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Della risurrezione dai morti (di Atenagora)

Ultimo Aggiornamento: 08/04/2014 15:26
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08/04/2014 15:24
 
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CAPO XII

Quanto alfine, si osservi la condotta degli uomini: essi non agiscono senza uno scopo, ma o per l’utile proprio, o per qualcuno che sta loro a cuore, o per l’essere stesso che viene prodotto. Così Iddio non poté creare l’uomo senza uno scopo, né per l’utilità propria, né per il vantaggio di altri esseri, siano immateriali siano irragionevoli. Dunque lo fece avendo in mira l’essere dell’uomo stesso, composto d’anima e di corpo; e poiché il suo essere, fine della sua creazione, non potrebbe durare senza la risurrezione, l’uomo dovrà risorgere.

1. L’argomento desunto dalla causa consiste nel considerare se l’uomo sia venuto al mondo a caso e senza uno scopo, oppure per qualche scopo; e, in questo caso, se per vivere, una volta creato, e sussistere secondo la natura in cui fu creato, o se per l’utilità di qualcun altro. Se in vista di tale utilità, o s’intende quella del Creatore stesso o di qualche altro essere a lui vicino e che gli sta a cuore più dell’uomo.



2. Certo, considerando anche più in generale la cosa, troviamo che chiunque abbia senno e s’accinga a un’azione con ragionevole discernimento, nulla di ciò che opera per deliberato consiglio fa senza uno scopo: egli agisce o in vista dell’utile proprio, o per vantaggio di qualcun altro che gli sta a cuore, o per l’essere stesso che viene fatto, mosso a produrlo da una naturale inclinazione ed affetto. Così, per usare un’immagine che renda chiaro il nostro concetto, l’uomo costruisce una casa per l’utilità propria; costruisce pure per i buoi e i cammelli e gli altri animali di cui ha bisogno un ricovero adatto per ciascuno; e ciò, all’apparenza, non per l’utilità propria; ma, se si guarda al fine, proprio per questo, e se si guarda all’oggetto immediato, per la cura delle cose che gli stanno a cuore. Egli procrea anche dei figli, non per l’utilità propria né di qualche altra cosa che lo riguardi, ma perché quelli ch’egli genera esistano e perdurino quanto più lungamente è possibile, per consolarsi con la successione dei figli e dei nipoti della sua morte e pensando con essa di rendere immortale quel ch’è mortale.

3. Così fanno gli uomini. Quanto poi a Dio, egli non creò gli uomini senza uno scopo, perché è sapiente, e nessuna opera di sapienza è vana; né per l’utilità propria, perché egli non ha bisogno di nulla, e a uno che di nulla assolutamente abbisogna nessuna delle cose da lui fatte potrà giovare alla propria utilità. Ma neppure creò l’uomo in vista di qualcuna delle opere da lui prodotte. Infatti nessuna fra le creature dotate di ragione e di discernimento, siano maggiori siano inferiori, non fu né è fatta per l’utilità d’altri esseri, ma per la vita e la perpetuità propria di essa creatura.

4. La ragione invero non trova alcuna utilità che possa esser causa dell’origine dell’uomo: se si guarda agli esseri immortali, sono esenti da necessità e per la loro esistenza non abbisognano assolutamente di alcun apporto da parte degli uomini; se agli esseri irragionevoli, sono per loro natura soggetti e contribuiscono ciascuno secondo la sua naturale destinazione all’utilità degli uomini, non già che essi debbano servirsi degli uomini. Poiché non poteva e non può essere giusto far servire l’essere che comanda e presiede all’utilità degli esseri inferiori né sottomettere l’essere ragionevole agli irragionevoli, i quali sono incapaci di comandare.

5. Pertanto, se l’uomo non fu fatto senza causa e senza scopo (ché nessuna delle cose fatte da Dio è senza scopo, almeno secondo l’intenzione del Creatore), né per l’utilità del Creatore stesso o di qualche altra creatura di Dio, è evidente che, guardando alla ragione prima e più generale, Dio fece l’uomo per se stesso, per quella bontà e sapienza che si ravvisa in tutta la creazione; guardando poi più da vicino alle creature, per la vita degli stessi uomini creati, e non perché s’accendesse per breve tempo, destinata poi a spegnersi del tutto.

6. Tale é, io penso, la vita assegnata da Dio ai rettili, ai volatili, ai pesci, e, per parlar più generalmente, a tutti gli esseri irragionevoli; ma quelli che portano in se stessi l’immagine del Creatore, che sono dotati d’intelligenza e godono del giudizio di ragione colui che li creò li destinò a durare per sempre, affinché, conoscendo il loro Creatore e la sua potenza e sapienza, seguendo la legge e la giustizia, conservino in eterno, esenti da ogni travaglio, quei doni con cui seppero dominare la vita antecedente , pur essendo in corpi corruttibili e terreni.

7. Tutti gli esseri che furono fatti in grazia di qualche altro, ove cessino di esistere quelli per cui furono fatti, anch’essi cesseranno di esistere, e non dureranno invano (ché nulla d’inutile trova posto fra le cose fatte da Dio); ma quanto a quelli che furono fatti precisamente per esistere e per condurre la vita loro connaturale, essendo là loro causa collegata con la loro stessa natura e ravvisandosi essa precisamente nella sola esistenza, non vi sarà mai alcuna causa che possa distruggere completamente la loro esistenza.

8. E poiché la loro causa tutta si esaurisce nel loro esistere, necessariamente l’animale creato deve durare agendo e patendo quanto conviene alla sua natura; e ciascuna delle due parti di cui risulta deve contribuire per ciò che le spetta: l’anima esisterà e durerà sempre uguale nella natura in cui fu fatta e compirà l’ufficio a lei connaturale, che consiste nel governare gl’impulsi del corpo e giudicare e misurare, con giudizio e misura conveniente, quanto le capita; il corpo si muoverà secondo natura verso ciò che lo riguarda e sarà suscettibile dei cambiamenti a cui è destinato, cioè, fra gli altri, relativi all’età, all’aspetto, alla statura, anche della risurrezione. q. La risurrezione è appunto una specie di cambiamento, l’ultimo di tutti: il cambiamento in meglio di tutto ciò che in quel tempo rimarrà ancora.



CAPO XIII

Il disegno del Creatore nel formare l’uomo ci dà la confortante e sicura speranza della risurrezione, poiché l’uomo fu fatto perché durasse per sempre.


1. Fiduciosi e certi di questi eventi futuri non meno che di quelli già accaduti, e considerando la nostra natura noi amiamo la vita soggetta al bisogno e alla corruzione, come conveniente all’esistenza presente, e fermamente speriamo quella che durerà nell’incorruzione. Non è una fisima che abbiamo appresa dagli uomini, pascendoci di speranze fallaci; noi prestiamo fede a un mallevadore infallibile, cioè al disegno del Creatore. Egli fece l’uomo composto d’anima immortale e di corpo, lo dotò d’intelligenza, gli scolpi nel cuore una legge perché fossero custoditi e salvi i suoi doni, convenienti a un’esistenza saggia e a una vita ragionevole. Ora noi ben sappiamo che Dio non avrebbe formato l’uomo qual è né l’avrebbe fornito di tutte le doti ordinate a un’esistenza perenne, se non avesse voluto la perpetuità della sua creatura.

2. Se pertanto il Creatore di quest’universo fece l’uomo perché fosse partecipe d’una vita ragionevole e, divenuto contemplatore della magnificenza di lui e della sua sapienza, che in ogni cosa risplende, ne facesse oggetto d’una contemplazione senza fine, secondo il consiglio di lui, in conformità alla natura che ebbe in sorte, ne viene che la causa del nascere è argomento della perpetua durata, e la durata della risurrezione, senza la quale non potrebbe l’uomo durare. Da quanto s’è detto è evidente come dalla causa della nostra origine e dal disegno del Creatore si dimostra chiaramente la risurrezione.

3. Ora, se tale è la causa per cui l’uomo è venuto in questo mondo, segue che consideriamo ora quegli argomenti che di loro natura o per nesso logico succedono a quelli esposti. In questa indagine, studiata la causa dell’origine degli uomini, è da ricercare la loro natura; dopo la natura, il giusto giudizio che il Creatore pronuncerà sugli uomini da lui formati; e, dopo tutti questi argomenti, il termine della vita. E poiché abbiamo studiato le questioni precedenti , dobbiamo considerare, procedendo con ordine, la natura degli uomini.

CAPO XIV

Si richiama l’ordine degli argomenti, suggerito dalle esigenze della dimostrazione: prima il fine dell’uomo, poi, in intima connessione, la sua natura, infine la provvidenza di Dio quale si manifesta nel giudizio dell’uomo; errano dunque coloro che si fondano sul solo giudizio per dimostrare la risurrezione.

1. Per giungere a una dimostrazione dei dogmi della verità o di qualsiasi argomento proposto alla nostra investigazione, che provi con indubbia certezza ciò che si dice, bisogna partire non da princìpi estranei alla materia, che si tratta né dalle opinioni che taluno ha o ebbe, ma dai dati del senso comune e naturale o dalla concatenazione di quel che segue con quel che precede.

2. Infatti, o si tratta dei primi principi, e allora basta un richiamo che metta in esercizio la naturale capacità di pensare; o delle conseguenze derivanti naturalmente dai primi principi e della loro naturale successione, e allora bisogna seguire l’ordine proprio di questi argomenti, facendo vedere quali sono le conseguenze che scaturiscono obiettivamente dai primi princìpi o dalle premesse stabilite, al fine di non trascurare la verità e la sua sicura dimostrazione, né confondere gli argomenti che per natura sono ordinati e distinti, né spezzare la naturale concatenazione.

3. Perciò, io penso, chi si applichi a studiare con giusto metodo la questione proposta e voglia giudicare da uomo prudente se vi sia o no la risurrezione dei corpi umani, deve anzitutto rendersi ben conto della forza degli argomenti che concorrono alla dimostrazione di questo asserto e qual posto spetti a ciascuno, quale di essi sia il primo, il secondo, il terzo, quale infine l’ultimo.

4. Nello stabilire quest’ordine bisogna mettere al primo posto la causa dell’origine dell’uomo, cioè il disegno secondo cui il Creatore fece l’uomo, per collegarvi in stretta relazione la natura dell’uomo fatto. Non che quest’argomento venga, secondo nell’ordine, ma per l’impossibilità di esaminarli tutt’e due insieme, sebbene in realtà essi siano intimamente connessi fra loro ed entrambi di uguale importanza per il nostro assunto.

5. Una volta dimostrata la risurrezione con questi argomenti, che sono i primi e ripetono il loro principio dall’opera creatrice, tale verità si può non meno validamente confermare con ragioni che si riferiscono alla provvidenza di Dio: voglio dire argomentando sul premio o sulla pena che spetta a ciascun uomo secondo il giusto giudizio e sul fine proprio della vita umana.

6. Molti, veramente, prendendo a trattare della risurrezione, si appoggiano solo sul terzo argomento come sulla causa totale, pensando che la risurrezione avvenga solo in grazia del giudizio. Ora questo si dimostra manifestamente falso da ciò, che tutti gli uomini che muoiono risorgono, ma non tutti quelli che risorgono sono giudicati. Infatti, se solamente la giustizia da esercitarsi nel giudizio fosse causa della risurrezione, evidentemente coloro che non hanno fatto alcun male né alcun bene, come i teneri infanti, non dovrebbero risorgere . Ma poiché essi pure ammettono che tutti risorgeranno, anche quelli che morirono nella prima età come tutti gli altri, la risurrezione non avviene in vista del giudizio come prima ragione, ma per il disegno del Creatore e la natura degli esseri creati.

CAPO XV

Anche dalla natura dell’uomo si argomenta la risurrezione. L’uomo infatti é un vivente unico, composto di anima e di corpo cospiranti in perfetta armonia; e non potrebbe sussistere nella sua reale identità se le sue parti, separate dalla morte, non si riunissero nuovamente. Anche le facoltà spirituali hanno per soggetto non l’anima separata, ma il composto.

1. Basterebbe considerare anche solo la causa che presiede alla generazione dell’uomo per dimostrare, con rigore logico, che allo sfacelo del corpo tiene dietro la risurrezione; tuttavia é giusto, io penso, che non si trascuri alcuno degli argomenti proposti e che, in conformità a quanto fu detto, si faccia vedere a chi non può rendersene conto da sé qual sia il valore di ciascuna delle ragioni che seguono; e, prima di tutto, si studi la natura degli uomini creati, che conduce alla medesima considerazione e conferma la risurrezione in modo altrettanto efficace.

2. Infatti, se la natura umana universalmente considerata é in tutti costituita da un’anima immortale e da un corpo che fu congiunto a lei nell’origine, se Iddio stabili tale origine e la vita e tutto il corso dell’esistenza non per la natura dell’anima da sé sola né per la natura del corpo separato, ma per gli uomini quali risultano dall’uno e dall’altra, affinché essi, trascorsa la loro vita con quegli elementi da cui hanno origine e vivono, pervengano a un fine unico e comune; ne consegue necessariamente che, unico essendo il vivente composto delle due parti che é soggetto di tutte le passioni dell’anima. e di tutte quelle del corpo, che opera e compie tutte le azioni che sono dovute al giudizio così dei sensi come della ragione, tutta la concatenazione di questi fenomeni si riferisce a un fine unico: così tutto in tutto cospira ad un unico e armonico consenso: l’origine dell’uomo, la natura dell’uomo, la vita dell’uomo, le azioni e le passioni, le vicende dell’esistenza e il fine proporzionato alla natura.

3. Che se nell’intero vivente domina un tale armonico consenso e di ciò che proviene dall’anima e di ciò che si compie mediante il corpo, unico dev’essere anche il fine a cui tutti questi elementi cospirano; e il fine sarà unico veramente, se il vivente, di cui questo fine é proprio, rimarrà il medesimo nella sua propria costituzione; e il vivente sarà veramente il medesimo se tutti gli elementi di cui il vivente consta, come di parti, saranno i medesimi; e questi saranno i medesimi secondo l’unione loro propria, se le parti che sono state separate di nuovo si riuniranno a costituire il vivente.

4. Ebbene, questo ricostituirsi dei medesimi uomini dimostra come necessariamente debba seguire la risurrezione dei corpi caduti nello sfacelo della morte; senza di essa, infatti, non si riunirebbero fra loro le membra secondo natura né si ricostituirebbe la natura dei medesimi uomini.

5. Ancora: se all’uomo fu data la mente e la ragione per poter discernere le cose intelligibili, non le sostanze solamente, ma anche la bontà, la sapienza e la giustizia del Datore, necessariamente, perdurando gli oggetti per i quali fu dato il discernimento della ragione, dovrà perdurare anche quello stesso potere di discernimento che fu dato in vista dei medesimi. Or questo non potrebbe perdurare se non perdurasse quella. natura che ricevette tale potere e quelle facoltà in cui esso risiede.

6. Orbene, chi ha ricevuto la mente e la ragione é l’uomo, non l’anima per sé stante. Bisogna dunque che l’uomo composto di entrambi gli elementi duri per sempre.

7. Ma è impossibile ch’egli duri se non risorge: ché, non avvenendo la risurrezione, non durerebbe la natura dell’uomo in quanto uomo; e se la natura dell’uomo non dura, inutilmente l’anima è associata all’indigenza e ai patimenti del corpo; inutilmente il corpo, imbrigliato e tenuto a freno dall’anima, smania per non poter soddisfare i suoi istinti; inutile è la mente, inutile la prudenza, l’osservanza della giustizia e di qualsiasi virtù, inutile stabilire ‘un corpo di leggi; in una parola, tutto ciò che vi ha di bello fra gli uomini e per gli uomini, anzi la stessa creazione e natura degli uomini, non ha più uno scopo.

8. Ma se in tutte le opere di Dio e in tutti i doni da lui concessi non può esservi mai nulla d’inutile, bisogna assolutamente che alla perennità dell’anima corrisponda anche il perdurare per sempre del corpo secondo la propria natura.




CAPO XVI

L’uomo adunque perdura nella sua vita, ma in modo diverso dagli esseri incorruttibili e corrispondente alla propria natura, nonostante l’interruzione causata dalla morte, come perdura la vita del senso nonostante la sospensione del sonno.

1. Nessuno faccia le meraviglie se quella vita che viene interrotta dalla morte e dalla corruzione noi chiamiamo un perdurare; si rifletta che non è uno solo il significato di questo termine, non uno solo è il modo della durata, perché anche la natura delle cose che perdurano non è una sola.

2. Infatti, se ognuno degli esseri che perdurano ha il suo perdurare secondo la propria natura, non si troverà il medesimo perdurare negli esseri pienamente incorruttibili e immortali, perché non si possono mettere sullo stesso piano le sostanze superiori e quelle che ne differiscono per l’inferiorità; né sarà giusto ricercare presso gli uomini quel perdurare sempre uguale e immutabile Quelle furono fatte fin da principio immortali per la sola volontà del Creatore e destinate a durare senza fine; gli uomini, invece, quanto all’anima hanno fin dall’origine una durata immutabile, ma quanto al corpo conseguono l’immortalità attraverso la mutazione.

3. Questo appunto è il concetto della risurrezione: alla quale mirando, noi ci aspettiamo la dissoluzione del corpo come quella che segue alla vita soggetta all’indigenza e alla corruzione; e, dopo questa, speriamo in una perennità esente da corruzione. Cosi non facciamo la nostra fine uguale a quella degli esseri irragionevoli, né il perdurare degli uomini uguale a quello degli esseri immortali, per non cadere nell’errore di porre la natura e la vita degli uomini allo stesso livello con esseri ben diversi.

4. Non è adunque il caso di adombrarsi se nel perdurare degli uomini si scorga qualche disuguaglianza; né per il fatto che la separazione dell’anima dal corpo e la dissoluzione delle membra e parti del medesimo inter rompe la continuità della vita è da negate la risurrezione.

5. Nella. vita sensitiva, sopravvengono naturalmente nel sonno delle sospensioni dei sensi e delle facoltà naturali, perché gli uomini dormono per certi regolari intervalli di tempo e poi ritornano in certo modo a vivere: eppure quella non ricusiamo di chiamarla vita. Per questo motivo, io penso, c’è chi chiama il sonno fratello della morte, non per farli proprio discendere dai medesimi antenati e genitori, ma perché e i morti e i dormienti vengono a trovarsi in condizioni simili, quanto alla tranquillità e al non avvertire nulla di ciò che avviene intorno, fino anzi a non accorgersi del proprio essere e della propria vita.

6. Pertanto, se la vita dell’uomo, soggetta a tanti sbalzi dalla nascita fino alla dissoluzione e interrotta in tutti i modi che abbiamo detto, non ricusiamo di chiamarla vita, neppure dobbiamo rifiutare di ammettere la vita che succederà alla dissoluzione, vita che conduce con sé la risurrezione, anche se venga per qualche tempo interrotta per la separazione dell’anima dal corpo.
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