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L'IDOLATRIA di Tertulliano

Ultimo Aggiornamento: 29/03/2014 19:35
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29/03/2014 19:31
 
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CAPITOLO XVI.

Ai Cristiani si può permettere di frequentare le pubbliche e le private radunanze dei pagani.

Per quello che riguarda poi la frequenza delle adunanze pubbliche e private, di certe cerimonie, come quella inerente al rivestimento della toga virile o tutto quanto interessa i riti nuziali, o l'imposizione del nome, ai fanciulli (42), io penso che non si debba affatto preoccuparsi del pericolo di cadere nella colpa d'idolatria, Bisogna considerare quale sia la causa per la quale si prende parte al compimento di tali riti: io mi penso che m sé stesse quelle cerimonie non abbiano alcunché di peccaminoso: l'abito virile, la promessa di fede matrimoniale, colla consegna dell'anello, le nozze stesse, non sono affatto congiunti con qualcosa d'idolatria: non trovo che da parte della divinità si possa condannare un dato modo di vestirsi, salvo il caso di vedere in un uomo un abito da donna. Sia maledetto, Egli disse, chiunque indosserà vesti femminili: (43) la toga poi, col suo nome stesso virile, dice di esser propria dell'uomo, evidentemente; ed anche le nozze, Iddio è ben lontano da proibire di celebrarle, come pure l'imporre i nomi. Ma si potrebbe obbiettare: di queste cerimonie fanno parte i sacrifici: ma, se sono stato invitato ad intervenire, basta che la mia presenza non abbia affatto a che fare col sacrificio e non si manifesti in alcun modo la mia attività, che impedimento vi può essere o che colpa può rappresentare? Volesse il cielo che noi avessimo la facoltà di non vedere, quanto è nefasto a compiersi: ma dal momento che l'idolatria ha colmato il mondo di tanti mali, sarà pur lecito prender parte ad alcuni riti, che, se non altro, fanno noi come ossequiosi piuttosto verso gli uomini, che verso gli idoli. Certamente io, invitato, non anderò ad un rito sacerdotale o al compimento di un sacrificio, poiché sarebbe questo proprio un atto di ossequio prestato ad un idolo, e non vi darò l'opera mia, né col consiglio, né colla spesa, né in qualsiasi altro modo. Se, chiamato, infatti, io assistessi, e mi interessassi a un sacrificio, io prenderei parte a qualcosa che tocca la idolatria; ma se, per un'altra ragione qualunque, io mi unirò ad uno che compie un sacrificio, io sarò un semplice spettatore del sacrificio stesso.

CAPITOLO XVII.

E qual'è il modo di comportarsi cogli idolatri, per non incappare nella colpa della quale essi sono macchiati?

I servi poi o liberti, seguaci della religione cristiana, come si potrebbe dire che compiano qualcosa di colpevole, e così pure, coloro che accompagnano ed aiutano i loro signori nelle cerimonie sacrificali? od anche chi sta vicino ai loro padroni o a chi, comunque, esercita su di essi, autorità e dominio? Ma s'intende d'altra parte, che se taluno avrà consegnato del vino a chi compie sacrificio, o magari, se pronunziasse qualche formula inerente al sacrificio stesso, non vi può esser dubbio che, in tal caso, dovrà essere giudicato come ministro di culto idolatra. Secondo lale regola noi possiamo prestare il nostro servigio a chi è rivestito di pubbliche cariche ed esercita pubblici poteri, perfettamente come fecero i patriarchi e i nostri maggiori che assisterono a principi idolatri, finché non ebbero compiuto interamente i loro sacrifici. Di qui, sorge una quistione che può esser formulata così: se un servo del Signore, che rivesta qualche grado di pubblica autorità od occupi alcuna carica, possa sfuggire ad ogni accusa o macchia di idolatria o per qualche favore speciale o usando di una certa abilità; proprio come è il caso di Giuseppe e Daniele che esercitarono pubbliche cariche ed ebbero onori con tutte l'insegne dovute al loro grado, l'uno in tutto l'Egitto, l'altro in Babilonia. Ma ammettiamo pure che ad uno possa succedere questo; che in una onorifica carica, agisca solo di nome, in quanto tale ufficio rivesta, ma che all'atto pratico non sacrifichi, e non presti la sua autorità in qualche modo a cerimonie di rito, non appalti le vittime, non pensi alla cura dei templi, non s'occupi di procurare ad essi rendite, non appresti spettacoli né colle sue ricchezze private, né colle pubbliche rendite; non presieda agli spettacoli che si devono fare; non pronunzi costui nessuna solenne formula di rito, non edica nessun bando, non faccia giuramento; ammetiamo dico, che nei riguardi della facoltà a lui aggiudicata, non condanni alcuno alla pena capitale e neppure ad una condanna infamante (pazienza per una multa in denaro!); non pronunzi dunque costui alcun giudizio né giustamente né ingiustamente: non faccia legare nessuno, nessuno sia da lui gettato nel carcere, nessuno sia straziato dai tormenti: ma tutto ciò è proprio possibile che si verifichi?

CAPITOLO XVIII.

Non ci possono essere ragioni, a giustificazione di pomposità e di sfarzi, che i Cristiani debbono senz'altro condannare.

Ora ormai bisognerà trattare e considerare del modo di vestirsi, e di ornarsi: ognuno ha il suo abito tanto per l'uso quotidiano, quanto nei riguardi della posizione che ricopre. Quindi le vesti di porpora e i diademi d'oro, di cui si rivestivano e con cui si ricingevano il capo, presso gli Egiziani e i Babilonesi, costituivano segni di dignità e d'onore, come sarebbero presso di noi le toghe preteste, le trabee, le vesti palmate, le corone d'oro dei sacerdoti delle provincie, ma non però rivestivano lo stesso carattere: a titolo d'onore infatti venivano date quelle distinzioni a coloro che meritavano la familiarità dei re: e infatti dalla porpora che indossavano, si chiamavano porporati del re, come presso di noi si dicono candidati coloro che indossano la toga candida; ma quella magnificenza della veste, non era inerente proprio alla loro funzione di sacerdoti o alle cerimonie che si andavano compiendo agli idoli. Se così fosse stato, uomini di tanta santità e di tanta fermezza di fede, avrebbero deposto senza altro le vesti, che avrebbero contenuto qualcosa d'impuro e sarebbe risultato chiaro che Daniele non era aflatto in servigio degli idoli e non aveva culto né per Bele né per il dragone, come molto tempo dopo apparve manifesto (44). La veste purpurea dunque, presso quelle popolazioni barbare, era, non tanto segno di dignità di carica, quanto di nobiltà. Giuseppe era stato servo, Daniele, che per la sua prigionia, aveva mutato stato, conseguirono l'onore della cittadinanza Babilonese ed Egiziana, e per mezzo di quella veste si dimostrarono appunto di antica nobile e straniera famiglia: nello stesso modo, presso di noi, si potrà al Cristiano permettere l'uso della toga pretesta quale è appunto in uso presso i fanciulli e così pure la stola, quale è usata dalle fanciulle; ma questa non può essere segno di dignità ricoperte, ma solo di nobiltà di nascita: indice di stirpe, non di onore; di classe, di ordine, non di superstiziosa credenza. Ma io potrei osservare che la porpora e tutte le altre insegne di dignità e di potenza, fin dal loro principio sono in servigio della idolatria: hanno in loro stesse la macchia della profanazione: le pubbliche cariche sono venute in un secondo momento, ma dapprima e le preteste e le trabee, e i laticlavi e i fasci e le verghe (45) erano i rivestimenti e gli ornamenti e i simboli di potenza per gli idoli; ed era giusto del resto: i demoni sono i magistrati del secolo e però usano le insegne, i fasci e le porpore del loro collegio. Che troverai di guadagno tu, qualora dunque ti servirai di quei travestimenti e di quelle insegne, anche se tu non farai nulla di quel che fanno costoro? Nessuno che rivesta cose impure può apparir puro: se tu rivesti una tunica che è di per sé stessa macchiata; va bene che tu non abbia avuto parte alcuna nell'averla insudiciata, ma che tu possa sembrar pulito, quando tu l'abbia indossata, non sarà mai. Che cosa è dunque quello che mi vieni dicendo di Giuseppe e di Daniele? Non sempre sappi, si possono mettere a confronto le cose antiche colle recenti, le rozze e semplici colle elaborate e perfette; ciò che appena è cominciato con quello ormai compiuto e chiarissimo; le cose servili, con le liberali. Costoro erano in una condizione di servitù; ma tu, invece non sei servo di alcuno, in quanto lo sei soltanto di Cristo, il quale ti liberò per altro da ogni forma di schiavitù del mondo, e perciò devi seguire la linea di condotta che ti è stata indicata dal tuo Signore. Il Signore fu in tutta umiltà, ed abbandono: casa propria non ebbe: Egli disse: (46) il figliuolo deiruomo non ha dove riposare la sua testa: il suo vestire fu rozzo; e non infatti avrebbe detto: (47) ecco: coloro che si ricoprono di vesti fini ed eleganti sono nelle case dei re. Fu dimesso ed umilissimo nell'aspetto, come aveva pur detto Isaia (48). Non esercitò mai, neppure sui suoi discepoli atto alcuno di autorità e di potenza; anzi si adattò a servigi bassi ed umilianti (49); se pur consapevole di sua sovranità, non volle mai esser fatto re, dette ai suoi seguaci la linea da seguire, dal momento che egli allontanò da sé ogni grandezza, ogni luce di dominio e di gloria terrena. E chi mai, più che il figlio di Dio, avrebbe potuto usare e cingersi d'ogni simbolo di grandezza? quanti fasci avrebbe potuto far portare ed innalzare davanti a lui? e come bene sulle sue spalle avrebbe fatto risalto lo splendore della porpora? e quale fulgore avrebbe avuto l'oro sulla sua testa, se la gloria di questo mondo egli non l'avesse giudicata estranea a sé e ai suoi seguaci?

Chiaramente allontanò da Lui tutto ciò che Egli non volle riconoscere; e ciò che condannò, lo giudicò evidentemente dominio e possesso del demonio: non avrebbe infatti Iddio condannato, se non ciò che non era suo; e, d'altra parte, quelle cose che non appartengono a Dio, non possono essere che del demonio. Se tu detestasti appunto, ogni manifestazione del demonio, sappi bene che è Idolatria qualunque cosa che da essa tu potessi arrogarti. Questo tu abbia per ammonimento, che non solo ogni dignità, potenza e splendore mondano è lontano e alieno da Dio, ma è a Lui chiaramente nemico; è in forza delle grandezze e potenze del mondo che si stabiliscono tormenti e supplizi, contro i servi di Dio, senza sapere poi quali pene siano preparate da Dio per gli empi e i sacrileghi. Ma ammettiamo che la nobiltà della tua nascita e le ricchezze di cui disponi ti siano quasi d'impedimento a combattere certe forme di idolatria; in ogni modo, per evitare ciò, rimedi non ne possono mancare, ed anche se ti dovessero venire a mancare, almeno uno rimarrà sicuramente: la piena consapevolezza che maggiormente felice sarai in cielo. che sulla terra, quando ti troverai insignito colà di qualche titolo d'onore.

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