ricevettero sì gran profitto che si mutò per essi in gaudio quel che prima li aveva riempiti di timore. Erano protesi, infatti, con tutta la tensione contemplativa della mente verso la divinità di colui che sedeva alla destra del Padre. Non erano più trattenuti ora dall’oggetto della visione corporea per cui fosse meno possibile applicarsi con l’acume della mente in colui che discendendo non si era assentato dal Padre, né ascendendo si era allontanato dai discepoli.
Dilettissimi, il Figlio dell’uomo e Figlio di Dio si manifestò in maniera più elevata e più sacra quando entrò nella gloria del Padre in maestà. Allora incominciò a essere presente in modo ineffabile chi si era allontanato alquanto con l’umanità. Allora la fede con più consapevolezza, mediante i passi della mente, cominciò ad accostarsi al Figlio riconoscendolo uguale al Padre, e a fare a meno di esperimentare in Cristo la sostanza corporea, che è minore del Padre. Certamente, pur continuando a esistere la natura nel corpo glorificato, la fede dei credenti era stimolata a toccare, non con mano di carne, ma con intelligenza di spirito, l’Unigenito che è uguale al Genitore. Di qui si comprende perché a Maria Maddalena, che nell’accostarsi di corsa a lui per abbracciarlo rappresentava la Chiesa, il Signore disse: Non tenermi così, perché non ancora sono asceso al Padre (Gv 20, 17), intendendo dirle: Non voglio che tu ti avvicini a me con vicinanza corporale, né che mi riconosca con i sensi corporei. Ti trasporto a cose più sublimi, ti offro cose più grandi; quando sarò asceso al Padre, allora mi abbraccerai con più perfezione e verità, perché raggiungerai ciò che non tocchi, crederai ciò che non vedi. ...
Esultiamo con spirituale gaudio; rallegriamoci nel presentare a Dio un degno ringraziamento, solleviamo liberamente gli occhi della mente a quell’altezza nella quale Cristo si trova. I desideri terreni non aggravino più gli animi invitati all’alto: gli eletti alle cose eterne non si lascino preoccupare da ciò che perirà. Chi si è inoltrato nella via della verità, non si lasci trattenere da ingannevoli attrattive. I fedeli passino per queste realtà temporali nella consapevolezza di essere pellegrini in questa valle del mondo, ove, se sono forniti di alcune comodità, non devono con sfrenatezza abbracciarle, ma costantemente superarle.
Il beatissimo Pietro ci esorta a tale fervore religioso e in conformità alla carità che per le pecorelle di Cristo, affidate alle sue cure pastorali, concepì nella triplice professione di amore verso il Signore, istantemente ci prega: Carissimi, vi supplico, quali stranieri e pellegrini su questa terra, di astenervi dalle cupidigie carnali che fanno guerra all’anima (1 Pt 2, 11). ... Perciò facciamo resistenza, o dilettissimi, a questo male così pestilenziale; e seguiamo la carità senza di cui nessuna virtù si sostiene. Il nostro scopo è di poter anche noi salire a Cristo per quella via dell’amore, per la quale a noi egli è disceso.
(Dal Discorso 74, 2-5)
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14/10/2014 14:25
 
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PRIMO DISCORSO
TENUTO NEL NATALE
DEL SIGNORE


I - Gioia universale per la immacolata nascita del Signore

Oggi, dilettissimi, è nato il nostro Salvatore: rallegriamoci! Non è bene che vi sia tristezza nel giorno in cui si nasce alla vita, che, avendo distrutto il timore della morte, ci presenta la gioiosa promessa dell'eternità. Nessuno è escluso dal prendere parte a questa gioia, perché il motivo del gaudio è unico e a tutti comune: il nostro Signore, distruttore del peccato e della morte, è venuto per liberare tutti, senza eccezione, non avendo trovato alcuno libero dal peccato.

Esulti il santo, perché si avvicina al premio. Gioisca il peccatore, perché è invitato al perdono. Si rianimi il pagano, perché è chiamato alla vita. Il Figlio di Dio, nella pienezza dei tempi che il disegno divino, profondo e imperscrutabile, aveva prefisso, ha assunto la natura del genere umano per riconciliarla al suo Creatore, affinché il diavolo, autore della morte, fosse sconfitto, mediante la morte con cui prima aveva vinto. In questo duello, combattuto per noi, principio supremo fu la giustizia nella più alta espressione. Il Signore onnipotente, infatti, non nella maestà che gli appartiene, ma nella umiltà nostra ha lottato contro il crudele nemico. Egli ha opposto al nemico la nostra stessa condizione, la nostra stessa natura, che in lui era bensì partecipe della nostra mortalità, ma esente da qualsiasi peccato.

E' estraneo da questa nascita quel che vale per tutti gli altri: “Nessuno è mondo da colpa, neppure il fanciullo che ha un sol giorno di vita”. Nulla della concupiscenza della carne è stato trasmesso in questa singolare nascita; niente è derivato ad essa dalla legge del peccato. E' scelta una vergine regale, appartenente alla famiglia di David, che, destinata a portare in seno tale santa prole, concepisce il figlio, Uomo-Dio, prima con la mente che col corpo. E perché, ignara del consiglio superno, non si spaventi per una inaspettata gravidanza, apprende dal colloquio con l'angelo quel che lo Spirito Santo deve operare in lei. Ella non crede che sia offesa al pudore il diventare quanto prima genitrice di Dio. Colei a cui è promessa la fecondità per opera dell'Altissimo, come potrebbe dubitare del nuovo modo di concepire? La sua fede, già perfetta, è rafforzata con l'attestazione di un precedente miracolo: una insperata fecondità è data a Elisabetta, perché non si dubiti che darà figliolanza alla Vergine chi già ha concesso alla sterile di poter concepire.

II - La mirabile economia del mistero del Natale

Dunque il Verbo di Dio, Dio egli stesso e Figlio di Dio, che “era in principio presso Dio, per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale neppure una delle cose create è stata fatta”, per liberare l'uomo dalla morte eterna si è fatto uomo. Egli si è abbassato ad assumere la nostra umile condizione senza diminuire la sua maestà. E' rimasto quel che era e ha preso ciò che non era, unendo la reale natura di servo a quella natura per la quale è uguale al Padre. Ha congiunto ambedue le nature in modo tate che la glorificazione non ha assorbito la natura inferiore, né l'assunzione ha sminuito la natura superiore. Perciò le proprietà dell'una e dell'altra natura sono rimaste integre, benché convergano in una unica persona. In questa maniera l'umiltà viene accolta dalla maestà, la debolezza dalla potenza, la mortalità dalla eternità. Per pagare il debito, proprio della nostra condizione, la natura inviolabile si è unita alla natura che è soggetta ai patimenti, il vero Dio si è congiunto in modo armonioso al vero uomo. Or questo era necessario alle nostre infermità, perché avvenisse che l'unico e identico Mediatore di Dio e degli uomini da una parte potesse morire e dall'altra potesse risorgere. Pertanto si deve affermare che a ragione il parto del Salvatore non corruppe in alcun modo la verginale integrità; anzi il dare alla luce la Verità fu la salvaguardia del suo pudore. Tale natività, dilettissimi, si addiceva a Cristo, “virtù di Dio e sapienza di Dio”; con essa egli è uguale a noi quanto all'umanità, è superiore a noi quanto alla divinità. Se non fosse vero Dio non porterebbe la salvezza, se non fosse vero uomo non ci sarebbe di esempio. Perciò dagli angeli esultanti si canta nella nascita del Signore: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli” e viene annunciata “la pace in terra agli uomini di buona volontà” . Essi, infatti, comprendono che la celeste Gerusalemme sta per essere formata da tutte le genti del mondo. Or quanto gli umili uomini devono rallegrarsi per quest'opera ineffabile della divina misericordia, se gli angeli eccelsi tanto ne godono?

III - La vita della nuova creatura

Pertanto, dilettissimi, rendiamo grazie a Dio Padre mediante il suo Figlio nello Spirito Santo, poiché la sua grande misericordia, con cui ci ha amato, ha avuto di noi pietà. “Quando ancora noi eravamo morti a causa dei nostri peccati, ci ha vivificati con Cristo” per essere in lui una nuova creatura e una nuova opera. Dunque spogliamoci del vecchio uomo e dei suoi atti . Ora che abbiamo ottenuto la partecipazione alla generazione di Cristo, rinunciamo alle opere della carne. Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, reso consorte della natura divina, non voler tornare con una vita indegna all'antica bassezza. Ricorda di quale capo e di quale corpo sei membro. Ripensa che, liberato dalla potestà delle tenebre, sei stato trasportato nella luce e nel regno di Dio. Per il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito santo: non scacciare da te con azioni cattive un sì nobile ospite e non ti sottomettere di nuovo alla schiavitù del diavolo, perché ti giudicherà secondo verità chi ti ha redento nella misericordia, egli che vive e regna col Padre e lo Spirito santo nei secoli dei secoli. Amen.
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14/10/2014 14:25
 
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SECONDO DISCORSO
TENUTO NEL NATALE
DEL SIGNORE


I - L'occulto disegno di Dio nell'incarnazione

Dilettissimi, esultiamo nel Signore e con spirituale gaudio rallegriamoci, perché è spuntato per noi il giorno che significa la nuova redenzione, l'antica preparazione, la felicità eterna. Il mistero della nostra salvezza, promesso all'inizio del mondo, attuato nel tempo stabilito per durare senza fine, si rinnova per noi nel ricorrente ciclo annuale.

In questo giorno è giusto che noi, elevati in alto i cuori, adoriamo il divino mistero, affinché sia celebrato dalla Chiesa con grande letizia quel che si compie per munifica generosità di Dio.

Infatti, Dio onnipotente e clementissimo, la cui natura è bontà, la cui volontà è potenza, la cui azione è misericordia, allorché la malizia del diavolo con il veleno del suo odio ci sottomise alla morte, tosto indicò all'inizio del mondo la medicina che la sua misericordia metteva a disposizione per risollevare il genere umano. Preannunciò al serpente la futura discendenza della donna che con la propria virtù gli avrebbe schiacciato il capo, sempre altero o pronto a mordere. In tal modo preannunciò Cristo, l'Uomo-Dio, che doveva venire nella carne e che, nascendo dalla Vergine con una nascita immacolata, doveva condannare colui che violò l'integrità del genere umano.

Infatti il diavolo, trovando un sollievo alle proprie pene nel compagno di peccato, si gloriava che l'uomo, da lui ingannato, fosse stato privato dei doni divini e, spogliato della immortalità, fosse stato assoggettato a dura sentenza di morte; in più si gloriava perché Dio, secondo le esigenze della giustizia, era stato costretto a cambiare proposito riguardo all'uomo che egli aveva creato insignito di grande dignità. Per questo è stato necessario che Dio, immutabile, la cui volontà è inseparabile dalla benignità, adempisse con segreta economia e con occulto mistero il suo primo disegno di grazia ai nostri riguardi, affinché l'uomo, caduto in colpa per l'insidia del maligno diavolo, contrariamente al piano di Dio non perisse.

II - La novità nella nascita di Cristo

Dilettissimi, appena giunti i tempi prestabiliti per la redenzione degli uomini, Gesù Cristo, Figlio di Dio, fa il suo ingresso nella bassa condizione di questo mondo: discende dalla sede celeste senza, però, allontanarsi dalla gloria del Padre: è generato in un nuovo stato e con novità nella nascita. E' nuovo il suo stato, perché, pur rimanendo invisibile nella sua natura è diventato visibile nella natura nostra. Egli che è l'immenso, ha voluto essere racchiuso nello spazio: pur restando nella sua eternità ha voluto incominciare a esistere nel tempo. Il Signore dell'universo, nascosta sotto il velo la gloria della sua maestà, ha assunto la natura di servo. Dio, inviolabile, non ha sdegnato di assoggettarsi al dolore; l'immortale non ha rifiutato di sottomettersi alla legge della morte.

Inoltre è stato generato con novità nella nascita, perché è stato concepito dalla Vergine ed è nato dalla Vergine senza l'intervento di padre terreno e senza la violazione della integrità della madre. A chi doveva essere il Salvatore degli uomini era conveniente una tale nascita, perché avesse in sé la natura umana e non conoscesse la contaminazione della umana carne. Dio stesso, infatti, è l'autore della nascita corporea di Dio, e l'arcangelo l'ha attestato alla santa vergine Maria: “Lo Spirito santo verrà sopra di te, e la potenza dell'Altissimo ti coprirà della sua ombra: per questo il bambino santo che nascerà, sarà chiamato Figlio di Dio”.

Dunque la sua origine è diversa dalla nostra, ma la sua natura è uguale alla nostra. Il fatto che la Vergine abbia concepito, che la Vergine abbia partorito e poi sia rimasta ancora vergine, certamente è estraneo alla comune esperienza umana, poiché è fondato sulla divina potenza. In questo caso, difatti, non bisogna considerare la condizione di colei che partorisce, ma il volere di colui che nasce, il quale è nato dall'uomo nel modo che ha voluto e potuto. Se tu osservi la realtà della natura, costati la sostanza umana; ma se scruti la causa dell'origine, vi riconosci la potenza divina. Invero, Gesù Cristo, nostro Signore, è venuto per abolire il contagio del peccato, non per tollerarlo; è venuto per curare ogni malattia di corruzione e tutte le ferite delle anime macchiate. Era dunque opportuno che nascesse in maniera nuova colui che apportava agli uomini una nuova grazia di immacolata integrità. Era necessario che l'integrità di chi nasceva conservasse la nativa verginità della madre, e che l'adombramento della virtù dello Spirito santo custodisse il sacro recinto del pudore e la sede della santità. Gesù, difatti, aveva stabilito di rialzare la creatura che era precipitata in basso, di rafforzare la creatura conculcata e di donare e accrescere la virtù della castità per cui potesse essere vinta la concupiscenza della carne. Dio ha voluto in tal maniera che la verginità, necessariamente violata nella generazione degli altri uomini, fosse imitabile negli altri con la rinascita spirituale.

III - Il segreto messianico

Il fatto stesso, dilettissimi, che Cristo abbia scelto di nascere da una vergine, non mostra forse che era mosso da un motivo altissimo? Egli voleva che il diavolo ignorasse la nascita del Salvatore del genere umano; così ignaro dello spirituale concepimento, il maligno non avrebbe pensato a una nascita diversa da quella degli altri uomini, perché lo vedeva non differente dagli altri. Egli ha osservato la natura di lui, simile alla nostra, e ha creduto che egli fosse compreso nella condanna di tutti gli altri. Non comprese che era estraneo ai ceppi, procuratici dalla disobbedienza, colui che non vedeva libero dall'umana debolezza. Infatti Dio, verace e misericordioso, disponeva di molti modi per restaurare il genere umano, ma ha scelto questa via della redenzione per seguire un criterio di giustizia, anziché fare uso della sua potenza nel distruggere il male compiuto dal diavolo. Il superbo e antico nemico rivendicava per sé, non senza qualche ragione, un diritto di tirannia su tutti gli uomini; e opprimeva con dominazione non illegittima quelli che dal comando di Dio aveva trascinato a rendere ossequio spontaneo alle sue voglie. Perciò non avrebbe giustamente perduto la servitù del genere umano, instaurata agli inizi del mondo, se non fosse stato vinto da chi prima aveva assoggettato. Perché questo disegno si attuasse, Cristo, senza intervento di uomo, è stato concepito dalla Vergine, fecondata non dalla unione carnale, ma dallo Spirito santo. Le madri tutte non concepiscono senza la macchia del peccato; al contrario essa fu purificata dal fatto che concepì. Non si ebbe in questo caso nessun intervento dell'uomo, perciò non vi si mescolò il peccato originale. La verginità inviolata non conobbe la concupiscenza; solo somministrò la sostanza. Dalla madre fu assunta la natura dell'uomo, non la colpa. La natura di servo è stata fatta senza portare con sé condizione servile, perché l'uomo nuovo è stato misurato sul vecchio in modo da assumere la realtà della natura e da escludere l'antico peccato. Il misericordioso e onnipotente Salvatore ha regolato fin dall'inizio l'assunzione della natura umana in tal maniera da tenere nascosta la potenza divina, inseparabile dall'umanità assunta, col velo della nostra infermità. Fu, così, giocata l'astuzia del nemico che credette la nascita del fanciullo, nato per la salvezza del genere umano, sottomessa al suo dominio, non altrimenti che quella di tutti gli uomini che nascessero. Lo scorse che vagiva e lacrimava; l'osservò avvolto in pochi panni , soggetto alla circoncisione e riscattato con l'offerta del sacrificio legale. In seguito conobbe il normale sviluppo della sua puerizia e non poté mettere in dubbio la sua naturale crescita finché giunse a età virile. Mentre tutto ciò si compiva, egli scagliò oltraggi, moltiplicò le ingiurie, usò maledizioni, obbrobri, bestemmie e calunnie, e in ultimo rovesciò contro Cristo tutta la potenza del suo furore passando in rassegna tutte le possibili tentazioni. Ben conscio di avere col suo veleno prostrata la natura umana, non credette neppure lontanamente che fosse libero dal peccato chi da tante prove era riconoscibile per mortale. Perciò il diavolo, scellerato saccheggiatore e avaro esattore, persisté nella lotta contro chi nulla aveva in sé di malizia. Ma mentre lo perseguitava rivendicando l'esecuzione della sentenza di condanna per tutti gli uomini, riposta nell'origine intaccata dal peccato, oltrepassò la misura fissata nel decreto che gli serviva di sostegno, perché reclamò la pena del peccato da colui nel quale non scoprì nessuna colpa. Così per un consiglio poco accorto fu annullata la cedola del contratto di morte; per l'ingiustizia commessa nell'esigere di più, venne abolito tutto il debito. Quel forte viene incatenato con i suoi stessi ceppi e ogni astuzia del maligno viene ripiegata nel suo capo. Appena il principe del mondo è così imprigionato, le vettovaglie, procacciatesi con la schiavitù, gli vengono rapite. La natura purificata dal vecchio contagio, ritorna nel suo onore; la morte è distrutta con la morte, la nascita è restaurata con la nuova natività. Simultanei sono questi effetti: la redenzione abolisce la schiavitù, la rigenerazione trasforma l'origine e la fede rende giusto il peccatore.

IV - Frutti della redenzione e propositi del cristiano

Dunque, chiunque tu sia che vuoi gloriarti del nome di cristiano, pondera con giusto giudizio la grazia di questa riconciliazione. A te, una volta prostrato ed escluso dal Paradiso, a te, destinato a morire ininterrottamente durante un lungo esilio e disperso alla stregua della polvere e della cenere, a te, senza speranza di vivere, è stata data con l'incarnazione del Verbo la facoltà di tornare, dal lontano luogo ove eri, al tuo Creatore, di riconoscere il tuo padre, di passare dalla servitù alla libertà, di essere innalzato dalla condizione di forestiero alla dignità di figlio. Così a te, nato dalla carne corruttibile, è stata data la facoltà di rinascere dallo Spirito di Dio e di ottenere per grazia ciò che non avevi per natura, in modo che riconoscendoti, mediante lo Spirito di adozione, come figlio di Dio, possa ardire di chiamare Dio tuo Padre. Ora che sei sciolto dal reato della cattiva coscienza, aspira al regno celeste; adempi la volontà di Dio, sostenuto dal divino aiuto; imita gli angeli sopra la terra; nùtriti della virtù di una sostanza immortale; combatti con sicurezza contro le tentazioni ostili in ossequio alla religione di Dio, e se avrai rispettato il giuramento della milizia celeste, sii certo che sarai incoronato per la vittoria nei campi trionfali dell'eterno Re, quando la risurrezione, preparata ai cultori di Dio, ti investirà per innalzarti alla società del regno celeste.

Dilettissimi, fiduciosi in così grande aspettativa, rimanete stabili nella fede in cui siete stati fondati. Non sia mai che il tentatore, privato da Cristo della dominazione sopra di voi, vi abbia a sedurre di nuovo con insidie e riesca a profanare con la sua raffinata arte di inganni le gioie stesse del giorno presente. Non sia mai che riesca a illudere gli uomini più semplici con la nefanda persuasione di certuni, ai quali questo giorno della nostra solennità pare degno di festa non tanto a motivo della nascita di Cristo, quanto per il natale del nuovo sole. Le menti di costoro sono avvolte in dense tenebre e sono ben lontane dal far progressi nella vera luce. Si trascinano dietro i pazzeschi errori dei gentili, e perché sono incapaci di sollevare l'attenzione della mente sopra ciò che si vede con sguardo carnale, rendono culto divino agli astri, i quali non sono altro che i servi del mondo.

Sia lontana dagli uomini cristiani tale sacrilega superstizione e mostruosa menzogna. Le cose temporali distano oltre ogni dire da colui che è eterno, le cose corporee da colui che è incorporeo, le creature suddite da colui che le governa: tutte queste cose hanno bensì bellezza, che suscita ammirazione, ma non hanno in se stesse la divinità che si possa adorare. Bisogna, dunque, rendere onore a quella potenza, sapienza, maestà che ha creato dal nulla l'universo e che ha generato con onnipotente parola le cose terrene e le cose celesti in quelle forme e misura che a lui è piaciuto. Il sole, la luna, le stelle sono utili a noi, che ce ne serviamo e appaiono leggiadre quando le rimiriamo. Di esse si deve rendere grazie al Creatore: si deve adorare Dio che le ha create, non le creature che lo servono.

Dunque, dilettissimi, lodate Dio in tutte le sue opere e disposizioni. Abbiate una fede perfetta nella verginale integrità e nel parto della Vergine. Onorate il sacro e divino mistero della redenzione umana, prestando a Dio un servizio santo e sincero.

Accogliete Cristo che nasce nella nostra carne, affinché meritiate di contemplarlo qual Dio della gloria nel regno della sua maestà: egli che col Padre e lo Spirito santo persevera nella unità della divinità nei secoli dei secoli. Amen.
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14/10/2014 14:27
 
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PRIMO DISCORSO TENUTO NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA

I - Cristo rivelato dalla stella

E' poco tempo che abbiamo celebrato il giorno nel quale la Vergine intemerata ha dato alla luce il Salvatore del genere umano. Ora, dilettissimi, la veneranda festività dell'Epifania ci fa prolungare le gioie, affinché tra i misteri, così vicini con solennità tra loro connesse, la nota di esultanza e il fervore della fede, non si affievoliscano. Rientra nel disegno di salvezza, rivolto a tutti gli uomini, il fatto che quel Pargoletto, Mediatore tra Dio e gli uomini, sia stato rivelato a tutto il mondo, quando ancora era nella ristretta cerchia di un minuscolo paesello. Infatti, nonostante che egli abbia eletta la gente d'Israele e tra tutti gli israeliti una sola famiglia da cui assumere la natura comune a tutti gli uomini, non ha voluto che la sua nascita rimanesse nascosta nell'ambito della materna abitazione. Colui che si è degnato nascere per tutti, ha voluto essere subito conosciuto da tutti.

Per questo ai tre Magi apparve in Oriente una stella di straordinaria luminosità, la quale, perché più fulgida e più bella delle altre stelle, facilmente attrasse la loro attenzione, mentre la rimiravano; così poterono rendersi conto che non avveniva a caso ciò che a loro sembrava tanto insolito. Infatti, colui che aveva dato il segno, diede a quelli che l'osservavano anche la grazia di comprenderlo. E poi fece ricercare ciò che aveva fatto comprendere e, ricercato, si fece trovare .

II - L'inganno di Erode e la fede dei Magi

I tre uomini assecondarono l'impulso della celeste illuminazione e mentre accompagnano con attenta contemplazione la scia di luce che li precede, sono guidati alla conoscenza della verità dallo splendore della grazia. Ed essi con buoni motivi pensano bene di ricercare nella città regale il luogo della nascita del Re, loro indicato. Ma chi aveva preso forma di servo ed era venuto non a giudicare ma a essere giudicato, scelse Betlemme per la nascita, Gerusalemme per la passione.

Intanto Erode, ascoltando che era nato il Re dei Giudei, temette di averlo come successore e macchinando la morte al portatore di salvezza, promise falsamente che gli avrebbe portato venerazione. Quanto sarebbe stato felice se avesse imitato la fede dei Magi e mutato in sincero culto ciò che architettava con intenzione fraudolenta! Oh cieca empietà e folle invidia che credi di rovesciare con il tuo furore il piano divino! Ma il Signore del mondo, che offre un regno eterno, non cerca un trono temporale. Perché tenti di rovesciare la serie degli avvenimenti, immutabilmente disposta, e cerchi di anticipare un delitto che commetteranno altri? La morte di Cristo non appartiene al tuo tempo. Bisogna che prima si dia principio al Vangelo; prima si deve predicare il regno di Dio, ridonare miracolosamente la salute e compiere molti altri prodigi. Perché vuoi far tuo il delitto che sarà opera di altri nel futuro? Tu non avrai altro risultato del tuo misfatto se non quello di caricarti con la tua intenzione di un tanto grande reato. Con tale macchinazione non fai un passo avanti; non combini nulla, perché egli, che è nato per spontanea volontà, per sua libera potestà morirà.

Dunque, i Magi realizzano il loro desiderio e sotto la guida della stella che li precede, giungono nel luogo ove è Gesù Cristo, il Signore bambino. Adorano il Verbo nella carne, la Sapienza nella infanzia, la Virtù nella debolezza e il Signore della maestà nella realtà dell'uomo. E perché manifestino il mistero che credono e comprendono, significano con i doni quello che credono con il cuore. Offrono l'incenso a Dio, la mirra all'uomo, l'oro al re, venerando consapevolmente l'unione della natura divina e di quella umana, perché Cristo, pure essendo nelle proprietà delle due nature, non era diviso nella potenza.

Ecco, i Magi tornano al loro paese; e Gesù per un avviso divino è trasportato in Egitto. E' adesso che la follia di Erode arde inutilmente fra i suoi disegni occulti; egli comanda che in Betlemme siano uccisi tutti i bambini. Con una sentenza generale va contro la tenera età, divenutagli sospetta, perché non conosce precisamente il bimbo che egli teme. Ma quei che l'empio re toglie dal mondo, Cristo trapianta nel cielo; e concede l'onore del martirio a coloro per i quali non ha ancora versato il suo sangue redentore.

III - Le virtù del cristiano

Pertanto, dilettissimi, elevate gli animi fedeli alla fulgida grazia della luce eterna e venerando i misteri, compiuti per la salvezza degli uomini, volgete la vostra assidua attenzione alle opere per voi fatte. Amate la casta purità, perché Cristo è il figlio della verginità. “Astenetevi dalle passioni della carne che lottano contro l'anima”, come l'Apostolo stesso presente in mezzo a noi, ci esorta nella sua lettera. “Nella malizia fatevi bambini”, perché il Signore della gloria si è abbassato alla infanzia dei mortali. Praticate l'umiltà che il Figlio di Dio si è degnato insegnare ai suoi discepoli. Rivestitevi della virtù della pazienza, al fine di poter essere padroni delle vostre anime; Egli che è la redenzione di tutti, è pure di tutti la fortezza. “Aspirate alle cose di lassù e non a quelle che sono sulla terra”. Camminate costantemente per la via della verità e della vita. Non vi lasciate ostacolare da cose terrene, voi per cui sono preparate le cose celesti. Per Gesù Cristo, nostro Signore, il quale vive e regna con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.
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14/10/2014 14:30
 
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(finora non reperito)
[Modificato da Credente 14/10/2014 14:37]
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14/10/2014 14:30
 
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TERZO DISCORSO TENUTO NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA

I - L’economia della redenzione

So bene, dilettissimi, che alla vostra santità non è nascosto il motivo della festa di oggi e che già la pericope del Vangelo, letta secondo l'uso, ve lo ha presentato. Tuttavia oserò parlarvi della presente solennità, come il Signore mi ispirerà, affinché nulla manchi a voi del nostro ministero. Così la pietà di tutti sarà con comune gaudio tanto più religiosa, quanto più tutti avranno compreso questa solennità. La divina e misericordiosa provvidenza, avendo disposto di portare aiuto in questi ultimi tempi al mondo, che altrimenti sarebbe andato perduto, pose in Cristo la salvezza di tutte le genti. Siccome l'empio errore aveva allontanato tutte le nazioni dal culto del vero Dio, e persino Israele, popolo che Dio aveva eletto come suo, si era allontanato quasi totalmente dalle prescrizioni della legge, Dio, avendo racchiusi tutti nel peccato, volle di tutti aver misericordia. Dovunque era venuta meno la giustizia, tutto il mondo era caduto in balia della vanità e della malizia. E se la divina maestà non avesse dilazionato il suo giudizio, tutti gli uomini avrebbero ricevuto la sentenza di dannazione. Ma l'ira è stata mutata nell'indulgenza; e perché evidente fosse il tesoro di grazia, impiegato per noi, è piaciuto di donare il sacramento del perdono per abolire il peccato, quando nessuno poteva accampare dei meriti.

II - La vocazione dei popoli nei Magi

Ora, la manifestazione di questa ineffabile opera di misericordia si ebbe mentre Erode era re dei Giudei, quando venuta a cessare la legittima successione dei re e tolta la potestà ai pontefici, ottenne il dominio uno straniero. In tal modo la nascita del vero Re era ben provata da quella profezia che dice: «Non sarà tolto lo scettro da Giuda, né il bastone del comando dai suoi discendenti, finché venga colui al quale appartiene e a cui i popoli dovranno obbedire». Un giorno era stata promessa al beatissimo patriarca Abramo una innumerevole discendenza che doveva essere generata non con il seme carnale, ma con la fecondità della fede. Tale figliolanza fu paragonata alla moltitudine delle stelle, affinché dal padre di tutte le genti si attendesse una stirpe non terrena, ma celeste. Per suscitare la promessa posterità, sono chiamati con il sorgere di una nuova stella gli eredi significati dalle stelle, affinché il cielo serva alla promessa che fu fatta con un segno celeste. Una stella, più fulgente delle altre, attira l'attenzione dei Magi, abitanti dell'estremo oriente. Essi erano uomini non ignari nell'arte di osservare le stelle e la loro luminosità, per questo comprendono l'importanza del segno. Certamente operava nei loro cuori la divina ispirazione, affinché non fosse nascosto ad essi il mistero significato da questa grande visione e non restasse oscuro per l'animo ciò che era mostrato agli occhi. In ultimo, compiono con molta pietà il proprio dovere prendendo on sè dei doni, sicché, venendo ad adorare il neonato, mostrino di aver creduto tre cose: e cioè di onorare con l'oro la persona regale, con la mirra l'umana, con l'incenso la divina.

III - Israele spirituale

Entrano, dunque, nella capitale del regno giudaico e nella città regale, domandano che si mostri a loro colui che avevano saputo essere il bambino destinato a regnare. Erode si turba, teme per la sua sicurezza, teme per il suo potere: chiede ai sacerdoti e ai dottori della legge quel che la Scrittura ha predetto sulla nascita di Cristo. Viene così a conoscere la profezia: ma mentre la verità illumina i Magi, l'infedeltà acceca i maestri. Israele carnale non comprende quel che legge, non vede quel che mostra, usa libri alle cui parole egli non crede. O Giudea, «dov'è dunque il motivo di vantarti?». Dove è la nobiltà ricevuta da Abramo? «La tua circoncisione vale un bel nulla». Ecco che tu, primogenito, servi al fratello minore e proclamando quel testamento che tu tieni solo alla lettera, presti servizio agli stranieri che entrano a far parte della tua eredità. Entrino, entrino pure le genti nella famiglia dei patriarchi, e i figli della promessa ricevano nel seme di Abramo la benedizione a cui rinunciano i figli secondo la carne. Nella persona dei tre Magi tutti i popoli adorino l'autore dell'universo. Dio sia noto non solo in Giudea, ma in tutto il mondo, affinché dovunque «in Israele sia grande il suo nome». Infatti, come l'infedeltà mostra che nella posterità è venuta meno la dignità della stirpe eletta, così la fede rende a tutti comune tale dignità.

IV - La fuga in Egitto

I Magi, dopo aver adorato e soddisfatto a ogni devozione, in conformità all'avviso avuto in sogno, non fecero ritorno per quella via che avevano fatto venendo. Era necessario che, avendo creduto in Cristo, non camminassero più per i sentieri delle vecchie abitudini, ma, entrati nella via nuova, si tenessero lontano dagli errori abbandonati. Questo avvenne anche perché si rendessero inefficaci le insidie di Erode, che sotto lo specioso motivo della venerazione celava macchinazioni dolose contro il fanciullo Gesù. E poiché Cristo uscì sano e salvo da quel tranello, l'ira del re arse di maggior furore. Infatti, ricordando il tempo che i Magi avevano indicato, sfoga la sua rabbia e la sua crudeltà contro tutti i bambini di Betlemme e con generale eccidio trucida i pargoletti di quella città che così passano alla gloria eterna. Egli credeva che non lasciando vivo nessun fanciullo sarebbe stato ucciso anche Cristo. Ma colui che rimandava ad altra età l'effusione del suo sangue per la redenzione degli uomini, già aveva raggiunto, sulle braccia dei genitori, l'Egitto. In tal modo ricopiò gli antichi primordi della gente ebrea, realizzando con maggior provvidenza il principato del vero Giuseppe, affinché, venendo dal cielo il pane di vita e il cibo spirituale, togliesse quella fame, più intensa di qualunque inedia, che le menti degli Egiziani soffrivano per mancanza della verità. Infatti, non doveva compiersi il mistero della vittima singolare senza l'intervento di quella nazione, in cui, per la prima volta fu anticipato il segno salvifico della croce e la Pasqua del Signore con l'uccisione dell’agnello.

V - Ringraziamento a Dio misericordioso

Dilettissimi, ammaestrati da questi misteri della divina grazia, celebriamo con gioia spirituale il giorno delle nostre primizie e l'inizio della vocazione delle genti. Rendiamo grazie al misericordioso Dio, che, come dice l'Apostolo, «ci ha fatto capaci di partecipare all'eredità dei santi nella luce dei cieli. Perché egli ci ha strappato al potere delle tenebre e ci ha trasportato nel regno del Figlio suo diletto». E già Isaia aveva profetato: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide un gran chiarore: sopra coloro che abitavano in terra tenebrosa spuntò la luce». E lo stesso dice al Signore: «Ecco, chiamerai popoli che non conoscevi e nazioni che t'ignoravano accorreranno». «Abramo ha visto questo giorno e ne ha goduto»; e quando ha conosciuto che i figli della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, che è Cristo, e quando ha visto che nella fede sarebbe stato padre di tutte le genti, «diede gloria a Dio, sapendo benissimo che qualunque cosa Dio prometta, ha pure il potere di portarla a compimento». Davide inneggiava nei salmi a questo giorno, dicendo: «Verranno tutte le genti che creasti a prostrarsi innanzi a te, o Signore, e daranno gloria al tuo nome»; e ancora: «Fece nota il Signore la sua salvezza, alle genti svelò la sua giustizia». Or noi sappiamo che questo è avvenuto da quando la stella condusse i Magi, sospingendoli da lontane regioni, a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra.
E certamente anche noi con questo caratteristico servizio della stella, siamo esortati a prestare adorazione, affinché pure noi obbediamo a questa grazia che tutti invita a Cristo. Chiunque nella Chiesa vive con pietà e castità, chiunque gusta le cose celesti e non le terrene, è come una luce celeste: mentre egli conserva il candore di santa vita, quasi stella, mostra a molti la via che porta al Signore. In questo studio della virtù, dilettissimi, dovete tutti darvi reciproco aiuto, affinché possiate risplendere, come figli della luce, nel regno di Dio, a cui si giunge con la Fede retta e con le opere buone: per Gesù Cristo, nostro Signore, il quale con il Padre e lo Spirito santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.
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14/10/2014 14:33
 
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Quarto discorso tenuto nella solennità dell’Epifania

Dilettissimi, è giusto e ragionevole, ed è ossequio di una sincera pietà godere con tutto il cuore nei giorni che magnificano le opere della divina misericordia; ed è giusto celebrare con onore quei fatti che sono stati compiuti per la nostra salvezza. A questa devozione ci invita lo stesso corso del tempo che, dopo la festa in cui il Figlio di Dio, coeterno al Padre, è nato dalla Vergine, a breve intervallo, ci porta la festa dell’Epifania, consacrata alle manifestazioni del Signore.
In questa festa la divina provvidenza ha dato un grande aiuto alla nostra fede. Infatti, mentre si ricorda con solenne venerazione come il Salvatore, da bambino, fu adorato, dai fatti stessi della sua nascita è provato che in lui è nata la natura di vero uomo. Questo è ciò che giustifica gli empi, è quello che trasforma in santi i peccatori, se, cioè, si crede che nell’unico e identico Gesù Cristo, nostro Signore, è la vera divinità e la vera umanità: la divinità per cui è nella condizione di Dio prima di tutti i secoli ed è uguale al Padre; l’umanità per cui negli ultimi tempi si è unito all’uomo nella condizione di schiavo.

Per rafforzare questa fede e perché fosse, così, premunita contro tutti gli errori, è avvenuto per grande misericordia del divino beneplacito che gente dimorante nella lontana regione dell’Oriente, esperta nell’osservare il corso delle stelle, ricevesse il segno del fanciullo, nato per regnare su tutto Israele. Ai Magi, infatti, apparve la nuova luce di una stella più lucente che, mentre la guardavano, riempì i loro animi di ammirazione per il suo splendore, per cui credettero che non si doveva trascurare ciò che era annunciato con un segno tanto grande. La grazia di Dio era già preceduta — il fatto stesso lo rivela — a questo miracolo; e mentre non ancora tutta Betlemme aveva appreso la nascita di Cristo, la grazia già l’annunciava alle genti, perché la credessero. Ciò che non poteva essere esposto con le parole umane, lo faceva conoscere con l’annuncio del cielo.

2. Ma benché fosse un dono della divina bontà il far conoscere alle genti la nascita del Salvatore, i Magi per comprendere il prodigioso segno poterono essere istruiti anche dall’antico oracolo di Balaam sapendo che una volta era stata detta e con memoranda celebrità diffusa la profezia: «Un astro spunterà da Giacobbe, uno scettro sorgerà da Israele» [Nm 24, 17].
Dunque i tre uomini, spinti divinamente dal fulgore della insolita stella, seguono il viaggio della fulgida luce che li precede, stimando di trovare nella città di Gerusalemme il fanciullo indicato. Ma questa congettura li ingannò; tuttavia appresero dagli scribi e dai dottori giudei quel che la sacra Scrittura aveva preannunciato della nascita di Cristo. Così, confortati da ambedue le testimonianze, cercarono con fede più ardente colui che era manifestato dallo splendore della stella e dall’autorità della profezia. L’oracolo divino fu presentato dalla risposta dei pontefici e così venne proclamata la parola dello Spirito che dice: «E tu Betlem Efrata, tu sei piccola fra le migliaia di Giuda; ma da te uscirà colui che deve regnare in Israele» [Mic 5, 2; Mt 2, 6]. Quanto sarebbe stato facile e consequenziale che i capi degli Ebrei credessero quel che insegnavano! Invece è chiaro che essi, insieme a Erode, ebbero pensieri carnali e stimarono il regno di Cristo alla stessa stregua della potestà di questo mondo; cosicché gli uni sperarono un duce temporale e l’altro temette un competitore terreno. O Erode, sei turbato da un vano timore; inutilmente pensi di perseguitare il fanciullo, a te sospetto. La tua regione non può restringere il potere di Cristo, né il Signore si accontenta del minuscolo tuo regno. Colui che tu non vuoi far regnare in Giudea, regna dovunque; e tu stesso regneresti più felicemente, se ti sottomettessi al suo comando. Perché non fai con animo sincero ciò che prometti con dolosa falsità? Va con i Magi e venera con supplice adorazione il vero Re. Ma tu, fedele seguace dei ciechi Giudei, non imiti la fede delle genti e pieghi il tuo cuore a insidie crudeli: però non ucciderai colui che temi, né nuocerai a coloro che uccidi.

3. Dilettissimi, i Magi furono condotti in Betlemme dalla stella che li precedeva e, come narra l’evangelista, «furono ripieni di una grande gioia; ed entrati nella casa, videro il Bambino con Maria, sua madre e, prostratisi, lo adorarono; aperti poi i loro tesori gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» [Mt 2, 10-11]. O mirabile fede, perfettamente istruita, che non fu edotta dalla sapienza terrena, ma infusa dallo Spirito santo! Come mai questi uomini che non avevano ancora visto Gesù, né alcuna cosa che lo riguardava, hanno avuto tale ispirazione che rese la loro venerazione regola in modo da osservare un simbolismo nei doni portati? Certamente, oltre la luce di quella stella che eccitò la loro vista corporea, un raggio più fulgente della verità ammaestrò i loro cuori, affinché, prima di intraprendere il faticoso viaggio, comprendessero che era indicato loro colui al quale si doveva onore regale nell’oro, la venerazione divina nell’incenso, la confessione della mortalità nella mirra. Tutto questo, creduto e compreso, per quel che era necessario a una fede illuminata, poteva loro bastare; non occorreva che ricercassero con la vista corporea colui che avevano ammirato con profondo intuito della mente. Ma la diligenza e la sagacità dell’ardore che essi misero nell’adempimento del loro dovere, perseverando fino a vedere il fanciullo, era in servizio ai popoli del tempo futuro e agli uomini del nostro secolo. Come a tutti noi giovò che, dopo la risurrezione del Signore, Tommaso abbia toccato con la mano le cicatrici delle ferite nella carne di Cristo; così ridondò a nostra utilità che la vista dei Magi abbia provato la sua infanzia.
Dunque, i Magi videro e adorarono il fanciullo della tribù di Giuda, «nato, come uomo, dalla stirpe e di David [Rm 1, 3], «nato da donna e nato sotto la legge» [Gal 4, 4], che era venuto non ad abolire, ma a completare [cfr. Mt 5, 17]. Videro e adorarono il fanciullo, piccolo di statura, bisognoso dell’altrui aiuto, impotente a parlare e in nulla diverso dalla generalità della umana infanzia. Infatti, come erano valide quelle testimonianze che attestavano in lui la maestà dell’invisibile divinità, così doveva essere cosa provatissima che il Verbo si è fatto carne e la sempiterna essenza del Figlio di Dio aveva preso vera natura di uomo. Questo era necessario, perché né i miracoli e le opere ineffabili che sarebbero seguite, né i supplizi della passione che bisognava sopportare, turbassero il mistero della fede per l’apparente contraddizione dei fatti. In realtà non può essere in nessun modo giustificato se non chi crede che Gesù, Signore, è vero Dio e vero uomo.
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14/10/2014 14:36
 
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QUINTO DISCORSO TENUTO NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA

I - Il significato della stella
Dilettissimi, voi ben sapete che la manifestazione del Signore e Salvatore nostro rende particolarmente importante l'odierna festività. Questo è il giorno che portò i Magi, preceduti dalla stella, a conoscere e adorare il Figlio di Dio. Giustamente è gradito di celebrare con culto annuale la memoria di questo fatto, affinché, mentre il racconto evangelico è ripresentato incessantemente, il mistero della salvezza, mediato da un insigne miracolo, sia sempre meditato da quelli che lo comprendono.
Si erano già avute molte testimonianze a provare con chiari argomenti la nascita del Signore: come quando la beata vergine Maria ascoltò e credette che sarebbe stata fecondata per opera dello Spirito santo e che avrebbe partorito il Figlio di Dio; come quando al saluto di lei, Giovanni, non ancor nato, esultò nell'utero di Elisabetta con profetico balzo quasi che, anche racchiuso nelle viscere della madre, già esclamasse: «Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo»; oppure, come quando all'annuncio dell'angelo, che proclamava la nascita del Signore, i pastori furono avvolti dal bagliore dell'esercito celeste, affinché non dubitassero della maestà del fanciullo che avrebbero visto nel presepio e non credessero che fosse nato nella sola natura di uomo colui al quale lo stuolo della celeste milizia prestava il suo servizio.
Ma sembra che questi fatti e altri simili siano stati conosciuti da poche persone, appartenenti alla parentela di Maria vergine e alla famiglia di Giuseppe. Invece questo segno che muove efficacemente i Magi da lontani paesi e li attira irresistibilmente a Gesù, Signore, senza dubbio è il segno sacro di quella grazia e l'inizio di quella vocazione per cui non solo nella Giudea, ma in tutto il mondo si sarebbe predicato il Vangelo. In tal modo per quella stella che risplendette agli occhi dei Magi e invece non rifulse alla vista degli israeliti, fu significata l'illuminazione delle genti e la cecità dei giudei.
II - L'attuale Epifania di Cristo nella Chiesa
E' chiaro, dilettissimi, che il significato di questi mistici fatti persiste ancora: ciò che era iniziato nella immagine, si compie ora nella realtà. Infatti, irraggia dal cielo, come grazia, la stella, e i tre Magi, chiamati dal fulgore della luce evangelica, ogni giorno in tutte le nazioni accorrono ad adorare la potenza del sommo Re.
Erode freme nel diavolo e si lamenta, perché gli vien tolto il regno della iniquità su quelli che passano a Cristo. Per questo, uccidendo i pargoli, gli sembra di uccidere Gesù. Anzi vi si prova a farlo senza interruzione, giacché tenta di privare dello Spirito santo quelli che sono di recente rigenerati e di estinguere quella che può chiamarsi l'infanzia della tenera fede. Invece i giudei, che hanno voluto essere fuori del regno di Cristo, sono tuttora in certo modo sotto il principato di frode. Infatti, sono dominati dal nemico del Salvatore e servono a un potere straniero, quasi non sappiano che per bocca di Giacobbe fu profetato: «Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché venga colui al quale appartiene e a cui i popoli dovranno obbedire». Ma essi non ancora comprendono quel che possono negare e non ancora entra nella loro mente quello che hanno conosciuto dalla narrazione delle sacre Scritture, poiché per i maestri insensati la verità è uno scandalo e per i ciechi dottori diventa caligine ciò che è luce. Ecco che interrogati, rispondono: «Cristo deve nascere a Betlemme». Però non seguono la scienza con la quale ammaestrano gli altri. In questo modo hanno perduto la dinastia dei re, la propiziazione dei sacrifici, il luogo delle suppliche, l'ordine dei sacerdoti. Mentre avvertono che tutto per essi è chiuso, che ogni cosa per essi è finita, non si accorgono che quelle cose sono state trasferite in Cristo. Onde attraverso la fede che giustifica gli empi, tutto il mondo ottiene nelle sue nozioni ciò che quei tre uomini, facendo le veci di tutte le genti, nell'adorazione del Signore acquistarono. Così gli adottivi ricevono l'eredità del Signore, preparata prima dei secoli, mentre la perdono quelli che sembrano essere figli legittimi.
Una buona volta volgiti al pentimento, o Giudeo, ravvediti; e, deponendo l'infedeltà, convertiti a colui che è anche tuo Redentore. Non ti abbattere per l'enormità del tuo delitto: Cristo non chiama i giusti, ma i peccatori; certamente non ti respinge per la tua empietà colui che, crocifisso, pregò per te. Annulla la dura sentenza dei tuoi crudeli padri e non lasciarti stringere dalla maledizione di quelli che gridano «il sangue suo cada su noi e sui nostri figli», essi riversano su di te la malizia del loro delitto. Tornate al misericordioso; approfittate della clemenza di chi è pronto a perdonare. Infatti la vostra iniqua crudeltà si è cambiata in motivo di salvezza. Vive chi voleste che perisse. Confessate, dunque, il rinnegato; adorate il venduto, perché vi giovi la bontà di colui al quale non poté nuocere la vostra malvagità.
III - Spirito missionario e cooperazione alla grazia
Dilettissimi, è nostro dovere desiderare e propiziare quanto rientra nella vera carità, della quale siamo debitori anche ai nostri nemici, come insegna la preghiera del Signore, affinché anche questo popolo che è decaduto dalla spirituale nobiltà dei padri, sia reinnestato ai rami della vera sua pianta. Questa carità molto ci rende accetti a Dio: egli trasformò il loro delitto in motivo di misericordia per noi, appunto perché la nostra fede li provocasse a emulazione nel ricevere la salvezza. Per altro, è un dovere che la vita delle persone pie sia utile non solo a se stesse, ma anche agli altri. In tal modo quel che non si può avere da loro con le parole, si ottenga con gli esempi.
Dunque, dilettissimi, consideriamo l'ineffabile abbondanza dei doni divini a noi elargiti e siamo cooperatori della grazia di Dio che in noi agisce. Il regno dei cieli non è dato ai dormienti, né la beata eternità è messa a disposizione di chi intorpidisce nell'ozio e nella pigrizia. Ma poiché, come dice l'Apostolo, «se patiamo con lui, insieme a lui saremo glorificati», dobbiamo percorrere quella via che egli stesso, il Signore, ha detto di essere. Egli, infatti, ha provveduto a noi con il sacramento e con l'esempio, mentre noi non avevamo alcun merito di opere per nostro sostegno, affinché con il sacramento innalzasse a salvezza i chiamati alla figliolanza adottiva e con l'esempio li spronasse alla laboriosità. In realtà, dilettissimi, questo lavoro non è aspro, né gravoso per i figli e per i buoni servi ma è soave e leggero, come dice il Signore: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me, perché sono mite e umile di cuore; e troverete pace per le anime vostre: perché il mio giogo è soave e il mio carico leggero».
Dunque, dilettissimi, nulla è arduo per gli umili, nulla è duro per i miti; facilmente tutti i precetti passano alla pratica quando la grazia porge aiuto e l'obbedienza rende dolce il comando. Ogni giorno le parole di Dio risuonano alle nostre orecchie e ogni uomo è reso consapevole e convinto di ciò che piace alla divina giustizia.
Ma perché il giudizio, in cui ognuno riceverà la ricompensa di quel che avrà fatto, sia in bene che in male, per la bontà e la pazienza del giudice, è rimandato, le anime infedeli si ripromettono l'impunità e credono che la qualità degli atti umani non abbia alcuna relazione con il giudizio sui meriti dati dalla divina provvidenza. Ma forse le azioni cattive non sono per lo più punite con evidentissime pene anche ora e il terrore delle celesti minacce non rende spesso prudente la fede e non rimprovera l'infedeltà?
IV - Compunzione e desiderio delle cose celesti
Però, tra queste pene e sopra di esse eccelle la benignità di Dio che a nessuno nega la sua misericordia, perché senza distinzione a tutti distribuisce molti beni; anzi preferisce richiamare con i benefici quelli che giustamente potrebbe punire e, così, con la dilazione della vendetta concedere il tempo di far penitenza.
Tuttavia, non si può dire che non vi sia nessun castigo per quelli che non si convertono, perché il cuore indurito e ingrato è un supplizio per se stesso e già si soffre nella coscienza quello che per bontà di Dio viene differito. Pertanto i peccatori non si dilettino dei peccati tanto che la fine della vita abbia a coglierli con colpe sulla coscienza, poiché nell'inferno non vi è correzione; né è concesso il rimedio dell'espiazione quando non è più possibile il ravvedimento della volontà , come dice David: «Tra i morti non v'è chi ti ricordi, chi dirà nell'inferno le tue lodi?». Si fuggano, perciò, i piaceri nocivi, i gaudi insidiosi e i desideri che sono già per perire. Quale è il frutto, quale l'utilità dell'incessante desiderio di quelle cose che, se non ci abbandonano, certamente dobbiamo abbandonare? L'amore delle cose caduche si trasferisca a ciò che è incorruttibile e l'animo chiamato alle realtà sublimi, si diletti delle cose celesti. Stringete amicizia con i santi angeli; entrate nella città di Dio in cui ci è promessa l'abitazione e unitevi ai patriarchi, ai profeti, agli apostoli e ai martiri. Godete di quello onde essi godono. Bramate le loro ricchezze, e con buona emulazione ambite la loro intercessione. Infatti, se siamo uniti a loro per devozione sincera, saremo uniti anche alla loro gloria: certamente prenderemo parte alla dignità di quelli alla cui devozione avremo partecipato.
Ora che vi è concesso di praticare i comandamenti di Dio «glorificate Dio nel vostro corpo»; e, dilettissimi, «risplendete come fari di luce nel mondo». Le lucerne delle vostre menti siano sempre ardenti: niente di tenebroso risieda nei vostri cuori, poiché, come dice l'Apostolo: «Eravate un tempo tenebre, ma ora siete luce nel Signore: vivete dunque da figli della luce». Si compia in voi quel che precedette in immagine nei tre Magi, e «così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». Infatti, come sarebbe grande peccato qualora il nome del Signore fosse bestemmiato tra le genti per colpa dei cattivi cristiani, così è grande merito di devozione quando si benedice Dio per la vita santa dei suoi servi: a lui onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
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Lu 12,42 Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà A CAPO della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo?
 
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