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Vita di Mosè (di Gregorio Nisseno)

Ultimo Aggiornamento: 07/04/2014 19:15
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07/04/2014 19:11
 
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LE VESTI SACERDOTALI

Difficoltà di assegnare un significato spirituale alle singole vesti

A nuovi e più profondi pensieri si innalza l’ani­ma di Mosè quando gli vengono presentate le vesti sacerdotali, dopo le ascensioni purificatrici cui lo portarono le cose viste nel Tabernacolo.
Le vesti comprendevano la tunica, l’efod, il pet­torale splendente di pietre preziose, la tiara attorno alla testa e la lamina che vi era sovrapposta, gli anelli, le melograne, i campanelli. In alto c’erano l’oracolo, il giudizio, la verità, le fibbie che li soste­nevano da una parte e dall’altra e portavano incisi i nomi dei patriarchi. La varietà dei nomi assegnati a queste vesti ci rende difficoltosa una precisa e particolareggiata applicazione del senso spirituale.

Esigenza di santità nei ministri del santuario

È difficile comprendere come i termini di rive­lazione, oracolo, verità, possano servire a indicare delle vesti. Evidentemente questi nomi, usati dalla Scrittu­ra per designare vesti esteriori, contengono il rife­rimento a un vestito interiore composto di atti vir­tuosi.
Alcuni, che prima di noi hanno spiegato questi testi, vedono simboleggiata l’aria nell’azzurro della tunica65. Io non mi sentirei di confermare questa inter­pretazione, pur riconoscendo che il colore del gia­cinto e quello dell’aria coincidono. Per questa ra­gione non rigetterei del tutto l’accennato simboli­smo.
Applicato alla dottrina della virtù, esso è rivolto a chi si dedica al culto divino nel ministero delle sa­cre celebrazioni e si consacra al servizio di Dio, of­frendo il suo corpo in sacrificio per divenire ostia vivente del culto spirituale (Rm 12, 1). Dice loro il dovere di liberarsi dal peso di una vita carnale, rendendosi leggeri al pari di ragnatela, attraverso la purità delle azioni.
Allora la nostra natura, nonostante il peso del corpo, verrà come ritessuta e risulterà leggera come l’aria. Quando poi suonerà la tromba finale (escatolo­gica), saremo veramente trovati senza peso, pronti alla voce di comando che ci solleverà con Cristo tra le nubi nell’aria (1 Ts 4, 17), senza più alcun peso che ci trascini a terra.

Gli elementi costitutivi della virtù e le sue esigenze

Le parole del salmo promettono una tunica cele­ste, che scenderà dalla terra fino ai piedi, a chi ha distrutto la sua vita come si fa di una tarma. La legge, attraverso il simbolo della tunica, vuo­le che la nostra virtù sia completa. I campanelli d’o­ro alternati alle melograne sono l’irradiamento del­le buone opere.
Fede in Dio e vita secondo coscienza rappresen­tano infatti i due elementi costitutivi della virtù. Per questo il grande Paolo invita Timoteo a met­tere sul suo vestito tali melograne e campanelli, esortandolo ad aver fede e buona coscienza (1 Tm 1, 19).
Suoni dunque forte e distinta la nostra fede nel­la Santa Trinità e la nostra vita imiti le caratteristi­che dei frutti del melograno. Il loro involucro esterno secco e aspro è imman­giabile, ma l’interno è piacevole alla vista, per la bella e varia disposizione dei grani e ancor più pia­cevole al gusto per la loro dolcezza. La vita virtuo­sa e penitente risulta priva di attrattiva e di gusto per i sensi, ma è carica di buone speranze, quando i suoi frutti vengono a maturazione.
Allorché sarà giunto il tempo in cui il divino Agricoltore delle nostre anime aprirà la melograna della nostra vita e mostrerà i bei frutti che essa contiene, potremo allora assaggiare e gustare la dol­cezza di questo frutto.
Anche il divino Apostolo afferma in un certo passo che al principio ogni disciplina sembra causa­re dolore più che gioia (come avviene quando si toc­ca l’involucro della melograna), ma poi dà frutti di pace (Eb 12, 11) e fa gustare il dolce cibo che essa contiene66.
La legge ordina che la tunica sia decorata di una frangia cosparsa di piccole sfere a scopo ornamen­tale. Questo ci insegna che la virtù non deve restrin­gersi soltanto alle cose comandate, ma aggiungere spontaneamente al proprio vestito qualche ornamen­to esterno. Così fece Paolo che, all’osservanza dei precetti aggiunse, come frangia a un vestito, opere alle quali non era tenuto. Soffrendo fame, sete e freddo, egli predicò il Vangelo senza esigere ricom­pense, sebbene la legge disponga che i ministri del­l’altare vivano dell’altare e gli annunciatori del Van­gelo vivano del Vangelo (2 Cor 11, 17; 1 Cor 4, 11).
Ma Paolo vuole che il Vangelo sia un dono gra­tuito e perciò preferisce subire la fame, la sete, la fatica. Queste opere volontarie rappresentano appunto le belle frange che ornano la tunica dei comanda­menti.
Sopra la tunica si trovavano due pezzi di stoffa scendenti dalle spalle sul petto e dietro il dorso e trattenuti alle spalle da due fibbie. Le fibbie recavano pietre preziose con Licisi i nomi dei patriarchi, sei per ciascuna.
I pezzi di stoffa erano intessuti a vari colori: blu e rosso, cocco e lino. L’oro dei ricami, sovrap­posto alle stoffe colorate, faceva tutto risplendere di una bellezza armoniosa.
Impariamo così che le virtù, al pari degli orna­menti posti nelle parti superiori della tunica, orna­no il nostro cuore in modo vario e molteplice. Vediamo infatti l’azzurro unito alla porpora, cioè la dignità regale alla purezza dei costumi.
Il pudore, simboleggiato nel colore rosso, dà maggior risalto al candore di una vita senza mac­chia, simboleggiata nel bianco lino. L’oro che brilla sul fondo di questi colori esprime la preziosità di tal genere di vita.
Gli omerali acquistavano non poca bellezza dai nomi dei patriarchi che portavano incisi. Essi insegnano che gli esempi di, virtù costitui­scono l’ornamento più bello della vita umana, poi­ché in essi c’è una forza trascinatrice.
Gli scudi d’oro, che pendevano di qua e di là dal pettorale, davano ulteriore abbellimento ai due pez­zi di stoffa. Questi scudi sostenevano un oggetto quadrango­lare in oro con dodici pietre sistemate in fila.
Erano quattro file, comprendenti ciascuna una triade di pietre. Non una di queste pietre assomi­gliava alle altre, avendo ciascuna un proprio parti­colare splendore.
Così si presentava nel complesso quell’orna­mento. Negli scudi pendenti dalle spalliere noi scorgia­mo un’allusione all’armatura che ci occorre per com­battere il nostro avversario. Essi, come si è visto, indicano il duplice aspetto della virtù, consistente nell’adesione alla fede e nella testimonianza di una buona coscienza, nell’uso delle armi della giustizia a destra e a sinistra.
L’oggetto quadrangolare attaccato agli scudi di qua e di là e recante le pietre con scritti i nomi dei patriarchi eponimi delle tribù, rappresenta il velo steso a protezione dell’uomo interiore.
La Scrittura, dopo avere accennato agli scudi, simbolo della resistenza contro l’avversario, bramo­so di colpirci con i suoi dardi, ma costretto a fug­gire, ci presenta nel pettorale di forma quadrata l’a­nima vittoriosa che, dopo tanti scontri, si trova in possesso delle molte virtù dei Patriarchi, a ornamen­to e splendore dell’unica tunica della virtù.
La forma quadrata indica il dovere della stabili­tà del bene. Il quadrato, composto di angoli e lati uguali, è infatti una figura geometrica inalterabile.
Perfino le fibbie che legano il pettorale alle spal­le possono esprimere, a mio parere, un insegnamen­to di vita spirituale. Esse insegnano che la filosofia morale deve ac­compagnarsi alla filosofia teoretica e la contempla­zione, simboleggiata nel cuore, deve unirsi alle ope­re, simboleggiata nelle braccia.
Il diadema posto sulla testa indica la corona ri­servata a chi ha vissuto bene; essa reca lettere arca­ne, incise su una lamina d’oro. Chi indossa queste vesti non ha calzari ai piedi, affinché la sua corsa non sia impedita da pesi inu­tili.
Una materia inerte come la pelle usata per fare i calzari, e nella quale abbiamo scorto il simbolo del­la morte, rende impossibile ogni movimento.
Non si capirebbe la ragione per cui Mosè dovet­te togliersi i calzari se questi fossero stati parte in­tegrante delle vesti sacerdotali, mentre nella sua pri­ma iniziazione vennero considerati un impedimento.

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