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Dialogo: Dall'Unità al molteplice e al ritorno all'Unità -

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2014 15:04
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03/05/2014 14:59
 
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Ti ringrazio per le tue preziose osservazioni.
È importante per me vedere se gli argomenti che tratto riescono ad essere compresi e in che maniera lo sono.
Iniziamo con il primo problema: la nascita del molteplice da Dio. La mia posizione è che dobbiamo considerare l’universo che ci circonda come un modo che ha Dio di manifestare se stesso: ancora meglio: di conoscere se stesso in tutte le sue infinite possibilità. Siccome però molte possibilità sono incompatibili fra loro allora è nato l’universo fisico formato da una massa decentrata su molteplici unità in movimento nello spazio tempo.
A mio avviso, infatti, il molteplice massimizza il numero di possibilità attualizzabili.
Questo problema conoscitivo diventa però un problema etico in quanto ogni unità prima o poi finisce per contrapporsi ad ogni altra nel compito di occupare spazio nel tempo. Da un punto di vista meramente fisico si tratta infatti di occupare ogni spazio nel tempo da parte di una materia che si è frantumata in mille pezzi ognuno in competizione con l’altro.
Questo conflitto dalla fisica si riproduce nella vita: la mia affermazione potrebbe sembrare eccessiva, provocatoria: riportare ogni possibile conflitto fra persone al conflitto delle particelle di materia nell’occupare lo spazio!
Eppure se consideriamo l’evoluzione dell’universo, che ha finito per produrre la vita, possiamo pensare che la materia abbia finalmente trovato nella vita umana un nuovo modo per risolvere quell’esigenza primordiale di occupare spazio nel tempo in modo non contraddittorio e che sia sempre in grado di aggiungere elementi di novità.
Solo nella vita umana si ha una presa di coscienza piena del nostro compito, che è quello di dare vita a sempre nuove modalità di attualizzazione delle possibilità divine.
Questa presa di consapevolezza porta a vedere il prossimo come se stessi, impegnato nella stessa tensione verso Dio. E ciò permette di vedere in lui il fine ultimo, che è Dio.
Ed ecco allora che l’uomo rappresenta la prima esistenza materiale in grado di conquistarsi una vita eterna, in grado di ritagliarsi consapevolmente la sua specificità in questo percorso proprio perché ha presente l’obiettivo finale, ne ha preso coscienza. Il molteplice ha esaurito la sua spinta, la sua capacità di produrre originalità ed emerge in tutta la sua improduttività e tautologicità: molto più efficiente diventa coordinarsi con gli altri per riprodurre al proprio interno l’armonia divina.
Solo dopo la presa di coscienza della natura conoscitiva del peccato originario che deriva dal prolificarsi del molteplice e solo dopo aver ammesso il proprio allontanamento da Dio è possibile lavorare per tornare a Dio. E, questo lavoro, consiste, paradossalmente, nel rafforzare la propria individualità donandosi agli altri, ovvero: nell’accettare che se sacrifico qualcosa che ho in più per donarla al prossimo che invece ne è carente ottengo di migliorare l’armonia del prossimo che è anche la mia armonia: posso in un certo senso proiettarmi nel prossimo ed avere la garanzia che quel sacrificio, proprio perché ha riprodotto l’armonia divina in un altro punto dell’universo, sarà unico ed eterno.
L’eternità deriva dalla non-contraddittorietà dell’atto che, pur essendo irreversibile in quanto configura una perdita per me che ho fatto un sacrificio, non ha portato ad una diminuzione, ma, bensì, ad un mantenimento dell’armonia complessiva. In questi soli atti noi conquistiamo l’eternità a prescindere dalla nostra morte fisica.
L’eternità, infatti, è dell’attimo che può essere conservato nel Regno dei Cieli, all’interno dello Spirito Santo, solo quando non configura contraddittorietà ma semplice riprodursi dell’armonia divina da un punto ad un altro.
Pensate alla risposta che Cristo da ai sadducei che lo interrogano sulla resurrezione portando ad esempio la vita di una donna che, dopo la morte del marito ogni volta si risposa (Mt 22, 23-33): ogni matrimonio della donna, preso in se stesso, non è in contraddizione con gli altri e, pertanto, come atto in se stesso non contraddittorio, potrà passare al Regno dei Cieli; Dio non è il Dio dei morti ma dei vivi!
Naturalmente si possono aggiungere molte altre considerazioni su come fare per minimizzare l’incoerenza nella propria vita in modo che possa passare tutta nel Regno dei Cieli e, insieme ad essa, anche tutte le potenzialità del pari incontraddittorie che abbiamo costruito, in noi o nel prossimo, grazie ad una condotta di vita impeccabile.

Un abbraccio, Andrea
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