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INFERNO: risposte a tante domande

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2023 12:25
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01/09/2014 15:57
 
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Ma respingendo la grazia e l'amore di Dio, l'uomo si condanna da se stesso alla privazione di Dio, in cui precisamente consiste l'Inferno. La dannazione perciò non è voluta da Dio, ma dall'uomo che rifiuta Dio, la sua grazia e il suo amore. Questa privazione di Dio, liberamente voluta dal peccatore, ha come conseguenza immanente, intrinseca al peccato, quella che abbiamo chiamato sopra la "pena del senso". Questa pena, infatti, non è Dio a infliggerla dall'esterno per mezzo degli angeli o dei demoni, come si vede in molte raffigurazioni pittoriche o si legge nella Divina Commedia, ma è il peccatore che se la infligge, per il fatto che il suo rifiuto di Dio mette contro di lui l'intera creazione di Dio: questa infatti, in quanto è creatura di Dio, si rivolta contro di lui a motivo della sua rivolta contro Dio.

Ma - si dirà - Dio, conoscendo la terribile sorte a cui l'uomo va incontro, nel suo infinito amore che ha per lui, non potrebbe costringerlo a evitare l'Inferno? un padre che vede il figlio che sta per buttarsi in un burrone per uccidersi, non lo afferra forse e non lo costringe contro la sua volontà a non compiere un gesto così folle? Per rispondere a questa obiezione, bisogna ricordare due cose che spesso si dimenticano.

La prima: Dio non vuole assolutamente che l'essere umano si danni e impegna tutta la sua onnipotenza per impedire che una persona si perda eternamente; ma, avendo creato l'uomo libero e volendo che sia lui a scegliere liberamente il suo destino, perché soltanto le scelte libere sono degne dell'uomo, rispetta la libertà umana, che è l'espressione più alta della dignità umana. In altre parole, Dio non può trattare l'uomo come un bambino incosciente o come un folle che deve essere salvato da un pericolo di cui il poveretto non si rende conto. Dio tratta l'uomo da persona adulta e consapevole delle sue scelte. È l'unica maniera di trattare la persona umana che sia degna di Dio e degna dell'uomo.

La seconda: è infantile pensare che l'uomo si danni per "peccati-bagattelle", come il bacio sine periculo pollutionis, di cui parla il prof. Lombardi Vallauri. Dio non sta col fucile spianato per colpire e mandare all'Inferno chi commette un solo peccato. La scelta contro Dio che conduce alla perdizione eterna è una scelta pienamente lucida e consapevole, a cui non si giunge all'improvviso: essa matura durante tutta la vita, passata nel peccato, nel rifiuto e, forse, nell'odio di Dio, nella scelta consapevole del male. Essa cioè è la conseguenza dell'indurimento dell'uomo nel peccato, del rifiuto consapevole di compiere il bene, indicato dalla propria coscienza, del disprezzo di Dio e degli uomini. Perciò non ci si danna per piccole cose, per "bagattelle", ma per il peccato più grave che l'uomo possa commettere: quello di respingere consapevolmente e liberamente l'amore di Dio salvatore; quello di voler essere senza Dio, di voler vivere eternamente lontano da lui.

Ma come ciò può avvenire? Come cioè può accadere che l'uomo scelga consapevolmente di essere eternamente lontano da Dio e dal suo Regno? Tocchiamo qui l'aspetto più misterioso della dannazione eterna. Forse su questo tremendo mistero può gettare un po' di luce il comprendere, da una parte, la vera natura del peccato e, dall'altra, la vera natura della libertà.

Che cos'è, infatti, il peccato? Nel peccato bisogna distinguere due cose: 1) l'azione peccaminosa, come la bestemmia, l'uccisione di un'altra persona, il furto, l'odio mortale per un altro uomo; 2) il significato dell'azione peccaminosa: questa infatti, in quanto è una trasgressione volontaria della legge morale, voluta da Dio per il bene dell'uomo, è un atto di ribellione contro Dio, è un rifiuto di Dio, della sua provvidenza e del suo amore per l'uomo. Nello stesso tempo, trasgredendo la legge di Dio, l'uomo pone se stesso al posto di Dio, si fa legge a se stesso.

Ciò significa che col peccato grave, cosciente e volontario, l'uomo compie un atto di superbia e di orgoglio, in quanto pone se stesso al posto di Dio, preferisce se stesso a Dio: in sostanza nega Dio per affermare se stesso. In realtà, qualunque sia il campo in cui il peccato si realizzi, esso è nella sua essenza profonda un atto di orgoglio, di amore di se stesso e di disprezzo e di rifiuto di Dio. Questa natura del peccato fa sì che l'uomo che non solo commetta il peccato ma "resti" in esso - per cui il peccato diviene in lui non solo "atto", ma "stato" -, si stabilisca in esso, vi si "indurisca", fino a diventare, da "peccatore", "peccato".

Questo indurimento nel peccato fa sì che l'uomo si chiuda a Dio e non permetta alla sua grazia, che Dio non fa mai mancare al peccatore, di agire in lui e di condurlo alla "conversione". Si ha cioè nell'uomo una specie di fissazione nel male che, al momento della morte, quando si decide il destino eterno dell'uomo, diventa quasi naturalmente rifiuto di Dio. È questo rifiuto finale, al quale conduce l'indurimento nel peccato e la non accettazione della grazia della salvezza, il peccato che decide definitivamente la dannazione. Perciò non ci si danna per un solo peccato o per "peccati-bagattelle". Il dramma della dannazione è ben più serio.

Come esso possa compiersi, come cioè l'uomo possa giungere a questo rifiuto radicale di Dio e della sua grazia, è per noi un mistero. Ma è il mistero della libertà umana, che può scegliere Dio e può rifiutarlo, può accettare che sia Dio la fonte della sua felicità - ciò che comporta un gesto di umiltà, in quanto in tal modo l'uomo riconosce la sua povertà e la sua incapacità ad essere felice con le sole sue forze - e può invece orgogliosamente far dipendere la propria felicità da se stesso. In realtà accettare la grazia della salvezza significa per l'uomo dipendere da Dio nel conseguimento della propria felicità. E l'uomo, nel suo orgoglio, può non voler dipendere da Dio, ma essere "solo" se stesso e trovare in se stesso - e non nel dono di Dio - la causa della propria felicità.

È qui che appare in tutta la sua forza la grandezza della libertà umana: che sia essa a decidere il destino eterno dell'uomo. In realtà l'uomo è grande perché può liberamente scegliere Dio o rifiutarlo. Non che il rifiuto di Dio sia un gesto di grandezza, perché con esso l'uomo si condanna all'infelicità eterna. Ma la sua possibilità mostra la grandezza della scelta di Dio, compiuta liberamente: l'uomo cioè, che sotto l'impulso della grazia di Dio sceglie Dio liberamente accettando il suo dono di salvezza, mostra che solamente Dio è grande e che soltanto Dio merita di essere scelto dalle sue creature, di essere riconosciuto da esse come il solo che possa renderle eternamente felici. L'accettazione di Dio, che è la salvezza dell'uomo, diventa in tal modo il riconoscimento della grandezza unica di Dio, e quindi un atto di lode all'infinita misericordia e all'infinito amore di Dio.
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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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