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Dialogo: Dall'Unità al molteplice e al ritorno all'Unità -

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2014 15:04
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05/05/2014 22:42
 
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Credo che a ciascuno di noi sia assegnato dall’eternità un ruolo preciso, un ruolo che permetta di dare pieno corso al ripristino dell’armonia divina in una struttura corporea dotata di precise funzionalità.
Sono proprio le funzionalità, nel loro sovrapporsi ed alternarsi per dare una soluzione ai problemi di tutti i giorni, a caratterizzare la nostra individualità, il nostro carattere specifico.
Il nostro compito nella vita è allora quello di riconoscerle, di capire la loro armonia, e di arrivare al punto di essere perfettamente pronti ad ogni evenienza: per sottolineare la mia posizione di perfetta simmetria antitetica con Nietzsche, contrapporrei alla sua volontà di potenza la mia nolontà d’atto.
Questa situazione di atarassia, di beatitudine, è però un obiettivo che può essere raggiunto soltanto donando se stessi al prossimo, soltanto prendendo coscienza di ciò che abbiamo in più rispetto al necessario e donandolo agli altri, ma non per averne un riconoscimento da parte degli altri (si ricordi come Gesù stesso è sempre attento che non si diffonda la notizia delle sue opere di bontà verso il prossimo) ma semplicemente perché se ne ha troppo, e questo eccesso potrebbe alterare la propria armonia interiore, potrebbe legarci eccessivamente a qualcosa di esterno a noi e che non potrà rimanere con noi in eterno.
Alla fine del nostro percorso, dopo che avremo levato tutto il di più, arriveremo alla perfetta armonia che è in Dio e, partendo da essa, riconoscendo la sua profonda necessità, evocheremo per contrappunto tutto ciò che si muove liberamente all’interno di quella schematismo perfetto e sempre uguale a se stesso: la parte indeterminata, libera di Dio a cui noi spetta di dare una forma.
La creatività si misura quindi nella nostra capacità di donare agli altri grazie all’ottimizzazione nel gestire le nostre risorse: e questo si può raggiungere solo avvicinandoci alla perfezione di Dio, nella sequela di Cristo.
Spero, con queste mie ulteriori precisazioni, di aver dato maggiore concretezza al mio discorso: i condizionamenti sociali, ambientali, di cui parli sono proprio ciò da cui dobbiamo dimostrare di emanciparci per essere liberi di interpretare Cristo in ogni situazione: e, concordo con te, sicuramente la Chiesa può darci delle indicazioni concrete in tal senso: non con rigide precettistiche, ma, bensì, allenandoci ad un sentire rituale, sempre più distaccato dal proprio se e sempre più proiettato verso gli altri.
Nel merito trovo che sia molto illuminante il testo di Mario Perniola sul Sentire Cattolico, di cui consiglio la lettura. Ma anche Elettra Stimilli, dell’università di Salerno, nel suo testo su Ascesi e Capitalismo – Il debito del vivente, insiste su questa focalizzazione, presente nel cattolicesimo, su un finalismo senza scopo, ovvero, senza un beneficiario preciso, ma rivolto semplicemente al perfezionamento in se stesso del vivente: questo proprio per avvicinarlo sempre di più ad una fonte di armonia e perfezione divina.

Sempre a disposizione per ulteriori approfondimento, mando una buona notte a tutti.
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