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DOMENICA DEL CIECO IV di Quaresima

Ultimo Aggiornamento: 29/03/2014 09:57
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30.03.2014

DOMENICA DEL CIECO

IV di Quaresima

LETTURA

Lettura del libro dell’Esodo 34, 27 - 35, 1

In quei giorni. Il Signore disse a Mosè: «Scrivi queste parole, perché sulla base di queste parole io ho stabilito un’alleanza con te e con Israele».

Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole.

Quando Mosè scese dal monte Sinai – le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte – non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui. Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui. Mosè allora li chiamò, e Aronne, con tutti i capi della comunità, tornò da lui. Mosè parlò a loro. Si avvicinarono dopo di loro tutti gli Israeliti ed egli ingiunse loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul monte Sinai.

Quando Mosè ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso. Quando entrava davanti al Signore per parlare con lui, Mosè si toglieva il velo, fin quando non fosse uscito. Una volta uscito, riferiva agli Israeliti ciò che gli era stato ordinato. Gli Israeliti, guardando in faccia Mosè, vedevano che la pelle del suo viso era raggiante. Poi egli si rimetteva il velo sul viso, fin quando non fosse di nuovo entrato a parlare con il Signore.

Mosè radunò tutta la comunità degli Israeliti e disse loro: «Queste sono le cose che il Signore ha comandato di fare».

SALMO

Sal 35 (36)

® Signore, nella tua luce vediamo la luce.

Signore, il tuo amore è nel cielo,

la tua fedeltà fino alle nubi,

la tua giustizia è come le più alte montagne,

il tuo giudizio come l’abisso profondo:

uomini e bestie tu salvi, Signore.®

Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!

Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali,

si saziano dell’abbondanza della tua casa:

tu li disseti al torrente delle tue delizie. ®

È in te la sorgente della vita,

alla tua luce vediamo la luce.

Riversa il tuo amore su chi ti riconosce,

la tua giustizia sui retti di cuore.®

EPISTOLA

Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 3, 7-18

Fratelli, se il ministero della morte, inciso in lettere su pietre, fu avvolto di gloria al punto che i figli d’Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore effimero del suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito? Se già il ministero che porta alla condanna fu glorioso, molto di più abbonda di gloria il ministero che porta alla giustizia. Anzi, ciò che fu glorioso sotto quell’aspetto, non lo è più, a causa di questa gloria incomparabile. Se dunque ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo.

Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza e non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo volto, perché i figli d’Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero. Ma le loro menti furono indurite; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, quando si legge l’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; «ma quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto». Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.

VANGELO

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 9, 1-38b

In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».

Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».

Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!».
chiesadimilano

IV domenica di Quaresima (Anno A) (30/03/2014)

Vangelo: Es 34, 27 – 35, 1|2Cor 3, 7-18|Gv 9, 1-38b Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Esodo 34,27-35
Nella tragedia del tradimento il popolo, che ha abbandonato il Dio misterioso che lo ha liberato, costruendosi un vitello d'oro, ha identificato Dio con un idolo visibile. In questa operazione, è stato coinvolto anche Aronne che ha ricevuto " i pendenti delle orecchie delle donne e figlie ebree". E' il bottino prezioso che gli egiziani hanno dato agli ebrei perché se ne andassero dalla loro terra, facendo finire i castighi del loro Dio: "(Aronne) li ricevette dalle loro mani, li fece fondere in una forma e ne modellò un vitello di metallo fuso. Allora dissero: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto!» (Es 32,4). Mosè resta sconcertato, disperato e deluso. Ma quando ormai è convinto del fallimento totale, viene richiamato sul monte dal Signore dopo la sconfitta dell'idolatria nel suo popolo alle falde del monte e la distruzione del vitello d'oro. Il Signore lo rincuora. Così la scoperta e la verifica dell'amicizia di Dio hanno suscitato in Mosè, ancora una volta, il coraggio della mediazione: è tornato così il dialogo per il popolo che avrebbe finalmente ricevuto la Legge. Il v 27 non fa riferimento alla seconda edizione delle 10 parole ma all'Alleanza a ed alle clausole che il Signore ha dettato a Mosè e che Mosè deve scrivere (il testo inizia al v. 34,10 e termina al v. 27).
Al v.28 riprende invece il racconto della seconda consegna della Legge e il soggetto è sempre il Signore (Egli scrisse...). Nel mondo antico spesso gli dei sono garanti delle leggi e delle consuetudini, ma agli dei non è mai attribuita la paternità delle leggi stesse. In Israele invece Jahve è insieme il legislatore e lo scrittore di ciò che è essenziale nella Legge.
Con la Legge del Signore anche la persona acquista uno splendore di cui non è neppure consapevole ma gli altri intravedono una nuova luminosità ed uno splendore che possono venire solo dalla bellezza di Dio e dai suoi doni. E il dono, che Mosè porta, è la Legge: la sapienza del Signore che imposta la vita e le azioni quotidiane di conoscenza e di bellezza.
Ma la sapienza non è mai capita una volta per sempre. La conoscenza di Dio va maturata giorno per giorno. Per questo Mosè, spesso, ritorna al popolo ad incoraggiare, a parlare, ad insegnare. Il velo, che continuamente mette e smette, ci ricorda che vanno rispettate la fragilità e la debolezza degli altri. Non per questo si deve abbandonarli, anzi vanno sostenuti mentre Mosè è continuamente in rapporto con il Signore nella tenda del convegno.
2 Corinzi 3,7-18
Paolo, con questo brano, non vuole disprezzare la Prima Alleanza perché essa ha avuto un grande valore educativo per il suo popolo e continua ad avere un rapporto particolare con il Signore del Patto. Tuttavia, da apostolo fedele, è sconcertato della resistenza che il suo popolo oppone a Gesù, inviato dal Padre. Da buon rabbino, utilizza un esempio interessante di "midrash", composizione ebraica di studiosi che interpretano liberamente, attualizzando in chiave cristiana, un testo biblico su Mosé: egli rappresenta una immagine anticipatoria dello splendore del volto di Gesù come del volto dei cristiani.
La lettura della Prima Alleanza non conduce alla vita, dice Paolo, ma alla morte perché la Legge non offre la salvezza ma solo la coscienza del male. E' Gesù che restituisce la salvezza a coloro che credono. E tuttavia anche il ministero di Mosé è un ministero glorioso.
Ancor più, dice Paolo, sarà glorioso il ministero dello Spirito.
Paolo utilizza la parola "gloria" che può essere, in pienezza, rivolta solo a Dio e tuttavia dice che negli anni del Primo Testamento il ministero di Mosé è circondato dalla gloria di Dio.
Quanto più c'è, dunque, ricchezza di gloria nei nuovi ministri di Gesù. A questo testo fa eco un brano del Vangelo di Giovanni (pronunciato da Gesù nell'ultima cena come preghiera finale al Padre): "E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me". (vv 17,22-23). La gloria di Gesù, che i credenti vedono nella fede, può incoraggiare gli apostoli e i cristiani a comportarsi con franchezza e a viso aperto. Questo testo ci aiuta a ripensare al compito della evangelizzazione così come ci viene proposta nella nostra vita e che ci viene indicata nella enciclica di Papa Francesco: "Evangelii Gaudium". Tutti noi abbiamo la vocazione di diventare "Evangelizzatori con Spirito". "Evangelizzatori con Spirito vuol dire evangelizzatori che si aprono senza paura all'azione dello Spirito Santo. A Pentecoste, lo Spirito fa uscire gli Apostoli da se stessi e li trasforma in annunciatori delle grandezze di Dio, che ciascuno incomincia a comprendere nella propria lingua. Lo Spirito Santo, inoltre, infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente. Invochiamolo oggi, ben fondati sulla preghiera, senza la quale ogni azione corre il rischio di rimanere vuota e l'annuncio alla fine è privo di anima. Gesù vuole evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia non solo con le parole, ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza di Dio"(259).
Gv 9,1-41
Il miracolo del cieco dalla nascita, nella riflessione di Giovanni, diventa un prezioso itinerario per identificare il cammino che ogni persona compie, quando, illuminata da Gesù, accetta di diventare suo discepola e credente in lui. Il testo fa riferimento alla Festa delle Capanne (Gv 7,2): una festa popolare molto importante, dove si uniscono insieme grandi esplosioni di gioia con le liturgie dell'acqua e della luce. In questa festa Gesù dice: "Se qualcuno ha sete venga a me, e beva chi crede in me (Gv 7,37). E sempre in questa festa Gesù pronuncia apertamente: "Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita" (Gv 8,12).
Di fronte all'incontro di un cieco dalla nascita, che suscita sempre compassione e disagio, nasce nei discepoli la domanda: "Perché è nato cieco?". E la normale teologia di tutti i tempi risponde: " Dio ha voluto così"; il mondo ebraico aggiunge: "Perché quest'uomo ha peccato". Ma Gesù garantisce: non c'è castigo e non c'è peccato. Il problema, quando ci si trova di fronte al male, non è chiedersi di chi è la colpa, ma impegnarsi per eliminare il male dalla persona, come ha fatto Gesù. In fondo il cieco non chiede niente perché non sa che cosa è la luce. Ma Gesù sa che per lui è importante poter vedere poiché cambierà totalmente la sua vita. C'è una specie di liturgia in cui ci si immagina che la saliva sia un insieme di alito, di spirito e di potere di una persona. In fondo c'è il richiamo alla creazione (Gen 2,7): l'alito, lo spirito di Gesù, il fango. Ma il cieco, per vedere, ha bisogno anche di lavarsi nell'acqua dell'Inviato: questo è il nome della piscina di Siloe. Qui il cieco scopre la luce e qui comincia l'interrogatorio. Il cieco, che si è così trasformato da non riuscire più a riconoscerlo con sicurezza: "E' lui o non è lui?", sta iniziando il cammino verso la luce, come ogni credente: cambia stile, diventa un uomo nuovo. Quando gli chiedono: "Come mai vedi?", risponde che l'uomo Gesù ha fatto questo ma: "Non lo conosco e non so dov'è". E quando intervengono le autorità, hanno già idee precise di condanna, e quindi non si preoccupano di capire ciò che è accaduto: la loro autorità oscura l'intelligenza e crea persone di pregiudizio.
Ritengono di essere nel giusto, ritengono di capire tutto, ritengono di essere sicuri dei loro giudizi. Ma il cieco, guarito, incomincia a ripensare con profondità: "E' un profeta" (v 17).
Nuovo interrogatorio con i genitori perché l'autorità spera di trovare delle persone impaurite o delle persone conniventi con la menzogna. I genitori si sottraggono al giudizio, seriamente preoccupati di ciò che potrebbe avvenire e restano silenziosi. A questo punto il nuovo vedente mostra il suo cammino di persona libera, coraggiosa, sincera, semplice, preoccupato di capire, in ricerca, superiore alle pressioni perché non vuole rinunciare né al mondo nuovo che gli si prospetta davanti né alla grandezza di colui che lo ha amato e salvato. Alla fine ritorna Gesù, che lo ha lasciato solo, ma lo ha accompagnato con lo Spirito di sapienza. Ora Gesù compie il dono più grande che è la sua rivelazione.
Infatti, durante il suo cammino, colui che finalmente vede ha intravisto Gesù come "un uomo", quindi come " un profeta", "un uomo di Dio", ma ora conclude con "Gesù Signore": "Credi tu?" "Credi nel Figlio dell'uomo?" "Credo, Signore" e si prostrò". Nelle mani di Giovanni quest'episodio delinea il cammino di ogni credente che raggiunge la luce vera sul mondo e la luce piena su Gesù.

don Raffaello Ciccone

Qumran2.net
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