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Dialogo: Dall'Unità al molteplice e al ritorno all'Unità -

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2014 15:04
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18/05/2014 21:30
 
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Vedo che hai avuto modo di prendere in considerazione solo la prima parte del mio ultimo post, e che ti trovi in accordo con me (di ciò non posso che essere lieto!): sicuramente nella seconda parte mi addentro in discorsi più complessi in cui cerco di dare una certa concretezza alla mia interpretazione.
Per questo motivo ci tenevo a precisare fin da subito che la mia impostazione di base è che ogni volta che si passa da una situazione più potenziale, più energeticamente carica, più strutturata, ad una in cui viene attualizzata qualche specifica potenzialità a scapito di altre, ovvero, ogni volta che abbiamo un processo di consumo energetico, tipico di ogni forma di agire, l’universo registri inevitabilmente una perdita, un peccato, uno scadimento verso il caos.
L’universo, in sostanza, è stato creato perfetto, pieno di possibilità, da Dio ma poi, a causa del suo essere proiettato spaziotemporalmente (almeno da come noi lo percepiamo) su una materia articolata in molteplici soggetti, queste possibilità finiscono per esaurirsi lasciando solo la storia delle scelte compiute.
Sostengo allora che soltanto la presa di coscienza di questo meccanismo in capo a delle individualità precise può avere in se la capacità di riscattare questa perdita di perfezione, recuperandola in una storicità, in una vita che, aprendosi sul prossimo, possa in qualche modo recuperare l’unità ed annullare la molteplicità, fonte del peccato e del nostro percepire l’universo come in continua perdita di perfezione.
Se la perdita delle potenzialità va di pari passo con la riduzione della molteplicità, proprio in virtù del fatto che ogni vita fa riferimento all’unico Corpo di Cristo e accetta di annullare tutto ciò che non è con esso armonico, allora la perfezione che Dio ha messo nell’universo all’atto della creazione, viene preservata.
Non voglio aggiungere altro, per il momento: spero solo di averti dato qualche spunto per meglio comprendere la seconda parte del mio ultimo post e rimango sempre a disposizione per i chiarimenti che saranno necessari.
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20/05/2014 10:21
 
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Caro Andrea,
riprendo il seguito del tuo post, facendo seguire a qualche paragrafo scritto da te e che metto in corsivo, il mio pensiero.



Il modo in cui ciò possa avvenire è e deve essere libera espressione di ciascuno di noi, libera interpretazione in grado di caratterizzare la nostra individualità. L’azione non deve scaturire dalla conoscenza, dalla presa di coscienza, ma la presa di coscienza dell’elemento spirituale deve darci la vista su una ampia gamma di scelte aventi tutte la stessa capacità di dare forma alle nostre funzionalità, alle nostre potenzialità.

Se vuoi dire che noi abbiamo la capacità e la possibilità di esprimerci e di scegliere liberamente, sono d'accordo. Non penso, come Lutero che il nostro sia un "servo arbitrio", bensì sono convinto del nostro pieno libero arbitrio, che Dio stesso, avendocelo donato, rispetta fino alle estreme conseguenze. Tant'è che proprio perchè ci ha creati veramente liberi e non soggetti a un destino predeterminato, si è dovuto addossare le conseguenze disastrose delle nostre libere scelte, fino al punto di dover mandare sulla terra il proprio Unigenito per riacquistarci la Vita perduta.




La presa di coscienza del potersi muovere in un insieme di alternative comportamentali deve però anche accompagnarsi con la consapevolezza che la scelta di una di queste implica la rinuncia ad un’altra in quanto avrebbe la stessa valenza sostanziale: cambierebbe soltanto la forma che da alle mie funzionalità, ma, in sostanza, sarebbe ripetitiva e, quindi, inutile, tautologica, contraddittoria in un’ottica incrementativa di senso.


La scelta di una vita peccaminosa, però, diverge, dalla scelta di una vita aderente al messaggio evangelico. Quindi non semplicemente un agire ripetitivo e inutile ma totalmente errato e che conduce al baratro, da cui possiamo però essere salvati se accettiamo di invertire la rotta e di essere perdonati dal Signore che ha pagato per i nostri errori.

Mi fermo per mancanza di tempo e riprenderò man mano che mi è possibile compatibilmente con gli impegni. [SM=g7430]
20/05/2014 20:50
 
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Lo so che a prima vista potrebbe sembrare una forzatura, ma quello che penso è che in ogni vita si devono compiere degli atti che hanno fra loro precisi rapporti di equilibrio che mirano a completare la propria individualità a 360 gradi: siccome ogni vita è precisamente individuale e personale, allora sarebbe del tutto inutile ripetere atti che altri hanno fatto nella loro vita per completare la propria individualità, per darle quella completezza che noi possiamo raggiungere solo con una strada del tutto nostra.
Forse la mia preparazione di base (sono laureato in economia) mi fa pendere per identificare "inutile" come "peccaminoso": sta di fatto che, se considero l'energia che Dio ci ha voluto dare come un dono della sua Grazia, ogni spreco, ogni utilizzo inappropriato, non può che considerarsi peccaminoso.
A ben vedere ogni peccato deriva da un uso eccessivo dei doni di Dio, uso che tende a diventare ripetitivo e, quindi, vizioso, e distolgono dalla ricerca della propria vera elezione, dall'individuazione della propria personale ragione d'essere: io non faccio altro che aggiungere che l'insana invidia del prossimo, che porta a tentare di imitarlo pedissequamente, è un'altro aspetto di quella ripetizione che nel vizio è interna alla stessa persona.
Spero di aver agevolato la comprensione del mio pensiero e non di averla ulteriormente complicata: ma se si capisce questo passaggio si potrà anche meglio comprendere cosa intendo per Vita Eterna, ovvero, per ciò che si potrà sperimentare una volta che, grazie all'amore del prossimo e di Dio, si sia raggiunto un punto di osservazione più complessivo, più inglobante, fino a considerare l'intero universo.

Ti ringrazio per la tua pazienza e ti auguro buona notte.
OFFLINE
21/05/2014 09:56
 
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Caro Andrea,
da quanto dici nel tuo ultimo post mi pare di capire che nella tua visione, quello che i cristiani definiscono peccato, sia solo una sorta di temporanea perdita di tempo, in attesa di sicuri tempi migliori in cui si capisce immancabilmente di dover raddrizzare il percorso che prima, secondo te non era opposto alla meta, ma solo ritardata.

Correggimi se ho capito male il tuo pensiero.

Però se così fosse non avremmo una vera libertà ma solo una ineluttabile destinazione forzata, e non avremmo quindi la possibilità di scegliere la nostra meta e neanche potremmo sempre scegliere gli atti che la determinano.
Inoltre non potremmo mai parlare di vero peccato grave che invece viene ricordato nella Scrittura e nell'insegnamento della Chiesa come viene espressamente ricordato in questo art. del catechismo:

1852 La varietà dei peccati è grande. La Scrittura ne dà parecchi elenchi. La lettera ai Gàlati contrappone le opere della carne al frutto dello Spirito: « Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio » (Gal 5,19-21).

La Chiesa precisa anche che per essere grave e quindi soggetto alla esclusione dal Regno eterno, vi devono essere degli elementi di consapevolezza e deliberato consenso ad agire contro Dio e contro la sua Legge, in particolare contro i 10 Comandamenti.
Altri peccati di minore entità non escludono dal Paradiso, ma forse rientrano in quelli che tu consideri come inutili sprechi di risorse.

Se consideriamo però delle cose più abominevoli che gli uomini purtroppo commettono, come consapevoli e deliberati eccidi , ruberie, uccisione dei propri familiari, dissacrazione e atti satanici facendo perfino cose orrende contro la stessa Eucarestia in disprezzo di Cristo e del suo amore; ebbene la stessa Parola di verità mette in guardia con questo avvertimento :

Mat 25,41 : Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.

E insieme a questo avviso chiaro, riccorrono diecine di versetti in cui il Signore prospetta una eternità in cui da certe scelte di peccato senza pentimento, può essere di "pianto e stridor di denti".

Pertanto, pur sapendo che il Signore offre la sua misericordia e la possibilità di invertire la rotta anche a chi lo chiede all'ultimo istante, come il brigante che glie lo chiese sulla croce, non dobbiamo però ignorare che Egli stesso non può negare a chi lo rifiuta e lo disprezza e non accetta di stare con Lui, che si scelga il suo destino.

Per te, se ho capito, prima o poi ognuno andrà in paradiso, a prescindere dai suoi atti, fossero anche i più terribili. Ma la fede non ci illude su questo.
21/05/2014 20:35
 
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Se una persona, un soggetto, non riesce a dare unità e coerenza a tutti gli istanti della propria vita, dimostrandone il loro scaturire armonico dalle proprie potenzialità, a mio avviso, non potrà passare alla vita eterna. Questa coerenza pretende che qualsiasi nostro atto, anche quelli sbagliati, abbiano avuto comunque un inizio riconoscibile come ben intenzionato e siano stati poi sviati dalla retta via per debolezza “perdonabile”.
Paradossalmente, proprio per avere la controprova di essere al punto giusto, occorre arrivare a rispettare la differenza specifica di ciascun altro individuo, riconoscendo nel prossimo se stessi: bisogna riuscire ad arrivare ad amare nel prossimo quello che noi stessi siamo, ovvero, la sua capacità di rappresentare in altra forma individuale quello che noi stessi vogliamo e cerchiamo di essere: Cristo.
Se non si arriva a questo atteggiamento del tutto donativo perché ha riconosciuto nel prossimo lo stesso progetto di raggiungimento dell’armonia divina, non si riesce a mantenere al proprio interno quella stessa armonia e si perde la propria soggettività in eterno: la vita eterna non è quindi un obiettivo alla portata di tutti, ma, bensì, solo per chi avrà saputo compiere quel percorso che ho già descritto nel mio intervento di sabato scorso su cui ti chiedo di tornare, sempre se i tuoi impegni te lo consentiranno.
Non tutta la nostra persona, non tutti i nostri atti, saranno conservati in eterno nella nostra individualità, ma solo quelli che avranno realizzato Cristo in noi stessi: e soltanto per Grazia divina potrebbe essere sufficiente la solidità della nostra Fede per fare in modo che quegli atti siano bastanti a garantirci la vita eterna a scapito di quelli in cui invece ci siamo comportati in modo peccaminoso, eccessivamente egoistico e predatorio nei confronti del prossimo.
Mi rendo conto che il mio linguaggio è un po’ oscuro ma da sempre è stato difficile mantenere un equilibrio fra libero arbitrio e Grazia Divina per arrivare a dare un criterio in grado di salvare o dannare una persona.
Ma la vita eterna, a mio avviso, avrà in qualche modo a che fare con questo atteggiamento compartecipativo del nostro comune sforzo di andare a far parte dell’unico corpo di Cristo seppure in modi differenti.

Ancora un incoraggiamento e tanti cari saluti.
OFFLINE
22/05/2014 13:22
 
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aiutami a capire meglio questi paragrafi che per un migliore chiarimento ho scisso in due parti pur essendo consecutivi:


Se non si arriva a questo atteggiamento del tutto donativo perché ha riconosciuto nel prossimo lo stesso progetto di raggiungimento dell’armonia divina, non si riesce a mantenere al proprio interno quella stessa armonia e si perde la propria soggettività in eterno: la vita eterna non è quindi un obiettivo alla portata di tutti, ma, bensì, solo per chi avrà saputo compiere quel percorso che ho già descritto nel mio intervento di sabato scorso su cui ti chiedo di tornare, sempre se i tuoi impegni te lo consentiranno.



Non tutta la nostra persona, non tutti i nostri atti, saranno conservati in eterno nella nostra individualità, ma solo quelli che avranno realizzato Cristo in noi stessi: e soltanto per Grazia divina potrebbe essere sufficiente la solidità della nostra Fede per fare in modo che quegli atti siano bastanti a garantirci la vita eterna a scapito di quelli in cui invece ci siamo comportati in modo peccaminoso, eccessivamente egoistico e predatorio nei confronti del prossimo.



Vorrei capire se la seconda parte è una precisazione della prima parte, oppure se la seconda parte è indipendente dalla prima.

La prima parte descrive un irreversibile sorte negativa per chi non ha accolto la salvezza, e sembra alludere a quello che comunemente definiamo "inferno".
La seconda parte dice che non tutto della persona che sbaglia viene conservato ma tuttavia vi è una parte che viene salvata perchè aderente al progetto di Cristo.
Se tale paragrafo intende precisare il primo allora viene invalidato il concetto di Inferno, che in tal caso viene annullato.

Se invece questo secondo paragrafo è indipendente dal primo, vi si può riconoscere quanto dice anche Paolo in 1Cor 3,15 "... 1Cor 3,14 Se l'opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l'opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco." Ed è la condizione che comunemente definiamo "purgatorio". In tal caso possiamo concordare su tutto il tuo ultimo post.
22/05/2014 19:30
 
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È il problema dell’armonizzazione del concetto di libero arbitrio con quello della predeterminazione conseguente alla fissità dell’eternità.
In una prospettiva eterna tutti i fotogrammi della nostra e di tutte le altre esistenze sono sempre esistiti e sempre esisteranno: come direbbe anche Severino, nulla si altera dell’essere. Quello che cambia è la possibilità di una individualità che vada a selezionarli ed ad attualizzarli in modo armonico e coerente con Dio.
Solo cogliendoli nella loro armonia, nella loro imitatio Christi, possiamo concretizzare (nel senso di far con-crescere) in noi stessi quell’eternità, facendo della nostra individualità un punto nevralgico in grado di organizzare al meglio quei fotogrammi che comunque sono eterni.
E, per realizzare questo progetto, dobbiamo innanzitutto riconoscere al prossimo la sua complementarietà a noi stessi per la ricostruzione del Corpo di Cristo.
Se posso fare un paragone posso riferirmi alla recita dell’Alleluia nel Canto al Vangelo durante la S.Messa: ogni vocale dell’Alleluia viene alternativamente prolungata nel canto e solo avendolo presente nella sua interezza si riottiene una completa armonia, equidistribuzione dei tempi di canto su tutte le sillabe.
Allo stesso modo ciascuno di noi pone più enfasi su una certa potenzialità, realizzandola in modo più specialistico: questo esalta il progetto di Cristo soltanto se visto nella sua complementarietà con colui che realizza meglio un’altra potenzialità.
Vista in se stessa, isolatamente, ogni vita risulta quindi inevitabilmente disarmonica, sbilanciata su qualche particolarità: soltanto donando il di più creato dalla nostra potenzialità caratteristica a chi ne ha di meno possiamo ripristinare l’armonia e, nello stesso tempo, acquistare una nostra specificità, diventare riferimento unico per una serie di atti che potranno così trovare in noi stessi il punto nevralgico di eternamento.
Quindi: tutti gli atti sono predeterminati, ma spetta a noi (e li risiede il nostro libero arbitrio) conquistare una specificità nel modo di raggrupparli intorno ad una individualità.
Se la radice ultima del nostro agire è Cristo, il bene, allora la nostra Fede è salda e il nostro agire si salverà in eterno in quanto la luce è maggiore dell’ombra. Ma se sia sufficiente un solo atto di pentimento a salvare un’intera vita iscritta nel peccato, questo sta solo alla Grazia di Dio determinarlo, in quanto Lui solo può leggere nel profondo del nostro cuore e riconoscere una coerenza sufficiente.
Solo nutrendoci del Corpo di Cristo possiamo compiere quel salto spirituale che ci metta nella condizione di riprodurre il Corpo di Cristo, mantenendo l’armonia complessiva: realizzando da una parte la nostra natura specifica (col rischio di allontanarci da un equilibrio naturale) e donandola agli altri per ricomporre un’armonia ad un livello più complessivo.
Per questo prima dell’Eucarestia è necessario scambiarsi il segno di pace, ovvero, di apertura al prossimo per disporsi a realizzare (nutriti del Corpo di Cristo che sarà in breve assunto nell’Eucarestia) quella armonia dalla quale la nostra specificità ci aveva allontanato rischiando di chiuderci in un egoismo distorto e nell’agire peccaminoso.
Mi sembra che il mio discorso mantenga una sua coerenza interna, fin dal mio primo post: solo che talvolta, per ristrettezze di tempo, salto subito alle conclusioni e rendo certi passaggi un po’ meno evidenti.

Con il mantenermi a disposizione per altri chiarimenti, ti saluto e ti auguro buona notte.
OFFLINE
23/05/2014 19:44
 
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Se la radice ultima del nostro agire è Cristo, il bene, allora la nostra Fede è salda e il nostro agire si salverà in eterno in quanto la luce è maggiore dell’ombra.



Pur facendo un lungo post, caro Andrea, non sono purtroppo riuscito a trovarci la risposta al mio post precedente e che era la sola che per ora mi interessava sapere. Sul resto, generalmente concordo e magari tornerò su un punto.

Nella tua frase qui riportata, e su cui naturalmente non si può non concordare, vi è il caso di una vita spesa bene nella Fede. Quindi l'epilogo è chiaramente la salvezza eterna.

Ma la mia domanda era un'altra e cioè: se una persona invece si seguire la via del bene, rifiuta risolutamente Cristo con i propri atti perversi, reiterati e gravi e con la scelta consapevole di non voler stare con Lui, fino all'ultimo istante della vita, cosa gli accade, secondo te?

La risposta che la Chiesa e la Scrittura danno riguardo ad una tale rinuncia libera ad essere salvati, è che queste persone vivranno eternamente lontane da Lui e cioè quella condizione che chiamiamo inferno, e che essi hanno voluto, nonostante gli aiuti di grazia sufficienti per salvarsi.
Ora, da tutti i tuoi post, non sono purtroppo riuscito a capire ancora, se, secondo te, esiste un inferno eterno, oppure se tutti prima o poi si salveranno, facendo successivamente un raddrizzamento delle proprie scelte di vita, e tutti gli esseri sarebbero in tal modo reintegrati nell'Essere divino che tutto ricapitolerebbe. Questo mi pare di capire da quanto scrivi, ma non ne sono sicuro perchè usi anche frasi che fanno pensare ad una eterna alienazione da Dio.

Ti chiedo perciò di essere breve in questa specifica risposta chiarendo la mia domanda con un semplice:
1)Secondo me può esistere l'inferno eterno,
2)secondo me non può esistere un inferno eterno, ma solo un temporaneo distacco da Dio in attesa di altri momenti per salvarsi.

Altrimenti continuerò a non capire questo punto che mi interessa per comprendere anche gli altri punti del tuo discorso.
[Modificato da Credente 24/05/2014 10:13]
24/05/2014 10:09
 
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Impossibile essere brevi su questo tema che richiede che sia ben definito cosa sia l'Eternità, cosa l'Inferno ecc.ecc.
Lungi da me l’aver dato l’impressione di voler sfuggire alla domanda che mi poni ora in modo ineludibile.
Mi sembrava chiaro che un soggetto che abbia condotto una vita improntata al peccato, al dissidio e al disprezzo del prossimo non potrà entrare a far parte del Corpo mistico di Cristo: non esisterà quindi in eterno: come potrebbe un’ipotetica mente divina conciliarlo con la memoria di tutti i soggetti che ha danneggiato e su cui ha commesso soprusi?
Se si accetta che comunque ogni nostro atto, anche quello più ispirato al Bene Supremo, in quanto si colloca su un orizzonte spaziotemporale limitato configura sempre e comunque un elemento peccaminoso, ovvero, un utilizzo di energia proveniente dal di fuori di se stessi (entropia sempre crescente), per cui noi, agendo, operiamo comunque una scelta che determina la distruzione di altre alternative, dovrebbe essere chiaro che soltanto proiettando la nostra vita su un orizzonte più ampio, più onnicomprensivo (Corpo di Cristo) possiamo recuperare il punto di vista in grado di redimere i nostri peccati, ponendo in Dio la fonte gratuita di ogni nostro agire.
Solo in Dio sta la fonte della nostra redenzione.
Chi non riesce a riconoscere i propri peccati, ovvero la componente comunque distruttiva presente nella sua vita, chi pensa cioè di essersi comunque comportato bene e di meritare la vita eterna, costui è il più grande dei peccatori!
L’elemento coscienziale risulta quindi centrale: chi opera agendo male rende evidente la sua carenza di coscienza e la sua punizione sarà conseguentemente la perdita della sua soggettività, della sua individualità. La sua unica speranza è quella di potersi riscattare in un Purgatorio che gli consenta di riprendersi la coscienza, Purgatorio che, con le pene inflitte al peccatore, lo costringa a recuperare una visione complessiva, oltre il suo egoismo, che renda evidente che il male non può che essere carenza di essere, mancanza di bene, e, a volte, necessario per riappropriarsi di un concetto più assoluto del Bene, che vada oltre i propri interessi egoistici.
Solo prendendo coscienza di ciò potrà recuperare la visione di un orizzonte spirituale in cui verranno annullate tutte le carenze e tutte le potenzialità saranno conservate in Eterno, nello Spirito Santo, senza essere contraddittorie fra loro.

Per concludere e per rispondere in modo inequivocabile alla tua domanda (altrimenti mi accuserai ancora di essere stato elusivo) posso sostenere che Inferno o Purgatorio per me sono la stessa cosa, ovvero, una vera e propria Grazia di Dio che permetta al soggetto che ha peccato di recuperare una visione equilibrata che non era riuscito ad avere in vita: la durata di questa pena, per quanto tendente all’infinito, non è comunque eterna e dipenderà dal tempo necessario al soggetto per riconoscere i suoi peccati.
La vera condanna eterna, irreversibile, a mio avviso, consiste nella completa perdita della propria individualità, nella perdita di se stessi come punto coscienziale in grado di coordinare in modo ottimale una serie di fotogrammi di vita che proprio dal suo costituirsi come fulcro, come punto di riferimento, recuperano la dimensione di eternità, ovvero, permettono l’accesso alla visione di Dio, alla situazione in cui tutte le potenzialità sono sempre in atto senza perdita alcuna perché l’orizzonte spaziotemporale è totale, onnicomprensivo: non è più un limite.
Ogni atto compiuto da questo soggetto sarà, per la sua distruttività, talmente casuale, accidentale, da non costituire in alcun modo un orizzonte su cui, pur ammettendo l’inevitabile componente entropica, peccaminosa, del proprio agire, si possa rinviare alla costruzione di qualcosa che realizzi il corpo di Cristo.
Per fare ciò basta la presa di coscienza di tendere a Dio, ad una situazione di Bene per tutti: ma, ovviamente, se il comportamento è solo egoistico e distruttivo (mors tua, vita mea), questa presa di coscienza non potrà mai esserci!
La stessa dottrina cattolica ha storicamente mostrato delle incertezze sul concetto di Inferno: teologi come Mancuso potrebbero approfittare di un eccessivo rigorismo dato al concetto di Inferno per condannare la Chiesa di essere troppo intransigente, da cui il comportamento ondivago delle autorità ecclesiali sul tema.
Per questo penso che una pena infernale potrebbe avere durata pari alla durata di tutto l’universo spaziotemporale, ma non andare oltre: lo stesso sapersi afflitti da una pena dovrebbe rassicurare il soggetto colpito che, al termine del tempo, vi è una speranza di recuperare la visione di Dio: ovvero, che comunque nel suo agire vi era una briciola di Bene su cui è possibile lavorare, per prenderne piena coscienza.
Legarsi troppo ai concetti di tempo, di durata della pena, penso sia sempre fuorviante in quanto dobbiamo aver presente che l’orizzonte ultimo deve essere l’Eternità, dove il tempo si annulla.
Un caro saluto e a presto.
OFFLINE
26/05/2014 13:08
 
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per rispondere in modo inequivocabile alla tua domanda (altrimenti mi accuserai ancora di essere stato elusivo) posso sostenere che Inferno o Purgatorio per me sono la stessa cosa, ovvero, una vera e propria Grazia di Dio che permetta al soggetto che ha peccato di recuperare una visione equilibrata che non era riuscito ad avere in vita: la durata di questa pena, per quanto tendente all’infinito, non è comunque eterna e dipenderà dal tempo necessario al soggetto per riconoscere i suoi peccati.



Mi è un pò più chiara la tua idea sul destino dell'umanità in generale.
In pratica sarebbe pressappoco quello che ipotizzava Origene e tale dottrina fu denominata "apocatastasi".
Rispetto la tua idea che contiene in se alcune linee che paiono voler conciliare l'assoluta bontà del Creatore che non potrebbe consentire che qualcuno sia dannato e penalizzato per l'eternità, con la sua giustizia, che permetterebbe comunque una adeguata punizione del reprobo ostinato.

Però vi sono degli ammonimenti da parte di Cristo che non sono da prendere alla leggera, oltre quelle già precedentemente ricordati, come ad esempio:
Mat 12,32 ...; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro.
Cristo presenta una sorte irreversibile per un peccatore di questo genere, cioè che è stato illuminato a sufficienza affin di essere messo in condizione di accettare o rifiutare la salvazza, esattamente come lo furono gli angeli ribelli quando hanno scelto chi seguire.

Ora io credo che l'amore di Dio si possa considerare grandioso perfino in questo caso, cioè nel rispettare a tal punto la libertà che Lui ha donato agli uomini e agli altri esseri angelici, da far loro scegliere il loro destino, vicino o lantani da Lui, senza che Egli "costringa" le sue creature ad aderire presto o tardi a Lui, per forza, volenti o nolenti.
Se avvenisse tale coercizione, sarebbe, non un vero amore ma un obbligo ad accettare ciò che la creatura ha già scelto in piena consapevolezza e senza ombra di dubbio di voler rifiutare, sentendosi meglio nello stare lontano da Dio che non di stare alla sua Presenza.
Quindi l'amore di Dio è fatto salvo più nel rispetto della libertà altrui che non nell'impedire che ognuno realizzi la propria individualità secondo il suo desiderio.

Ad ogni modo è chiaro che noi possiamo addurre altre argomentazioni pro o contro la dottrina dell'apocatastasi.
Quello che mi preme però ricordare è che tale dottrina è stata molto attentamente esaminata dalla Chiesa e a parte l'atteggiamento ondivago, come tu dici, di alcuni teologi del passato o del presente, è stata respinta e ritenuta erronea.

Esaminati quindi tutte le parti scritturali e patristiche che riguardano questa materia, il magistero ufficiale ha sempre ribadito che l'inferno è eterno nel senso che non avrà proprio mai fine, a differenza delle pene temporanee del Purgatorio che invece hanno un limite temporale. Non sto a riportare gli articoli del catechismo che al riguardo sono molto espliciti perchè presumo che tu li conosca bene.

Non voglio insistere più di tanto su questo argomento a meno che tu non voglia approfondire ulteriormente. Mi serviva solo per capire meglio alcuni passaggi del tuo discorso di cui appena possibile riprenderò qualche punto, che ora mi risulta meno oscuro, sapendo che professi la salvezza eterna per tutti.
26/05/2014 22:00
 
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Penso che si tratti solo di intendersi sui termini: se per Inferno si intende una situazione in cui si subisce una punizione, allora ritengo che la stessa non possa che essere finalizzata al far trovare la retta via al peccatore, ovvero, una visione soteriologica della sua vita, in cui riconosca e si penta di tutti i peccati e lasci solo quel pur poco che di bene ha fatto.
Se invece per Inferno si intende il completo oscuramento della vista di Dio (come anche sostenuto da Dante nella Divina Commedia) allora la punizione è effettivamente eterna, nel senso che quella vita attualizzata nello spazio-tempo da un certo soggetto non ha conseguito una sufficiente capacità di dare un senso, una fine, una progettualità costruttiva a se stessa, e, pertanto, non vi sarà spazio per lei nel Regno dei Cieli.
Siamo di fronte ad una vita che ha solo consumato energia senza produrre nulla a maggior gloria del Signore, senza aver lasciato alcun momento in cui si registri un accrescimento dell’ordine complessivo dell’universo.
È come se quella vita non fosse mai stata vissuta: per questo parli, riferendoti alla mia affermazione, di apocatastasi: in effetti è come se io dicessi che un soggetto che non merita la vita Eterna è come se non fosse mai vissuto, per cui, tutti coloro che hanno vissuto in senso proprio, meritano la salvezza.
A mio avviso si apre però un problema nuovo: quegli attimi attualizzati da una vita che non merita la vita Eterna, che fine faranno? Essendo stati fatti hanno la ragion sufficiente per rientrare pure loro nella dimensione eterna che comprende tutto il possibile: in quello che io definisco lo Spirito Santo. Ma in che modo?
La risposta potrebbe essere: potranno e dovranno essere recuperati ed integrati nella vita Eterna di coloro che l’hanno meritata in quanto si sono comportati bene. Ma come? Con il perdono concesso dalle vittime ai loro carnefici, che, a ben vedere, è anche l’unico modo che le vittime hanno per recuperare una dimensione universale alla loro esistenza, una dimensione che vada veramente al di la del loro ego: ecco quindi il ruolo fondamentale della Carità.
Ma questo perdono può derivare solo da un atto di Grazia liberamente concesso da Dio e liberamente accolto dal soggetto che compie il perdono.
È proprio perdonando che il soggetto si acquista la vita Eterna.

Lieto di essere riuscito a fugare qualche dubbio, ti mando i miei saluti.
OFFLINE
27/05/2014 12:12
 
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...Ma questo perdono può derivare solo da un atto di Grazia liberamente concesso da Dio e liberamente accolto dal soggetto che compie il perdono.



Pur ammettendo come valido il tuo discorso che precede la tua conclusione che ho riportato in cornice, resta la questione di fondo, e cioè che la perdizione è conseguente proprio al rifiuto del perdono, fatto in modo pienamente consapevole, perchè illuminato dallo Spirito Santo, dall'uomo che vuole rimanere lontano da Dio, e per tale motivo compie la cosiddetta bestemmia contro lo Spirito Santo, che non può trovare il perdono in quanto è l'uomo a rifiutarlo irreversibilmente.
Siamo quindi al punto cruciale: come potrebbe salvarsi una tale creatura?
Come potrebbero salvarsi i demoni, che nelle stesse condizioni hanno rifiutato Dio, con piena cognizione delle conseguenze prodotte dal loro rifiuto di Lui?
Per i demoni il problema è lo stesso. Anche per loro Origene prevedeva una finale reintegrazione nella grazia. Ma come sarebbe possibile se non forzando coercitivamente la loro libera scelta che essi stessi hanno voluto immodificabile?
Può Dio rispettare la libertà di ognuno se poi non lascia libertà di scelta se stare o meno con Lui?
27/05/2014 21:11
 
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Sono perfettamente d’accordo con te: chi non accetta il perdono non potrà salvarsi: la sua soggettività andrà pertanto persa.
Il mio problema è quello di capire che ne sarà degli attimi di vita di coloro che sono stati malvagi fino in fondo, e che non si sono resi conto dei danni che hanno fatto, o, peggio, che pur essendosene resi conto, non si sono ravveduti. Questo perché rimango dell’idea che nel Regno dei Cieli tutto ciò che è stato attualizzato subirà una scomposizione ed una successiva riaggregazione in modo che si abbia una perfetta corrispondenza con l’armonia divina. Semplicemente, se la vita attualizzata è stata troppo distante dall’armonia divina la disgregazione e successiva riaggregazione sarà talmente radicale da non consentire che il soggetto possa essere riportato nel Regno dei Cieli.

Ma come può avvenire tutto ciò?

Nel caso della parabola del povero Lazzaro e del ricco Epulone la soluzione consiste in un perfetto ribaltamento della situazione che ripristinerà l’equilibrio: ma se la vittima si trasforma in carnefice vorrebbe dire che la posizione di carnefice è quella cui tendere anche nella vita eterna? Non credo proprio!
Ecco che allora mi sento di affermare che, in un qualche modo, la vittima, nel Regno dei Cieli, acquista il potere di assumere su di se gli attimi di vita attualizzati nel mondo reale dal carnefice e può chiedere il perdono per gli stessi. L’aver partecipato a quegli atti in quanto ne ha subito le conseguenze da alla vittima l’autorità per assolverli in modo da dissolverli come atti riferibili ad un soggetto e relegarli a semplici momenti di semplificazione strutturale.
È la soggettività della vittima che può, in sostanza, togliere la malizia dall’atto che ha subito, riportandolo ad un evento naturale e, pertanto, eticamente neutrale: rimane il gesto ma, grazie al perdono, viene annullata la malignità del soggetto che l’ha compiuto che, così, potrà risultare non essere mai esistito come soggetto.
Ma, per fare ciò, per perdonare il proprio carnefice, occorre partecipare di un piano che è già divino, totale, e, pertanto, presuppone che sia già avvenuta nel perdonante l’adozione a figlio di Dio che, però, potrà avvenire solo dopo che avrà compiuto il perdono: questo dello scambio della causa con l’effetto (siamo salvi perché ci siamo comportati bene o ci comportiamo bene perché saremo assolti?) è un classico paradosso che può essere accettato solo sul piano dello Spirito Santo, dell’Eternità, in cui spazio e tempo sono annullati.
Come precisato in altri post, il mio obiettivo rimane quello di conciliare l’idealismo di Severino, che ritengo sia il filosofo che ha cercato di risolvere il problema ontologico posto da Parmenide con il postulare l’eternità di ogni attimo attualizzato in quanto possibile, in quanto tale, con la dottrina cattolica del Regno dei Cieli, della vita eterna: di come questa possa risultare il premio per le soggettività che si siano maggiormente avvicinate già in vita all’armonia divina e che, così, necessitano di minimi mutamenti della loro vita vissuta per trasferirla nel Regno dei Cieli come vita eterna.

Naturalmente è un tentativo, ma che, a mio avviso, può aiutare tutti a migliorarsi per seguire Cristo verso un percorso di redenzione a Dio che, pur arduo, deve sempre essere presente a tutti.

Quindi: non una reintegrazione dei demoni nella grazia divina, come mi riferisci essere sostenuto da Origene, ma, bensì, la dissoluzione della soggettività dei demoni grazie al perdono che le loro vittime hanno portato avanti, trasformandoli in semplici eventi casuali latori di distruzione, come un terremoto o altri eventi naturali.

Un caro saluto e buona notte.
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28/05/2014 17:07
 
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Dai seguenti versetti non si ricava che chi sceglie l'inferno sarà dissolto nel nulla, ma che resta cosciente per l'eternità:

MT.25.30 IL SERVO FANNULLONE GETTATELO NELLE TENEBRE: LA’ SARA’ PIANTO E STRIDORE DI DENTI.
MT.25.41 …IL RE DIRA’ LORO:…VIA LONTANO DA ME, MALEDETTI NEL FUOCO ETERNO, PREPARATO PER IL DIAVOLO…
LU.6.25 GUAI A VOI CHE ORA RIDETE PERCHE’ FARETE CORDOGLIO E PIANGERETE.
EB.10.28-31 …DI QUANTO PIU’ SEVERA PUNIZIONE…/ E’ PAUROSO CADERE NELLE MANI DEL DIO VIVENTE.
MATT.26,24 SAREBBE STATO MEGLIO PER LUI (GIUDA) NON ESSERE MAI NATO…
AP.14.9-11 CHIUNQUE ADORA LA BESTIA SARA’ TORMENTATO CON FUOCO E ZOLFO…PER I SECOLI DEI SECOLI…

Perciò sia l'insegnamento cattolico che quello della maggioranza delle confessioni cristiane afferma al riguardo di coloro che avranno rifiutato risolutamente la Grazia, che l'essere creato non si annulla e resta individualmente separato da Dio, proprio in quanto non ha accettato di diventare un suo figlio adottivo, ma di rimanere creatura orgogliosamente indipendente da Lui, simile a tutti i demoni con i quali condividerà la sorte scelta.


Forse non riesci a concepire che delle persone possano avere una tale sorte perche dici:

... rimango dell’idea che nel Regno dei Cieli tutto ciò che è stato attualizzato subirà una scomposizione ed una successiva riaggregazione in modo che si abbia una perfetta corrispondenza con l’armonia divina.


Noi crediamo che il creato e le creature non sono emanazioni della sostanza divina, come accennavo in precedenza. Perciò le creature (uomini o angeli ) possono anche rimanere indipendenti e in opposizione a Dio, il quale ne rispetta realmente sempre la loro libertà che resta tale fino alle estreme conseguenze.
[Modificato da Credente 28/05/2014 17:21]
28/05/2014 19:24
 
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Tutto ciò che esiste nell’universo prima o poi è destinato ad annullarsi.
Il suo ruolo è di dare attualizzazione ad una delle infinite potenzialità dell’essere: dando attualizzazione ad una di esse ne esclude tutte le altre, che allora avranno bisogno di un nuovo inizio per avere espressione.
In questo consiste il peccato: nell’impedire un numero di attualizzazioni eccessivo, dando morte prematura ad elementi del creato. Scelte che portano a soffocare un numero eccessivo di possibilità impedendone l’attualizzazione sono scelte peccaminose, da condannare perché portano troppo rapidamente alla fine dell’universo impedendone la piena realizzazione.
Il peccato, in sostanza, va contro l’esigenza conoscitiva che Dio ha riposto nell’universo, incaricato, appunto di dare atto ad una delle sue infinite potenze.
Per fare in modo che il Creato rispondesse a questa necessità conoscitiva è scaturito il molteplice: ogni elemento del molteplice tende allora ad affermare se stesso a scapito degli altri elementi. Solo nel movimento armonico (ispirato dall’amore) fra diverse parti del molteplice è possibile ripristinare l’unità: se, viceversa, una parte del molteplice tende eccessivamente al proprio personale interesse allora rischia di soffocare le legittime aspirazioni di altre parti e commette un peccato impedendo che si realizzi la piena necessità conoscitiva riposta nell’universo creato. Il nulla sarà prima o poi raggiunto ma dovrà esserlo nel modo più naturale possibile rispettando le priorità di ciascuno e dopo che tutta l’energia potenziale sarà stata trasferita ed utilizzata nel massimo numero di vite che possano dare atto al massimo numero di potenzialità.
La pena per chi non rispetta questa legge è la mancata visione di Dio, dell’unità, dello Spirito Santo riconciliato con l’universo creato grazie all’amore fra le parti del molteplice.
Penso che le tinte fosche da te citate di diversi passi dell’antico e anche del nuovo Testamento debbano essere interpretate in senso anagogico piuttosto che letterale. La pena peggiore per un soggetto penso che sia costituita dalla perdita della visione di se stesso come ordinato e conciliato a Dio in tutto il suo vissuto attualizzato.
Ammettere una realtà separata da Dio ed eterna, seppure sottoposta a pene infernali, equivale a mettere in dubbio l’onnipotenza dello Spirito Santo.
Fuori da Dio non può che esserci il nulla, almeno sub specie aeternitatis: prima della fine dei tempi, invece, una tale punizione può ancora avere un senso, ma solo a fini di correzione del reo, al fine di depurarlo del male commesso per agevolare il rientro del sia pur poco di bene che era in lui, in Dio.
Devi scusare la mia ripetitività, ma su questo punto mi è difficile cedere: la pena infernale potrebbe anche durare per un tempo infinito ma non eterno, in quanto la dimensione dell’eternità va oltre il tempo è qualcosa di diverso. Prima di ogni universo il tempo stesso non esisteva e non esisterà più dopo la sua fine.

Un caro saluto
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29/05/2014 13:21
 
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Penso che le tinte fosche da te citate di diversi passi dell’antico e anche del nuovo Testamento debbano essere interpretate in senso anagogico piuttosto che letterale. La pena peggiore per un soggetto penso che sia costituita dalla perdita della visione di se stesso come ordinato e conciliato a Dio in tutto il suo vissuto attualizzato.
Ammettere una realtà separata da Dio ed eterna, seppure sottoposta a pene infernali, equivale a mettere in dubbio l’onnipotenza dello Spirito Santo.



L'onnipotenza dello Spirito Santo, terza Persona della Trinità, può fare ciò che vuole, ed Egli vuole il rispetto della libertà degli uomini ed angeli creati. Non fa ciò che non vuole e cioè la forzatura contro la loro volontà .

Siccome stiamo trattando di questione che oltrepassa l'esperienza terrena e riguarda ciò che non possiamo ancora verificare, personalmente mi affido all'autorità sia della Scrittura che di chi è autorizzato alla sua corretta interpretazione e cioè del Magistero che in questo caso ha definito l'argomento.
Pertanto le tue argomentazioni, per quanto rispettabili, non recano fonti autorevoli a sostegno, che abbiano la stessa autorità a cui faccio riferimento.
Mi pare perciò che possiamo ritenere concluso il punto in questione. Cercherò qualche altro punto appena possibile.
30/05/2014 19:05
 
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Sono d’accordo con te nel ritenere chiuso l’argomento.
Vorrei solo puntualizzare alcune questioni per me rilevanti.
Innanzitutto ogni azione, essendo irreversibile, costituisce, a mio parere, un peccato in quanto configura comunque un consumo di un’energia che poteva essere utilizzata per infiniti altri scopi.
Questa è per me la base del peccato originario: siccome siamo proiettati su un universo spaziotemporale costituito da una molteplicità di enti, ciascuno di essi tenterà di utilizzare l’energia dell’universo a suo uso e consumo anche a costo di privare un altro ente di questa energia, causandone la morte prematura.
Essere coscienti di ciò è il primo passo che deve portare, come secondo movimento, a riconoscere nell’azione a favore del prossimo l’unica modalità di utilizzo energetico che sia maggiormente conservativa, che configuri un recupero nel prossimo dell’energia utilizzata da noi: a tendere si arriverà ad una trasmissione di energia in grado di coinvolgere l’intero universo cosicché nulla andrà mai perso, ma tutto viene mantenuto all’interno dell’unico corpo di Cristo. È quello che intendo quando dico che si deve tendere ad una situazione in cui input ed output tendono a coincidere: mangiamo il corpo di Cristo per mantenere il corpo di Cristo.
Possiamo osservare come già all’interno del nostro organismo avvenga una trasmissione efficiente dell’energia assunta dall’esterno e conservata fino al momento opportuno dell’azione in grado di gratificare in modo proporzionale tutte le nostre funzionalità corporee, senza sbilanciamenti viziosi verso una piuttosto che verso l’altra, cosa che porterebbe alla malattia e alla morte precoce.
Quindi:
l’azione è peccato; l’unico modo per minimizzarlo è destinare la nostra azione al prossimo, con amore e spirito di sacrificio; prendere coscienza di questo è il passaggio spirituale che ci fa entrare nel Regno dei Cieli, già in vita; ogni azione che non scaturisce da questa presa di coscienza distrugge piuttosto che unificare, e non impedisce sul piano spirituale quel movimento verso il nulla che è implicito in ogni azione compiuta nell’universo fisico.
Dov’è in tutto ciò la libertà?
Non è certo nel non riconoscere questo movimento: se si sceglie la distruzione, si sceglie il nulla, ci si chiude la porta verso la Redenzione nell’unico Corpo di Cristo che permette la Vita Eterna.
Si intenda bene: il nulla è comunque necessario per una ripartenza di un nuovo universo: quando il nostro universo fisico si sarà ridotto a nulla si arriverà di nuovo ad una situazione in cui tutto torna ad essere possibile in quanto nulla è attualizzato.
L’unica libertà è quella del modo di realizzare Cristo in Terra.
L’azione più malvagia va verso il nulla come l’azione più ispirata da buoni propositi: solo che la prima rende molto più difficile, per il soggetto che la compie, individuare quella circolarità in grado di recuperare l’energia dispersa: chiude inesorabilmente la sua coscienza, gli toglie la Speranza già in partenza. Chiude su se stesso l’orizzonte e gli impedisce di sperare in una Vita Eterna in cui sia facilmente rintracciabile il suo contributo all’attualizzazione di tutte le possibilità di Cristo.
In sintesi, allora, l’unica libertà che abbiamo è una libertà di coscienza: vogliamo o no riconoscere di essere parte del Corpo unico di Cristo? Il comportamento ne consegue, ed un comportamento egoistico, chiuso su se stesso, si preclude ogni possibilità di vita eterna, si preclude la visione di Dio, la possibilità di esserne un modo, indeterminabile a priori eppure determinato a posteriori dal proprio vissuto.

Spero di non sembrare troppo insistente: mi sembra che queste considerazioni vadano comunque oltre il tema della mera dannazione eterna e mi sforzavo, con esse, di riallargare il tema al Corpo di Cristo come pietra di scarto che può e deve diventare pietra d’angolo in una prospettiva di vita eterna.

Un caro saluto.
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30/05/2014 19:17
 
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è lunga? [SM=g7423]
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31/05/2014 17:56
 
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Quindi:
l’azione è peccato; l’unico modo per minimizzarlo è destinare la nostra azione al prossimo, con amore e spirito di sacrificio;



Qualunque azione sarebbe peccato? Anche il mangiare, il lavarsi, fare una passeggiata...?



il nulla è comunque necessario per una ripartenza di un nuovo universo: quando il nostro universo fisico si sarà ridotto a nulla si arriverà di nuovo ad una situazione in cui tutto torna ad essere possibile in quanto nulla è attualizzato.
L’unica libertà è quella del modo di realizzare Cristo in Terra.
L’azione più malvagia va verso il nulla come l’azione più ispirata da buoni propositi



Cosa ti fa essere convinto che dopo questo universo ve ne sarà un'altro per una nuova ripartenza? Non ne trovo traccia nè nella Rivelazione nè negli insegnamenti della Chiesa.
Sono congetture? Di chi?
E cosa ti rende convinto che vadano verso il nulla tanto le azioni malvagie che quelle buone?

Secondo le nostre convinzioni di fede ogni azione viene considerata e pesata dal Signore; basti leggere queste sue parole:
Mat 10,42 E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
Luca 6,38 date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio».


31/05/2014 19:54
 
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Si tratta in effetti del frutto di mie personali elaborazioni del pensiero di E.Severino (che per certi aspetti è stato preso in seria considerazione anche da teologi cattolici).
Se ogni possibilità, anche la più remota, deve avere la sua attualizzazione nel tempo in quanto in Dio atto e potenza devono coincidere (su questo aspetto di veda S.Tommaso, o anche l’argomento ontologico di S.Anselmo), allora ne discendono tre conseguenze:
1) Ogni attualizzazione, ogni azione, comunque ne impedisce altre, e questo è comunque un peccato, perché qualche potenzialità di Dio non viene raggiunta, viene persa: solo Dio può giudicare della bontà di ciò che viene fatto e della malvagità di ciò che non viene fatto. Io parlo solo di un peccato di massima, di un vizio originario che colpisce il nostro agire
2) Se certe attualizzazioni non possono più verificarsi nel nostro universo, siccome tutte devono aver luogo in quanto atto e potenza in Dio coincidono, allora occorrerà tutto un altro universo per realizzarle: solo un’infinità di universi potrà assicurare la coincidenza di tutta la potenza con tutti gli atti
3) Il bene consiste nel minimizzare il numero di possibilità che annulliamo con ogni azione: se cessassi di respirare, ovviamente, farei un’azione che comprometterebbe tutte le azioni che potrei fare in vita, buone o cattive che siano, per cui, anche se il mio respirare consuma ossigeno che viene potenzialmente tolto alle future generazioni, configurando un peccato, tuttavia rimane un bene perché si colpiscono eventi futuri improbabili e si favoriscono eventi presenti probabili (la mia vita)
Mi aspetto che, nella situazione umana, dove si assiste ad una distorsiva concentrazione di risorse, sia facile che molti siano privati del necessario per esprimere le loro piene potenzialità, per cui un’agire donativo fatto con buon senso dovrebbe essere il più idoneo a conservare le potenzialità del nostro universo e a far emergere la nostra soggettività come in linea con le aspettative di Dio che vuole che ogni sua creatura metta a pieno frutto le sue potenzialità: si pensi alla parabola dei talenti.

Penso che se ciascuno di noi, a fine giornata, si fa un esame di coscienza, troverà che sono più le possibilità che il suo agire egoistico ha bloccato di quelle che ha favorito come sviluppo delle sue proprie funzionalità.

Per concludere, ricordando che oggi si festeggia l’Ascensione di Cristo, penso che per conquistare questa Ascensione anche per noi dobbiamo lavorare in modo da elevarci dal nostro punto di vista individuale per prendere coscienza che solo come Corpo di Cristo tutte le potenzialità potranno essere favorite al meglio.

Sul tema molto ha scritto padre Orlando Todisco, frate francescano, cui rinvio per approfondimenti.

Ringraziando per la vostra pazienza, vi auguro buona notte.
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03/06/2014 15:43
 
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Si tratta in effetti del frutto di mie personali elaborazioni del pensiero di E.Severino (che per certi aspetti è stato preso in seria considerazione anche da teologi cattolici).



Mi pare fondamentale, quando si affrontano questioni che vanno oltre il misurabile umanamente, e che toccano il nostro essere e il nostro futuro remoto, che ci si debba fondare su basi credibili. Per me la base principale in tal senso non può che venire che dalla fonte stessa da cui abbiamo l'essere e cioè la Parola rivelata, affidata agli apostoli e da questi ai diretti e legittimi successori.
Per quanto rispettabile pensatore, Emanuele Severino, da quanto ho letto di lui, incontra non solo lo sfavore della maggioranza degli altri filosofi, ma anche, cosa ben più importante, un insanabile divergenza di posizioni dottrinali rispetto al Magistero. Questo fatto non è di poco conto, e dovrebbe quantomeno suonare come allarme.


Se ogni possibilità, anche la più remota, deve avere la sua attualizzazione nel tempo in quanto in Dio atto e potenza devono coincidere (su questo aspetto di veda S.Tommaso, o anche l’argomento ontologico di S.Anselmo), allora ne discendono tre conseguenze:



S.Tommaso dice che in IN DIO atto e potenza coincidono, ma non mi risulta che affermi che atto e potenza devono coincidere nelle sue creature. Per s.Tommaso, come per tutta la Chiesa, le cose e le creature NON SONO DIO, ma cose o esseri CREATI DAL NULLA, non generati dalla Sua sostanza.
Io credo che sia questo il vizio di fondo delle argomentazioni che hai portato avanti finora.
Se si parte dal principio che noi siamo particelle divine che devono fare le loro esperienze, allora potrebbe essere ipoteticamente valido quello che tu immagini come consequenziali del principio impropriamente attinto da s.Tommaso;
ma noi non siamo parti di Dio; pertanto ecco perchè possiamo esprimere una volontà che si oppone a Lui .
Il peccato pertanto è solo quell'atto che dimostra una ribellione alla sua Legge, esplicitata primariamente nei comandamenti, e non certamente, come tu addirittura ipotizzi, nel respirare o nel fare o usare cose del tutto normali e non proibite in nessun punto della RIvelazione.

Ora quindi, possiamo approfondire tali questioni solo se le nostre ipotesi sono compatibili con i dati certi professati ed insegnati dalla Chiesa, se vogliamo rendere proficuo il nostro dialogo.


[Modificato da Credente 04/06/2014 09:31]
05/06/2014 19:03
 
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Condivido la tua posizione: le creature non sono Dio.
Non lo sono fintantoché sono concepite come materia in movimento nello spazio-tempo.
Il movimento, come hanno dimostrato i presocratici, è contraddizione e la contraddizione nega l’essere unico. Dio non può essere contradditorio: io aggiungo che la contraddizione è alla base del peccato, dell’allontanamento da Dio.

Da questa constatazione nasce la posizione di Severino che predica come essere e, quindi, come eterno, ogni istante possibile immaginabile preso in se stesso: ogni fotogramma del movimento.
Così egli pensa di salvare l’univocità e la coerenza dell’essere: isolando ogni suo frammento.
Ma così si perde la visione complessiva che sta alla base del comportamento etico.
Io allora mi sono interrogato proprio su come si possa configurare l’appartenenza del fotogramma all’unità complessiva.

Se Dio, invece di permanere nella sua perfezione monadica, ha permesso il molteplice, il movimento e la corruzione degli enti, allora il motivo deve risiedere in una maggiore efficienza logica del molteplice nel suo ruolo di dare atto a tutte le potenzialità che risiedono in Dio.

Deve allora esistere un limite entro il quale l’organizzazione di una pluralità di enti in una struttura ordinata che assegni ad ognuno la sua funzionalità autonoma ma anche complementare con quelle degli altri è un bene, ovvero, riesce ad aggiungere un senso che ogni istante, preso in se stesso, non riusciva a dare, a rendere.

Ecco allora che l’uomo ha la capacità di prendere coscienza di questo meccanismo in cui la sua vita, formata da funzionalità ripetitive ma coordinate, gli consente l’accesso ad una potenzialità superiore alle potenzialità delle singole parti e che lo abilita a fare delle scelte libere.
Se queste scelte vanno verso un’apertura all’esterno, verso un confronto positivo, produttivo, con il prossimo, allora tenderanno a riprodurre la monade unitaria, l’ente parmenideo, ad un livello più alto, trascendentale: l’uomo compirà, con quella scelta donativa, un atto in grado di farlo ascendere a Dio nel momento stesso in cui dona la sua potenzialità specifica agli altri.
Se invece egli rimarrà concentrato sul puro sfruttamento dell’energia esterna per dare alimento alle proprie funzionalità interne, allora non riuscirà a trascenderle, e la sua vita rimarrà un aggregato di istanti che possono essere bensì eterni, ma anche presi isolatamente, per se stessi, e non nella sua individualità complessiva, nel suo essere soggetto libero.

L’accusa di nichilismo che Severino rivolge ai cattolici, pertanto, cade: egli sostiene che la Chiesa, avallando una visione che concepisce la nostra fenomenologia come un uscire dal niente per tornare al niente, ci prospetta un mondo popolato di apparenze, dove l’essere è sempre altrove, un mondo sostanziato dal nulla.
Io sostengo, con lui, che ogni aspetto del mondo è eterno, atto eterno coincidente con la potenza eterna di Dio, e che noi possiamo partecipare a questa eternità come noi stessi, come individualità, se riusciamo, grazie ad un comportamento donativo, aperto al prossimo, a scegliere la via del bene, dell’incremento di senso complessivo apportato dal nostro comportamento, dal nostro essere organizzati come organismi viventi.

Se non agiamo così perdiamo il senso di unitarietà della nostra vita e, quindi, non vi è più un motivo perché essa debba essere conservata in eterno, come potenza in grado di creare senso.

Si tratta, spero di averlo chiarito, di un passaggio eminentemente spirituale, di presa di coscienza: con questo passaggio noi diventiamo a pieno titolo figli di Dio, figli adottivi in quanto dobbiamo dimostrarlo con la nostra condotta di vita: su questo punto avevamo già concordato tempo addietro.

Spero, con questa mia, di aver fugato ogni dubbio e di aver dato trasparenza al modo con cui intendo salvare certe concezioni “provocatorie” di Severino con una visione che voglia rimanere cattolica della vita e della sua possibilità di diventare eterna in Cristo e nello Spirito Santo.

Un caro saluto.
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07/06/2014 18:00
 
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le creature non sono Dio.
Non lo sono fintantoché sono concepite come materia in movimento nello spazio-tempo.



Praticamente vuoi dire che gli esseri nella loro parte materiale non sono Dio ma nella loro parte spirituale sono Dio?
Dici infatti più avanti:


Se Dio, invece di permanere nella sua perfezione monadica, ha permesso il molteplice, il movimento e la corruzione degli enti, allora il motivo deve risiedere in una maggiore efficienza logica del molteplice nel suo ruolo di dare atto a tutte le potenzialità che risiedono in Dio.



Mi pare chiaro che per te, tutte le potenzialità che risiedono IN DIO troverebbero maggiore efficienza attraverso il molteplice, e cioè attraverso il creato.
Ma noi cattolici professiamo che Dio è già completo in se stesso e non ha bisogno di altre aggiunte, mutamenti, miglioramenti, esperienze di sorta. Altrimenti sarebbe un Dio in divenire e non l'Assoluto e immutabile, quale Egli ci si presenta nella Rivelazione.

Penso che sia appunto questo il punto di divergenza che avevo notato e che, pur con frasi articolate in modo differente, continui a confermare.

Certo non contesto il punto di arrivo a cui pervieni, e cioè che in ultima analisi tutti noi siamo chiamati ad amare il prossimo per camminare verso il vero traguardo della vita.
Su questo non possono esserci dubbi, ma il punto in questione non è di poco conto perchè è un punto di partenza da cui possono discendere tante concezioni errate nella dottrina generale.


[Modificato da Credente 07/06/2014 19:07]
09/06/2014 10:59
 
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Il problema fondamentale, a mio avviso, consiste nel tuo attribuire eccessiva importanza alle dimensioni spaziotemporali in cui ci troviamo collocati: per me si tratta solo di apparenze, come le ombre della caverna di Platone.
Il momento spirituale ci sposta dalle categorie spaziotemporali e ci fa partecipi della dimensione divina in modo immediato.
Non vi è alternanza fra corpo in movimento nello spazio-tempo e momento spirituale: quest’ultimo è un momento di trascendenza in cui noi prendiamo coscienza di noi stessi come parte del disegno complessivo di Dio, come modo di realizzazione dell’armonia divina che possiamo ritrovare sia nell’equilibrio fra le particelle subatomiche che formano la materia, sia nella nostra individualità.
Solo che, per la prima volta nella storia, l’uomo riesce a prendere coscienza di questa appartenenza allo Spirito, ha la capacità di aderire, liberamente, al disegno di Dio.
E quale sarebbe questo disegno?
È quello di riempire tutto l’universo, anzi, tutti gli universi possibili, della sua armonia, in modo che sia sempre affermata, in ogni atto, in ogni istante, la sua presenza.
L’armonia è sempre presente: si tratta di prenderne coscienza e di farsi latori della stessa.

La divisione dell’unità divina in molteplici enti che si muovono nello spazio-tempo deriva dalla nostra insufficienza intellettuale a comprendere Dio nella sua pienezza spirituale e monadica. È un problema soggettivo tutto nostro: non si tocca la perfezione di Dio che è sempre realizzata: siamo noi che, per i vincoli di natura logica che ci caratterizzano, dobbiamo vedere le potenzialità di Dio in questo modo.
Questo problema ci fa percepire allora noi stessi come immersi nel peccato, nella lotta di tutti contro tutti, ma ci fa capire che solo tendendo all’unità, amando il prossimo come noi stessi, noi potremo recuperare la visione diretta di Dio nello Spirito Santo.
Solo recuperando la visione di un unico Corpo, il Corpo di Cristo, è possibile superare la divisione fra momento della produzione e momento del consumo, ovvero, fra il momento in cui creiamo l’ordine e il momento in cui lo distruggiamo per assorbirne le energie in esso stratificate, cristallizzate: identità di input ed output nel momento Eucaristico.
La scissione fra questi due momenti è il portato dell’essere molteplici anziché monadici, dell’essere corpi proiettati sullo spazio-tempo anziché fermi nella sfera dello Spirito Santo.
Ecco che allora l’atteggiamento donativo può ben essere considerato il modo più diretto per ascendere allo Spirito Santo, per tendere a quella unità che è la premessa della beatitudine, della vita eterna, consistente nel riconoscerci come unico Corpo in Cristo, al punto che si identificano i momenti della produzione e del consumo, tanto che vedremo sempre la stessa armonia, solo, declinata in modi diversi.
La bontà divina è ovunque: si tratta di compiere, in libertà, l’atto di presa di coscienza con cui noi riconosciamo la nostra individualità unica, storica, irripetibile, come sede di quella bontà. È un atto che ci responsabilizza in eterno, poiché, per quante infinite vite quasi completamente identiche alla nostra sono nella potenza divina per dar vita a tutte le possibilità, questa vita che noi viviamo appartiene solo a noi e non possiamo sperare che qualcun altro, quasi del tutto simile a me, in un altro universo faccia l’atto giusto che mi salva: quell’atto salverà solo lui che non sono più io per quanto infima sia la differenza fra la sua vita complessiva e la mia.

Spero, con quest’ultima affermazione, di non aver creato motivi di perplessità: per me si tratta del punto di raccordo fra visione cattolica e posizione di Severino: in uno Spirito Santo che prescinde dal tempo tutti gli atti sono compresenti eternamente (in un modo per noi uomini non comprensibile, illogico), ma è sicuro che noi potremo partecipare dello Spirito Santo solo con gli atti compiuti nella nostra vita, i nostri personali atti che ci identificano in modo specifico, eterni se prescindiamo dal tempo che, nello Spirito Santo, semplicemente non esiste.
Illusorio è il nostro essere proiettati sullo spazio tempo, in un corpo in movimento: come possa configurarsi questa individualità nello Spirito Santo, io non posso dirlo, posso, anche ispirandomi al messaggio Evangelico, solo dare delle indicazioni di massima, cosa che spero di aver fatto nei miei post.

Sperando, con questa mia, di aver fugato in te dubbi di eresia nei miei riguardi, ti porgo i miei saluti e l’augurio di una Pentecoste ispirata.
OFFLINE
11/06/2014 15:29
 
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La parte iniziale del tuo ultimo post dice che sono troppo preso dalla dimensione spazio temporale in cui siamo immersi.
La nostra fede ci dice che l'anima di ogni uomo che viene al mondo è creata da Dio quando avviene il concepimento e quindi all'interno dello spazio tempo, fornita di un corpo anch'esso immerso nello spazio tempo, che sono stati già creati . Prima, nessun'anima umana preesisteva al tempo che ha avuto un certo inizio.
Mentre solo il Logos, in principio già ERA. Ed in Lui e per Lui tutto è venuto all'esistenza, niente escluso, neppure il tempo quindi. (cf Gv 1,3)
Questo apprendiamo dal Vangelo e ci viene conservato e spiegato dalla Chiesa.

Non è quindi possibile prescindere da questo spazio tempo, da parte nostra che abbiamo avuto un certo inizio proprio in esso, pur essendo proiettati verso l'eternità che è fuori del tempo.
Abbiamo avuto un inizio, noi che prima eravamo nulla, anche se a Dio erano note le nostre vite che Egli non aveva ancora create.

Quindi se nella prima parte vuoi dire che la nostra realtà spirituale era già IN DIO prima della creazione del tempo e del mondo, non mi trovi d'accordo.
Questa idea la ritrovo in queste tue parole:

La divisione dell’unità divina in molteplici enti che si muovono nello spazio-tempo deriva dalla nostra insufficienza intellettuale a comprendere Dio nella sua pienezza spirituale e monadica.



Dio è indivisibile ed immutabile nel suo Essere. Come puoi dire che invece Egli si sia diviso in molteplici esseri? E' appunto quello che avevo già notato in precedenza. Secondo la tua visione noi saremmo parti di Lui.
Anche se con altri argomenti, ancora più elaborati dei precedenti, la sostanza però non è cambiata, almeno mi pare.
E se tale è la tua convinzione, purtroppo non collima con la fede cattolica, nonostante sia molto apprezzabile l'idea di amore del prossimo che comunque resta ben presente nel tuo discorso e su cui certamente concordo.

11/06/2014 19:11
 
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Però non devi fraintendere la mia frase che tu stesso hai citato: io dico che è la nostra insufficienza intellettuale che ci porta a non vedere Dio nella sua pienezza spirituale e monadica ma a vedere una divisione in molteplici enti che si muovono nello spazio-tempo.

La base della logica umana è il principio di non-contraddizione: lo stesso ente non può trovarsi nello stesso istante in due posti diversi e lo stesso posto non può essere occupato nello stesso istante da due enti diversi.
Questo ci porta a produrre un universo spazio-temporale che risolva queste contraddizioni. Ma, come conseguenza, abbiamo la nascita del molteplice, del potenzialmente contraddittorio.
La nostra insufficienza intellettuale ci porta allora a vedere un universo di enti finiti: devono infatti finire perché la loro identità è solo temporanea, risponde ad una esigenza intellettuale che poi cessa una volta che sia stato dato atto ad una certa possibilità.
Solo il salto spirituale verso il trascendente ci permette di recuperare un’unità che potrà essere nello spazio tempo con il corpo di Cristo che tende a coinvolgere ogni grammo dell’universo e nell’insieme delle potenzialità (Spirito Santo) come struttura armonica identica a Dio.

Solo così il finito diventa eterno prendendo coscienza della sua corretta collocazione all’interno del Corpo di Cristo e dello Spirito Santo.

Per prendere coscienza di se stessi nel primo occorre perseguire un comportamento donativo nei confronti del prossimo, visto come complementare a noi nel formare il Corpo di Cristo (bene).
Per prendere coscienza di se stessi nel secondo occorre cercare al proprio interno un’armonia che possa condensare in ogni atto cmpiuto tutte le potenzialità contenute nelle proprie funzionalità (bello).

Per concludere: l’universo come lo vediamo è frutto della nostra insufficienza intellettuale a comprendere Dio nella sua unità. Per questo motivo noi ci vediamo circondati da essere finiti, da morte e distruzione. Quando, grazie al comportamento donativo e nello stesso tempo stoico riusciremo ad azzerare l’entropia percepita nell’universo, allora potremo dire di vedere l’universo sub specie aeternitatis, ovvero, avremo posto le premesse logiche per un trascendimento in Dio in grado di abolire le barriere spaziotemporali: e questo già da subito, senza aspettare la morte terrena.
In questo senso possiamo considerarci già risorti in Cristo. E, per chi è già risorto, la morte si è dimostrata come inefficace e non dovrà quindi temerla.

Quello che puoi casomai contestarmi è di attribuire scarso valore al concetto di creazione: la nostra insufficienza intellettuale ci fa pensare alla necessità della creazione affinché qualcosa che tu stesso dici essere già noto a Dio, le nostre vite, possa avere atto da potenziale che era.
Il creazionismo era proprio il motivo per cui Severino aveva tacciato il cattolicesimo di essere nichilista: creare significa tirare fuori dal nulla e ciò implica anche il ritorno al nulla.
Se tutto ciò che si realizza era già noto a Dio, perché allora si realizza? E in questo mi aiuta Orlando Todisco e la sua concezione teologica di stampo francescano: per dar modo a ciascuno di noi, nella sua individualità specifica, di apprezzarne la bontà e la bellezza se avrà saputo percorrere la via indicataci da Cristo, della redenzione a Dio Padre.
Ecco allora che la creazione pur essendo un atto dovuto, perché tutto avrà atto, cionondimeno si configura come un atto di generosità di Dio nei confronti di ogni nostra singola individualità colta in se stessa se avrà saputo mantenere l’unità della visione in Dio e, in tale visione, essersi riconosciuta come beata.

Scusami, avrei voluto essere stato più sintetico, ma spero che la mia insistenza su certi concetti possa essere idonea a chiarirli.
Un saluto.
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13/06/2014 16:11
 
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io dico che è la nostra insufficienza intellettuale che ci porta a non vedere Dio nella sua pienezza spirituale e monadica ma a vedere una divisione in molteplici enti che si muovono nello spazio-tempo.



Questa tua spiegazione non risolve lo stesso la questione. Mi suona pressappoco nel seguente modo: tutto l'esistente, non sarebbe che una nostra errata percezione dovuta alla incapacità di considerare che tutto è Dio.
E' questo in sostanza quello che capisco dalla tua affermazione. E quindi secondo il tuo pensiero non non siamo parti di Dio, ma Dio stesso.

Aggiungi anche che:

La base della logica umana è il principio di non-contraddizione: lo stesso ente non può trovarsi nello stesso istante in due posti diversi e lo stesso posto non può essere occupato nello stesso istante da due enti diversi.
Questo ci porta a produrre un universo spazio-temporale che risolva queste contraddizioni. Ma, come conseguenza, abbiamo la nascita del molteplice, del potenzialmente contraddittorio.



Da quanto dici mi sembra di capire che secondo te siamo noi che produciamo, a causa della nostra insufficienza intellettuale, un universo spazio temporale con la conseguente nascita di tutto ciò che percepiamo e che appare contradditorio, confermando con questo che tutta la nostra percezione non è che illusione.

Se ho interpretato correttamente le tue nuove spiegazioni, significa che per te non vi è stata nessuna creazione perchè tutto è già completo in quanto Dio, e quindi non vi è nulla da creare ex novo.
Dici infatti:

Quello che puoi casomai contestarmi è di attribuire scarso valore al concetto di creazione: la nostra insufficienza intellettuale ci fa pensare alla necessità della creazione affinché qualcosa che tu stesso dici essere già noto a Dio, le nostre vite, possa avere atto da potenziale che era.
Il creazionismo era proprio il motivo per cui Severino aveva tacciato il cattolicesimo di essere nichilista: creare significa tirare fuori dal nulla e ciò implica anche il ritorno al nulla.



Un artista può avere nella sua mente ciò che poi realizza nel suo quadro o nella sua scultura. Dio conosce perfettamente ciò che realizza; questo di per se non dovrebbe essere strano.
Non comprendo però perchè, per Severino, e forse anche per te, qualcosa che viene creata da Dio dal nulla debba poi necessariamente ritornare nel nulla. Dipende dalla volontà di Dio se mantenere in essere, qualcuno o qualcosa, dopo averlo creato, coerentemente con la sua misericordia e la sua giustizia.
Non capisco in base a quale principio, dovrebbe essere automatico un ritorno al nulla di qualcuno che abbia avuto un certo inizio. E quindi non capisco l'accusa di nichilismo che Severino fa alla Chiesa.
In ogni caso dalla Rivelazione apprendiamo che la parte spirituale degli esseri creati, non saranno mai distrutti, neanche quelli che non avranno accettato la salvezza.
Concludendo quindi, sono convinto che la nostra percezione dell'esistente e del molteplice, sia non illusoria ma la effettiva constatazione della realtà CREATA, ben distinta da Dio, e la mia convinzione risulta anche confortata dalla Scrittura e dall'insegnamento bimillenario della Chiesa, che su questi argomenti è stata sempre chiara, nei suoi documenti magisteriali.

Mi limito a queste considerazioni, solo per puntualizzare ciò che la nostra fede ci fa conoscere. Se ho interpretato bene il tuo pensiero, penso a questo punto che le nostre posizioni siano purtroppo molto distanti.

[Modificato da Credente 13/06/2014 16:48]
13/06/2014 20:51
 
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Cercherò di essere il più possibile sintetico.

In Dio atto e potenza coincidono: quindi non puoi dire che Dio prima concepisce qualcosa, come un artista, e poi la realizza, la crea, perché è già da sempre in Lui col Suo solo concepirla. Suddividere concepimento della possibilità dalla sua realizzazione pratica è errato quando si parla di Dio, è un voler vedere Dio come un qualsiasi altro uomo.

Noi non abbiamo questa fortuna, ma abbiamo la capacità di ritrovare il bene nella vita che ci troviamo ad interpretare: la compresenza in Dio di ogni possibilità ci lascia liberi di scegliere di essere, per quanto ci riguarda, promotori di una vita che sia all’insegna del riconoscimento del disegno di conservazione di tutte le possibilità, in noi stessi e negli altri, con un atteggiamento che sia insieme donativo e stoico.

Se la nostra Fede ci assicura dell’eternità della nostra vita, questa eternità dovrà configurarsi come un mantenimento, una conservazione delle nostre potenzialità in eterno: ma ciò potrà realizzarsi soltanto se esiste in ogni cosa, in ogni vita, una struttura in grado di farci vedere ogni trasformazione come mantenimento della stessa perfezione divina in soggetti sempre diversi.

Se siamo in grado di vedere questa struttura armonica nella nostra vita, per Fede ed aiutandoci con la Speranza e la Carità, allora potremo superare i nostri limiti intellettuali e rientrare in Dio grazie all’amore, alla tensione verso la redenzione in Dio Padre.

In sostanza io credo che l’amore del prossimo possa farci superare i limiti posti dal nostro intelletto (principio di non contraddizione) e farci compiere quel ritorno in Dio altrimenti impossibile con gli strumenti logici.

L’etica, la religione, che supera la logica nel recupero della visione eterna di Dio.

A me non sembra che le nostre posizioni siano così distanti: basta semplicemente concepire che le due visioni, quella logica dell’universo creato e quella solo apparentemente illogica dell’eternità di ogni atto coincidente con la potenza in Dio possano coesistere senza che per forza debbano influenzarsi l’una con l’altra.
Questa idea dei due piani è, a mio avviso, l’unica visione che possa dare concretezza alla promessa della vita eterna.

Un saluto
OFFLINE
14/06/2014 19:26
 
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In Dio atto e potenza coincidono: quindi non puoi dire che Dio prima concepisce qualcosa, come un artista, e poi la realizza, la crea, perché è già da sempre in Lui col Suo solo concepirla. Suddividere concepimento della possibilità dalla sua realizzazione pratica è errato quando si parla di Dio, è un voler vedere Dio come un qualsiasi altro uomo.




Caro Andrea,
il nostro dialogo sta diventando sempre più filosofico e per me è sempre più arduo seguire i tuoi ragionamenti. Mi occorrerebbe avere ben altre cognizioni nella materia specifica per poter affrontare gli argomenti che stiamo trattando.

Tuttavia, ho cercato per quanto ho potuto, di riportare il discorso sul piano di quello che la fede ci propone a credere come certezze.
Mi preme quindi ripresentare le proposizioni tratte dal catechismo in modo che siano di supporto alle convinzioni che ti ho espresso in precedenza, e che dovrebbero essere le convinzioni di ogni cattolico.
Inoltre ti riporto qualche testo desunto dalla Summa di s.Tommaso che spero possa essere di aiuto a comprendere la posizione cattolica riguardo alla questione da te sollevata.
Non avendo comunque la padronanza della materia mi sarebbe difficile per l'avanti, offrire contributi validi per dipanare eventuali ulteriori obiezioni, perchè per trattare questi argomenti senza dire sciocchezze occorre conoscere bene come stanno le cose.



IV. Il mistero della creazione

Dio crea con sapienza e amore

295 Noi crediamo che il mondo è stato creato da Dio secondo la sua sapienza [Cf Sap 9,9 ]. Non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso. Noi crediamo che il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà: “Tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono” ( Ap 4,11 ). “Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza” ( Sal 104,24 ). “Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature” ( Sal 145,9 ).


Dio crea “dal nulla”

296 Noi crediamo che Dio, per creare, non ha bisogno di nulla di preesistente né di alcun aiuto [Cf Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3022]. La creazione non è neppure una emanazione necessaria della sostanza divina [Cf ibid., 3023-3024]. Dio crea liberamente “dal nulla”: [Concilio Lateranense IV: Denz. -Schönm., 800; Concilio Vaticano I: ibid. , 3025]

Che vi sarebbe di straordinario se Dio avesse tratto il mondo da una materia preesistente? Un artigiano umano, quando gli si dà un materiale, ne fa tutto ciò che vuole. Invece la potenza di Dio si manifesta precisamente in questo, che egli parte dal nulla per fare tutto ciò che vuole [San Teofilo d'Antiochia, Ad Autolycum, 2, 4: PG 6, 1052].


297 La fede nella creazione “dal nulla” è attestata nella Scrittura come una verità piena di promessa e di speranza. Così la madre dei sette figli li incoraggia al martirio:

Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore del mondo, che ha plasmato all'origine l'uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come voi ora per le sue leggi non vi curate di voi stessi. . . Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l'origine del genere umano ( 2Mac 7,22-23; 2Mac 7,28 ).






Dalla questione 45 della Summa
La creazione è una mutazione soltanto se considerata nel nostro modo d'intendere. E in realtà il concetto di mutazione implica che una stessa cosa si trovi a un certo momento in condizioni diverse da quelle di prima: infatti talora non si tratta che di un identico essere attuale il quale viene a trovarsi successivamente in condizioni diverse, come nelle mutazioni di quantità, di qualità e di luogo; altre volte invece l'essere identico è solo potenziale, come nelle mutazioni sostanziali, soggetto delle quali è la materia. Ma nella creazione, per mezzo della quale si produce l'intera sostanza dell'essere, non è possibile determinare qualche cosa che a un dato momento possa trovarsi in condizioni diverse da quelle di prima, altro che per gioco della nostra intelligenza; come se uno supponesse che una data cosa, prima non esistente affatto, venga all'esistenza in un secondo momento. Ma poiché azione e passione s'identificano nell'unica realtà del moto o mutazione, e differiscono soltanto per le opposte relazioni, come dice Aristotele, se togliamo il moto non troveremo nel creatore e nella creatura altro che relazioni diverse. - Ma poiché il modo di esprimersi segue il modo d'intendere, come già si disse, la creazione noi la esprimiamo alla maniera delle mutazioni, e per questo si dice che creare è fare qualche cosa dal nulla. Però in questo caso fare ed esser fatto son termini più appropriati che mutare ed esser mutato: perché fare e venir fatto esprimono direttamente la relazione della causa al suo effetto, e dell'effetto alla causa, e solo indirettamente implicano l'idea di mutazione.
3. Per quanto viene prodotto senza (le fasi successive del) moto, venir fatto ed essere già fatto sono tutt'uno: sia che la produzione si presenti quale termine di un moto, come l'illuminazione (difatti un oggetto è subito illuminato nello stesso istante che viene illuminato); sia che non si presenti come termine di un moto, così, p. es., un verbo mentale nell'istante che si forma è già formato. E in tali casi ciò che viene fatto, (semplicemente) è: ma quando si dice che vien fatto si vuol dire solo che deriva da altri, e che prima non esisteva. Quindi siccome la creazione avviene senza moto, una cosa nel medesimo istante che viene creata è già creata.

dalla questione 46
6. La prima causa efficiente è una causa dotata di volontà. E sebbene abbia avuto dall'eternità il proposito di produrre un dato effetto, tuttavia non produsse un effetto eterno. E non è necessario presupporre una mutazione, neppure per una rappresentazione immaginaria del tempo. Infatti un conto è parlare di un agente particolare il quale presuppone qualche cosa mentre ne causa un'altra; e un conto è parlare di un agente universale che produce ogni cosa. Così l'agente particolare produce la forma e presuppone la materia: perciò è necessario che imprima la nuova forma ben proporzionata alla corrispettiva materia. È quindi giusto osservare a suo riguardo che imprime la forma in tale materia e non in un'altra, per la differenza tra materia e materia. Ma non è ragionevole fare questa considerazione riguardo a Dio, il quale produce insieme materia e forma: si osserva piuttosto con ragione che egli stesso produsse la materia adatta alla forma e al fine. - Ora, la causa agente particolare presuppone il tempo come presuppone la materia. Perciò è giusto far notare a suo riguardo che essa agisce o dopo o prima, nella successione immaginaria del tempo. Ma per la causa universale che produce le cose e il tempo non ha senso domandarsi se agisce ora e non prima in base a una rappresentazione immaginaria del tempo, come se il tempo fosse un presupposto della sua azione: bisogna piuttosto far notare qui che questa causa ha stabilito il tempo ai suoi effetti come ha voluto, secondo che era più conveniente per mostrare la propria potenza. Infatti il mondo porta alla cognizione della potenza creatrice di Dio in maniera più evidente, se non è sempre esistito, che se fosse sempre esistito: poiché è evidente che un essere, il quale non sempre è esistito, ha una causa; la cosa invece non è così patente per un essere che è sempre esistito.
7. Nel tempo si trova il prima e il dopo alla stessa maniera che si trova nel moto, come afferma Aristotele. Perciò inizio e termine valgono per il tempo come per il moto. Supposta dunque l'eternità del moto, è necessario che ogni determinato momento del moto sia principio e termine di moto: il che non ne viene necessariamente se il moto ha inizio. E la stessa ragione vale per l'istante del tempo. E così è dimostrato che quell'argomento, dell'istante attuale che sarebbe sempre inizio e termine di tempo, presuppone l'eternità del tempo e del moto. Perciò Aristotele porta questa ragione contro coloro i quali, pur ammettendo l'eternità del tempo, negano l'eternità del moto.
8. Dio è prima del mondo quanto alla durata. Ma qui il termine prima non indica priorità di tempo, bensì di eternità. - Oppure si può rispondere che designa un'eternità di tempo non reale ma immaginario. Come quando si dice: sopra il cielo non c'è nulla, quel sopra indica soltanto uno spazio immaginario, nel senso che è possibile immaginare come aggiunte alle dimensioni dei corpi celesti altre dimensioni.
9. L'effetto, come segue dalla causa agente di ordine fisico secondo la di lei forma (o natura), così deriva da un agente dotato di volontà secondo la forma da questo premeditata e definita, come altrove si è spiegato. Sebbene dunque Dio sia stato da tutta l'eternità causa efficace del mondo, tuttavia non è necessario ammettere che il mondo da lui sia stato prodotto altrimenti che per una determinazione della divina volontà; cioè in modo che avesse l'esistenza dopo la sua inesistenza, così da manifestare più chiaramente il suo autore.

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Per quanto riguarda la distanza tra le nostre rispettive posizioni penso che essere convinti di essere Dio stesso ed essere convinti di essere delle semplici creature siano distanze molto forti.
Dal canto mio preferisco la posizione della Chiesa che ritengo essere illuminata dallo Spirito Santo e depositaria della verità, anche se personalmente non ho le competenze per capire tutto e per riuscire a far capire.
15/06/2014 11:31
 
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Quelle che mi hai proposto a difesa del credo cattolico sono affermazioni dogmatiche (anche di S. Tommaso) riguardo a concezioni di fisica, prettamente aristoteliche.
E, pur scontando secoli di ritardo rispetto alla fisica attuale, tuttavia si esordisce dicendo: la creazione è una mutazione soltanto se considerata nel nostro modo di intendere. Seguono poi considerazioni sul concetto di materia. Alla fine si conclude che, siccome la creazione avviene senza moto, una cosa, nel medesimo istante che viene creata è già creata, si delinea un universo dal quale l’atto della creazione vero e proprio è escluso, almeno come atto collocato nel tempo: in altri punti si dice anche che Dio, creando l’universo, ha creato anche il tempo.

Ma cosa può essere poi questa materia proiettata spaziotemporalmente che nasce con l’atto creativo e che è potenzialmente ogni cosa, basta che assuma la forma corretta?
Si dice infatti che è proprio la materia che è stata specificatamente creata da Dio (assieme allo spazio/tempo che ne delinea un limite).

Consideriamo inoltre che la fisica moderna sostiene che: “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”: I principio della termodinamica.
Ecco allora che, a mio avviso, il discorso deve essere spostato dal piano fisico a quello metafisico per capire cosa sia questa materia quando essa è ancora potenzialmente tutte le cose, tutte le situazioni.
Questa materia non può che essere in Dio, sotto qualche forma: è ciò che io ho chiamato lo Spirito Santo, ovvero, l’insieme di tutte le potenzialità, anche quelle fra loro contraddittorie.
La proiezione non-contraddittoria di ciascuna di queste potenzialità avviene in universi spaziotemporali dotati di materia in movimento.

Da un punto di vista cosmologico vediamo che alla fine dei tempi la dispersione delle particelle costituenti la materia sarà tale che, ovunque ci voltassimo, troveremo sempre la stessa particella elementarissima. Troveremo l’uno, la monade fisica non ulteriormente divisibile.
A quel punto lo spaziotempo non ha più nessuna rilevanza e può sparire anch’esso.

Ma dov’è finito tutto l’universo? Nella sequenza storica che ha attualizzato in modo non contraddittorio in quanto una delle infinite potenzialità già in Dio: ovvero, è tornato ad essere potenzialità di Dio da dove, di fatto non si è mai mossa (il tempo essendo solo una caratteristica del nostro universo: si veda il discorso di prima riguardo l’atto di creazione che non ha una configurazione temporale), solo che adesso la potremmo chiamare “memoria” perché, in un certo senso, per noi, è stata attualizzata, mentre prima si collocava nel futuro possibile.

Quando io sostengo che tutto l’universo viene divinizzato e che pertanto anche noi possiamo diventare parte di Dio, lo sostengo sempre dicendo anche che dobbiamo puntare a farci interpreti della bontà (amore verso il prossimo) e bellezza (perfetta atarassia, raggiunta grazie ad una struttura funzionale e coerente costruita nel tempo) divina per poterci arrogare questa “divinizzazione”.
Come già detto altre volte, è un processo di adozione che culmina con la divinizzazione, grazie alla quale le nostre vite diventano i fulcri sulla base dei quali Dio stesso può operare la memorizzazione di questo universo in modo più efficace, con il minimo dispendio di energia e la massima espressione di senso: per questo ci sceglie, perché noi abbiamo già scelto Lui.
In questo senso possiamo attingere alla vita eterna: in quanto rendiamo la nostra vita già eterna perché siamo riusciti a mantenere ferma la rotta verso Dio, verso il bene ed il bello, nonostante tutti gli ostacoli che si sono frapposti, anzi, talvolta proprio grazie ad essi.

Ma questo è un discorso meta-fisico se non, addirittura, teologico. La sfera teologica va tenuta distinta da quella fisica, che, correttamente, anche in Aristotele, aveva il suo ambito delimitato, nel quale non rientrava l’atto della creazione.

La Creazione, quindi, esiste, ma è un atto fuori dal tempo, e, come tale,”fisicamente” inesistente.

Non mi sembra che siano necessarie particolari competenze teoretiche per apprezzare che i due piani, quello fisico e quello metafisico o teologico, vanno tenuti distinti: proprio da questa distinzione la stessa Chiesa Cattolica può trarre la forza per una sua affermazione veramente cattolica, universale.

Ti auguro una buona domenica e ti saluto.
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