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07/04/2014 19:04 | |
LE SOSTE NEL DESERTO
L’obbedienza
Ma proseguiamo la nostra esposizione. Il popolo che ha percorso la strada in fondo al mare e ha visto morire gli Egiziani nel modo descritto, costata che Mosè ha sempre in mano la verga prodigiosa e che soprattutto confida in Dio.
È per questo che la Scrittura ci informa come il popolo obbediva a Mosè, servo di Dio. È ciò che costatiamo anche ora. Le persone passate per le acque del battesimo e consacrate a Dio, si sottomettono e obbediscono a coloro che, secondo la parola dell’Apostolo, hanno ricevuto con l’ordinazione sacerdotale la cura delle cose divine (Eb 13,17).
Forza consolatrice della risurrezione di Cristo
Gli Ebrei, dopo aver attraversato il mare, camminano per tre giorni fin quando si accampano dove trovano acqua, che tuttavia si rivela terribilmente amara.
Ma gli assetati ebbero per loro fortuna acqua dolce, quando fu gettato il legno. Il miracolo attestato dal racconto si ripete esattamente anche adesso.
In principio risulta dura e disgustosa la vita di chi ha abbandonato i piaceri d’Egitto, di cui era schiavo prima di attraversare il mare. Ma se egli getta il legno nelle acque amare, se cioè si dà a considerare il mistero della Risurrezione che prende inizio dal legno (mi riferisco evidentemente al legno della croce), allora la vita virtuosa gli diventa più dolce e più saporosa di qualsiasi dolcezza grata al gusto, poiché essa si fonda sulla speranza dei beni futuri46.
Gli araldi del Vangelo
Nella, successiva tappa, gli Ebrei poterono finalmente, dopo lungo cammino, riposarsi presso un luogo allietato da palme e da sorgenti. Si trattava di dodici fonti d’acqua pura e dolcissima e di settanta palme molto alte.
Che cosa trovare in tutti questi particolari? Direi questo: che il mistero del legno dà agli assetati di poter bere l’acqua della virtù e poi li conduce alle dodici sorgenti e alle settanta palme, cioè agli insegnamenti del Vangelo.
Le dodici sorgenti indicano gli Apostoli che Cristo scelse perché vi attingessimo la parola della verità, conforme all’annuncio del Profeta, quando predisse che dagli Apostoli sarebbe zampillata come da una sorgente un’acqua abbondante. Ecco le sue parole: «Nelle vostre riunioni lodate il Signore Iddio dalle fonti di Israele» (Sal 67,27).
Le settanta palme rappresentano gli Apostoli mandati in tutto il mondo, in numero appunto di settanta, se escludiamo i dodici Discepoli47.
Pronti ad accogliere Cristo
Credo opportuno accelerare l’esposizione iniziata, onde rendere facile, attraverso brevi commenti, la comprensione del significato spirituale delle altre tappe. Sono in esse simboleggiate le virtù, che rappresentano come una sosta un riposo per chi, seguendo la colonna di nube, s’affatica nel continuo camminare.
Trascurando i fatti avvenuti nelle altre tappe, mi limiterò a ricordare il miracolo della roccia, per mezzo del quale la materia dura e resistente della rupe si trasformò in dolce acqua corrente, a soddisfare il bisogno degli assetati.
Non abbiamo particolare difficoltà a collocare questi fatti; al pari dei precedenti, nel quadro di una interpretazione spirituale uniforme.
Colui che ha lasciato alle sue spalle gli Egiziani morti e ha provato le acque addolcite dal legno, chi ha avuto la grazia di attingere alle fonti degli Apostoli e s’è disteso a riposare all’ombra delle palme, è ormai in grado di accogliere Dio.
Osserviamo che i Dodici sono chiamati qui con il nome di Discepoli e i settanta con il nome di Apostoli. Dice infatti l’Apostolo: Cristo è la roccia (1Cor 10, 4): pietra dura e resistente per gli increduli, ma che diviene acqua buona per l’assetato che le si avvicini con la verga della fede.
Cristo penetra nell’intimo di chi lo accoglie, poiché è lui stesso che afferma: «Io e il Padre verremo e faremo dimora in lui» (Gv 14, 23).
LA MANNA
Il Verbo fatto carne per essere nostro cibo
Dopo che abbiamo considerato il passaggio del mare, la conversione dell’acqua amara in acqua buona per soddisfare la sete dei viandanti della virtù, la sosta confortevole presso le sorgenti all’ombra delle palme e l’assaggio dell’acqua scaturita dalla pietra, non dobbiamo lasciare inosservato il fatto che i cibi portati dall’Egitto vengono a finire. Ma fu appunto in seguito alla totale scomparsa delle vettovaglie prese da una terra straniera quale l’Egitto, che discese dal cielo un cibo vario e uniforme a un tempo.
Uniforme all’aspetto, esso variava nel gusto che era adattato alla voglia di ciascuno. Da questo fatto dobbiamo apprendere a liberare la nostra vita da abitudini profane, svuotando il sacco dell’anima da ogni cibo corrompitore con cui si sostenevano gli Egiziani, per accogliere in un’anima pura il cibo che scende dall’alto. Esso non è frutto di un seme giunto a maturazione per il lavoro dell’agricoltore, ma è pane già pronto, che non ha avuto bisogno né di aratura né di semina e, disceso dal cielo, è apparso sul terreno.
In questo pane devi vedere simboleggiato il vero cibo, quel pane celeste che è disceso tra noi in una sostanza corporale.
In realtà come potrebbe diventare nostro cibo una sostanza mancante di corpo? Ciò che non è senza corpo, evidentemente è un corpo. Ma né aratura né seminagione hanno prodotto la materia di questo pane, eppure ne vediamo ripieno il terreno, senza che sia stato per nulla smosso, per nutrire chi ha fame di cibo divino. Con il miracolo della manna gli Ebrei appresero anzitempo il mistero della nascita verginale.
Il Verbo si offre alle anime in misura diversa
Questo pane non derivato dal lavoro agricolo, è il Verbo la cui forza nutritiva dipende dalle capacità di chi se ne ciba.
Il Verbo infatti non sempre si presenta come pane ma anche in forma di latte e carni e legumi o altro che possa convenire e piacere a chi lo accoglie48. Proprio in questo senso il divino Apostolo Paolo, fornendoci una tavola copiosissima, offre ai più perfetti un insegnamento in forma di cibo sostanzioso quale la carne, mentre dà ai più deboli un insegnamento paragonabile ai legumi e dà ai fanciulli un insegnamento paragonabile al latte (Eb 5, 12; Rm 14, 2).
La temperanza
Anche gli altri fatti miracolosi che la Scrittura riferisce intorno a quel cibo, contengono un insegnamento relativo alla vita virtuosa.
La Scrittura infatti ci informa che tutti avevano un’identica porzione di cibo, non superiore né inferiore al necessario, indipendentemente dalla maggiore o minore robustezza fisica di chi lo raccoglieva. A me pare di poter scorgere qui un consiglio utile a tutti. I mezzi di sussistenza fornitici dalla natura non devono superare il limite del bisogno. Dobbiamo anche tener presente che l’unica misura data dalla natura circa l’uso del cibo è la quantità necessaria al sostentamento di un giorno.
Se fossero preparati e messi in tavola cibi in quantità superiore al bisogno, il ventre non avrebbe la capacità di allargarsi e allungarsi oltre le proprie misure.
Anche quelli che vollero raccogliere la manna in quantità superiore, s’accorsero di non averne a disposizione più degli altri (mancava del resto il posto dove conservarla) e coloro che ne presero poca, non si sentirono menomati, perché la quantità da essi raccolta corrispondeva pienamente ai loro bisogni, che erano inferiori a quelli degli altri.
Avvertimenti agli avari
Quel superfluo, accumulato da alcuni per ingordigia e trasformatosi in un semenzaio di vermi, dice ad alta voce agli avari che i loro averi superflui, frutto di avarizia, si trasformeranno in vermi nella vita futura, a dispetto della loro brama di accumulare.
Quanto a noi invece, la vita futura è oggetto di speranza. Il lettore saprà scorgere nei vermi ricordati dal racconto il verme sempre operante dell’avarizia.
Seminare per la vita futura
Si può ricavare un insegnamento anche dal fatto che il superfluo, raccolto per il giorno di sabato, non marciva. Bisogna infatti accumulare i beni che, anche ammassati, non subiscono corruzione.
Essi ci serviranno quando, terminata questa vita di preparazione, ci troveremo nella forzata inazione che segue la morte. Il giorno che precede il sabato è chiamato parasceve perché serve di preparazione al sabato. Esso simboleggia la vita presente, durante la quale prepariamo quanto ci servirà nella futura49.
Là non eseguiremo più nessuna delle opere che possiamo esercitare qui, non l’agricoltura, non il commercio, non il mestiere delle armi; nessuna delle presenti attività ci sarà più consentita, perché resteremo a riposo, godendo i frutti dei semi gettati nel terreno di questa vita: frutti perfetti se i semi gettati quaggiù furono buoni; frutti guasti e letali, se tali sono cresciuti per negligenza di chi li ha piantati.
«Chi semina per lo spirito dice la Scrittura dallo spirito mieterà vita eterna; chi semina per la carne, dalla carne mieterà corruzione» (Gal 6, 8). Merita propriamente il nome di parasceve solo quella preparazione che mira a una migliore riuscita nel bene. Solo questa è sanzionata dalla legge che vuole farci mettere da parte beni non soggetti a corruzione. Non è parasceve e non ne merita il nome ogni intento contrario al bene.
Nessuno potrebbe chiamare con il nome di parasceve la mancanza di beni; questa dovrebbe piuttosto denominarsi assenza di preparazione.
La Scrittura prescrive perciò i preparativi destinati a una migliore riuscita nel bene, lasciando intendere, con il fatto di non parlarne, che non esiste una preparazione contraria a questo scopo.
Come il capo di un esercito, arruolando i soldati, prima paga il soldo e poi consegna loro i vessilli di guerra, così i militi della virtù prima ricevono il mistico soldo e poi, comandati da Giosuè, successore di Mosè, scendono in guerra contro i nemici.
SENSO DELLE SCRITTURE
Bisogna saper sostenere da soli il combattimento spirituale
Intuisci a quali conseguenze portano queste riflessioni? L’uomo fin quando è dominato da una tirannide crudele, si trova in uno stato di così grave debolezza che non può, con le sole sue forze, respingere il nemico. Ma c’è chi prende le difese dei deboli e assale il nemico senza risparmiare colpi.
Allora il debole viene liberato dalla schiavitù tirannica ed esperimenta, in virtù del legno, la dolcezza dello spirito. Sosta a riposare sotto le palme, viene a conoscenza del mistero della roccia, si ciba del pane celeste e allora si trova in grado di respingere da solo il nemico, non più per mano di altri. Egli possiede ormai la forza propria di chi, oltrepassata la fanciullezza, si trova nel pieno sviluppo dell’età giovanile e muove contro i nemici non più sotto il comando di Mosè, ma di Dio stesso, di cui Mosè fu il servo50.
Valore dell’interpretazione spirituale della Scrittura
Il popolo muove contro il nemico quando le mani del suo Legislatore restano sollevate, fugge invece quando s’abbassano.
Mosè che tiene alzate le mani significa chi riflette sui testi della Scrittura e dà loro una interpretazione spirituale. Le mani abbandonate verso terra indicano invece l’interpretazione puramente letterale. Neppure il fatto che un sacerdote e un familiare sostengono le mani appesantite di Mosè può rimanere estraneo alla linea delle nostre riflessioni.
È infatti il sacerdozio che per mezzo della parola affidatagli, risolleva le energie della legge, abbassata fino a terra dalla troppo letterale interpretazione giudaica.
È ancora il sacerdozio che rende visibile la legge, collocandola sopra una pietra. da dove essa, allargando le mani, rivela a chi la scorge il proprio fine.
Nella legge infatti le persone illuminate vedono il mistero della croce. Per questo il Vangelo in un certo passo (Mt 5, 18) afferma che non si perderà un jota o un apice della legge, annuendo con questi termini al braccio trasversale e a quello perpendicolare che compongono la figura della croce.
Essa è già visibile in Mosè il quale, come simbolo della legge, diviene segno e causa di vittoria a chi fissa gli sguardi sopra di lui.
La legge che fu data per essere tipo e ombra delle cose future, abbandonato il campo di battaglia, è sostituita nel compito di stratega da colui che la perfeziona. Egli è il successore di Mosè, già preannunciato nel nome di Giosuè, che era il capo dell’esercito di allora.
L’ascesa verso la montagna della divina conoscenza
Le nostre riflessioni vanno innalzandosi sempre più verso le alte cime della virtù. Colui che, ricevuta forza dal cibo celeste, ne esperimenta l’efficacia, scontrandosi con i nemici e uscendone vittorioso, viene poi introdotto alla misteriosa conoscenza di Dio.
La Scrittura, facendoci conoscere queste cose, ci mostra quali fatiche uno deve affrontare per riuscire un giorno ad accostarsi al monte della divina conoscenza, sostenere il suono della tromba, entrare nella nube caliginosa dove è Dio, far incidere su tavole di pietra le lettere divine, presentare a Dio nuove tavole ottenute con il proprio lavoro se mai le prime si fossero rotte, affinché il dito di Dio ancora vi incida le sue lettere.
Seguendo il filo del racconto, noi dobbiamo adeguare il nostro insegnamento al senso spirituale, che è il più profondo. Chi, tenendo fissi gli sguardi alle due guide di chiunque vuole avanzare sulla strada della virtù, cioè a Mosè e alla nube (Mosè rappresenterebbe la lettera della legge e la nube lo spirito) è stato purificato nel passaggio attraverso l’acqua, dove distrusse e rinnegò in sé stesso ogni resto di profanità, giunge ad assaggiare l’acqua di Mara cioè una vita priva di piaceri, che sulle prime risulta amara e spiacevole, ma poi, una volta assaporato il legno, procura dolcezza.
Egli potrà poi ammirare le belle palme evangeliche che sorgono vicino alle sorgenti, saziarsi dell’acqua viva sgorgante dalla pietra, ricevere in alimento il pane celeste che gli dà forza contro i nemici e vedere il suo Legislatore con le mani allargate in un gesto che è causa di vittoria e prefigura il mistero della croce. Soltanto allora egli verrà introdotto alla visione dell’Essere soprannaturale.
Purificarsi da ogni macchia
Per giungere a così alta conoscenza egli deve pulirsi il corpo con abluzioni e avere i vestiti senza macchie. Chi vuole avvicinarsi alla visione delle realtà51, deve essere mondo nell’anima e nel corpo, allontanando da sé ogni macchia e sporcizia. Allora appariremo mondi anche agli occhi di colui che vede dove l’occhio materiale non arriva. Ci sarà una perfetta armonia tra il nostro aspetto esteriore e le interiori disposizioni dell’animo. È per questo motivo che Dio ordina di lavare le vesti, prima che si salga la montagna. Le vesti indicano simbolicamente gli aspetti esteriori della vita. Nessuno può affermare che un vestito, anche se molto macchiato, costituisce un impedimento a salire verso Dio. Giova perciò pensare che nelle vesti siano indicate tutte le occupazioni esteriori di questa vita.
Superare le conoscenze sensibili
Fatti questi preparativi, l’anima procede all’ascesa verso le più alte cime, avendo cura di tenere il più lontano possibile dal monte qualsiasi animale.
La scomparsa dal monte di qualunque animale ci sprona a superare le conoscenze sensibili per mezzo della visione delle realtà. Gli animali, privi come sono d’intelligenza, vivono soltanto delle loro sensazioni; è una caratteristica della loro natura.
Essi sono guidati dalla vista, sebbene anche l’udito a volte li spinga verso qualche oggetto. Sono presenti in loro tutte le altre sensazioni nelle quali si attua la conoscenza sensibile. Ma la contemplazione di Dio non si attua per mezzo della vista o dell’udito, e neppure vi si arriva attraverso le nostre facoltà intellettuali.
«Né occhio vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore di uomo» (1 Cor 2, 9). Chi intende salire verso la conoscenza delle più alte realtà, deve liberarsi da ogni forma di attività sensibile e irrazionale.
Ogni concetto derivante dalla conoscenza sensibile va separato e liberato da quegli elementi sensibili con i quali abitualmente è congiunto, come lo sono due persone abitanti nella stessa casa. Solo allora si può affrontare la montagna. Ma essa è tanto scoscesa che la maggior parte della gente può a mala pena spingersi fino ai suoi piedi.
La divina rivelazione
Per salire in alto fino a sentire i suoni delle trombe bisogna diventare come Mosè, che li sente farsi più forti a mano a mano che sale, come il racconto riferisce.
La rivelazione che ha per oggetto la natura divina è veramente una tromba che fa vibrare le nostre orecchie. Essa è un annuncio già grandioso al suo primo echeggiare, ma negli ultimi tempi è risuonato più distinto alle nostre orecchie.
La legge e i profeti hanno proclamato il divino mistero dell’Incarnazione, ma le loro voci erano inizialmente troppo deboli perché riuscissero a colpire l’udito di chi avesse voluto sentirle.
I giudei restarono sordi al suono di quelle trombe. Tuttavia il racconto ci informa che quel suono diventava sempre più forte.
I suoni uditi negli ultimi tempi corrispondono all’annuncio del Vangelo. Essi hanno potuto colpire le nostre orecchie perché, attraverso la voce di intermediari, era lo Spirito che si faceva sentire e suscitava un’eco più vibrata e più profonda anche per coloro che verranno dopo.
Il magistero della Chiesa, intermediario della divina rivelazione
I profeti e gli apostoli sono gli strumenti che diffondono la loro voce sotto l’azione dello Spirito. Essa come dice il Salmo si è diffusa su tutta la terra e le loro parole sono giunte fino ai confini del mondo (Sal 18, 5).
Sappiamo che la moltitudine non comprese i suoni provenienti dalla montagna e affidò a Mosè l’incarico di interpretare quelle misteriose rivelazioni. Mosè poi istruì il popolo sulle dottrine che aveva appreso nell’insegnamento celeste.
Questi due fatti concordano con l’ordinamento della Chiesa per il quale non tutti possono penetrare da soli nella comprensione dei misteri, ma si sceglie chi sia in grado di capire le cose di Dio e a lui si presta fiducioso ascolto, perché tutto ciò che viene insegnato da chi è stato istruito nelle cose divine si deve giudicare degno di fede.
«Non tutti dice la Scrittura sono apostoli, né tutti sono profeti» (1 Cor 12, 29). Questo ordinamento non viene rispettato oggigiorno in molte chiese. Molti osano affrontare la salita verso Dio mentre devono ancora purificare la loro vita passata e, per non essersi lavati, portano sopra di sé il sudiciume delle manifestazioni esteriori della vita e non hanno altro equipaggiamento che le conoscenze sensibili, vuote di razionalità. Costoro saranno investiti dalle pietre dei loro stessi pensieri. Le dottrine eretiche sono precisamente come pietre che ricadano sullo stesso autore. 52.
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