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Dialogo: Dall'Unità al molteplice e al ritorno all'Unità -

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2014 15:04
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11/06/2014 19:11
 
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Però non devi fraintendere la mia frase che tu stesso hai citato: io dico che è la nostra insufficienza intellettuale che ci porta a non vedere Dio nella sua pienezza spirituale e monadica ma a vedere una divisione in molteplici enti che si muovono nello spazio-tempo.

La base della logica umana è il principio di non-contraddizione: lo stesso ente non può trovarsi nello stesso istante in due posti diversi e lo stesso posto non può essere occupato nello stesso istante da due enti diversi.
Questo ci porta a produrre un universo spazio-temporale che risolva queste contraddizioni. Ma, come conseguenza, abbiamo la nascita del molteplice, del potenzialmente contraddittorio.
La nostra insufficienza intellettuale ci porta allora a vedere un universo di enti finiti: devono infatti finire perché la loro identità è solo temporanea, risponde ad una esigenza intellettuale che poi cessa una volta che sia stato dato atto ad una certa possibilità.
Solo il salto spirituale verso il trascendente ci permette di recuperare un’unità che potrà essere nello spazio tempo con il corpo di Cristo che tende a coinvolgere ogni grammo dell’universo e nell’insieme delle potenzialità (Spirito Santo) come struttura armonica identica a Dio.

Solo così il finito diventa eterno prendendo coscienza della sua corretta collocazione all’interno del Corpo di Cristo e dello Spirito Santo.

Per prendere coscienza di se stessi nel primo occorre perseguire un comportamento donativo nei confronti del prossimo, visto come complementare a noi nel formare il Corpo di Cristo (bene).
Per prendere coscienza di se stessi nel secondo occorre cercare al proprio interno un’armonia che possa condensare in ogni atto cmpiuto tutte le potenzialità contenute nelle proprie funzionalità (bello).

Per concludere: l’universo come lo vediamo è frutto della nostra insufficienza intellettuale a comprendere Dio nella sua unità. Per questo motivo noi ci vediamo circondati da essere finiti, da morte e distruzione. Quando, grazie al comportamento donativo e nello stesso tempo stoico riusciremo ad azzerare l’entropia percepita nell’universo, allora potremo dire di vedere l’universo sub specie aeternitatis, ovvero, avremo posto le premesse logiche per un trascendimento in Dio in grado di abolire le barriere spaziotemporali: e questo già da subito, senza aspettare la morte terrena.
In questo senso possiamo considerarci già risorti in Cristo. E, per chi è già risorto, la morte si è dimostrata come inefficace e non dovrà quindi temerla.

Quello che puoi casomai contestarmi è di attribuire scarso valore al concetto di creazione: la nostra insufficienza intellettuale ci fa pensare alla necessità della creazione affinché qualcosa che tu stesso dici essere già noto a Dio, le nostre vite, possa avere atto da potenziale che era.
Il creazionismo era proprio il motivo per cui Severino aveva tacciato il cattolicesimo di essere nichilista: creare significa tirare fuori dal nulla e ciò implica anche il ritorno al nulla.
Se tutto ciò che si realizza era già noto a Dio, perché allora si realizza? E in questo mi aiuta Orlando Todisco e la sua concezione teologica di stampo francescano: per dar modo a ciascuno di noi, nella sua individualità specifica, di apprezzarne la bontà e la bellezza se avrà saputo percorrere la via indicataci da Cristo, della redenzione a Dio Padre.
Ecco allora che la creazione pur essendo un atto dovuto, perché tutto avrà atto, cionondimeno si configura come un atto di generosità di Dio nei confronti di ogni nostra singola individualità colta in se stessa se avrà saputo mantenere l’unità della visione in Dio e, in tale visione, essersi riconosciuta come beata.

Scusami, avrei voluto essere stato più sintetico, ma spero che la mia insistenza su certi concetti possa essere idonea a chiarirli.
Un saluto.
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