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LA VERGINITA' (di s.Gregorio di Nissa)

Ultimo Aggiornamento: 15/06/2014 18:22
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15/06/2014 18:17
 
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VII. Il matrimonio non va annoverato tra le cose condannabili

Nessuno pensi con questo che noi intendiamo disconoscere la funzione del matrimonio: non ignoriamo che esso non è privo della benedizione di Dio. Poiché però ha un difensore sufficiente nella comune natura umana che infonde un'inclinazione naturale verso tale genere di cose in tutti coloro che sono venuti alla luce tramite l'atto coniugale, mentre la verginità va contro la natura, sarebbe superfluo scrivere una diligente esortazione al matrimonio mettendo in evidenza il piacere, il suo difensore contro cui difficilmente si combatte, a meno che non ci obbligassero a fare un discorso simile coloro che sfigurano gl'insegnamenti della Chiesa e che l'apostolo chiama «marchiati nella propria coscienza»: queste persone, lasciata la strada dello spirito per l'insegnamento dei demoni, imprimono nei loro cuori come delle piaghe e delle bruciature, provando ribrezzo per le creature di Dio come se fossero cose nefande e chiamandole incoraggiamento ai mali, causa dei mali e così via. «Ma perché devo giudicare chi sta fuori?», dice colui che ha parlato sinora. Essi si trovano veramente fuori del palazzo della dottrina misterica: «alloggiano» non «nel riparo di Dio» ma nella mandria del maligno, «prigionieri del suo volere» come dice l'apostolo; per questo non comprendono che, se ogni virtù si trova nel mezzo, la deviazione verso gli estremi opposti è un male: solo chi riesce a trovare sempre un punto intermedio tra il rilassamento e la tensione riesce a distinguere la verità dal vizio.
Il mio discorso diverrà forse più chiaro se lo spiegherò con degli esempi concreti. La viltà e la temerarietà sono ritenuti due mali opposti, l'una per difetto di sicurezza, l'altra per eccesso, e comprendono al centro il coraggio. Analogamente, l'uomo pio non è né ateo né superstizioso: in questi due casi è un'uguale empietà non credere in nessun dio o credere in molti dèi. Vuoi capire meglio questa dottrina con altri esempi? Chi evita la parsimonia e la prodigalità, proprio rifiutando i vizi contrari riesce a realizzare la libertà morale: la libertà consiste infatti proprio nel non restare indifferenti di fronte alle spese smodate ed inutili e nel non mostrarsi gretti nei confronti dei bisogni. Così anche a proposito di tutte le altre cose - per non esaminarle una per una - la ragione riconosce la virtù nel punto di mezzo tra i contrari. Anche la temperanza è un punto di mezzo, e mostra chiaramente le deviazioni verso i vizi opposti: chi non è più forte d'animo, divenendo facile preda della passione edonistica ed allontanandosi quindi dalla strada della vita pura e temperante, scivola verso «le passioni dell'ignominia»; chi invece va al di là della parte praticabile della temperanza e supera il punto intermedio rappresentato dalla virtù, viene trascinato in basso dall'«insegnamento dei demoni» come in un precipizio, «marchiando» la propria coscienza, come dice l'apostolo. Nel momento in cui definisce il matrimonio una cosa abominevole, gl'insulti che lancia contro di esso lo marchiano: se, come dice un passo del Vangelo, l'albero è cattivo, anche il frutto sarà del tutto degno dell'albero. Se l'uomo è il germoglio ed il frutto della pianta del matrimonio, le offese recate a quest'ultimo ricadono tutte su chi le fa.
Costoro, bollati nella coscienza e ricoperti di lividi dall'assurdità della loro dottrina, possono essere confutati con questi argomenti. Noi invece diciamo questo a proposito del matrimonio: anche se la ricerca ed il desiderio delle cose divine devono stare al primo posto, colui che sa fare un uso temperante e misurato del matrimonio non deve disprezzare i servizi che esso può rendere. Così si comportò il patriarca Isacco: non nel fiore della giovinezza, affinché il matrimonio non diventasse un veicolo di passione, ma quando essa si era già consumata, accettò di vivere con Rebecca perché il suo seme fosse benedetto da Dio; assolti i suoi obblighi nei confronti del matrimonio fino al primo parto, tornò a dedicarsi interamente alle cose invisibili chiudendo i sensi corporei; a questo mi sembra che voglia alludere la storia sacra, quando parla della pesantezza degli occhi del patriarca.

VIII. Chi ha l'anima molto divisa difficilmente riesce a raggiungere lo scopo più alto

Ma ammettiamo pure che l'opinione di quelli che sono versati su quest'argomento sia quella giusta; quanto a noi, continuiamo il nostro discorso. Di che cosa parlavamo? Se è possibile, dobbiamo fare in modo da non allontanarci dal desiderio più divino e da non evitare il matrimonio. Nessun ragionamento può cancellare l'economia naturale e calunniare ciò che è prezioso come se fosse una cosa abominevole. Ricorrendo all'esempio che abbiamo su riportato dell'acqua e della fonte, vediamo che un contadino che vuole far venire dell'acqua su di un terreno per irrigarlo, se nel frattempo ha bisogno di una piccola quantità, ne fa scorrere soltanto una quantità proporzionata al bisogno impellente, che poi fa tornare di nuovo in modo appropriato nel suo corso principale; se invece facesse scorrere l'acqua senza criterio e parsimonia, questa, abbandonata la via maestra, correrebbe il rischio di disperdersi tutta per vie oblique nei canali scavati. Allo stesso modo, poiché nella vita gli uomini devono succedersi gli uni agli altri, chi in tale congiuntura si comporta in modo da lasciare il primo posto alle cose spirituali e da soddisfare in misura moderata e contenuta i suoi desideri «perché il tempo stringe», è veramente il saggio coltivatore, «colui che coltiva se stesso nella sapienza», come dice il precetto dell'apostolo: egli non pensa in modo meschino al pagamento dei suoi tristi debiti, ma sceglie d'accordo con la congiunta la purezza per attendere di più alla preghiera, nel timore di diventare, per colpa della passione, tutto carne e sangue, «in cui non rimane lo spirito di Dio». Chi invece è così debole da non potersi opporre virilmente al corso della natura, farebbe meglio a tenersi lontano dal matrimonio piuttosto che cimentarsi in una lotta superiore alle sue forze. C'è infatti il pericolo che, ingannato dal piacere che prova, egli consideri come unico bene quello che si ottiene tramite la carne con la passione, e che, allontanato dalla mente ogni desiderio dei beni incorporei, diventi interamente carnale, e persegua in tutti i modi questo piacere, sì da rendersi «amico più del piacere che di Dio». Poiché a causa della debolezza della natura non tutti possono trovare la giusta misura in queste cose e chi oltrepassa la misura corre il rischio d'imprigionarsi «nel fango profondo», come dice il salmista, sarebbe meglio per lui trascorrere la vita senza fare tali esperienze, così come consiglia il nostro discorso, in modo da evitare che le passioni assalgano la sua anima sotto il pretesto della liceità.
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