Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Teorie cosmologiche attuali e dogma della creazione

Ultimo Aggiornamento: 03/05/2014 16:41
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
31/03/2014 20:22
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota



 


teorie cosmologiche moderne e dogma della creazione


tratto dall'Enciclopedia di Apologetica - quinta edizione - traduzione del testo APOLOGÉTIQUE Nos raisons de croire - Réponses aux objection


 


Introduzione. - Una serie di iniziative prese durante questi ultimi anni dal Sommo Pontefice (1) hanno offerto ai cristiani colti l'occasione di trarre i vantaggi che derivano dal porre oggi la loro fede di fronte al pensiero scientifico nel suo stato attuale. Il Santo Padre stesso ha voluto in particolare sottolineare, con molta forza ed insistenza, l'armonia che si rivela tra le attuali teorie scientifiche dell'universo ed i dati essenziali della fede cattolica riguardanti questo nostro mondo di cui facciamo parte. Non soltanto infatti noi crediamo nell'esistenza di un Dio creatore che non si disinteressa per nulla del destino di questa creazione, ma la tradizione cattolica ha considerato ancora di fede (2)l'asserzione di una creazione il cui passato non è infinito. Agli occhi della fede il mondo ha quindi una vera origine nel tempo, di modo che il suo sviluppo attraverso i secoli si presenta come una specie di storia unica, nella quale viene ad inserirsi la storia stessa dell'uomo. Ora è un fatto che le prospettive scientifiche sulla natura inducono oggi la mente a concepire un universo il cui passato risale ad un'origine che non è infinitamente lontana da noi e la cui durata viene ad essere disposta nella cronologia d'una evoluzione cosmica che è particolarmente concatenata nei suoi processi ai processi della nostra evoluzione terrestre.


Messo di fronte a questo fatto dall'autorità suprema del magistero religioso, lo spirito cristiano non può che rallegrarsi di quest'affermazione di perfetto accordo. Ma nello stesso tempo si fa sentire in lui il bisogno di vedere più da vicino in che cosa consista tale armonia e come in sostanza si pongano, l'uno rispetto all'altra, le sue due componenti: quella dell'apporto scientifico e quella della fede. Tali chiarimenti sono utili del resto per evitare gli errori che, mentre sono . di pregiudizio all'uomo credente, urtano l'uomo di scienza: tali sarebbero la persuasione illusoria che la scienza rende ormai evidente quel che la fede ha sempre affermato, ed anche l'intenzione, confessata o no, di accordare un privilegio "scientifico" ad una delle varie teorie in base al fatto che sembra andar meglio d'accordo con le, prospettive dello spirito religioso. Questo tentativo di esporre le attuali concezioni cosmologiche e le osservazioni dalle quali sarà seguito, non hanno alcuna mira all'infuori di quella di aiutare a comprendere di che cosa si tratta, e quale dev'essere a questo riguardo il vero equilibrio dell'intelligenza cristiana.


(1) Enciclica Humani Generis. Discorso del 22 novembre. 1951, sulle prove del l'esistenza di Dio alla luce della scienza moderna, rivolto ai membri dell'Accademia
Pontificia delle Scienze; Discorso del 7 sett. 1952, rivolto a partecipanti all'ottavo Congresso mondiale dell'Unione astronomico internazionale. I due discorsi son riportati in appendice a questo volume. 
(2) A puro titolo di testimonianza di questa tradizione, ci si può riferire a San Tommaso d'Aquino, p. es. Summ. theol. I, q. 46, In cui egli espone la sua dottrina del l'impossibilità d'una decisione razionale in favore o contro l'eternità del mondo, polche la detorminazione in favore della sua non-eternltà deriva espressamente dalla rivelazione e dalla fede.


OFFLINE
31/03/2014 20:23
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

CAPITOLO I. - STATO SOMMARIO DELLE TEORIE COSMOLOGICHE ODIERNE

Come si pone oggi il problema cosmologico. - I primi tentativi di cosmologia non compaiono prima del XVIII secolo, nel senso almeno che il pensiero scientifico ha Ormai preso l'abitudine di dare a quest'espressione. Il compito della cosmologia scientifica non si limita, infatti, a descrivere il mondo quale esso è nel suo stato attuale. Consiste anche nel fornire nel suo complesso una specie di rappresentazione del divenire cosmico, e di permettere una qualche comprensione del presente, facendo vedere la sua genesi progressivo a partire da stati originari ragionevolmente concepiti. Cosi cosmologica e cosmogonia vengono ad associarsi in modo intimo e praticamente indissolubile. Questo tuttavia non si potè vedere se non dopo che furono ben noti i primi sviluppi della meccanica celeste, come li rendeva possibili la teoria newtoniana della gravitazione. Alla luce di queste conoscenze gli uomini del 1750 poterono per la prima volta intravedere in modo scientifico un'evoluzione delle strutture che formano l'architettura dell'universo. Il loro pensiero darà una forma a quest'idea quanto l'applicherà a studiare il sistema solare, il solo elemento dell'universo conosciuto allora sufficientemente.

Fin dal 1745, Buffon immagina che la nascita dei pianeti sia dovuta ad un urto tra il sole ed una cometa. Dieci anni dopo, nel 1755, Kant propone l'idea di una nebulosa iniziale, formata da particelle di materia animate da movimenti in tutte le direzioni, la quale si condensa progressivamente intorno a centri determinati che costituiranno gli astri principali, sole e pianeti. Questi sono gli antenati, non ancora perfettamente scientifici, dei due grandi schemi proposti per spiegare il sistema solare, tra i quali la scienza non ha ancora posto termine alle sue esitazioni. L'eredità di Buffon giungerà fino a Jeans, quella di Kant fino a Weizsacker. Non sembra sia sorto in seguito qualche germe ideologico sostanzialmente nuovo, capace di divenire centro d'elaborazione teorica di qualche importanza (3).

(3) Recentemente però Lyttleton e F. Hoyle hanno proposto di attribuire la formazione dei pianeti all'esplosione di una stella associata al sole. Secondo questa ipotesi il sistema solare era una volta un sistema stellaTe binario.. La componente diversa dal "ole passò per lo stadio supernova qualche miliardo di anni fa. L'energia dell'esplosionc fu sufftetante per spezzare il legame dell'attrazione tra il sole e la stella. Solo una piccola parte dei gas proiettati sussistette intorno al sole, e diede origine ai pianeti. Idea seducente, ài cui è ancor troppo presto apprezzare completamente la solidità.

Ma questo non riguarda ancora che il sistema solare il quale, ben lo sappiamo, non è l'universo. Al di là del nostro sistema solare s'estende il mondo delle stelle, quel mondo che, verso la fine del secolo XVIII, Guglielmo Herschel incominciava ad investigare sistematicamente per poter costruire una prima rappresentazione scientificamente fondata della galassia (4), cosmografia ancora molto imperfetta se la si paragona alla realtà grandiosa che l'astronomia di questi ultimi cinquant'anni ci ha fatto conoscere. Poi, al di là della nostra galassia, s'è svelato ormai il prodigioso universo delle nebulose spirali, ciascuna delle quali è analoga alla nostra galassia, universo che i nostri telescopi scrutano fino a distanze dell'ordine del miliardo d'anni-luce (5). Oltre alla struttura del nostro sistema solare, l'astronomia giunge dunque a due grandi ulteriori livelli di struttura cosmica.

Ed ormai al pensiero scientifico il problema cosmologico si propone al livello dell'ultima di queste strutture, quella dell'universo delle nebulose spirali.

Cosa degna di nota: quella struttura intermedia che è la nostra galassia, la quale costituisce per cosi dire l'universo stellare a noi proprio, non ha avuto la fortuna di formare, in nessun periodo della storia della scienza, l'oggetto d'una cosmologia nel vero senso della parola. Il secolo XIX non ha potuto far altro che proseguire la cosmografia stellare di Herschel ed immaginare, alla scala del mondo delle stelle, una trasposizione dell'ipotesi cosmogonica di Kant e di Laplace. In pratica la vera struttura della nostra galassia è stata sufficientemente conosciuta quasi solo con la scoperta dell'universo delle nebulose spirali. Nel momento in cui diveniva possibile una cosmologia della galassia, questa cessava di formare per noi l'universo. Anzi, quel che si è manifestato al di là ha subito offerto un tema, che il mondo delle stelle ci aveva negato a lungo, adatto a formulare vere ipotesi cosmologiche relativamente coerenti e scientificamente feconde, quelle che costituiscono precisamente le nostre teorie di oggi. Cosi noi, nel presentare le concezioni cosmologiche attuali, ci terremo d'ora innanzi a questo livello dell'universo delle nebulose spirali.

Qualche dato relativo alla galassia. - E' tuttavia impossibile capire quel che si riferisce all'universo delle nebulose spirali, senza avere almeno in mente un'idea sommaria dell'universo stellare al quale appartiene il nostro sole. Le apparenze della Via Lattea ci mdicano visibilmente la regione del cielo più ricca di stelle. Quanto alla configurazione reale del complesso, non la si conosce esattamente che dal 1918, come conseguenza dei lavori dell'astronomo americano H. Shapley

(4) Galàssia è il termine di cui ci si serve in astronomia in primo luogo per designare la formazione di stelle a cui appartiene il sistema solare e che si manifesta suJla volta del cielo sotto le apparenze della via lattea. Siccome esistono nell'universo altre formazioni analoghe, l'astronomia parla volentieri di galassie per designarle in generale. La galassia, nei primo senso della parola, sarà allora designata con l'espressione " nostra galassia ".
(5) Ricordinmo che un anno-luce, distanza percorsa in un anno dalla luce che si propaga nel vuoto alla velocità di 300.000 chilometri al secondo, equivale ad una di stanza di dieci mila miliardi di chilometri.

Due ostacoli principali impedivano fino allora di determinare questa configurazione. Azitutto l'impossibilità di conoscere con sicurezza le grandi distanze: i metodi trigonometrici usati da Bessel (1838) in poi, permettono di determinare la distanza di stelle lontane tutt'al più un centinaio d'anni-luce circa; i metodi ricavati dallo studio spettroscopico delle stelle e proposti da Adams nel 1914 permettono di andare molto più in là, ma non basta ancora. D'altra parte non ci si poteva ben render conto di tutta l'enorme zona della galassia che resta inaccessibile alla nostra ossevazione, perché nascosta da strati di stelle più vicine, oppure da una materia interstellare, che assorbe la luce. Tuttavia nel 1912 miss Leavitt scopre la celebre relazione che corre tra il periodo di vibrazione e lo splendore assoluto massimo delle stelle variabili a periodo regolare, chiamate Cefeidi. Shapley allora adopera questa relazione per misurare, attraverso la fotometria, le distanze che ci separano dagli ammassi globulari di stelle di cui è disseminata la galassia e, in base a questo, riesce costruire una rappresentazione di tutto l'insieme.

Questa si presenta sotto forma di una specie di disco circolare, avente un diametro di circa 100.000 anni-luce ed uno spessore di qualche migliaia d'anni-luce, variabile dal centro alla circonferenza. Al centro il disco presenta un rigonfiamento importante avente un diametro di circa 15.000 anni-luce. La struttura globale è in ogni aspetto analoga a quella delle nebulose spirali che l'osservazione astronomica ci rivela nei loro diversi aspetti: delle spire, regioni più ricche di stelle, partono dal bulbo centrale e si svolgono attorno ad esso. Il tutto è animato da un lento movimento di rotazione su se stesso. La nostra galassia deve contenere in tutto almeno un centinaio di miliardi di soli. Tenendo conto della materia interstellare, la sua massa è di circa 200 miliardi di volte quella del sole. Sotto questo aspetto può sembrare una nebulosa spirale di dimensioni abbastanza superiori al normale, ma senza nulla di molto straordinario.

Il nostro sole poi è ben lungi dell'occupare una posizione centrale in questo sistema. Esso è invece più vicino alla periferia, roteando nello spazio ad una distanza di circa 30.000 anni-luce dal centro, intorno al quale sembra compiere una rivoluzione completa in circa 250 milioni di anni. Quanto alla regione centrale della galassia, essa è, come già si è detto, nascosta alle nostre osservazioni da tutto ciò che si trova in esssa e noi. Si vede bene anche da ciò che noi siamo ben lontani dall'occupare il centro del nostro universo stellare. Ma fu necessario aspettare questi ultimi trent'anni per potercene rendere conto scientificamente.
OFFLINE
31/03/2014 20:24
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

L'universo delle nebulose spirali. - Nel momento in cui la configurazione della nostra galassia finiva di lasciarsi conoscere nelle sue grandi linee, l'astronomia era già in possesso d'una conoscenza d'osservazione abbastanza sviluppata riguardo alle nebulose spirali. Fin dal 1846 Lord Ross aveva visto al telescopio la struttura a spirale d'una di esse (la nebulosa detta a dei cani da caccia ", Messier 51). Nel 1850 egli conosceva quattordici nebulose spirali. Nel 1887 si vedono le spire della grande nebulosa d'Andromeda. Al principio del secolo erano già state catalogate parecchie migliaia di spirali, senza che gli astronomi si fossero ancora messi d'accordo sulla natura di questi oggetti celesti, che molti continuavano a pensare non fossero altro che formazioni interne alla galassia.

Ma nel 1924 Huble costata la risoluzione in stelle delle apparenze nebulari che le spire assumono finché sono osservate da telescopi ad ingrandimento insufficiente. Poi tra queste stelle egli scopre delle Cefeidi e delle stelle esplosive dette " novae " e " supernovae " (6) che rendono possibili delle misure di distanze. Le nebulose spirali più vicine a noi distano circa 750.000 anni-luce, le distanze più lontane che si sono potute valutare fondatamente col grande telescopio del Monte Wilson sono di circa 250 milioni di anni-luce. La difficoltà è quindi sciolta: si tratta di città di stelle analoghe a quelle che costituiscono la galassia, disseminate nello spazio a delle distanze tra loro la cui immensità non è stata scoperta che molto recentemente.

Per dare un'immaggine di quanto si sia dilatata la nostra presa di possesso scientifica dello spazio, si può dire che, se nel 1900 si fosse fatta la olanimetria dei punti dell'universo di cui eravamo riusciti allora a misurare la distanza dal sole, rappresentandoli su di una superficie di un metro quadrato, ci vorrebbe oggi una superficie eguale almeno a quella di tutta la terra per fare, alla stessa scala, la planimetria del nostro universo.

Le nebulose spirali sono numerose nello spazio. Si calcola che la regione d'universo accessibile agli attuali sondaggi astronomici deve contenerne circa un centinaio di milioni. Trascurando di considerare gli ammassi locali di nebulose, di cui si ha un esempio assai vicino a noi nella costellazione della Vergine, la distribuzione delle nebulose spirali è stata considerata fino ad oggi come sensibilmente uniforme nello spazio: ci sarebbe approssimativamente una nebulosa spirale per ogni cubo avente il lato lungo un milione d'anni-luce. Le nebulose spirali formerebbero così come i vertici osservabili d'un gran reticolato geometrico a maglie quasi regolari che occuperebbe tutto lo spazio. Ne risulta che anche con le osservazioni astronomiche più potenti, quali sono oggi rese possibili dai grandi telescopi moderni, noi non riusciamo a vedere che un frammento del reticolato. Come concepirlo nella sua interezza? Tale è precisamente la prima parte del problema cosmologico moderno.

La recessione delle nebulose. - Ora un fatto capitale è venuto ad aprire la via d'una soluzione che da qualche lato è molto sconcertante per le abitudini dello spirito scientifico classico, ma è tuttavia coerente e molto soddisfacente una volta che se ne sono compresi, se non i particolari, almeno i principi e la portata.

Ecco in che cosa consiste il fatto. Si può fare l'esame spettroscopico della luce emessa dalle nebulose spirali più o meno lontane.

(6) Una stella detta nova è una stella che passa bruscamente attraverso uno stadio esplosivo liberando un'enorme quantità di energia. Il suo irraggiamento luminoso aum"nta In proporzione e ne risulta che là dove la carta -del cielo non segnalava che una piccolissima stella oppure anche nulla di visibile, appare In poco tempo una stella talvolta brillantissima. Questo splendore intenso non aura a lungo e la stella residua è di piccole dimensioni. Le novae furono osservate fin dall'antichità. E' un fenomeno frequente. Quanto alle supernovae esse si distinguono per la violenza straordinaria dnl processo esplosivo e lo splendore particolarmente intenso che raggiungono. Tycho-Brahé ne osservò una nel 1572 che divenne visibile in pieno mezzogiorno. Possono essere osservate al telescopio persino nelle nebulose spirali lontane. E come c'è una certa costanza nell'ordine di grandezza del loro splendore assoluto massimo, si può dedurre, con metodi fotometrici ordinari, una valutazione di distanza.

Vi si riconoscono senza difficoltà le righe caratteristiche di elementi chimici identici a quelli noti sulla terra: idrogeno, elio, sodio, calcio, ecc... Ma queste righe non sono esattamente nella posizione che esse occupano nello spettro terrestre; sono tutte spostate verso il rosso, cioè verso le regioni di lunghezza d'onda maggiore e, punto capitale, per una data lunghezza d'onda, il valore di questo spostamento è sensibilmente proporzionale alla distanza della nebulosa spirale in esame. Queste osservazioni incominciarono verso il 1912, in un momento in cui non si era ancora sicuri sulla vera natura di queste nebulose. Nel 1924 si conosceva già una quarantina di questi spettri di nebulose dalle righe deviate verso il rosso.

Il problema di interpretare questa deviazione non sollevò alcuna discussione all'inizio. L'astronomo Slipher, che ne fece i primi studi nel 1912, pensò subito all'effetto ottico del movimento ben noto sotto il nome di effetto Doppler-Fizeau; in questo caso lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso significa che la nebulosa sorgente della luce analizzata si allontana da noi con una velocità proporzionale alla grandezza di questo spostamento. Vi è in questo, salvando le proporzioni, un fenomeno analogo a quello che fa sembrare più grave il fischio della locomotiva quando si allontana da colui che percepisce il fischio. Nel 1928 Huble e Humason avevano in mano i dati sufficienti per stabilire questa legge fondamentale: Le nebulose spirali s'allontanano da noi con una velocità proporzionale alla loro distanza: questa velocità aumenta di circa 170 chilometri al secondo quando la distanza aumenta di un milione di anni-luce.

In principio le velocità d'allontanamento furono misurate per delle spirali relativamente vicine. Si ottennero allora delle velocità che andavano fino ai migliaio di chilometri per secondo. Ma progressivamente le misure fatte su oggetti più lontani condussero a cifre molto più elevate; un ammasso di spirali osservabili nella costellazione dell'Orsa maggiore e situata a circa 250 milioni d'anni-luce si allontana da noi alla velocità di 42.000 chilometri al secondo. Davanti all'enormità di queste cifre ed alle conclusioni che bisogna trarre da questa interpretazione, alcuni uomini di scienza hanno incominciato a dubitare dell'interpretazione stessa ed hanno cercato altre spiegazioni del fenomeno spettroscopico. Si è pensato per esempio ad un abbassamento della frequenza dell'irraggiamento luminoso proporzionale alla distanza percorsa, con un coefficiente cosi piccolo che il fenomeno non incomincerebbe ad essere sensibile che per delle distanze dell'ordine di quelle che ci separano dalle nebulose spirali. Ma l'inconveniente di questa ipotesi è che essa è assolutamente gratuita e fittizia, senza riallacciarsi a nessun altro fenomeno fisico conosciuto. Allo stato presente dei problemi essa è certamente molto meno fondata scientificamente che non L’interpretazione naturale fornita dal richiamo all'effetto Doppler-Fizeau, che lega l'abbassamento apparente della frequenza dell'onda ricevuta, non con un allontanamento, ma con una velocità d'allontanmento della sorgente.

Noi siamo quindi condotti a trarre le conclusioni di tutto ciò nei termini seguenti: le nebulose spirali, eccetto quelle che sono più vicine a noi e che formano con la nostra galassia un ammasso locale, si allontanano da noi e tanto più in fretta quanto più sono lontane. Tutto ci fugge. Oppure, se si vuole, il reticolato geometrico i cui nodi sono le nebulose spirali non è statico: aumenta di volume e le sue maglie continuamente si dilatano in modo prodigioso.
OFFLINE
31/03/2014 20:25
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La struttura dello spazio cosmico. - A prima vista sembrerebbe che, considerandoci come nel punto centrale di questo reticolato, noi dovremmo concludere che inoltre, più le maglie del reticolato sono lontane,, più si dilatano rapidamente. Ma è necessario rinunciare all'idea che noi ci troviamo al centro dell'universo delle spirali. Allo stesso modo in cui la terra non è al centro del sistema solare, allo stesso modo in cui il sole non è al centro della galassia, così la galassia stessa non è al centro dell'universo. Noi siamo situati in uno qualunque dei nodi del reticolato, ecco tutto. C'è ragione di pensare che quel che vediamo noi lo percepirebbe anche un osservatore posto in qualche altra nebulosa, se facesse le stesse osservazioni che facciamo noi. Gli sembrerebbe che tutto l'universo lo fugga secondo la stessa legge di proporzionalità delle velocità di allontanamento alle distanze. In conclusione il fatto è che sempre tutto che è nel nostro spazio fugge in questo modo. Ora questa identità di situazioni che non concede privilegi ad alcun centro di osservazione, è perfettamente possibile, ma ad una condizione abbastanza rivoluzionaria dal punto di vista della nostra solita intuizione spaziale: bisogna infatti che il reticolato di cui abbiamo ora parlato non sia intrecciato in modo da costituire uno spazio euclideo, ma l'analogo a tre dimensioni d'una superficie sferica.

Immaginiamo una palla di gomma su di cui si applica una rete elastica a maglie quasi regolari, oppure, ciò che finisce di essere lo stesso, sulla quale si segnano dei punti quasi regolarmente distanziati. Se si gonfia la palla i nodi della rete oppure i punti segnati si allontaneranno gli uni dagli altri delle osservazioni analoghe a quelle che si fanno da questi altri punti. Ora, se un osservatore situato in uno dei nodi ha la possibilità di misurare, servendosi di segnali che percorrono la superficie della sfera, le velocità di allontanamento dei diversi altri nodi della rete, troverà delle velocità precisamente proporzionali alle distanze. I nodi della rete elastica, i punti segnati alla superficie della palla seguono, gli uni rispetto agli altri, la legge di Hubble-Humason che è stata appena ora enunciata per le nebulose spirali; velocità di fuga proporzionale all'allontanamento del punto, ben inteso alla condizione di misurare l'allontanamento percorrendo la sfera.

Cosi l'interpretazione più ragionevole di quel che noi osserviamo è alla fine quella di pensare che gli spazi celesti nei quali noi situiamo tutte le nebulose spirali siano analoghi a tre dimensioni della superficie di una palla che si gonfia. E' questa specie di "superficie d'una ipersfera a quattro dimensioni" che viene ricoperta dal reticolato delle nebulose spirali, e l'insieme del reticolato, il cosmo completo, non sarebbe altro che la totalità di questa "superficie". In questo modo il fatto fisico della recessione delle nebulose ci permette di passare dal frammento d'universo esplorato ad una concezione dell'insieme del mondo. Da questo momento lo spazio cessa di essere come una specie di contenente assolutamente indipendente dalle cose che vi vengono a prender posto, il quale sarebbe presupposto alla loro esistenza come la scena del teatro è presupposta alla recitazione degli attori. Noi dobbiamo pensare invece che sono le cose a farsi il loro spazio ed è la natura dei loro rapporto che determina la sua struttura cosmica. In tal modo che non è per nulla impossibile allo spirito umano di risalire dalla conoscenza di certi fatti naturali a quella dei caratteri globali dello spazio fisico. Idea profonda, già intravista dall'antichità, ma che la meccanica classica ci aveva quasi fatto dimenticare.

Legame con le teorie della relatività generale. - Ora, nel momento in cui si faceva questo concatenamento di considerazioni, cioè verso il 1930, lo spirito scientifico era per un altro verso già bene preparato dal punto di vista teorico ad accettare queste idee sullo spazio cosmico e le conclusioni su esposte, mentre queste stesse conclusioni e queste idee avrebbero molto spaventato gli uomini di scienza del 1900. A partire dal 1913 infatti Einstein pone i principi della teoria detta della Relatività generale, allo scopo di ridurre alla considerazione d'una opportuna struttura dello spazio-tempo la spiegazione teorica dei moti accelerati osservati nella natura.

Nel 1915 egli ottiene la soluzione del problema equivalente a quello cui risponde la teoria classica dell'attrazione newtoniana. La legge di Einstein relativa alla gravitazione nel vuoto (7) riceverà ulteriormente tre bellissime conferme sperimentali. Anzitutto essa rende conto con molta precisione di una anomalia del movimento del pianeta Mercurio che la teoria classica non può spiegare. Poi essa prevede quantitativamente la deviazione d'un raggio luminoso che passa nelle vicinanze d'un corpo pesante, e questo' si può verificare bene quando un'eclisse di sole permette di studiare l'occultazione d'una stella da parte del sole. Infine essa prevede uno spostamento, anche questo ben verificato, delle righe spaziali della luce emessa da una sorgente situata in un campo di gravitazione molto intenso.

La formulazione di questa legge viene ad ammettere che l'azione di quel che noi chiamiamo materia si traduce, dal punto di vista meccanico, in una certa "curvatura locale" dello spazio-tempo, per cui esso s'allontana dalla struttura euclidea che ci è familiare. E siccome questa curvatura regola i movimenti di ogni particella materiale, essa fornisce l'analogo einsteniano di ciò che Newton chiamava le forze d'attrazione tra corpi pesanti. Si vede dunque comparire, per ragioni teoriche, una prima idea dell'impossibilità di rendere la struttura caratteristica dello spazio fisico dei fenomeni concreti, soprattutto se la si considera ad una certa scala di grandezza, equivalente alla struttura familiarmente euclidea. Quest'ultima potrebbe solo adattarsi ad un campo d'osservazione pochissimo esteso intorno all'osservatore. Lo spazio euclideo familiare corrisponde alla realtà fisica un po' come la tanta gente in un punto corrisponde alla curva di cui essa è tangente in quel punto: finché non ci si allontana troppo dal punto in esame la curva e la tangente si possono confondere, ma ad una certa distanza ciò non è più possibile.

(7) E' Inutile qui insistere su questa legge come si esprime In termini matematici. La scrittura in quanto tale non potrebbe essere più semplice: " Ma la spiegazione di ciò che vuoi dire il simbolo essenziale Gfi", che vi figura, sarebbe molto lunga e praticamente inaccessibile, a meno di entrare in una tecnica matematica che qui non è il caso di sviluppare.

La legge einsteiniana della gravitazione definisce una struttura locale dello spazio-tempo in vicinanza di masse materiali. Tuttavia fin dal 1916 Einstem, dopo aver scritto le leggi della gravitazione in un mezzo contente . questa volta materia e radiazioni (8), ottiene una soluzione di quell'equazione suscettibile di applicarsi ad ogni punto d'uno spazio considerato nella sua totalità.

Questa soluzione caratterizza dunque un certo modello teorico di universo. Nel primo modello di Einstein il tempo è indipendente dalle misure spaziali e, da parte sua, lo spazio è ipersferico, è cioè precisamente l'analogo a tre dimensioni della superficie della sfera. Questo modello d'universo rappresenta un universo che contiene quanta più materia è possibile ed un universo globalmente statico, senza evoluzione: solo piccoli movimenti locali vi sono concepibili.

L'anno seguente De Sitter trova una seconda soluzione dell'equazione generale scritta da Einstein. Essa rappresenta un universo dallo spazio ipersferico come il precedente, ma in cui la misura del tempo dipende dalla distanza dell'osservatore.

Un tale universo è anch'esso globalmente statico, ma questa volta non contenendo alcuna materia, esso è globalmente vuoto. Se tuttavia si introducesse una piccola particella materiale in questo universo, essa dovrebbe comportarsi rispetto ad un osservatore situato all'origine delle coordinate come se essa fosse respinta da lui: tale è precisamente il comportamento delle nebulose spirali rispetto a noi. Si pensò dunque molto presto che i due modelli d'universo proposti da Einstein e De Sitter rappresentassero i casi limiti del "pieno" e del "vuoto" tra i quali si dovesse porre il caso reale del nostro universo. Risale allora a De Sitter il merito di aver per primo visto un legame possibile tra la cosmologia derivata dalle equazioni della relatività generale ed il fenomeno già intravisto della recessione delle nebulose.

Tuttavia né l'una né l'altra di queste due soluzioni è molto soddisfacente. Gli universi di Einstein e di De Sitter sono modelli eccessivamente semplificati, incapaci di accogliere, uno il divenire, l'altro la materia pesante che compaiono nel nostro universo concreto. Quanto al compromesso tra l'uno e l'altro, esso non da che suggerimenti qualificativi. Con tutto ciò nel 1922 A. Friedmann fa vedere che si possono trovare soluzioni dell'equazione di Einstein che descrivono questa volta universi non statici, cioè nei quali la configurazione dello spazio dipende questa volta dal tempo. Una di queste soluzioni rappresenta uno spazio ipersferico il cui raggio, nullo in principio, cresce fino ad un massimo, poi diminuisce di nuovo fino ad annullarsi: espansione seguita da contrazione. E' la soluzione che Einstein ha fatto sua. Il mondo attuale sarebbe un universo di questo genere, preso nella fase d'espansione.

Un po' più tardi, nel 1927, l'abate Lemaitre riconosce un'altra solu zione che fornirà la sua armatura alle concezioni più usuali dell'Universo in espansione.

(8) Logge di scrittura un po' più complicata di quella della gravitazione nel vuoto, e in cui si .può introdurre un termine nel quale apparirebbe una costante, la "costante cosmologica", ohe ha un ufficio importante in tutti gli sviluppi teorici di cui parleremo subito.

Lo spazio vi ha sempre la forma ipersferica e l'universo è d'una formazione tale che ad una certa epoca della sua evoluzione passa attraverso lo stato d'equilibrio che è rappresentato dall'universo statico di Einstein. Ma questo stato d'equilibrio è in realtà uno stato d'equilibrio fisicamente instabile. Lemaitre e poi Eddington hanno avuto il grande merito di sottolinearlo. Appena un tale stato d'equilibrio si trova rotto anche per pochissimo, l'universo cade o nella fase in cui si contrae sempre di più, oppure nella fase in cui si dilata indefinitamente. I fatti ci dimostrano che in pratica si produce un'espansione. D'altronde la fase di evoluzione anteriore al passaggio attraverso lo stato d'equilibrio instabile può essere concepita anch'essa come un'espansione a confronto con uno stato iniziale più condensato (9). In tal modo l'universo si evolve al ritmo d'un'espansione che va rallentando fino al passaggio per lo stato ^'equilibrio, e poi riparte di nuovo. Nel nostro universo concreto questo stato d'equilibrio sembra oltrepassato da molto tempo.

In quel che concerne l'accordo con i dati dell'esperienza, diciamo soltanto che un modello di questo genere si accorda bene in particolare con il sistema di fatti osservati a proposito della recessione delle nebulose spirali. Si ottiene cosi un'elegantissima rappresentazione teorica del processo della natura più grandioso che ci sia stato dato fin'ora di conoscere.

.Ci si vorranno perdonare questi sviluppi un po' arditi. Era importante far vedere da una parte come l'idea d'un universo il cui spazio è l'analogo a tre dimensioni della superfice sferica, idea che suggerisce la recessione delle nebulose, è stata accolta molto naturalmente dalla teoria della Relatività, generale, e d'altra parte come le stesse basi teoriche permettono, variando i parametri e le soluzioni delle stesse equazioni, di trovare tutta una varietà di modelli molto diversi, più o meno atti alla rappresentazione scientifica dell'universo conosciuto sperimentalmente. Questi punti sono davvero essenziali per la discussione che verrà in seguito.
OFFLINE
31/03/2014 20:26
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Lo stato iniziale. - I modelli ad espansione richiedono tuttavia ulteriori considerazioni. Si può anche considerarli come suscettibili d'una ricostruzione, almeno a grandi linee, della storia del mondo passato. Ora, per il modello Friedmann-Einstein, come per il modello Lemaitre, questa storia incomincia a partire da uno stato molto condensato della materia. Lo si comprende facilmente: se l'espansione, quale si verifica attualmente si svolgesse a rovescio, tutte le nebulose spirali verrebbero sempre più a riunirsi fino a ritrovarsi tutte congiunte ad un'epoca che si può calcolare. Partendo dal corso attuale dell'espansione si trova che quest'epoca del congiungimento di tutte le nebulose si deve.porre a qualche miliardo di anni nel passato, e questo press'a poco quadra con l'età che noi possiamo dare alla terra, al nostro sistema solare, alla galassia, ecc... Ci sarebbe dunque una specie di origine cosmica dello stato attuale dell'universo: questo stato concentrato della materia che prelude all'espansione del tutto.

(9) Si può, in pratica, dare alla costante cosmologica (
Lemaitre è andato più lontano: ha ammesso che questo stato fosse quello d'una specie di atomo primitivo unico, la cui formidabile disintegrazione fu all'origine degli elementi e dei mondi.

E' una visione delle cose che lo stato attuale delle conoscenze non proibisce e non impone, ma che simboleggia in modo sorprendente quello stato di concentrazione materiale dell'universo originario. E' del resto abbastanza notevole che gli studi fatti più recentemente sulla distribuzione degli elementi chimici nell'universo, sulla loro relativa abbondanza e sulla loro possibile origine, hanno di comune questo, nonostante la diversità delle loro basi e delle teorie proposte, che conducono tutti a postulare uno stato originario molto concentrato e molto denso della materia cosmica. Un prezioso accordo sulla teoria dell'espansione dell'universo sembra che venga cosi a prodursi, partendo da considerazioni molto diverse e da dati dell'esperienza fisica indipendenti da quelli che hanno condotto alla prima idea di questo stato iniziale.

Certamente le cose devono essere esaminate molto più da vicino. Nondimeno resta il fatto che l'insieme dello schema d'una evoluzione cosmica che parte da uno stato iniziale denso e ad altissimo potenziale energetico, che incomincia alcuni miliardi d'anni fa per dare orgine al mondo costituito dalla configurazione delle nebulose spirali in costante espansione, rappresenta una concezione cosmologica scientificamente plausibile e senza dubbio la migliore di cui noi disponiamo attualmente.

I modelli legati a concezioni cosmologiche d'altro tipo. - Per quanto sia soddisfacente di fronte al complesso dei dati positivi di cui disponiamo attualmente, la concezione dell'universo di cui abbiamo ora visto l'elaborazione non è tuttavia irreprensibile da ogni altro punto di vista quando la si considera più da vicino.

Anzitutto l'accordo con i dati reali non è che approssimativo. Segnaliamo due punti che sembra siano abbastanza imbarazzanti. Il primo è che ci si immagina una distribuzione quasi omogenea delle nebulose spirali nello spazio. Ora, lo stato attuale dei sondaggi astronomici non sembra che porti una piena conferma a queste ipotesi: le dissimmetrie della distribuzione oltrepasserebbero notevolmente le ineguaglianze che si dovrebbero pensare dovute semplicemente al caso. Il secondo è che la cronologia del passato ricostruita sulla base dello stato attuale dell'espansione dell'universo da veramente troppo poco di tempo: la terra appare antica di almeno due miliardi di anni, età vicina a quella che gli attuali metodi geologici permettono di assegnare a certe rocce molto vecchie. Ora, facendo il calcolo astronomico puro e semplice, questo dovrebbe essere stato anche press'a poco il momento in cui ebbe origine l'espansione. E' tuttavia chiarissimo che l'epoca di formazione della terra e delle rocce che vi si trovano è assai notevolmente posteriore all'epoca della sua origine.. Ma, sulla base dei dati accessibili e senza ipotesi ingiustificate, si fa gran fatica a trovare i mezzi di fare dei calcoli che portino l'origine ad un'epoca sufficientemente anteriore a quella della formazione del sistema solare.

D'altra parte ci sono stati uomini di scienza refrattari alle concezioni spazio-temporali della Relatività e soprattutto a quelle della Relatività generale che obbliga ad abbandonare il carattere euclideo dello spazio accettando l'idea delle curvature riemanniane imposte allo spazio a tre dimensioni nel quale viviamo. Questa ripugnanza ha condotto Milne in particolare ad una teoria curiosissima — quella della " Relatività cinematica " — nella quale, attraverso posizioni di pensiero che d'altronde non sono accettate dalla maggioranza degli uomini di scienza (10), si ritrovano analoghi, newtoniani delle strutture della Relatività generale. Si ricade di fatto su equazioni formalmente identiche a quelle di Einstein. Ma l’interpretazione ne è affatto diversa. E' d'altronde impossibile entrare qui nei particolari.

Dopo aver cosi rimesso in discussione il problema, altre idee sono state proposte recentemente. Fra le più interessanti bisogna ricordare quella che forni le basi alla cosmologia di H. Bondi e T. Gold, che proponeva questa volta un universo simultaneamente in espansione ed in uno stato stazionario: ciò diventa possibile se si fa l'ipotesi di una specie di creazione continua della materia in seno allo spazio cosmico.

Ecco i dati essenziali di questa concezione: invece di immaginare uno stato iniziale denso a partire dal quale si produce l'espansione, si ammetterà che compare continuamente nello spazio una certa quantità di materia che i calcoli rivelano dell'ordine di circa cinquecento atomi di idrogeno per ogni chilometro cubo all'anno. Questa materia tende a riunirsi in nebulose, sia che essa si aggreghi alle nebulose già formate, sia che diventi il germe d'una nuova nebulosa. Il processo d'espansione delle nebulose, appena esse si formano, viene a mantenere la costanza della densità media di materia nell'universo.

In tal modo abbiamo una specie di ricomposizione costante dei processi che l'osservazione astronomica è in grado di percepire. Si ottiene còsi un universo empiricamente stazionario: accade qualche cosa in questo universo, ma in sostanza vi si produce sempre la stessa cosa.

Secondo le idee di Milne, i processi di comparsa di materia, di formazione delle nebulose, poi di scostamento delle nebulose formate, si compiono continuamente in uno spazio fisico euclideo, ma la trama cosmologica degli avvenimenti potrà essere descritta per mezzo delle formule proprie alle teorie della Relatività generale. Una volta abbandonato il principio della conservazione della materia, si prenderanno delle equazioni più che è possibile vicine a quelle di Einstein e si ricadrà in una soluzione che, dal punto di vista della metrica di spazio-tempo, è la soluzione descrittiva di un universo di De Sitter. Ma non è più altrettanto necessario postulare quest'universo vuoto, poiché esso è costruito sulla base di ipotesi abbastanza differenti da quelle ammesse dall'astronomo olandese.

(10) In particolare, Milne ammette una dissociazione della scala del tempo in due: ci sarebbe da una parte una temporalità cinematica valida per tutto ciò che si riferisce all'elettrodinamica e per la quale il passato sarebbe infinito, ed una temporalità dinamica valida per tutto ciò che è in rapporto con la materia corporea e pesante, la gravitazione newtoniana in particolare. Questa temporalità dinamica £ in corrispondenza logaritmica con la temporalità cinematica, di modo che all'Infinito del passato cinematico corrisponde un passato dinamicamente finito.

Una delle conseguenze di tutto ciò è il fatto che nell'universo si troveranno delle nebulose di ogni età, nonostante una certa età media delle formazioni materiali che i calcoli fissano all'inarca di due miliardi di anni. La nostra galassia è sensibilmente più vecchia di questa età media. Ma precisamente questo va ben d'accordo col fatto che la sua statura è sensibilmente superiore alla media. Oltre agli accordi con l'esperienza che i modelli Classici possono presentare per conto loro, si troverebbe così, in un modello di questo genere, la possibilità di spiegare un certo numero di altri fatti che sono rimasti fino ad oggi al di fuori delle considerazioni cosmologiche moderne. In particolare si potrebbe trattare tutto in una volta il problema della struttura globale dell'universo e quello della formazione delle nebulose spirali. La contropartita dei vantaggi così sperati è evidentemente l'abbandono del principio della conservazione della materia ed il postulato di questa inspiegabile comparsa di atomi di idrogeno nello spazio. Le abitudini dello spirito scientifico sono poco favorevoli a simili postulati, di modo che per ora la cosmologia di Bondi e Gold, insieme a qualche altra ancora (11), figura piuttosto come un suggerimento di riserva che come una teoria trionfante. Ma chi può sapere quel che l'avvenire riserva a queste idee nascenti?
OFFLINE
31/03/2014 20:27
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

CAPITOLO II. - CONCEZIONE SCIENTIFICA DELL'UNIVERSO E DOGMA RELIGIOSO

Al termine di questa esposizione, ancora molto sommaria e già troppo lunga, ma che si capirà quanto sia stata indispensabile, cambiamo ora deliberatamente il nostro atteggiamento intellettuale. Tentiamo di riconsiderare nella riflessione queste concezioni di cui abbiamo rapidamente tracciato l'elaborazione ed il contenuto e, seguendo le prospettive che questa riflessione ci offre, confrontiamole con le diverse determinazioni spirituali che in tali circostanze si possono creare: per esempio le determinazioni spirituali del sentimento filosofia) che è inerente allo spirito messo in presenza dell'universo e sopratutto, è questo il punto a cui vogliamo arrivare, le determinazioni spirituali della fede religiosa quando è messa a confronto dei fatti cosmologici.

Lo stesso cambiamento di atteggiamento implica che, senza perderlo completamente di vista, noi abbandoniamo coscientemente il comportamento intellettuale specifico della scienza per adottare un altro orientamento di pensiero. E' oggi una cosa onesta e non senza importanza intellettuale dichiararlo espressamente nel momento in cui ciò si verifica. Si crede infatti, e troppo spesso si pretende che sia " scientifico " un pensiero che si riferisca a cose scientifiche anche quando esso suppone un atteggiamento dello spirito irriducibile a quello della scienza in senso rigoroso. L'aggettivo " scientifico " apre allora la porta a molti abusi di pensiero ed a molte illusioni di parole.

(11) Cosi è quella di Pascual Jondan, che non esponiamo qui.

Qualche riflessione preliminare. - Tuttavia, per chiarire i suoi procedimenti, la riflessione potrà in principio usare un'osservazione che di per sé dipende ancora dal pensiero scientifico, benché sia situata come ai suoi limiti. Qualunque esse siano, le concezioni cosmologiche messe in circolazione dalla scienza di queste ultime decadi hanno tutte questo di comune, che esse si fondano, da una parte, sugli insegnamenti del fenomeno astronomico detto a della recessione delle nebulose spirali ", e dall'altra, sulle equazioni di campo caratteristiche delle teorie dette
Ma è assai curioso — e qui la riflessione comincia a lavorare per conto suo al di là dell'orizzonte semplicemente scientifico — notare che attraverso le varie parti di questo gioco serio e scientificamente motivato, che ci stanno sotto gli occhi, sono sempre in fondo i temi quasi permanenti della ragione umana alle prese con l'universo materiale, temi che qui rinascono rinnovando le loro antiche opposizioni. Abbiamo bisogno di un universo in cui qualche cosa si evolva, poiché noi stessi ci evolviamo in esso. Ma non sappiamo concepire un universo in cui qualche cosa si evolva se non a costo di una specie di sacrificio in tutto ciò che noi vorremmo mantenere come razionale.

Noi possiamo fare qualche scelta nel sacrificio, ma nient'altro. Le cosmologie del tipo " universo in espansione " sacrificano il carattere stazionario del divenire e l'indefinito della causalità fisica, per venire a capo di un'origine. Le cosmologie del tipo Bondi e Gold sacrificano l'invariabilità della materia. Distribuiscono attraverso il fluire del tempo il miracolo dell'esistenza che sorge senza causa percettibile, miracolo di cui, dopo tutto, è razionalmente più comodo — se non più valido intellettualmente — sbarazzarsi accettandolo una volta per tutte, in blocco, rinviandone l'atto all'infinito del passato o dell'arbitrarietà di un istante, come faceva la scienza fisico-meccanica dell'epoca classica.

In fondo, anche sul piano stesso dei concetti, non sappiamo spiegare col nulla un universo che cammina: per conseguenza dobbiamo ammettere in siffatto universo o la traccia di una genesi, o l'effetto d'un primo motore eterno.

Dal punto di vista ideologico, probabilmente a loro insaputa, Bondi e Gold non sono molto lontani dal vecchio Aristotele. Essi sostituiscono semplicemente la comparsa continua di materia già formata, con le sue proprietà oggi conosciute dalla scienza, al flusso continuo di energia di movimento che le sostanze spirituali ideate da Aristotele facevano comparire nel mondo dei corpi, in modo altrettanto incomprensibile dal punto di vista fisico della comparsa di cinquecento atomi di idrogeno per ogni chilometro cubo e per ogni anno, postulati per presentare un'espansione stazionaria. D'altra parte gli schemi dell'universo in espansione non stazionaria illustrano a modo loro l'idea di un universo in cui nulla sfugge all'avventura storica ed ai caratteri fisicamente incomprensibili della sua economia concreta: irreversibilità, del divenire e finalmente singolarità unica di ogni momento dell'essere e del tutto.

Di modo che, usando un linguaggio certo più stringato tecnicamente e prendendo conoscenza più adeguata delle cose, le antichissime posizioni del pensiero umano continuano la loro dialettica. Che questa dialettica continui forse senza che se ne rendano conto quei medesimi che oggi le offrono il campo immenso dell'astronomia moderna ed il magnifico strumento del pensiero scientifico, tale è senza dubbio, ad un certo livello, il fatto che ha un significato essenziale.

Interessi dello spirito e reazioni ulteriori: l'esigenza dell'armonia. -

Ma gl'interessi dello spirito non si limitano all'analisi dello spettacolo che gli è offerto così dal pensiero dell'uomo. Si manifestano in molti modi, tenendo conto di ciò che è tutto l'essere umano, di ciò che sono la sua cultura, la sua vita intima, le sue aspirazioni e le sue speranze. Le conquiste a cui la scienza giunge per conto suo possono interessare lo spirito da questo punto di vista e suscitare ulteriori reazioni, quale la meditazione contemplativa delle relazioni tra i ritrovati del pensiero scientifico ed altri ordini di fatti umani, quali, in certe circostanze, delle interpretazioni o delle prese di posizione. L'umanità profonda di ogni personalità spirituale è fatta di tutta la trama che viene tessuta da queste ulteriori reazioni della riflessione e del cuore.

Ora il cristiano porta in sé la realtà vivente della fede e dei suoi insegnamenti, determinazioni spirituali che, poste dall'intimo in presenza della scienza e dei suoi risultati, richiameranno come un loro diritto molte reazioni del tipo ora descritto. Quali saranno allora le reazioni che ci si possono aspettare? Quali saranno quelle che si potranno legittimamente lasciare sviluppare? Tale è, infondo, il vero problema del rapporto tra la scienza ed i determinanti dell'atteggiamento religioso, fede e dogmi.

Vediamo dunque quel che ne risulta nel caso presente. Senza averlo cercato apposta, il pensiero scientifico del nostro tempo è venuto in possesso di una maniera di concepire l'universo che ricorda alcuni tratti della rappresentazione a cui conduce l'affermazione dogmatica religiosa d'una creazione nel tempo. E' allora molto normale che l'intelligenza credente scopra in questo una certa armonia, una specie di convergenza: gli indizi raccolti dalla ricerca umana sembrano organizzarsi nello stesso senso dell'affermazione religiosa. Perché negarlo?

In molte altre occasioni ancora noi cerchiamo di far corrispondere più che è possibile i vari registri umani in maniera che la nostra anima non sia fatta unicamente di discordanze. E' cosi che la filosofia tenta per conto suo di esaminare le corrispondenze armoniche tra le dimostrazioni della verità che essa cerca di fare e le illuminazioni dello spirito che ci son date dagli atti stessi della scienza, intravedendo del resto al suo livello che, se c'è armonia, qualche causalità segreta ne predispone gli accordi, legando i cordoni della riflessione alle potenze globali delle iniziative scientifiche. La fede certo non riesce a penetrare chiaramente queste causalità nascoste, da lei chiamate divine, delle armonie che l'intelligenza credente pensa di riconoscere cercando di leggere nell'universo appena lo sforzo umano riesce a costruirne qualche testo. Ma, intanto, ella non si stanca di aspettare l'armonia dei suoi atti con l'insieme delle conquiste spirituali dell'uomo, e di accettare con gioia quello che una intelligenza ben addestrata crede di poterne discernere.

Gli equivoci possibili, n primo di tutti: concordismo. - E' bensì vero che il pensiero può ingannarsi sulla natura esatta di questo genere di connessioni. Il più banale di questi equivoci sarebbe quello di immaginarsi che la concezione scientifica di un universo in espansione e che ha origine in uno stato denso di materia stabilisca o confermi senza contestazioni possibili l'affermazione dogmatica di un universo creato nel tempo. Ingenuità abbastanza grossolana, poiché nessuna delle raffigurazioni cosmologiche proposte dalla scienza ha nel pensiero degli scienziati una portata di questo genere. Nel fatto, la verità che la fede propone e la sicurezza dell'adesione intellettuale che essa da allo spirito di chi crede non sono né dell'ordine di quel che la scienza è in grado di costruire, né suscettibili di essere sostituite dai risultati di quest'ultima. Il pensiero seriamente scientifico è il primo a rendersi conto di quanto le proprie costruzioni nel dominio cosmologico siano precarie e come debbano essere soggette a critiche ed a revisioni. Allo stesso modo esso è ben lungi dal pensare che quanto accetta positivamente come valido sia in grado di risolvere i problemi in modo assoluto.

Per quel che riguarda, per esempio, la concezione dell'universo in espansione, la scienza ammette uno stato originario che data da circa cinque miliardi di anni. Ma essa è ben lungi dal pretendere che questo stato si debba porre necessariamente come uno stato realmente ed assolutamente originario, prima del quale non esistesse nulla. Questo sarebbe un oltrepassare il vero atteggiamento che il pensiero scientifico si fissa metodicamente. Tutto ciò che si può dire scientificamente d'un tale " stato originario " è che, in questo momento, ogni mezzo scientificamente utilizzabile in vista d'una ricostruzione del passato, viene a mancare se si tratta di risalire al di qua di quello stato concepibile dell'universo di circa cinque miliardi di anni. Ma dal punto di vista scientifico nulla potrebbe escludere a priori che questo stato proceda a sua volta da altri stati materialmente antecedenti. E nulla impone neppure a priori l'esistenza di questi antecedenti materiali. In assenza d'un appoggio sperimentale le affermazioni di questo genere sono di un altro ordine. E' una determinazione dello spirito non scientifica, che se ne fa arbitra, sia che la si giudichi legittima o no, sia che le sue conseguenze siano illusone o meno.

Quando dunque la concezione scientifica si eleva al piano cosmologico, essa propone allo spirito una visione complessiva dell'universo. Ma non le è possibile imporla per via di dimostrazione e neppure costringere ad accettarla con qualche altra via: appello all'opinione, imperativo politico, autorità spirituale. Ne segue che, trattare della costruzione della cosmologia scientifica come se fosse l'irrefragabile affermazione .della verità di tale o di tal altra visione del mondo professata in qualche parte, è uno sbaglio o una disonestà. E' ovvio che i discorsi pontifici non propongono mai una cosa simile; essi ricordano espressamente " che della creazione nel tempo i fatti fin qui accertati non sono argomento di prova assoluta, come sono invece quelli attinti dalla metafisica e dalla rivelazione, per quanto concerne la semplice creazione, e datila rivelazione per quanto concerne la creazione nel tempo" (12).

Del resto, il fatto stesso che il pensiero scientifico non conclude con una proposizione cosmologica unica, ma in realtà con tutto un campionario di cosmologie suscettibili di squadrare più o meno felicemente con i dati dell'osservazione, non è senza un significato istruttivo e salutare.

Noi disponiamo oggi di una cosmologia che ha un passato limitato; ma molto felicemente per gli interessi della ragione ed anche, a mio avviso, per quelli della fede, non sembra difficile costruire, assumendo quasi altrettanti dati scientifici, delle cosmologie che abbiano un passato senza limiti. Nel campo del pensiero scientifico bisogna allora accettare egualmente queste ultime almeno a titolo di possibilità scientificamente ammissibili — e senza dubbio anche scientificamente criticabili sotto molti riguardi, come lo sono in fine tutte le possibilità di questo tipo. In ogni modo sarebbe disonesto scartarle negando la loro plausibilità scientifica.

Avviene ordinariamente, è vero, che alcuni uomini di scienza optano per una certa visione del mondo, mentre altri optano per un'altra. Avviene anche che per questo essi si criticano tra loro con una certa asprezza. Ma allora ci si può chiedere qual è la parte della scienza e qual'è la parte del resto dell'uomo in questa opzione e nell'asprezza stessa di questa critica dell'opzione altrui.

Il credente che riflette in questo modo sulla relazione complessa, in parte ambigua, che esiste tra ciò che la scienza gli propone e ciò che la sua fede gli afferma, è allora veramente obbligato di rendersi conto della distanza che esiste tra l'oggetto espresso delle sue convinzioni religiose e quello che 'la scienza gli permette di mantenere, anche mettendo ogni cosa nel modo migliore.

Il secondo equivoco: Io smembramento dello spirito - Nel misurare tutto ciò che separa i due ordini, non bisognerà concludere che in fondo la concezione scientifica importa poco alla posizione di una fede religiosa che è quasi senza una comune "misura con ciò su cui verte la scienza? D'altronde, non sarà questo il mezzo più sicuro di conservare lo spirito in pace, assicurando la mutua impermeabilità della scienza e del pensiero religioso, pur giudicando di dover accettare ognuno nel suo ordine proprio?

Certo, questo, come sembra, è un secondo equivoco in cui frequentemente incorrono coloro che si sono salvati dal primo — quello per cui ci si aspetta dalla scienza un accordo troppo facile e troppo materiale con l'insegnamento della fede. Infatti, nel suo campo, la scienza propone allo spirito umano un certo modo di vedere il mondo. Da parte sua la fede non cessa di indurre nello spirito e nei vari aspetti della sua cultura un certo modo di trattare con l'universo ed un senso originale di questo universo. Cosi la fede cristiana insegna al pensiero umano ad unire intimamente creazione e storia, a vedere nella storia stessa della salvezza, che è per la fede la più essenziale e la più decisiva emergenza della storia, la ragione determinante di tutte le predisposizioni storiche dell'universo quale appare alla semplice esperienza umana.

(12) Discorso sulle prove dell'esistenza di Dio alla luce dalla scienza moderna.

Il giorno in cui il pensiero scientifico ritrova per conto suo una concezione che sottolinea questo legame tra storia e natura nel seno dell'universo, perché scartare questo elemento di armonia positiva ed agire intellettualmente come se esso non contasse? E' come lasciare gratuitamente lo spirito smembrato, e per il credente è forse anche un privarsi proprio gratuitamente di nutrimenti fecondanti per tutta l'intelligenza cristiana.

Poiché, dopo tutto, la storia della salvezza, la storia del genere umano, la storia della vita e persino la storia del cielo e della terra che ci sono narrate dalla geologia e dall'astronomia, tutto ciò forma un mondo in cui, con gli stacchi di livello di essere e di causalità che le cose comportano, queste si corrispondono in modo più soddisfacente che in un mondo in cui fi dramma della salvezza concepito dalla fede potrebbe apparire soltanto un episodio spirituale applicato senza legami su tutta la trama del reale percepito ed esplorato dal pensiero. E questa ricca possibilità, latente nell'alimento del nostro pensiero scientifico moderno, è dò che l'autorità suprema del magistero cristiano ha guardato ed alla quale chiede che l'intelligenza dei credenti sappia essere ormai più attenta, rendendosi più capace di assimilarlo intimamente per sostenere un metodo che l'astrazione e l'emigrazione spirituale minacciano di rendere esangue.

Che cosa si deve fare oggi per Questa armonia di fronte alle concezioni cosmologiehe attaali. - Rimane il fatto che il possesso di tali armonie richiede sempre un certo sforzo di riflessione ed un certo apporto dello spirito. Esso è frutto di una creazione in parte personale, che la scienza come tale non basta ad imporre. Bisogna sapere questo per se stessi ed anche senza dubbio per i dialoghi con gli altri, che fanno parte della conversazione umana.

Ritorniamo precisamente alle due concezioni cosmologiche più elaborate che si possono in linea di massima proporre sulle basi attuali della scienza: il mondo eterno e stazionario di Bondi e Gold, e il mondo che ha un passato limitato ed espansione non reversibile delle cosmologie che furono correntemente accettate in questi ultimi anni. Forse, a rigor di termini, hanno uno stesso valore scientifico tanto l'una che l'altra. Tuttavia, da un punto di vista che non è esclusivamente scientifico, io sarei propenso a pensare che ideologicamente la proposizione fatta da Bondi e Gold è piuttosto una regressione che un progresso. Un universo in cui tutto è immerso nell'avventura unica di un'evoluzione mi sembra più in armonia con ciò che è la vita e la vicenda umana stessa. In modo che, finalmente, la condizione di partecipazione alla modalità storica dell'esistenza mi sembra, fino al livello infra-biologico, che abbia una probabilità di essere più vicina alla verità, che abbia un significato più pieno in confronto con la permanenza indefinita dei processi stazionari. Rimane tuttavia certo che io posso ingannarmi e che su questo punto altri possono avere un'opinione molto diversa. Per questa ragione mi sono permesso di usare un modo di esprimere personale, per sottolineare quello che sembra a me e che faccio mio pensiero, senza tuttavia pretendere di erigerlo a legge universale. E' un fatto che nella misura in cui bisognerebbe decidersi per una concezione scientifica o per un'altra, io mi deciderei — ben inteso con una decisione extra-scientifica che io conoscerei e chiamerei tale — per una concezione che mi presenta un universo in cui già al livello infra-biologico, non c'è sempre la stessa cosa che avviene. Ora, è facile capirlo, una fede religiosa può essere in gioco più o meno esplicitamente, in questo genere di decisioni personali ed extra-scientifiche. Diciamolo senza veli: un universo non stazionario che ha un'origine ed uno sviluppo evolutivo, conviene meglio alla fede cattolica che un universo eterno e stazionario. Proprio su questo punto la teologia dei dottori medievali ha dovuto correggere l'universo quale lo concepiva Aristotele. Si capisce allora che l'atteggiamento del credente si traduce in una simpatia maggiore per una certa visione scientifica dell'universo piuttosto che per un'altra
OFFLINE
31/03/2014 20:28
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La difesa della libertà propria della scienza. - Bisognerà allora costringere il movimento interno del pensiero scientifico alle esigenze che nascono da queste considerazioni e da queste ulteriori conseguenze spirituali? Ognuno capisce facilmente tutto rl sofisma e tutto il rischio di questa pretesa di controllo. Del resto sembra proprio che questo sia un nuovo sbaglio sulla vera natura dell'armonia che deve formarsi tra i risultati scientifici e le determinazioni spirituali, quelle della fede in particolare.

Inoltre in materia di cosmologia è proprio della scienza proporre alle menti delle concezioni scientificamente plausibili, più ancora che imporre dimostrativamente un'unica concezione scientifica necessaria. C'è anche un gran vantaggio nel fatto che la scienza proponga una certa pluralità di concezioni senza poter decidere in modo assoluto. Tocca all'intelligenza di fare poi la sua scelta, se una scelta si impone, benché, se sceglie, l'intelligenza lo deve fare senza mai perdere di vista l'insegnamento che gli viene persino dalle rappresentazioni che non farà sue. Ora, se la funzione della scienza è specialmente quella di proporre concezioni ragionevoli, in base a ciò che si sa, non c'è alcun serio motivo di negarle, in ciò che concerne la costruzione di tali concezioni, una libertà che, del resto, ella non esita a prendersi, ben sapendo che ne va di mezzo la sua fedeltà alla sua propria natura.

Le cosmologie dell'universo in espansione vanno abbastanza bene per noi cattolici. Ma non sarebbe certo questa una ragione perché l'intelligenza cattolica lanci l'interdetto sui tentativi scientifici suscettibili di condurre ad altre vedute de1! mondo. La ricerca è scientificamente legittima. Una volta che sarà stata liberamente condotta a termine, si potrà vedere su altre basi ed in un altro campo, come andrà situata per lo spirito che ci vive. Ed anche se da questo ulteriore punto di vista dovesse essere respinta, non ne risulta per nulla necessario ' contestarne il valore scientifico suo proprio. Per parte mia, la cosmologia di Bondi e Gold, che non faccio mia, non cessa di interessarmi molto e di sembrarmi scientifica al pari delle altre.

Per la stessa ragione bisogna riconoscere alla scienza la libertà di rovesciare, in modo legittimo e ben fondato, le concezioni del mondo che derivano da una sistemazione dell'esperienza fatta in epoche anteriori a quella a cui è giunto il suo sviluppo. Cosi essa ha rovesciato l'antico sistema del mondo di Aristotele e della scolastica, poi anche quello di Newton e di Laplace. E' molto probabile che rovescierà un giorno le nostre cosmologie di oggi e la loro sapiente ingenuità.

Questo rovesciamento può essere l'occasione di crisi per tutte quella sostanza ulteriore dello spirito di cui la fede religiosa stessa è un aspetto. L'intelligenza si era familiarizzata con certe rappresentazioni, e si trova cosi spodestata delle sue armonie tradizionali o dei suoi soliti punti d'appoggio. Ma, precisamente, se lo spirito umano intende fronteggiare la sua vera condizione di spirito, allora bisogna bene che si prepari alla fatica che gli è propria, che è quella di rinoscersi e di aprirsi in modo permanente, non in una posizione statica delle sue cognizioni, ma lungo tutto un accrescimento progressivo di esse.

Ne deriverà che, di generazione in generazione, sarà compito della fede il discernere ciò che è in armonia col suo insegnamento nelle conquiste che son fatte da una scienza umana che si evolve, pur lasciando che l'evoluzione si espanda liberamente ed in piena autonomia, lasciando anche che si producano gli sconvolgimenti concettuali che ne conseguono, per ritrovare in ogni epoca, con un miracolo sorprendente che tuttavia non è altro che l'effetto dello spirito e della verità che la guida, nuovi equilibrii e armonie più profonde con ciò che nasce dallo spirito scientifico umano.

Domenico Dubarle
OFFLINE
03/05/2014 16:41
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il primo a formulare il Multiverso?
Il teologo Grossatesta

MultiversoCosa si intende quando si parla di Multiverso? Sinteticamente di innumerevoli universi paralleli disciplinati da leggi diverse e con differenti caratteristiche generali. Un’ipotesi che molti ritengono certezza ma che, ha spiegatoMarco Bersanelli, ordinario di Astrofisica all’Università Statale di Milano, «dal punto di vista scientifico questa visione soffre di una grave malattia: essa non può essere verificata o falsificata, essendo le altre regioni del “multiverso” per definizione causalmente sconnesse dalla nostra».

Tanto che Italo Mazzitelli dell’Istituto Nazionale di Astrofisica lo considera «un vero e proprio dogma di fede in campo scientifico» (I. Mazzitelli, “E se Dio esistesse?”, Gremese 2008, pag. 39). Purtroppo non ci si limita a teorizzare tale dogma scientifico, ma alcuni utilizzano il Multiverso in chiave ideologico-riduzionistaspiegando che il nostro pianeta è “uno tra i tanti” e che il nostro intero universo è insignificante, oltre che come facile scappatoia di fronte alla domanda del perché il nostro universo sia tanto finemente sintonizzato da aver permesso la vita.

La cosa più curiosa, come ha fatto notare il filosofo Richard Swinburne, professore emerito dell’Università di Oxford, è che se anche si potesse provare l’esistenza di un multiverso, si sposterebbe soltanto il problema in quanto nessuno «potrà mai spiegare è perché tale multiverso è di natura tale da produrre un universo “finemente regolato” per la produzione di esseri umani». Oltretutto, questo argomento nemmeno può essere preso in considerazione dalla propaganda atea. Rudy Rucker, matematico statunitense ha infatti affermato«se è possibile che vi siano regioni con ulteriori dimensioni, è molto probabile che in qualche luogo Dio le abbia portate all’esistenza».

Vale la pena ricordare, inoltre, che il primo a teorizzare il Multiverso è stato un celebre teologo cattolico vissuto nel XII° secolo, dal nome di Roberto Grossatesta“New Scientist” ha riportato che Tom McLeish, un fisico presso la Durham University, e i suoi colleghi hanno cercato di scrivere in termini matematici quello che Grossatesta ha scritto con parole in latino, trovando che i modelli al computer di questo processohanno prodotto esattamente il tipo di universo che Grossatesta descriveva: una moltiplicazione interna di sfere concentriche.

Ad occuparsi in modo esaustivo di Roberto Grossatesta ci ha pensato lo scrittoreFrancesco Agnoli nel suo libro Roberto Grossatesta. La filosofia della luce (Edizioni Studio Domenicano 2007).


Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum
Tag discussione
Discussioni Simili   [vedi tutte]
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 09:59. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com