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Dialogo: Dall'Unità al molteplice e al ritorno all'Unità -

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2014 15:04
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24/05/2014 10:09
 
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Impossibile essere brevi su questo tema che richiede che sia ben definito cosa sia l'Eternità, cosa l'Inferno ecc.ecc.
Lungi da me l’aver dato l’impressione di voler sfuggire alla domanda che mi poni ora in modo ineludibile.
Mi sembrava chiaro che un soggetto che abbia condotto una vita improntata al peccato, al dissidio e al disprezzo del prossimo non potrà entrare a far parte del Corpo mistico di Cristo: non esisterà quindi in eterno: come potrebbe un’ipotetica mente divina conciliarlo con la memoria di tutti i soggetti che ha danneggiato e su cui ha commesso soprusi?
Se si accetta che comunque ogni nostro atto, anche quello più ispirato al Bene Supremo, in quanto si colloca su un orizzonte spaziotemporale limitato configura sempre e comunque un elemento peccaminoso, ovvero, un utilizzo di energia proveniente dal di fuori di se stessi (entropia sempre crescente), per cui noi, agendo, operiamo comunque una scelta che determina la distruzione di altre alternative, dovrebbe essere chiaro che soltanto proiettando la nostra vita su un orizzonte più ampio, più onnicomprensivo (Corpo di Cristo) possiamo recuperare il punto di vista in grado di redimere i nostri peccati, ponendo in Dio la fonte gratuita di ogni nostro agire.
Solo in Dio sta la fonte della nostra redenzione.
Chi non riesce a riconoscere i propri peccati, ovvero la componente comunque distruttiva presente nella sua vita, chi pensa cioè di essersi comunque comportato bene e di meritare la vita eterna, costui è il più grande dei peccatori!
L’elemento coscienziale risulta quindi centrale: chi opera agendo male rende evidente la sua carenza di coscienza e la sua punizione sarà conseguentemente la perdita della sua soggettività, della sua individualità. La sua unica speranza è quella di potersi riscattare in un Purgatorio che gli consenta di riprendersi la coscienza, Purgatorio che, con le pene inflitte al peccatore, lo costringa a recuperare una visione complessiva, oltre il suo egoismo, che renda evidente che il male non può che essere carenza di essere, mancanza di bene, e, a volte, necessario per riappropriarsi di un concetto più assoluto del Bene, che vada oltre i propri interessi egoistici.
Solo prendendo coscienza di ciò potrà recuperare la visione di un orizzonte spirituale in cui verranno annullate tutte le carenze e tutte le potenzialità saranno conservate in Eterno, nello Spirito Santo, senza essere contraddittorie fra loro.

Per concludere e per rispondere in modo inequivocabile alla tua domanda (altrimenti mi accuserai ancora di essere stato elusivo) posso sostenere che Inferno o Purgatorio per me sono la stessa cosa, ovvero, una vera e propria Grazia di Dio che permetta al soggetto che ha peccato di recuperare una visione equilibrata che non era riuscito ad avere in vita: la durata di questa pena, per quanto tendente all’infinito, non è comunque eterna e dipenderà dal tempo necessario al soggetto per riconoscere i suoi peccati.
La vera condanna eterna, irreversibile, a mio avviso, consiste nella completa perdita della propria individualità, nella perdita di se stessi come punto coscienziale in grado di coordinare in modo ottimale una serie di fotogrammi di vita che proprio dal suo costituirsi come fulcro, come punto di riferimento, recuperano la dimensione di eternità, ovvero, permettono l’accesso alla visione di Dio, alla situazione in cui tutte le potenzialità sono sempre in atto senza perdita alcuna perché l’orizzonte spaziotemporale è totale, onnicomprensivo: non è più un limite.
Ogni atto compiuto da questo soggetto sarà, per la sua distruttività, talmente casuale, accidentale, da non costituire in alcun modo un orizzonte su cui, pur ammettendo l’inevitabile componente entropica, peccaminosa, del proprio agire, si possa rinviare alla costruzione di qualcosa che realizzi il corpo di Cristo.
Per fare ciò basta la presa di coscienza di tendere a Dio, ad una situazione di Bene per tutti: ma, ovviamente, se il comportamento è solo egoistico e distruttivo (mors tua, vita mea), questa presa di coscienza non potrà mai esserci!
La stessa dottrina cattolica ha storicamente mostrato delle incertezze sul concetto di Inferno: teologi come Mancuso potrebbero approfittare di un eccessivo rigorismo dato al concetto di Inferno per condannare la Chiesa di essere troppo intransigente, da cui il comportamento ondivago delle autorità ecclesiali sul tema.
Per questo penso che una pena infernale potrebbe avere durata pari alla durata di tutto l’universo spaziotemporale, ma non andare oltre: lo stesso sapersi afflitti da una pena dovrebbe rassicurare il soggetto colpito che, al termine del tempo, vi è una speranza di recuperare la visione di Dio: ovvero, che comunque nel suo agire vi era una briciola di Bene su cui è possibile lavorare, per prenderne piena coscienza.
Legarsi troppo ai concetti di tempo, di durata della pena, penso sia sempre fuorviante in quanto dobbiamo aver presente che l’orizzonte ultimo deve essere l’Eternità, dove il tempo si annulla.
Un caro saluto e a presto.
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