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INFERNO: risposte a tante domande

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2023 12:25
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01/09/2014 15:51
 
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L’inferno:  un tema sempre dibattuto
 tratto da Civiltà Cattolica,

Il tema dell'Inferno, benché sia stato trattato molte volte, ritorna continuamente di attualità. Le critiche che si muovono all'insegnamento della Chiesa su questo punto sono quasi sempre le stesse, ma con accentuazioni nuove e asprezze espressive che lasciano sconcertati i credenti e, dunque, richiedono risposte adeguate.


Due interventi hanno riacceso il dibattito sull'Inferno. Una apparsa sull’Espresso: un'intervista del prof. Luigi Lombardi Vallauri, ordinario di Filosofia del Diritto all'Università di Firenze (al quale l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano non ha rinnovato l'incarico annuale d'insegnamento), in cui ci sono gravi affermazioni sull'Inferno. Secondo i termini dell'intervista, esso è una "colossale ingiustizia, contraria a tutti i princìpi del diritto moderno, compresa la Costituzione italiana. Invece che rieducare il reo, come sarebbe giusto, l'Inferno lo condanna a una pena eterna, senza scampo. Nemmeno Dio ne esce bene da questo suo parto. Fa la figura di un padre che chiude i suoi figli reprobi in una stamberga orrenda e poi butta via la chiave, per sempre! L'Inferno decreta il fallimento totale della pedagogia di Dio!".


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01/09/2014 15:52
 
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Il prof. Lombardi Vallauri aggiunge che "l'Inferno cattolico è una pena troppo smisurata in rapporto alle colpe commesse", perché si può andare all'Inferno per "peccati-bagattella", come un bacio tranquillo sine periculo pollutionis. Egli è particolarmente scandalizzato per il fatto che l'Inferno è comminato "per una colpa neppure commessa" come il peccato originale, un'invenzione di sant’Agostino per giustificare il battesimo, per cui vanno all'Inferno tutti i morti senza battesimo, anche i bambini. Ma le affermazioni più aspre il prof. Lombardi Vallauri le riserva per Gesù. "Gesù - egli afferma - era completamente dominato dall'idea dell'Inferno. Altro che buona novella! La sua novella è la più spaventosa che mai sia stata annunciata all'uomo. Ma tutti se lo sono scordati. Si dice che Gesù era buono e caso mai è la Chiesa a essere cattiva. Sbagliato. Gesù era cattivissimo".


Quanto a coloro che dicono che "l'Inferno c'è, ma è vuoto", il prof. Lombardi Vallauri osserva che "questa è la tesi di chi vuoi salvare capra e cavoli. Dicono che l'Inferno c'è per tener fermi Gesù e i loro dogmi. Dicono che è vuoto per salvare il loro buonismo, o meglio, l'attuale senso di giustizia e di misericordia di Dio. In ogni caso, il solo fatto di ammettere che Dio possa comminare l'Inferno è altrettanto grave del comminarlo per davvero". Spiega poi che la Chiesa non predica l'Inferno "perché se ne vergogna. E se magari volesse parlarne in luce nuova dovrebbe ritrattare secoli di suoi pronunciamenti. Autodistruggersi. E poi, tanto, a quell'Inferno quasi più nessuno crede. L'immensa maggioranza dei cattolici d'oggi la pensa come me".


"Tanto, a quell'Inferno nessuno più crede" afferma, a conclusione della sua intervista all'Espresso, il prof. Lombardi Vallauri. A questa affermazione si ricollega il prof. Pietro Prini nel suo recente volume, Lo scisma sommerso. Il messaggio cristiano, la società moderna e la Chiesa cattolica (Milano, Garzanti, 1999, 119), scrivendo: "Non siamo molto lontani dal vero, se dalle statistiche di sociologia religiosa che ho ricordato poco sopra [si tratta dell'inchiesta sulla "religiosità in Italia", compiuta dall'Università Cattolica di Milano e pubblicata nel 1995] risulta che non più di una modesta cifra che oscilla tra il 10 e il 20% di cattolici italiani tra i 18 e i 74 anni, di ambo i sessi, crede ancora che l'Inferno sia "un luogo di dannazione per punire i malvagi nelle fiamme eterne". L'altro 60% - che dichiara di non credervi più, pur non rinunciando alla fede nella divinità di Gesù Cristo e, almeno per una fascia dal 20 al 40%, nell'origine divina della Chiesa - non costituisce forse per la Chiesa gerarchica una specie di scisma sommerso, che nessun affollamento di grandi piazze o di pellegrinaggi devoti o di giubilei millenari basta a isolare nel nascondimento della coscienza dove si parla davvero con Dio?" (p. 55).


Il prof. Prini - a quanto ci sembra di capire - vede in questa negazione dell'Inferno "un segno che la coscienza cristiana ha fatto un grande progresso nei venti secoli della sua storia" (ivi) rispetto alla "teologia fabulatoria della dannazione" (p. 47) di derivazione agostiniana (il prof. Prini riconosce "in Agostino un pesante residuo del suo giovanile pessimismo manicheo"). Rilevando poi che "il mondo com'è costruito dalla scienza e dalla tecnica moderne è un mondo esorcizzato dagli antichi segni dell'infernale", perché "la scienza e la tecnica hanno messo in fuga i diavoli con cui la fantasia teologica di Bosch popolava la natura" (p. 47); notando nello stesso tempo che l'autorità ecclesiastica, servendosi dell'idea dell'Inferno e del peccato originale, ha saputo ben gestire "la risorsa delmetter paura", specialmente "quando all'eternità dell'Inferno si è aggiunta - ben presto nella devozione dei fedeli - la credenza di quell'Inferno temporaneo che è il "purgatorio" delle colpe meno gravi, della quale la Chiesa pastorale ha assunto in qualche modo l'amministrazione attraverso le preghiere dei vivi, le elemosine, le messe, le indulgenze" (p. 53), il prof. Prini denuncia "la minaccia che incombe sopra il cattolicesimo contemporaneo" (p. 8). Essa consisterebbe nel fatto che la Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II, non ha saputo attuare l'"aggiornamento" auspicato da Giovanni XXIII, adeguando il suo messaggio alla cultura scientifica contemporanea e, in tal modo, mettendo fine allo "scisma sommerso" di quei cattolici che, proprio per la mentalità generata dallaciviltà della scienza, non possono accettare né i primi racconti della Genesi (Adamo ed Eva, l'ubicazione dell'Eden), né il peccato originale, né Satana, né l'Inferno eterno, né la confessione auricolare, né l'identificazione della pena con la "vendetta di Dio", né le vecchie forme dell'etica sessuale, che colpevolizzano il piacere, rifiutando la liceità di ogni atto o sentimento sessuale fuori del matrimonio.


La credenza cattolica nell'Inferno dunque sarebbe in contrasto con la giustizia e sarebbe una vergogna per la Chiesa (prof. Lombardi Vallauri); sarebbe inaccettabile per la mentalità moderna e la Chiesa col ribadirla provocherebbe uno "scisma" al suo interno (prof. Prini). Che dire di queste due tesi che avrebbero molti punti in comune e che rappresentano il pensiero di parecchi cattolici di oggi? Ci sembra che alla loro base ci sia un'erronea concezione dell'Inferno, più popolare che teologicamente corretta, tanto da falsificare gravemente quanto la dottrina cattolica afferma in merito, sia sulla base di quanto afferma la rivelazione divina contenuta nella Sacra Scrittura, sia sulla base dell'insegnamento dogmatico della Chiesa.


La discussione sull'Inferno deve fondarsi non su quello che la fantasia popolare o le esagerazioni e le amplificazioni dei predicatori - il prof. Prini cita cose orripilanti di un predicatore popolare quale fu il p. Segneri nel XVII secolo! - dicono dell'Inferno, ma su quello che la Chiesa dice su questa verità di fede, fondandosi sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione.


Divideremo il nostro scritto in due parti: nella prima esamineremo la dottrina ufficiale della Chiesa sull'Inferno; nella seconda cercheremo di tracciare una visione "teologica" dell'Inferno, cercando di illuminare con la luce della fede e della ragione questo tragico e oscuro mistero. Lo faremo ricollegandoci all'editoriale "La predicazione dell'Inferno oggi" (cfr. Civ. Catt. 1992 II 111-120).


Che cosa dunque afferma la Chiesa sull'Inferno? Già nei primi Simboli della fede, che risalgono al III secolo, si parla di Gesù Cristo "che verrà di nuovo nella gloria per giudicare i vivi e i morti" (Denz.-Schönm. 40): un testo ripreso dai Simboli dei Concili di Nicea e di Costantinopoli. Di un castigo etemo parlano dapprima il Simbolo Fides Damasi (fine del V secolo), il Simbolo atanasiano e poi la professione di fede del Concilio Lateranense IV (1215), in cui si afferma che Cristo "verrà alla fine del mondo per giudicare i vivi e i morti e a rendere a ciascuno secondo le sue opere, sia ai reprobi, sia agli eletti: i quali tutti risorgeranno con i loro corpi, che ora hanno, affinché ricevano secondo le loro opere, buone o cattive: quelli [i reprobi] la pena eterna col diavolo, questi [gli eletti] la gloria eterna con Cristo" (ivi, 801).


Questo insegnamento di fede cattolica viene ribadito nella costituzione dogmatica Benedictus Deus di Benedetto XII (29 gennaio 1336): "Definiamo inoltre che secondo l'ordinazione comune di Dio le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale attuale immediatamente dopo la loro morte discendono nell'Inferno dove sono tormentati con pene infernali" (ivi, 1002). Questa verità di fede è ribadita nei Concili di Firenze e di Trento. Nel III secolo Origene propose l'ipotesi dell’apocatastasi, secondo la quale i condannati all'Inferno - persone umane o demoni - dopo un determinato periodo di sofferenze, si riconcilieranno con Cristo. Questa ipotesi, pur appoggiata da altri Padri della Chiesa - Clemente Alessandrino, Gregorio di Nissa, Didimo il Cieco e, in maniera più discreta, Gregorio di Nazianzo e Massimo il Confessore - fu condannata dal Concilio di Costantinopoli del 543, approvato, a quanto pare, dal Papa Vigilio: "Se qualcuno dice o ritiene che il supplizio dei demoni e degli empi è temporaneo e che un tempo finirà e che ci sarà l’apocatastasi o reintegrazione dei demoni e degli empi, sia anatema" (ivi, 411).


"Questa decisione non rappresenta un fatto isolato tra i documenti del Magistero, il quale ha insegnato in ripetute occasioni che la sorte di ogni persona resta fissata immediatamente dopo la morte. Come la Scrittura, neppure i testi del Magistero danno motivo per interpretare in senso ampio l'eternità delle pene dell'Inferno, come se si trattasse di una durata lunga, ma non necessariamente senza fine. Sostituire l'eternità con la temporalità non rappresenterebbe un approfondimento, ma un mutamento radicale di senso, che toccherebbe la sostanza stessa del messaggio. Quindi in questa vita, e solo in essa, realizziamo il carattere definitivo della decisione ultima della libertà". (L. R. Garcìa Murga Vásquez, "Dios de Amor e Infierno eterno?", in Estudios Ecclesiásticos 70 [1995] n. 272, 13).


 


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01/09/2014 15:53
 
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La dottrina della Chiesa riguardante l'Inferno, quindi, consiste in due proposizioni che si devono credere come verità di fede: 1) esiste l'Inferno, che non è un "luogo", ma uno "stato", un "modo di essere" della persona, in cui questa soffre la pena della privazione di Dio, che si chiama la "pena del danno" e nella quale consiste l'essenza propria dell'Inferno. Alla "pena del danno" si accompagna la "pena del senso", che è espressa con l'immagine del "fuoco", ma che non ha nulla a che vedere col fuoco di cui noi abbiamo esperienza: essa significa lo stato di sofferenza di "tutto" l'essere umano per il fatto di essere privato di Dio, che è la fonte della felicità di "tutto" l'essere umano, spirito incarnato. Perciò è fuorviante - anche se l'immagine popolare così si figura l'Inferno - pensare che Dio, per mezzo dei demoni, infligga ai dannati tormenti spaventosi, come quello del fuoco; 2) l'Inferno è eterno, non per il fatto che così voglia Dio, ma per il fatto che la decisione che l'uomo prende coscientemente nella sua vita e conferma in punto di morte - per Dio o contro Dio - è per sua natura definitiva e irrevocabile: dopo la morte l'essere umano non può pentirsi o tornare indietro. Invece la Chiesa non ha definito nulla circa il numero di coloro che volontariamente scelgono l'Inferno. Sant’Agostino parla di massa dannata di fronte al piccolo numero degli "eletti"; san Gregorio Magno e altri Padri e Dottori della Chiesa affermano che sono innumerevoli coloro che si dannano. La Chiesa nella sua dottrina ufficiale mantiene su questo punto un assoluto riserbo. Mentre, dichiarando autorevolmente la santità eroica di alcune persone - i martiri e i santi - afferma che tali persone sono salvate e godono eternamente la visione e l'amore di Dio, non ha mai dichiarato che una persona in concreto - neppure Giuda - si sia dannata. "Ma - osserva opportunamente la Commissione Teologica Internazionale nel suo documento Alcune questioni attuali riguardanti l'escatologia (1992) - poiché l'Inferno è una vera possibilità reale per ogni uomo, non è lecito, sebbene lo si dimentichi talora nella predicazione durante le esequie, presupporre una specie di automatismo della salvezza" (n. 10, 3) (cfr. Civ. Catt. 1992 I 492).

Sarebbe arrogarsi un giudizio che spetta solamente a Dio. La Chiesa prega Dio per la salvezza di tutti e affida alla misericordia infinita di Dio i suoi figli peccatori: può dunque sperare nella loro salvezza, ma non ha alcuna certezza che tutti si salvino. Non ha senso, perciò, affermare che esiste la possibilità reale della dannazione, ma che in concreto nessuno si danna. Con quale diritto si fa una simile affermazione, se la Chiesa - che pure crede nell'infinita misericordia di Dio e non si stanca di pregare anche per i peggiori peccatori - su questo punto conserva un assoluto riserbo, rispettando in tal modo il mistero di Dio, i cui giudizi sono "imperscrutabili" (Rm 11,33)?

La Chiesa fonda la sua dottrina dogmatica dell'esistenza dell'Inferno eterno sull'insegnamento del Nuovo Testamento. In molti luoghi si parla della "condanna" di coloro che non accettano Gesù e i suoi inviati (Mt 10,15) o non credono in Gesù: "Chi non crede nel Figlio è già stato condannato" (Gv 3,17). Nessuno sfuggirà al "giudizio di Dio", il quale "giudicherà i segreti degli uomini" (Rm 2,3.16), poiché "tutti ci presenteremo al tribunale di Dio" e "ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso" (Rm 14,10.12). Gesù parla di un luogo di perdizione, la Geenna (Mt 10,28). San Paolo e san Giovanni parlano della "collera" di Dio che l'uomo attira su di sé: "Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui" (Gv 3,36). "Tu però con la tua durezza e il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a coloro che perseverando nelle opere di bene cercano gloria, onore e incorruttibilità; sdegno e ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità e obbediscono all'ingiustizia" (Rm 2,5-8).

Gesù parla di un cammino "che conduce alla perdizione" e di una via che "conduce alla vita" (Mt 7,13-14); san Paolo parla dei nemici della croce di Cristo, la cui "fine sarà la perdizione" (Fil 3,19). La seconda lettera ai Tessalonicesi afferma che coloro che non obbediscono al Vangelo "saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza" (2 Ts 1,9). Nelle parabole del regno di Dio, Gesù usa l'immagine del banchetto, dal quale alcuni sono esclusi, "gettati fuori nelle tenebre", dove "sarà pianto e stridore di denti" (Mt 22,13). Infine Gesù, a quelli che non hanno fatto opere di carità, dirà: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. [...] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna" (Mt 25,41.46).

Così la rivelazione neotestamentaria afferma con chiarezza che per coloro che si induriscono nel male e non si convertono a Dio, pentendosi dei loro peccati e obbedendo al Vangelo con la fede e la carità, c'è la perdizione eterna, la condanna da parte di Cristo, giudice dei vivi e dei morti, all'esclusione dal regno di Dio e dalla vita eterna.

Ma qui sorge il problema che angustia molti cristiani: come conciliare l'infinita bontà e misericordia di Dio con l'esistenza dell'Inferno eterno? Se Dio è infinito Amore - essi dicono - come può condannare a una sofferenza eterna esseri umani che egli ha creato per amore e per la cui salvezza Cristo è morto sulla croce? Se Dio è infinitamente giusto - essi aggiungono - come può punire con un castigo eterno esseri umani peccatori, ma nello stesso tempo creature fragili e misere? Non c'è proporzione tra i peccati degli uomini, anche assai gravi, e la loro punizione eterna. Per tali motivi - cioè per salvare la bontà e la giustizia di Dio - molti cristiani negano l'esistenza dell'Inferno eterno.

Per risolvere questo grave problema è necessario mettere in chiaro che non è Dio che condanna l'uomo all'Inferno, ma è l'uomo che liberamente si autocondanna alla perdizione eterna; non è Dio che infligge all'uomo una sofferenza eterna, ma è l'uomo che se la infligge, rifiutando la salvezza che Dio gli offre.

Dio è sempre e soltanto Amore e la sua attività è sempre e soltanto attività salvatrice. Dio cioè non condanna né castiga, ma vuole solamente la salvezza di tutti, e a questo fine è indirizzata la sua attività. Per lui non è indifferente che l'uomo si salvi o si danni. Egli vuole solo la salvezza dell'uomo. Perciò impegna tutta la sua infinita sapienza e potenza per salvare gli uomini, dando a tutti la grazia necessaria per salvarsi; grazia che l'uomo nella sua libertà può rifiutare, rendendo vana in tal modo la volontà salvifica di Dio. In realtà la salvezza non è un fatto automatico: la grazia della salvezza cioè dev'essere accettata e accolta liberamente. Dio non vuole imporre la salvezza, costringendo l'uomo a salvarsi e quindi ad amarlo, perché la salvezza comporta, da parte dell'uomo, un atto di amore di Dio, e Dio non vuole costringere nessuno ad amarlo, perché l'amore non può essere imposto.
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01/09/2014 15:57
 
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Ma respingendo la grazia e l'amore di Dio, l'uomo si condanna da se stesso alla privazione di Dio, in cui precisamente consiste l'Inferno. La dannazione perciò non è voluta da Dio, ma dall'uomo che rifiuta Dio, la sua grazia e il suo amore. Questa privazione di Dio, liberamente voluta dal peccatore, ha come conseguenza immanente, intrinseca al peccato, quella che abbiamo chiamato sopra la "pena del senso". Questa pena, infatti, non è Dio a infliggerla dall'esterno per mezzo degli angeli o dei demoni, come si vede in molte raffigurazioni pittoriche o si legge nella Divina Commedia, ma è il peccatore che se la infligge, per il fatto che il suo rifiuto di Dio mette contro di lui l'intera creazione di Dio: questa infatti, in quanto è creatura di Dio, si rivolta contro di lui a motivo della sua rivolta contro Dio.

Ma - si dirà - Dio, conoscendo la terribile sorte a cui l'uomo va incontro, nel suo infinito amore che ha per lui, non potrebbe costringerlo a evitare l'Inferno? un padre che vede il figlio che sta per buttarsi in un burrone per uccidersi, non lo afferra forse e non lo costringe contro la sua volontà a non compiere un gesto così folle? Per rispondere a questa obiezione, bisogna ricordare due cose che spesso si dimenticano.

La prima: Dio non vuole assolutamente che l'essere umano si danni e impegna tutta la sua onnipotenza per impedire che una persona si perda eternamente; ma, avendo creato l'uomo libero e volendo che sia lui a scegliere liberamente il suo destino, perché soltanto le scelte libere sono degne dell'uomo, rispetta la libertà umana, che è l'espressione più alta della dignità umana. In altre parole, Dio non può trattare l'uomo come un bambino incosciente o come un folle che deve essere salvato da un pericolo di cui il poveretto non si rende conto. Dio tratta l'uomo da persona adulta e consapevole delle sue scelte. È l'unica maniera di trattare la persona umana che sia degna di Dio e degna dell'uomo.

La seconda: è infantile pensare che l'uomo si danni per "peccati-bagattelle", come il bacio sine periculo pollutionis, di cui parla il prof. Lombardi Vallauri. Dio non sta col fucile spianato per colpire e mandare all'Inferno chi commette un solo peccato. La scelta contro Dio che conduce alla perdizione eterna è una scelta pienamente lucida e consapevole, a cui non si giunge all'improvviso: essa matura durante tutta la vita, passata nel peccato, nel rifiuto e, forse, nell'odio di Dio, nella scelta consapevole del male. Essa cioè è la conseguenza dell'indurimento dell'uomo nel peccato, del rifiuto consapevole di compiere il bene, indicato dalla propria coscienza, del disprezzo di Dio e degli uomini. Perciò non ci si danna per piccole cose, per "bagattelle", ma per il peccato più grave che l'uomo possa commettere: quello di respingere consapevolmente e liberamente l'amore di Dio salvatore; quello di voler essere senza Dio, di voler vivere eternamente lontano da lui.

Ma come ciò può avvenire? Come cioè può accadere che l'uomo scelga consapevolmente di essere eternamente lontano da Dio e dal suo Regno? Tocchiamo qui l'aspetto più misterioso della dannazione eterna. Forse su questo tremendo mistero può gettare un po' di luce il comprendere, da una parte, la vera natura del peccato e, dall'altra, la vera natura della libertà.

Che cos'è, infatti, il peccato? Nel peccato bisogna distinguere due cose: 1) l'azione peccaminosa, come la bestemmia, l'uccisione di un'altra persona, il furto, l'odio mortale per un altro uomo; 2) il significato dell'azione peccaminosa: questa infatti, in quanto è una trasgressione volontaria della legge morale, voluta da Dio per il bene dell'uomo, è un atto di ribellione contro Dio, è un rifiuto di Dio, della sua provvidenza e del suo amore per l'uomo. Nello stesso tempo, trasgredendo la legge di Dio, l'uomo pone se stesso al posto di Dio, si fa legge a se stesso.

Ciò significa che col peccato grave, cosciente e volontario, l'uomo compie un atto di superbia e di orgoglio, in quanto pone se stesso al posto di Dio, preferisce se stesso a Dio: in sostanza nega Dio per affermare se stesso. In realtà, qualunque sia il campo in cui il peccato si realizzi, esso è nella sua essenza profonda un atto di orgoglio, di amore di se stesso e di disprezzo e di rifiuto di Dio. Questa natura del peccato fa sì che l'uomo che non solo commetta il peccato ma "resti" in esso - per cui il peccato diviene in lui non solo "atto", ma "stato" -, si stabilisca in esso, vi si "indurisca", fino a diventare, da "peccatore", "peccato".

Questo indurimento nel peccato fa sì che l'uomo si chiuda a Dio e non permetta alla sua grazia, che Dio non fa mai mancare al peccatore, di agire in lui e di condurlo alla "conversione". Si ha cioè nell'uomo una specie di fissazione nel male che, al momento della morte, quando si decide il destino eterno dell'uomo, diventa quasi naturalmente rifiuto di Dio. È questo rifiuto finale, al quale conduce l'indurimento nel peccato e la non accettazione della grazia della salvezza, il peccato che decide definitivamente la dannazione. Perciò non ci si danna per un solo peccato o per "peccati-bagattelle". Il dramma della dannazione è ben più serio.

Come esso possa compiersi, come cioè l'uomo possa giungere a questo rifiuto radicale di Dio e della sua grazia, è per noi un mistero. Ma è il mistero della libertà umana, che può scegliere Dio e può rifiutarlo, può accettare che sia Dio la fonte della sua felicità - ciò che comporta un gesto di umiltà, in quanto in tal modo l'uomo riconosce la sua povertà e la sua incapacità ad essere felice con le sole sue forze - e può invece orgogliosamente far dipendere la propria felicità da se stesso. In realtà accettare la grazia della salvezza significa per l'uomo dipendere da Dio nel conseguimento della propria felicità. E l'uomo, nel suo orgoglio, può non voler dipendere da Dio, ma essere "solo" se stesso e trovare in se stesso - e non nel dono di Dio - la causa della propria felicità.

È qui che appare in tutta la sua forza la grandezza della libertà umana: che sia essa a decidere il destino eterno dell'uomo. In realtà l'uomo è grande perché può liberamente scegliere Dio o rifiutarlo. Non che il rifiuto di Dio sia un gesto di grandezza, perché con esso l'uomo si condanna all'infelicità eterna. Ma la sua possibilità mostra la grandezza della scelta di Dio, compiuta liberamente: l'uomo cioè, che sotto l'impulso della grazia di Dio sceglie Dio liberamente accettando il suo dono di salvezza, mostra che solamente Dio è grande e che soltanto Dio merita di essere scelto dalle sue creature, di essere riconosciuto da esse come il solo che possa renderle eternamente felici. L'accettazione di Dio, che è la salvezza dell'uomo, diventa in tal modo il riconoscimento della grandezza unica di Dio, e quindi un atto di lode all'infinita misericordia e all'infinito amore di Dio.
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01/09/2014 15:57
 
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Così l'esistenza dell'Inferno eterno mostra la serietà della vita umana: è in essa infatti che l'uomo costruisce il suo destino eterno di salvezza o di perdizione. Mostra anche la tragica serietà del peccato: quanto, cioè, sia pericoloso per l'uomo non solo il commettere peccati, ma il restare ostinatamente in "stato di peccato", rifiutando la grazia di Dio che lo invita alla conversione. Tale stato di peccato conduce all'indurimento del cuore e rende, se non impossibile, estremamente difficile la scelta di Dio in punto di morte. Chi per tutta la vita ha coscientemente rifiutato Dio, restando nel peccato, difficilmente accoglierà Dio nella decisione finale, anche se bisogna sempre sperare che la grazia salvatrice di Dio, che ama infinitamente le sue creature, prevalga sulla resistenza anche più ostinata dell'uomo. Ecco perché, da un lato, non bisogna mai disperare della salvezza di nessuna persona umana e, dall'altro, bisogna coltivare, per sé e per gli altri, il "timore" di Dio, di cui parlano san Paolo: "Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore" (Fil 2,12) e san Pietro: "Comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio" (1 Pt 1,17). Timore che non è paura di Dio e dei suoi castighi, ma è timore di essere deboli e di rifiutare la grazia di Dio.

La perdizione è un rischio reale per tutti e non bisogna pensare che essa sia una minaccia o una possibilità che non si verifica per nessuno. In tal caso la minaccia della perdizione sarebbe qualcosa di simile alla minaccia del lupo mannaro che un tempo i genitori facevano ai figli piccoli per farli stare buoni. Ciò non sarebbe degno di Dio, che tratta l'uomo da persona adulta e responsabile. Ma al "timore" di Dio va sempre congiunta una più grande e più forte speranza della salvezza, perché - afferma ancora san Paolo - dove "ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia" (Rm 5,20). La grazia, cioè, è infinitamente più forte del peccato e l'amore e la misericordia di Dio sono senza limiti. Il cristiano deve dunque nutrire la speranza sia della propria salvezza sia della salvezza di tutti, ma non ha nessuna certezza in questo campo, in cui la libertà umana può dare scacco alla grazia di Dio. Perciò l'Inferno resta sempre una "possibilità reale".

Non è perciò né teologicamente accettabile né pastoralmente utile affermare che, sì, c'è la possibilità di perdersi, ma che l'Inferno è "vuoto", perché nessuno si è mai perduto né mai nessuno si perderà, perché l'infinita misericordia di Dio riesce a salvare tutti. Una simile affermazione - che è in contrasto con la Sacra Scrittura - toglie ogni serietà alla vita umana, allo sforzo, talvolta eroico, di essere fedeli a Dio per non perderlo eternamente col peccato, e addormenta l'uomo nella faciloneria e nella pigrizia: che vale impegnarsi in grandi sacrifici se poi la salvezza è sicura per tutti, buoni e malvagi?
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01/09/2014 15:58
 
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Nella questione dell'Inferno c'è un ultimo problema di difficile soluzione: perché mai l'uomo, che nel momento della morte ha liberamente deciso contro Dio e si è perduto, non può tornare sulla sua decisione e pentirsi e in tal modo essere salvato? La risposta a questo interrogativo dev'essere cercata non nel fatto che Dio lo condanna all'Inferno eterno negandogli la grazia del pentimento e della conversione, ma nella natura stessa della libertà. Finché l'uomo è in vita, la libertà umana è condizionata e limitata e dunque è soggetta a cambiamenti, sia in bene, sotto l'azione della grazia di Dio, sia in male, sotto la forza delle passioni e del peccato. Al momento della morte, quando cioè avviene il distacco del principio spirituale (l'anima) dal principio materiale (il corpo), la libertà è sottratta a ogni influsso limitante, e quindi acquista la sua pienezza di essere e la sua capacità di decisione pienamente libera. Ora è proprio dell'essere spirituale prendere decisioni definitive, appunto perché prese in piena luce e in piena libertà. L'anima, per sua natura, è la "facoltà del definitivo". Quindi con la morte cessa per la persona umana la possibilità di cambiare la decisione presa in pienezza di luce e di libertà. Essa resta fissata per sempre in quello che ha deciso. La scelta di Dio o la scelta di se stesso contro Dio è irrevocabile, e Dio non può far nulla per cambiarla; altrimenti distruggerebbe la libertà umana, che è il dono più grande che egli abbia fatto all'uomo nel crearlo, e che egli mantiene anche quando l'uomo sceglie contro di lui.

Ci sembra così di aver gettato una piccola luce sul mistero dell'Inferno eterno, mostrando che la sua esistenza non contrasta con l'amore e la misericordia di Dio, poiché non è Dio che vuole o condanna all'Inferno o, peggio, che si "vendica" su colui che lo rifiuta infliggendogli orribili tormenti, ma è l'uomo che - contro la volontà di Dio - sceglie liberamente l'Inferno, rifiutando fino all'ultimo la grazia di Dio che lo chiama alla conversione. È dunque non nella "cattiveria" di un Dio ingiusto e vendicativo che bisogna cercare la causa dell'Inferno, ma nella malvagità ostinata e nell'indurimento del cuore dell'uomo. La tragica verità è che è l'uomo che crea l'Inferno: lo "crea" già su questa terra con le guerre, le distruzioni di vite umane e di beni della natura, con l'oppressione dei poveri, con lo spaccio della droga, con lo sfruttamento degli altri; lo "crea" nell'altra vita col rifiuto definitivo di Dio nell'ora della morte.

Come Dio - che ha mandato nel mondo il suo Figlio Gesù perché tutti gli uomini credendo in lui siano salvi - non vuole l'Inferno, così non lo vuole la Chiesa. Perciò in tutta la sua storia essa ha predicato l'Inferno proprio per stornare gli uomini dalla perdizione eterna. Talvolta l'ha fatto insistendo eccessivamente sul timore dell'Inferno con danno dell'equilibrio dell'annuncio evangelico, che è essenzialmente annuncio dell'amore di Dio per gli uomini e della sua volontà che tutti siano salvi, aderendo con la fede e la carità al Signore Gesù e partecipando così alla vita eterna, ma che contiene anche la minaccia della perdizione eterna.

Oggi si è andati all'eccesso opposto, perché nella predicazione e nella catechesi non si parla quasi più dell'Inferno con danno del popolo cristiano, che in tal modo non è più posto dinanzi alla tremenda possibilità reale di perdersi e quindi non è messo dinanzi all'urgenza di decidersi per Gesù Cristo e di vivere in conformità col Vangelo, resistendo al peccato e al male, che ne minaccia il destino eterno. Il messaggio cristiano è un messaggio di speranza, di gioia e di fiducia nell'amore infinito di Dio Padre e di Cristo Salvatore; ma non si deve dimenticare che l'uomo è debole e peccatore, e ha sempre bisogno di essere chiamato alla conversione: "Convenitevi e credete al Vangelo" (Mt 1,15). Fu, questa, la prima parola di Gesù, ma fu anche la più decisiva, e la Chiesa non deve stancarsi di ripeterla per stornare gli uomini dal pericolo della perdizione eterna.
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01/09/2014 16:18
 
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A conclusione di quanto riportato nell'articolo di cui sopra, si può ritenere che anche la realtà dell'inferno sia da considerare un gesto estremo del rispetto che Dio ha della sua creature, non volendo imporgli di scegliere di riamarlo. Anche tale estrema conseguenza della libertà umana è da considerare un atto dell'amore di Dio, per quanto possa sembrare paradossale.

E' inoltre da considerare che l'uomo nel fare questa scelta debba essere perfettamente cosciente e consapevole di ciò che sceglie. Non è quindi da escludere che Dio, nel suo infinito amore, offra ad ogni anima la possibilità di conoscere la realtà eterna che lo attende, qualunque sia la sua decisione.
Nella Scrittura troviamo una solenne promessa:
Atti 2,21 Allora chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. (cf anche Gioele 3,5)

Anche nell'istante dell'ingresso nell'aldilà, questa possibilità potrebbe essere accordata a quanti non hanno avuto l'opportunità di arrivare ad una scelta pienamente consapevole dell'eternità vicino o lontano da Dio, e pertanto Dio, nella sua infinita misericordia può offrire questa occasione per illuminare pienamente l'anima attirandolo alla salvezza.
Chi, anche in questa occasione, rifiutasse in piena consapevolezza, un così grande misericordia, basata sugli infiniti meriti di Cristo, di fatto rifiuterebbe la grazia e commetterebbe quel peccato contro lo Spirito Santo che lo ha illuminato dandogli la possibilità di accettare la verità pienamente conosciuta.
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18/10/2014 18:18
 
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Von Balthasar: l’uomo tra speranza e impossibile possibilità dell’inferno




Il libero arbitrio. La speranza della salvezza. L’inferno. La fine che ci attende. Sono questi alcuni dei territori vastissimi coperti dalle mappe dell’escatologia, una delle aree della teologia più affascinanti e profonde. Tra i grandi teologi del nostro tempo sono stati pochi coloro in grado di produrre un pensiero escatologico approfondito e sistematico come quello di Hans Urs von Balthasar. Tuttavia, alcune sue formule sono state spesso male presentate, finendo per essere oggetto di cattive interpretazioni che hanno generato dubbi e perplessità. Una tesi balthasariana, tra tutte le altre, ha subito questo destino, e cioè la sua formula della “speranza per tutti”, che spesso ha fatto pensare che il teologo elvetico scardinasse dall’impianto dottrinale cattolico l’idea dell’inferno. L’ultimo libro di padre Alessandro Maria Minutella, presbitero della Chiesa di Palermo e Dottore in Teologia Sistematica, L’Escatologia Cristologico-Trinitaria di Hans Urs Von Balthasar (Marcianum Press), “risistema le cose”, in senso letterale, in quanto offre il tentativo più sistematico di riflessione sui temi dell’escatologia balthasariana. Noi di Aleteia abbiamo sentito l’autore.

Padre Minutella, la formula di Von Balthasar “c’è speranza per la salvezza di tutti” implica che tutti si salvano? 

Minutella: Vorrei subito chiarire che questa domanda non è centrale nell’escatologia balthasariana; è la versione giornalistica che ne ha fatto la questione centrale. Tra l’altro lo stesso Von Balthasar ha sofferto molto per questo tipo di attenzione. La questione può essere compresa solo come un tassello dentro ad un mosaico, che alla fine risulta un mosaico di natura trinitaria, cristocentrica, dove c’è tutta la lettura della storia della salvezza legata all’avvenimento di Cristo. Cristo che si incarna entra nella storia dell’uomo, assume il dramma dell’uomo, ne fa un “teodramma” e lo orienta decisamente verso Dio. C’è quindi un “sì” di Dio che in quanto tale è infinito, non è creaturale, è un “sì” che ha un carattere infinito, e dentro questo “sì” Balthasar passa successivamente a riflettere sul tema del possibile “no” dell’uomo, che in quanto creaturale è finito e non può competere con il “sì” di Dio. E Balthasar usa una categoria molto bella, il “subabbraccio”, in tedesco Unterfassung – la traduzione italiana non è bellissima, ma non c’è altro modo per renderlo - cioè da sotto, da dove l’uomo si è cacciato a causa del peccato, in Cristo Dio lo raggiunge per redimerlo e ricondurlo a salvezza.

Alla fine quello che conta per Von Balthasar è preservare il concetto di libero arbitrio?

Minutella: Certamente il tema della libertà divina da un lato, e poi della libertà creaturale dall’altro lato, e poi del rapporto tra queste due libertà, accompagna trasversalmente tutta l’escatologia balthasariana. Questo mi sembra importante da sottolineare. A proposito della domanda che mi ha posto prima, bisogna anche dire che è fondamentale l’esperienza sottostante della mistica Adrienne Von Speyer, con la quale Balthasar ha collaborato per circa quarant’anni. Lei era una mistica che viveva l’esperienza del “sabato santo”, cioè dell’assenza di Dio in favore del recupero della presenza di Dio nei peccatori, nei lontani: è Cristo che attraversa l’esperienza della lontananza da Dio per ricondurre l’umanità a Dio. In questo senso si capisce quello che Balthasar vuole dire a proposito dello “sperare per tutti”, che è qualcosa di diverso, e qui siamo a un passaggio decisivo, ben diverso dal dire che l’inferno è vuoto. Balthasar non ha mai detto una cosa del genere.




E quindi che cos’è l’inferno? 

Minutella: Guardi, tutto sommato l’operazione teologica molto elegante che Von Balthasar vuole realizzare è quella di riagganciare la questione anche di una possibile dannazione creaturale sempre all’avvenimento centrale, che è Cristo. Se dobbiamo dare per certa la possibilità che ci sia chi dice di “no” al “sì” di Dio, è chiaro che questo “no” deve esibirsi come, dice Balthasar, una “possibile impossibilità”. Il “no” dell’uomo deve riuscire a sovrastare il “sì” di Dio. Questo, lei capisce molto bene, pone delle considerazioni molto profonde. Alla luce di questo, Balthasar parla di un dürfen, cioè di un consentire alla speranza, come ragionevole postulato di un’escatologia in funzione cristologica. E allora, sinteticamente, potremmo dire che i tre enunciati che Balthasar propone sono questi: primo, a partire dall’avvenimento di Cristo che subabbraccia l’umanità peccatrice per ricondurla al Padre, dobbiamo sperare per tutti; secondo, questo è biblicamente fondato, dal momento che nella Sacra Scrittura leggiamo che “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi”; terzo, naturalmente questo non conduce ad una sorta di escatologia nebulosa, ad una sorta di happy ending come da qualche parte si pensa, perché dice lui, dobbiamo dare, anche se in termini ipotetici, la possibilità che non tutti vogliano lasciarsi raggiungere da questa salvezza. Ma allora la resistenza a questo “subabbraccio” appare non come qualcosa di semplice, ma come qualcosa di per se stesso già drammatico, che pone appunto la possibilità dell’inferno.

Ma l’inferno dobbiamo pensarlo come un luogo?

Minutella: No. La questione dell’inferno come luogo è già stata abbondantemente superata da molto tempo. L’inferno è prima di tutto una condizione. Lei ricorderà le pagine di Un curato di campagna di Georges Bernanos, dove il curato parla dell’inferno “dentro”. Bisogna dire che la questione del luogo non è rilevante. È piuttosto rilevante la questione della libertà che l’uomo pone dinanzi a Dio che si rivela, è a partire da questo che si può percepire cosa sia l’inferno. D’altra parte, questo non lo dice Balthasar ma mi permetto di aggiungerlo io con un certo stile creativo, se noi leggiamo certe ideologie sorte nel corso del tempo, che hanno avuto come uno dei presupposti la negazione di Dio, abbiamo visto cosa hanno creato nel mondo. Pensi all’utopia marxista, che faceva anelare ad un suo paradiso, e a quello che ne è venuto fuori. Quindi l’inferno è più un’esperienza che nasce da questa radicale “opposizione”, che direi anche faticosa, per certi versi impossibile: ma il fatto che Dio abbia lasciato l’uomo libero produce questa possibile impossibilità che l’uomo si opponga al “sì” di Dio, al progetto salvifico di Dio Trinità.

L’uomo di oggi continua ad avere un’idea michelangiolesca, e dantesca, dell’inferno. Invece, dobbiamo interiorizzarla?

Minutella: Esatto. C’è certamente tutta una tradizione mistica, penso a Teresa D’Avila, a Faustina Kowalska e ad altri mistici che nel corso dei secoli hanno avuto delle esperienze visive, o addirittura auditive, o percettive dell’inferno. Se lei vuole, anche ai tre pastorelli di Fatima nell’apparizione la Vergine Maria – e Balthasar ne parla – fa vedere l’inferno, e suor Lucia parla di dannazione, di fuoco, di ombre, di buio. Quindi c’è anche un recupero nel corso del tempo di questa percezione dantesca. Però voglio dirle questo, dopo Auschwitz, dopo la crisi umana che ne è seguita, dopo il crollo delle ideologie per cui l’uomo s’era entusiasmato, il comunismo ma anche in Occidente quel capitalismo selvaggio che è crollato su se stesso, con la crisi ambientale, umana ed etica, possiamo certamente spostare la questione dell’inferno a qualcosa di interiore, alla percezione di Dio dentro.




Tempo fa lessi su un quotidiano che la Chiesa aveva scartato l’idea del Purgatorio, come fosse un’idea medievale. È così? 

Minutella: Quest’idea sarebbe un’imprecisione imperdonabile. Si discute certamente se possiamo definire il Purgatorio un dogma in quanto tale. Tuttavia da sempre la Chiesa ne ha ribadito l’esistenza, lo fa anche il Catechismo della Chiesa cattolica. Si possono solo discutere le modalità con cui interpretare questa purificazione. Balthasar a tal riguardo lo collega al tema del giudizio particolare, che è quello proprio dell’escatologia intermedia cattolica, perché nel mondo della Riforma non esiste un’escatologia intermedia, piuttosto c’è un’esistenza dell’anima separata dal corpo prima del Giudizio Universale. Ma nella tradizione cattolica, ribadita dal Catechismo, noi sappiamo che subito dopo la morte personale l’anima si presenta al cospetto di Cristo, di fronte ad uno sguardo che non vuole essere di condanna, ma di accoglienza. Allora le nostre opposizioni esistenziali produrranno in noi un senso di ferita, uno sguardo che ci ferirà, in questo senso potrebbe essere interpretato il Purgatorio, come un’esperienza di purificazione dello sguardo di Cristo che metterà a nudo le nostre resistenze alla sua proposta d’amore. Però, mi permetta di condurla per mano verso l’orizzonte più bello, quello relativo alla destinazione ultima dell’uomo.

Anche nel caso del Paradiso sopravvive tra le persone un’idea dantesca della visione di Dio, resa percettibile da quella poesia grandiosa?

Minutella: Sicuramente. Infatti la teologia fa molta fatica. Io credo di essere stato il primo ad aver sviluppato una visione sistematica di quello che Balthasar ha detto di tutti questi temi. A proposito del Paradiso, della beatitudine eterna, Balthasar propone delle considerazioni straordinarie quando osserva che nel corso del tempo la teologia cattolica ha sviluppato una categoria per definire il Paradiso, che è quella di “visio Dei”, della visione di Dio. Allora Balthasar, che è stato sempre sensibile alla letteratura mistica, propone anche richiamandosi alla tradizione bizantina ortodossa, di spostarsi verso un’idea un po’ più coinvolgente: afferma infatti che quella della visio Dei è una categoria neoplatonica, e dunque piuttosto statica. Invece, sostiene lui, bisogna pensare ad una categoria dove la partecipazione della creatura è più forte, che per questo bisogna pensare a quella di unio Dei, cioè dell’unione di Dio; a tal riguardo dice che i beati entreranno nei processi intratrinitari, dei quali lui parla nella parte introduttiva dell’escatologia, quando parla delle relazioni trinitarie. Allora il Paradiso, l’esperienza eterna del cielo sarà entrare in questa corsa dove le tre persone divine, loro per prime, si stupiscono l’una dell’altra, si stupiscono in modo divino, e noi prenderemo parte a questa estasi, a questa sorpresa, a questo stupore, come creature.

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04/11/2014 13:38
 
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Suor s.Faustina racconta la sua esperienza

[Modificato da Credente 04/11/2014 13:40]
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28/02/2016 14:41
 
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Gesù, nei suoi messaggi ha parlato spesso della realtà dell'inferno.
Nei Vangeli, Egli lo ha descritto come:

"fuoco" Matteo 13:40, 25:41

"fuoco eterno" Matteo 18:8

"dannazione eterna" Marco 3:29

"fuoco dell'inferno" Matteo 5:22

"dura condanna" Luca 20:47

"condanna dell'inferno" Matteo 23:33

"resurrezione di condanna" Giovanni 5:29

"fornace ardente" Matteo 13:42

"fuoco inestinguibile" Marco 9:43

"fuoco che non si spegne" Marco 9:48

"dove il loro verme non muore" Marco 9:48

"pianto e stridore di denti" Matteo 13:42

"nelle tenebre di fuori" Matteo 8:12, 22:13,

"tormenti dell'inferno" Luca 16:23

"tormentato nella fiamma" Luca 16:24

"luogo di tormenti" Luca 16:28

"pene eterne" Matteo 25:46
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07/04/2018 23:24
 
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L'inferno è una scelta: quella di essere lontani da Dio


Papa Francesco: l’inferno consiste nell’essere lontani per sempre dal “Dio che dà la felicità”, dal “Dio che ci vuole tanto bene”.

 


Amedeo Lomonaco - Città del Vaticano


La Chiesa in tutto il mondo oggi prega e riflette sul mistero della morte di Cristo.  Nel Credo, la solenne professione di fede che accompagna la vita dei credenti, si ricorda che Gesù “fu crocifisso, mori e fu sepolto; discese agli inferi”. “Gesù – si legge nel Catechismo della Chiesa cattolica - non è disceso agli inferi per liberare i dannati né per distruggere l'inferno della dannazione, ma per liberare i giusti che l'avevano preceduto”.





Papa Francesco: l’inferno è essere lontani da Dio


Riferendosi all’inferno, Papa Francesco durante la Messa a Santa Marta del 25 novembre 2016, ha spiegato che “non è una sala di tortura”. L’inferno – ha aggiunto – consiste nell’essere lontani per sempre dal “Dio che dà la felicità”, dal “Dio che ci vuole tanto bene”. L’inferno non è una condanna, ma una scelta. Il Santo Padre durante la visita alla Parrocchia romana di Santa Maria Madre del Redentore nel 2015 ha detto inoltre: “All’inferno non ti mandano, ci vai tu, perché scegli di essere lì. L’inferno è volersi allontanare da Dio perché non voglio l’amore di Dio”. “Il diavolo – ha detto - è all’inferno perché lui l’ha voluto” ed “è l’unico che noi siamo sicuri che sia all’inferno”. E’ “frutto di una  ricostruzione” e “non una fedele trascrizione” – ha reso noto la Sala Stampa della Santa Sede - quanto invece riferito dal quotidiano “La Repubblica” nell’articolo di ieri, in cui tra l’altro venivano riportate frasi attribuite al Pontefice sull’inferno.


L’inferno non è un luogo ma uno stato dell’anima


La Chiesa, nel suo insegnamento, afferma l'esistenza dell’inferno e la sua eternità. “Non possiamo essere uniti a Dio - si legge nel Catechismo della Chiesa cattolica - se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi”. “Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio – si legge ancora - significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta”. Padre Athos Turchi, docente di Filosofia alla Facoltà teologica dell'Italia Centrale, sottolinea in particolare che l’inferno è uno stato dell’anima:




Intervista con padre Atos Turchi



R. – L’inferno non è né uno spazio né un luogo: l’inferno è lo stato dell’anima che si trova lontano da Dio, in odio e in contrasto con Dio. E’ lo stato dell’anima in cui si va a trovare rifiutando Dio. Questo è l’inferno. È come la disperazione di una persona quando le persone care non ci sono più. E’ l’odio che si ha verso una persona. Sono le anime disperate. Questo è l’inferno. I forconi, le fiamme dell’inferno, sono roba da ridere di fronte alla disperazione dell’anima che è senza di Dio e sa che non lo vedrà mai più.


Quindi questo stato di disperazione è senza misericordia, senza possibilità di perdono…


R. – Sì, perché all’inferno ci vanno solo quelli che rifiutano la salvezza, come il demonio. Il demonio è colui che si è posto in contrasto con Dio. Vive l’inferno, cioè tutta la lontananza da Dio. Così – dice Gesù – coloro che commettono peccato contro lo Spirito Santo, cioè che rifiutano la salvezza da parte di Dio, rifiutano la misericordia, si trovano lontani. Io spero che ce ne siano pochi che fanno questa scelta. Però, come l’ha fatta il demonio, la può fare anche un essere umano. È lo stato dell’anima, o di un essere o di uno spirito come può essere il demonio, che odia Dio. Questo è l’inferno.


E per le anime che sono lontane da Dio, come evitare questa disperazione eterna?


R. – Accettando la salvezza operata da Cristo. Chi accetta questa salvezza, entra nella possibilità di comunicare e di tornare in comunione con Dio e per questo evita l’inferno. Alcuni teologi dicono che dopo la morte l’anima ha un’ultima possibilità di confrontarsi con Dio; e lì c’è la scelta: sì o no. Se è sì, in qualche modo si entra nella salvezza. Se è no, uno si allontana da Dio, dalla sua comunione. Ed entra in uno stato di disperazione, cioè vive in uno stato di inferno. L’inferno è dentro il cuore dell’uomo, dentro l’anima, nella sua mente. Non è da qualche parte.


Dentro il cuore dell’anima, al contrario, c’è anche il gran desiderio di vedere Dio…


R. – Quando si vede siamo nella gioia, nella pace e nella felicità. E’ esattamente il contrario. Quando si trova la persona amata, l’anima gioisce, si apre alla gioia, alla pace, all’amore verso l’altro. Quando l’altra persona si odia, ci si rapporta per contrasto, con cattiveria, malizia, ecc. Questo è l’inferno. L’altro è il paradiso.


E lo stato dell’anima che si trova in una disperazione infernale, è il risultato di una scelta…


R. – Il peccatore assoluto è colui che rifiuta la salvezza di Dio. Noi siamo esseri liberi, abbiamo la possibilità dell’autodeterminazione: se decidiamo di stare con Dio, si entra nella comunione e nella salvezza. Se decidiamo di odiarlo, di allontanarci, siamo nell’inferno. Gesù parla di questo nella parabola del Figliol Prodigo: il figlio se n’è andato a sperperare tutto. Poteva tornare o non tornare: non tornando stava nell’inferno. È ritornato e questo gli ha dato la possibilità della comunione. L’inferno è la scelta che ciascuno compie. Nessuno condanna all’inferno. È una scelta personale. Noi abbiamo la possibilità sempre di riconfrontarci con Dio. Rifiutarlo significa andare all’inferno.



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14/06/2018 22:09
 
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Inferno: sarete pochi, senza fiamme e tormenti fisici, ma ci andrete se…Ratzinger e Bergoglio sono d’accordo
Pubblicato il 23 agosto 2016 6:00 | Ultimo aggiornamento: 22 agosto 2016 21:52

Inferno: sarete pochi, senza fiamme e tormenti fisici, ma ci andrete se...Ratzinger e Bergoglio sono d'accordo
Inferno: sarete pochi, senza fiamme e tormenti fisici, ma ci andrete se…Ratzinger e Bergoglio sono d’accordo

Inferno: c’è o non c’è? e come è fatto? C’è, sostiene la Chiesa, anche se da un po’ di tempo nel mondo moderno si preferisce glissare sull’argomento.

Papa Ratzinger lo ha detto chiaro e tondo, Papa Francesco è stato più gesuitico ma non lo ha negato: ha detto e fatto dire che se andiamo all’Inferno è una nostra scelta, non è Dio, troppo misericordioso per farlo, che ci manda. Non sembra sia molto affollato, ma c’è e aspetta i reprobi.



Come è fatto l’ inferno? Di fiamme e catrame, diavoli aguzzini e catene da fare impallidire le code in autostrada negli esodi di agosto e come lo ha descritto Dante?

È un tormento dell’ anima, una forma di paranoia che dura per una eternità o un pezzo di eternità? Pensate il tormento di passare l’eternità a contemplare i nostri errori, le nostre cattiverie, le nostre crudeltà, quelle di cui già oggi siamo consapevoli e ancor più quelle di cui non si siamo ancor resi conto. Già oggi, quando pezzi della nostra vita ci appaiono come un lancinante flash davanti agli occhi della nostra memoria, soffriamo e ci tormentiamo. Immaginate farlo guardando la nostra vita nella luce cristallina dell’aldilà, senza le distorsioni della vita carnale.



Le ultime evoluzioni del massimo pensiero cattolico fanno propendere per la seconda ipotesi, più coerente col fatto che, almeno fino al Giudizio Universale, si parla di anime e non di corpi fisicamente nelle grinfie di Farfarello e soci. In fondo fa ancora più paura, così come la pazzia fa più paura di una gamba rotta.

La posizione di Papa Ratzinger, espressa con fermezza in più occasioni nel 2008, quando ancora non si era dimesso, è adamantina: “L’Inferno esiste ed è eterno, anche se non ne parla quasi più nessuno” ha detto, rilanciando il luogo della dannazione eterna evocato da secoli dalla tradizione cristiana, declassato, però, negli ultimi tempi ad argomento di serie b nell’immaginario collettivo del popolo dei credenti.

Papa Francesco è stato più sottile ma altrettanto chiaro. Se poteva esserci qualche dubbio quando ha indotto Eugenio Scalfari a scrivere che l’ inferno non c’è più, ha chiarito bene i concetti nel 2016 quando ha ribadito che l’ inferno c’è ma non è il Dio di Misericordia a mandarci, ma il nostro rifiuto del bene.

Come ha detto l’esorcista cattolico Pedro Barrajon,

“gli angeli sono una creazione, cosi come gli angeli caduti e perciò anche l’inferno. Non è una auto creazione. L’ inferno non è un luogo, è uno stato. È lo stato nel quale i demoni possono essere loro stessi, uniti dall’ odio per Dio. È lo stato della negazione dell’amore. Dio è l’amore. L’inferno è l’anti amore, è l’odio. L’inferno è una rappresentazione della condizione di questi sentimenti. L’inferno è la condizione di odio eterno. E’ anche l’eterno rifiuto di accetare l’amore di Dio”.

La Chiesa è da 2 mila anni modello di centralismo democratico (Stalin lo apprese in seminario) e su certi temi fondamentali si può ragionare ma la linea è quella, coerente con il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica alla voce Inferno firmato da Ratzinger poco tempo dopo la sua elezione pontificia. L’Inferno “consiste nella dannazione eterna di quanti muoiono per libera scelta in peccato mortale” e “la pena principale dell’Inferno sta nella separazione eterna da Dio”. C’erano stati dei dubbi, alimentati da un grande teologo del ‘900, Urs Hans von Balthasar, il quale aveva teorizzato che “l’Inferno c’è, ma potrebbe anche essere vuoto” perché “la misericordia di Dio è infinita “la misericordia di Dio è infinita come il suo perdono”.

Benedetto XVI, che di von Balthazar è amico e estimatore, si affrettò a rettificare:

“L’Inferno esiste ed è eterno, anche se non ne parla quasi più nessuno”.

Il luogo della dannazione eterna evocato da secoli dalla tradizione cristiana, come ha notato Orazio La Rocca su Repubblica, è stato declassato, negli ultimi tempi, ad argomento di serie b nell’immaginario collettivo del popolo dei credenti.

Anche un illustre gesuita, padre Giandomenico Minucci, ha provato a rilanciare la teori dell’ Inferno vuoto, ma subito la rivista dei gesuiti Civilità cattolica lo ha messo in riga.


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30/05/2019 17:17
 
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Le parole di Francesco sull'inferno: “eterno abisso di solitudineˮ



 










 


Le parole di Francesco sull'inferno: “eterno abisso di solitudine





 





Pubblicato il 04/04/2018

Ultima modifica il 04/04/2018 alle ore 16:17




ANDREA TORNIELLI



CITTÀ DEL VATICANO

 



Papa Francesco nei primi cinque anni di pontificato ha parlato moltissime volte del demonio, essere personale e tentatore, e ha citato in varie occasioni anche l'inferno. La pena principale dell'inferno, si legge nel Catechismo della Chiesa cattolica al numero 1035 «consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira». Il magistero della Chiesa insegna che esiste dopo la morte terrena uno stato, non un luogo, che spetta a chi è morto nel peccato grave e ha perduto la grazia santificante con un atto personale. Questo stato comporta la privazione dolorosa della visione di Dio. 


La prima citazione esplicita dell'inferno Papa Bergoglio l'ha fatta il 21 marzo 2014, nella parrocchia romana di San Gregorio VII, incontrando i membri dell'associazione “Liberaˮ che combatte le mafie. «Sento che non posso finire senza dire una parola ai grandi assenti, oggi, ai protagonisti assenti: agli uomini e alle donne mafiosi. Per favore, cambiate vita, convertitevi, fermatevi, smettete di fare il male! E noi preghiamo per voi. Convertitevi, lo chiedo in ginocchio; è per il vostro bene. Questa vita che vivete adesso, non vi darà piacere, non vi darà gioia, non vi darà felicità. Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi, è denaro insanguinato, è potere insanguinato, e non potrete portarlo nell’altra vita. Convertitevi, ancora c’è tempo, per non finire all’inferno. È quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Voi avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro. Piangete un po’ e convertitevi».


 Tre mesi, dopo, l'11 giugno 2014, Francesco torna sull'argomento, parlando a braccio nel corso dell'udienza del mercoledì dedicata ai doni dello Spirito Santo. «Ma, stiamo attenti, perché il dono di Dio, il dono del timore di Dio è anche un “allarme” di fronte alla pertinacia nel peccato. Quando una persona vive nel male, quando bestemmia contro Dio, quando sfrutta gli altri, quando li tiranneggia, quando vive soltanto per i soldi, per la vanità, o il potere, o l’orgoglio, allora il santo timore di Dio ci mette in allerta: attenzione! Con tutto questo potere, con tutti questi soldi, con tutto il tuo orgoglio, con tutta la tua vanità, non sarai felice. Nessuno può portare con sé dall’altra parte né i soldi, né il potere, né la vanità, né l'orgoglio. Niente! Possiamo soltanto portare l’amore che Dio Padre ci dà, le carezze di Dio, accettate e ricevute da noi con amore. E possiamo portare quello che abbiamo fatto per gli altri. Attenzione a non riporre la speranza nei soldi, nell’orgoglio, nel potere, nella vanità, perché tutto ciò non può prometterci niente di buono!».


 


Pur non citando esplicitamente la parola inferno è evidente il riferimento a uno “statoˮ doloroso dopo la morte che è destinato a quanti fino all'ultimo rifiutano Dio. «Penso per esempio alle persone che hanno responsabilità sugli altri e si lasciano corrompere; voi pensate che una persona corrotta sarà felice dall’altra parte? No, tutto il frutto della sua corruzione ha corrotto il suo cuore e sarà difficile andare dal Signore. Penso a coloro che vivono della tratta di persone e del lavoro schiavo; voi pensate che questa gente che tratta le persone, che sfrutta le persone con il lavoro schiavo ha nel cuore l’amore di Dio? No, non hanno timore di Dio e non sono felici. Non lo sono. Penso a coloro che fabbricano armi per fomentare le guerre; ma pensate che mestiere è questo. Io sono sicuro che se faccio adesso la domanda: quanti di voi siete fabbricatori di armi? Nessuno, nessuno. Questi fabbricatori di armi non vengono a sentire la Parola di Dio! Questi fabbricano la morte, sono mercanti di morte e fanno mercanzia di morte. Che il timore di Dio faccia loro comprendere che un giorno tutto finisce e che dovranno rendere conto a Dio».


 


All'Angelus del 2 Novembre 2014, giorno della commemorazione dei defunti, il Papa ha così pregato: «Volgi su di noi il tuo sguardo pietoso, che nasce dalla tenerezza del tuo cuore, e aiutaci a camminare sulla strada di una completa purificazione. Nessuno dei tuoi figli vada perduto nel fuoco eterno dell’inferno, dove non ci può essere più pentimento». 


 


L'8 marzo 2015, dialogando con i parrocchiani di Santa Maria Madre del Redentore a Tor Bella Monaca, Papa Bergoglio ha detto: «Voi sapete che c’era un angelo molto orgoglioso, molto orgoglioso; che era molto intelligente. E lui aveva invidia di Dio, capite? Aveva invidia di Dio. Voleva il posto di Dio. E Dio ha voluto perdonarlo, ma lui diceva: “Io non ho bisogno di perdono, io sono sufficiente a me stesso!”. Questo è l’Inferno: dire a Dio: “Arrangiati tu, che io mi arrangio da solo”. All’Inferno non ti mandano: ci vai tu, perché tu scegli di essere lì. L’Inferno è volere allontanarsi da Dio perché io non voglio l’amore di Dio. Questo è l’Inferno. Hai capito? È una teologia un po’… facile da spiegare, ma è questo. Il diavolo è all’Inferno perché lui l’ha voluto: mai un rapporto con Dio». 


«Ma, se tu sei … pensa a un peccatore: se tu fossi un peccatore tremendo, con tutti i peccati del mondo, tutti; e poi, ti condannano alla pena di morte; e quando stai lì, bestemmi, insulti, tante cose… E al momento di andare lì, alla pena di morte, quando stai per morire, guardi il Cielo e dici: “Signore…!”. Dove vai, in Cielo o all’Inferno?… In Cielo, vai, perché c’era un altro che era un ladrone, ma un ladro di quelli… È stato crocifisso vicino a Gesù. E uno di questi due ladri insultava Gesù. Questo non credeva a Gesù; sopportava i dolori fino alla morte. Ma a un certo punto, qualcosa s’è mosso dentro e ha detto: “Signore, abbi pietà di me!”. E cosa ha detto Gesù? Ti ricordi cosa ha detto? “Oggi, questa sera, sarai con me nel Paradiso”. Perché? Perché ha detto “ricordati”, “guardami”. Va all’Inferno soltanto colui che dice a Dio: “Non ho bisogno di Te, mi arrangio da solo”, come ha fatto il diavolo che è l’unico che noi siamo sicuri che sia all’Inferno».


 


Alla fine del 2015 viene reso noto il messaggio del Papa per la Quaresima 2016. Nel testo si legge: «Le opere corporali e quelle spirituali non vanno perciò mai separate. È infatti proprio toccando nel misero la carne di Gesù crocifisso che il peccatore può ricevere in dono la consapevolezza di essere egli stesso un povero mendicante. Attraverso questa strada anche i “superbi”, i “potenti” e i “ricchi” di cui parla il Magnificat hanno la possibilità di accorgersi di essere immeritatamente amati dal Crocifisso, morto e risorto anche per loro. Solo in questo amore c’è la risposta a quella sete di felicità e di amore infiniti che l’uomo si illude di poter colmare mediante gli idoli del sapere, del potere e del possedere. Ma resta sempre il pericolo che, a causa di una sempre più ermetica chiusura a Cristo, che nel povero continua a bussare alla porta del loro cuore, i superbi, i ricchi ed i potenti finiscano per condannarsi da sé a sprofondare in quell’eterno abisso di solitudine che è l’inferno».


 


Il 25 novembre 2016, nell'omelia della messa a Santa Marta Bergoglio si sofferma su una frase dell'Apocalisse: «Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco». «Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco», ha spiegato. In realtà, ha aggiunto, «la dannazione eterna non è una sala di tortura, questa è una descrizione di questa seconda morte: è una morte». E «quelli che non saranno ricevuti nel regno di Dio è perché non si sono avvicinati al Signore: sono quelli che sono sempre andati per la loro strada, allontanandosi dal Signore e passano davanti al Signore e si allontanano da soli». Perciò «la dannazione eterna è questo allontanarsi continuamente da Dio, è il dolore più grande: un cuore insoddisfatto, un cuore che è stato fatto per trovare Dio ma per la superbia, per essere stato troppo sicuro di se stesso, si è allontanato da Dio». Invece Gesù ha cercato di attrarre i superbi «con parole di mitezza» dicendo: «Vieni». E lo dice per perdonare. «Ma i superbi — ha proseguito Francesco — si allontanano, vanno per la loro strada e questa è la dannazione eterna: lontani per sempre dal Dio che dà la felicità, dal Dio che ci vuole tanto bene». In realtà «non sappiamo» se «sono tanti», ma «sappiamo soltanto che questa è la strada della dannazione eterna». L’allontanamento, dunque, è «il fuoco di non potersi avvicinare a Dio perché non voglio». È l’atteggiamento di coloro «che ogni volta che il Signore si avvicinava loro dicevano: “va’ via, me la cavo da solo”. E continuano a cavarsela da soli nell’eternità: questo è tragico».


 


Infine, il 13 maggio 2017, nell'omelia della messa del centenario delle apparizioni di Fatima, celebrata sul sagrato del grande santuario mariano portoghese, Francesco ha ricordato l’immagine dell’Apocalisse della donna vestita di sole, in procinto di dare alla luce un figlio: «La Vergine Madre non è venuta qui perché noi la vedessimo: per questo avremo tutta l’eternità, beninteso se andremo in Cielo. Ma Ella, presagendo e avvertendoci sul rischio dell’inferno a cui conduce una vita – spesso proposta e imposta – senza Dio e che profana Dio nelle sue creature, è venuta a ricordarci la Luce di Dio che dimora in noi e ci copre».


 


Queste sono le parole pronunciate pubblicamente o scritte da Francesco, che richiamano ciò che la Chiesa crede sull'inferno. E nel giorno in cui il Papa invita a salutare il suo predecessore facendogli augurare “Buona Pasqua!ˮ da tutti i fedeli radunati in piazza San Pietro è confortante ricordare una risposta di Benedetto XVI contenuta nel libro-intervista con Peter Seewald “Ultime conversazioniˮ. Alla domanda se avesse una preghiera preferita, il Papa emerito ha risposto citandone più una. Tra queste anche quella di san Francesco Saverio: «Io ti amo non perché puoi darmi il paradiso o condannarmi all’inferno, ma perché sei il mio Dio. Ti amo  perché Tu sei Tu» .

fonte:
https://www.lastampa.it/2018/04/04/vaticaninsider/le-parole-di-francesco-sullinferno-eterno-abisso-di-solitudine-aNRZFmEvb6w4OLHkqF47eO/pagina.html


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06/04/2021 16:27
 
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Santi e mistici che hanno avuto la visione dell’Inferno (FOTOGALLERY)



 


La descrizione dell'Inferno da parte di santi e mistici è quella di una dimensione lugubre ma non sempre terrificante, e di dolori atroci e indescrivibili che avvertono le anime lì presenti





L’inferno esiste, ci ricorda Papa Francesco, e alcuni santi lo hanno avuto in visione. Le loro descrizioni convergono sulla dimensione lugubre e tenebrosa che si richiama all’inferno. Ma per alcuni le visioni non sono state solo drammatiche e di totale sofferenza.   


L’inferno descritto dai santi che lo hanno visto



La visione di santa Teresa: “Rettili schifosi”


Santa Teresa d’Avila è stata la mistica che forse lo ha descritto in modo più dettagliato. “L’entrata mi pareva come un vicolo assai lungo e stretto, come un forno molto basso, scuro e angusto; il suolo, una melma piena di sudiciume e di un odore pestilenziale in cui si muoveva una quantità di rettili schifosi. Nella parete di fondo vi era una cavità come di un armadietto incassato nel muro, dove mi sentii rinchiudere in un spazio assai ristretto”.


Le sei pene descritte da Santa Faustina


Santa Maria Faustina Kowalska fa una descrizione delle pene che ha avuto in visione nell’Inferno. “Queste le varie pene che ho viste: la prima pena, quella che costituisce l’inferno, è la perdita di Dio. La seconda, i continui rimorsi della coscienza. La terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai. La quarta pena è il fuoco che penetra l’anima, ma non l’annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale, acceso dall’ira di Dio. La quinta pena è l’oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio. La sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l’odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie”.



La visione “maschile” e quella più terrificante


Tra le visioni “maschili” dell’Inferno c’è quella di San Giovanni Bosco. Lui parlò dell’Inferno come in un sogno fatto in compagnia dell’angelo custode. La visione più terrificante? Probabilmente quella della beata Caterina Emmerick: “All’inferno si sprofondano cavernose prigioni, si estendono orrendi deserti, laghi smisurati rigurgitanti di mostri paurosi, orribili. I demoni sono imprigionati dentro una sfera, che risulta di tanti settori concentrici. Al centro dell’inferno si sprofonda un abisso tenebroso, dov’è precipitato Lucifero in catene, e dove sta immerso tra cupi vapori”.




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18/08/2021 17:40
 
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La volontà di Dio è che tutti gli uomini si possano salvare (1Timoteo 2,4), ed ha fatto un atto estremo di Amore per cercare di perseguire questo fine. (2 Cor.5,15).
Ma ha dato il grande dono della LIBERTA' con cui l'uomo veramente può, se lo decide in piena e totale consapevolezza, dire di NO a DIO.-
In sostanza continuando ostinatamente ad agire e a respingerne tutte le offerte di salvezza, deliberatamente e coscientemente, fino all'ultimo, sceglie di non volerlo vedere, nè sentire, nè di spartire nulla della Sua Essenza che è Vita, che è Gioia, che è Amore, Pace, Bellezza.... In sostanza l'uomo sceglie consapevolmente e in maniera permanente perchè pienamente cosciente, il contrario di tutto quanto Dio E', e cioè  sceglie l'infelicità, l'angustia, l'odio, la bruttezza...--
Questa eventualità per quanto possa apparire impossibile è purtroppo una possibilità che Gesù prospetta quando dice in Matteo 12,31
Perciò io vi dico: Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. ---Tale bestemmia è appunto il rifiuto di Dio, in varie forme, e cioè la impenitenza finale, l'ostinazione nel peccato, il respingere la verità completamente e chiaramente conosciuta... ---Nè bisogna pensare che la mancanza di perdono comporti l'annientamento dell'essere, perchè Gesù precisa in Matteo 25,41
Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.

NC
facciamo un esempio di una persona recentemente mancata: Gino Strada. Lui ha dedicato la vita ad aiutare il prossimo. Però non credeva in Dio. Dove va all'inferno o in paradiso?

CR
Poniamo che Strada non abbia avuto modo di accettare Gesù perchè nella vita non ha incontrato ciò che glie lo facesse conoscere come salvatore misericordioso, ma come spesso avviene purtroppo, anche da parte della wt, gli sia stato presentato come arcigno, severo, rigido e implacabile.--- Un tale Gesù è ben diverso dal Signore misericordioso, paziente, tollerante, pronto a perdonare fino a settanta volte sette, pronto a lavarci i piedi, a dare il suo sangue per noi... insomma chi non ha avuto modo di conoscere il vero Gesù, in realtà non ha avuto la piena cognizione di Lui. COme non lo hanno avuto tanti ai quali il Vangelo non è arrivato per niente. Pensiamo ai popoli non evangelizzati della storia, e a quelli che si trovavano immersi in culture del tutto lontane dall'annuncio evangelico. Ed allora la domanda che ci si pone è: che cosa ne sarà di tutte queste persone? Da una parte Paolo risponde dicendo in Rom.2,14... quando degli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natura le cose richieste dalla legge, essi, che non hanno legge, sono legge a se stessi; 15 essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda. 16 Tutto ciò si vedrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo. ---- Potrebbe essere questo il caso di Gino Strada, il quale, anche se inconsapevolmente Ha servito Dio nel suo prossimo, senza forse saperlo. A conferma troviamo che molti diranno queste parole a Gesù nel giudizio: Mt 25,37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.---- Mi pare che questo possa rispondere al quesito, anche se non sta a noi giudicare nessuno. Ma la sentenza lo troviamo espresso qui.

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10/06/2022 16:28
 
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Gesù in diverse occasioni, riguardo agli empi, menziona una sorte di "pianto e stridore di denti" Ad esempio in Mt 13,42 e 49 Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50 e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.-----
Tale espressione indica un dolore, un tormento della persona,.
Inoltre Matteo 25,41 riporta:

Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.--  Il fuoco, prefigurato dalle fiamme della Geenna, è un elemento che brucia e che quindi arreca dolore, e ammesso che sia solo una immagine del fuoco dell'aldilà , indica senza dubbio una realtà di dolore.

Apocalisse 14,11 riporta

Il fumo del loro TORMENTO (βασανισμοῦ) salirà per i secoli dei secoli, e NON AVRANNO RIPOSO né giorno né notte quanti adorano la bestia e la sua statua e chiunque riceve il marchio del suo nome». Matteo 25,46 riporta: "... se ne andranno a PUNIZIONE (κόλασιν) eterna; ma i giusti a vita eterna ... I versetti citati fanno tutti esplicito riferimento ad una SOFFERENZA COSCIENTE dei reprobi e non ad una distruzione/annientamento del loro essere.
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02/02/2023 12:25
 
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Dubbio



Alcuni dicono: “Sono cattolico, ma ho un dubbio che mi assilla e mi infastidisce: la questione della condanna eterna… Come può un Dio tanto misericordioso lasciare che i Suoi figli vadano all’inferno? Per me, l’inferno è il luogo dei demoni, e non dei figli di Dio. Non credo che all’inferno ci siano esseri umani. Credo all’esistenza dell’inferno, ma non come luogo degli uomini peccatori e condannati”.


Rispondiamo per parti. San Paolo afferma che Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità (cfr. 1 Tm 2, 4). Questa verità deve essere sempre davanti agli occhi di chi studia questa tematica.






 

Non è quindi Lui a condannare la creatura, ma quest’ultima a condannare se stessa, optando per rimanere lontana da Dio. È un’altra verità di importanza capitale, che dissipa l’idea di un Dio come Giudice freddo e insensibile.



Opzioni errate



Ovviamente le opzioni errate della creatura umana non si realizzano sempre in modo pienamente responsabile. Ci sono persone angosciate, acceceate, che non agiscono con piena cognizione di causa o in totale libertà. Dio – e solo Dio – conosce ciò che c’è in ciascuno, comprendendo la fragilità dei Suoi figli. Vede bene che spesso, anche quando sbagliano, cercano il bene, ma non sanno dove trovarlo. Profondo conoscitore del cuore umano, Egli non procede come un uomo, ma risponde alle ansie mal formulate di coloro che, senza colpa propria, Gli dicono di no.


Chi muore consapevolmente e volontariamente allontanato da Dio resta per sempre lontano da Lui non in un luogo dimensionale, ma in uno stato d’animo (l’inferno non è un serbatoio di zolfo fumante con diavoletti e tridenti). La morte stabilizza la creatura nella sua ultima opzione, di modo che dopo la morte non c’è modo di cambiare atteggiamento. La consapevolezza di questa verità incute nell’uomo il valore della vita presente e di ciascuno dei suoi istanti; è nel tempo che si configura la vita definitiva di ogni essere umano.


La morte colloca l’uomo in uno stato definitivo e immutabile. L’uomo resta per sempre amico o nemico di Dio, in base alle disposizioni che ha quando lascia questo mondo. Solo mentre peregrina sulla Terra può meritare o non meritare il Sommo Bene.



Verità evangelica



Questa verità si trova nel Vangelo: Gesù dice ai dicepoli di vigilare, perché l’atteggiamento che avranno assunto in questa vita in relazione a Dio definirà la loro sorte definitiva. È quello che spiegano le parabole delle dieci vergini (Mt 25, 1-13), dei talenti (Mt 25, 14-30), del ricco e Lazzaro (Lc 16, 18-31), il quadro del giudizio finale in Mt 25, 31-46…


La stessa idea risuona nella predicazione degli Apostoli (cfr. G1 6, 10; 1 Cor 15, 24; 2 Cor 5, 10; 6, 2; Eb 3, 13). La tradizione cristiana l’ha sempre ripetuta, e il Concilio Vaticano I (1870), sospeso prima della conclusione, stava per promulgarla nelle sue definizioni teologiche dicendo che dopo la morte, che è il coronamento del nostro cammino, tutti dovremo subito presentarci davanti al tribunale di Cristo, perché ciascuno riceva la retribuzione di quello che avrà fatto di bene o di male quando era nel corpo (2 Cor 5, 10), e che dopo questa vita mortale non c’è più possibilità di penitenza e giustificazione.


Fino alla morte, ma solo fino a quel momento, la natura umana è completa (anima e corpo) e dotata delle facoltà che concorrono alla sua evoluzione (sensi, intelligenza e volontà). È logico che la decisione dell’uomo relativa al fine supremo sia presa dall’uomo nella sua natura completa. L’uomo non è solo spirito, ma spirito destinato a rendere vivo un corpo e a svilupparsi attraverso di esso.



Resurrezione



È vero che dopo la resurrezione il corpo sarà nuovamente unito all’anima, e allora perché non può esserci un cambio di opzioni dopo la resurrezione? Rispondiamo dicendo che la riunione di corpo e anima dopo la morte è una cosa a cui la natura umana non ha di per sé diritto, ma è un dono gratuito di Dio. Il corpo, allora, non servirà da strumento mediante il quale l’anima muterà le sue inclinazioni. Al contrario, le condizioni del corpo si adatteranno alle disposizioni, positive o negative, dell’anima, anziché influenzarle; i giusti avranno un corpo glorioso, mentre i reprobi ne avranno uno “tenebroso”.


L’irrevocabilità di un destino è una cosa che riusciamo a concepire difficilmente; tutto quello che conosciamo a questo mondo ci viene presentato come transitorio; non abbiamo l’esperienza del definitivo o della morte.


L’uomo è spesso tentato di criticare Dio, come se Questi fosse meno perfetto della creatura e dovesse imparare con lei ad amministrare la storia di questo mondo. Parlando in termini popolari, ciò equivale a dire che “se Dio non procede come penso io sta sbagliando, mentre io ho ragione”. Questo atteggiamento è falso non solo agli occhi della fede, ma anche a quelli della ragione. Dio, per definizione, è Santo e Perfetto; è infinitamente al di sopra della capacità intellettuale e morale della creatura. Di conseguenza, un Dio ingiusto o imperfetto semplicemente non è Dio. Chi dice questo sta negando il concetto e l’esistenza di Dio. È più logico non credere in Dio che credere in un Dio che sbaglia ed è criticabile. Se la creatura non comprende i disegni di Dio, ciò non è dovuto alle mancanze del Signore, ma alle limitazioni dell’intelletto umano.



Somma sapienza del Signore



Giunge a proposito la parabola di Mt 20, 1-15: un uomo contratta cinque gruppi di operai a diverse ore del giorno, e alla fine della giornata fa pagare a tutti lo stesso salario, anche se hanno lavorato una quantità di ore diversa. Uno dei più stanchi tra i lavoratori insorge e accusa il padrone di ingiustizia, perché equipara tutti indipendentemente dal numero di ore lavorate. Il padrone gli risponde con serenità, osservando che non gli sta usando ingiustizia, perché lo ha pagato quanto era stato stipulato nel contratto, ovvero un denaro, la giusta remunerazione. Se dà agli altri lavoratori qualcosa che non è loro dovuto in termini rigidi di giustizia ma per sua benevolenza gratuita, non fa male a nessuno, tira fuori il denaro di tasca sua. Ecco allora la domanda: “Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?”


La risposta del padrone della parabola può essere data anche da Dio alla creatura che Lo critica, giudicandolo ingiusto e ritenendo che dovrebbe seguire il comportamento che adotterebbe la creatura. Se Lui “scandalizza” perché è buono oltre i parametri in vigore tra gli uomini, non c’è motivo di criticare, mentre esistono ragioni per abbassare la testa e adorare la Somma Sapienza del Signore, che vede molto più lontano della meschina intuizione dell’essere umano. È questa la risposta che la fede cattolica formula al dubbio che abbiamo presentato.


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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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