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APOLOGETICO di Tertulliano

Ultimo Aggiornamento: 19/03/2014 11:44
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19/03/2014 11:44
 
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CAPO 49 -- Deridete pure le nostre credenze: non potete però negare ch'esse sono utili. In ogni caso non giustificano la vostra persecuzione.

[1] Questi sono quelli che in noi soli pregiudizi si chiamano, nei filosofi e nei poeti, invece, somme verità scientifiche e frutti d'ingegni insigni. Quelli sapienti, noi stolti; quelli degni di essere onorati, noi di essere irrisi, anzi, più ancora, di essere puniti.

[2] Ora sia pur falso quello che noi difendiamo, e giustamente un pregiudizio: però necessario; sciocchezza: però utile, se è vero che a diventare migliori sono costretti coloro che vi credono, per il timore dell'eterno castigo e la speranza dell'eterna felicità. Perciò non giova dichiarare falsità e ritenere sciocchezza quello che è utile presumere come vero. A nessun titolo è lecito condannare in modo assoluto quello che giova.

[3] Perciò siete voi che avete un pregiudizio: proprio questo, che cose condanna, le quali sono utili. Almeno, se pur false e sciocche, a nessuno, tuttavia, sono di danno. E invero sono esse simili a molte altre cose vane e favolose, a cui nessun castigo irrogate, senza accusa e punizione lasciandole, come inoffensive.

[4] Ma pure in codesto campo, se mai, si deve giudicare la cosa meritevole di derisione, non di spada e di fuoco e di croci e di belve. Per questa crudeltà iniqua non solo codesto volgo cieco esulta e insulta, ma anche alcuni di voi, che con l'ingiustizia di acquistare cercano il favore del volgo, si gloriano, quasi che quello che potete su di noi, non dipenda tutto dalla volontà nostra.

[5] Certo, qualora io lo voglia, sono Cristiano. Allora dunque tu mi condannerai, qualora io lo voglia. Ora quando quello che su di me puoi, qualora, io nol voglia nol puoi, si appartiene senz'altro alla mia volontà quello che tu puoi, non alla tua potestà.

[6] Allo stesso modo anche il volgo vanamente della nostra persecuzione gode. Allo stesso modo, infatti, nostro è il godimento che egli a sè rivendica, di noi, che essere condannati preferiamo, piuttosto che incorrere nella privazione di Dio. Al contrario coloro che ci odiano, non rallegrarsi dovrebbero, ma dolersi, avendo noi conseguito quello che abbiamo scelto.

CAPO 50 -- La vittoria nel resistere alle vostre persecuzioni è nostra. Continuate pure. Il sangue dei martiri è semenza di Cristiani.

[1] 'Dunque - voi dite - perché vi lamentate che noi vi si perseguiti, se patire volete, mentre amare coloro dovreste, per opera dei quali patite quello che volete?'. - Certo noi patire vogliamo, ma alla maniera, in cui, anche, la guerra il soldato patisce. Nessuno, invero, volentieri la patisce, essendo necessario trepidare e correre pericolo.

[2] Tuttavia e combatte con tutte le forze e, vincendo in battaglia, gode colui che della battaglia si lamentava, perché gloria consegue e preda. Battaglia è per noi il fatto di essere davanti ai tribunali chiamati, per combattere là, con pericolo di morte, per la verità. Vittoria è poi conseguire quello, per cui si è combattuto. Quella vittoria e contiene la gloria di piacere a Dio e la preda di vivere eternamente.

[3] 'Ma abbiamo la peggio'. - Però, dopo aver conseguito. Dunque siamo noi che abbiamo vinto, quando ci si uccide. Finalmente ne siamo fuori, quando abbiamo la peggio. Potete ora esseri da sarmenti chiamarci e gente da mezzo asse, perché, legate dietro le mani a un palo fatto di un asse dimezzato, veniamo circondati da sarmenti e bruciati. Codesto è il portamento proprio della nostra vittoria, questa la veste palmata, tale il cocchio sul quale trionfiamo.

[4] Giustamente, dunque, noi non si piace a dei vinti: per questo infatti dei disperati e dei perduti reputati siamo. Ma questi atti propri di gente perduta e disperata, tra voi il vessillo innalzano del valore, quando è in causa gloria e fama.

[5] Mucio la sua destra volonteroso su l'ara lasciò: o animo sublime! Empedocle dono di sè interamente fece alle fiamme dell'Etna: o anima vigorosa! Una fondatrice di Cartagine il secondo matrimonio sacrificò al rogo: o esaltazione della castità!

[6] Regolo, per non vivere egli solo e il vantaggio fare di molti nemici, tormenti in tutto il corpo patisce: o eroe, vincitore pur nella prigionia! Anassarco, venendo pestato a morte con un pestello da orzata, 'Pesta, pesta - diceva - l'involucro di Anassarco, ché Anassarco non pesti': o grandezza d'animo del filosofo, che su tale sua morte anche scherzava!

[7] Tralascio coloro che con la propria spada o un altro genere più mite di morte la gloria patteggiarono. Ecco, infatti, anche gare di tormento sono da voi coronate.

[8] Una meretrice ateniese, dopo avere stancato ormai il carnefice, da ultimo la lingua sua troncata in faccia al tiranno inferocito sputò, per sputar fuori anche la voce, al fine di non poter rivelare i congiurati, anche se, vinta, avesse voluto farlo.

[9] Zenone di Elea, da Dionisio interrogato che cosa la filosofia procurasse, rispose: 'Il disprezzo della morte'. - Sottoposto dal tiranno allo staffile, impassibile la sua sentenza suggellava fino alla morte. Certo le fiagellazioni dei Laconi, rese anche più penose perché sotto gli occhi dei parenti incoraggianti a resistere, conferiscono alla casa tanto onore di resistenza, quanto è il sangue che hanno sparso.

[10] O gloria lecita, perché umana, per cui né a presunzione rovinosa, né a persuasione disperata si attribuisce il disprezzo della morte e delle atrocità di ogni specie; talché per la patria, per la potenza, per l'amicizia patire lice tanto, quanto non lice per Dio!

[11] E intanto a tutte quelle persone e statue profondete e su le loro immagini inscrizioni ponete e titoli incidete per procurar loro l'immortalità. è chiaro: per quanto potete farlo con i monumenti, voi pure ai morti una resurrezione in certo modo procurate. Colui, invece, che questa resurrezione veracemente spera da Dio, qualora per Dio patisca, è un folle.

[12] Ma continuate pure, o buoni governatori: ché molto migliori agli occhi del popolo diventerete, se dei Cristiani gli immolerete. Tormentateci, torturateci, condannateci, stritolateci: la vostra iniquità infatti della nostra innocenza è prova. Per questo Dio tollera che noi codesto si patisca. E invero anche recentemente col condannare una Cristiana al lenone, piuttosto che al leone, avete confessato che la macchia recata al pudore più atroce di ogni castigo e di ogni morte è tra di noi considerata.

[13] Né tuttavia giova a nulla ogni vostra più raffinata crudeltà: è piuttosto un'attrattiva alla setta. Più numerosi diventiamo, ogni volta che da voi siamo mietuti: è semenza il sangue dei Cristiani.

[14] Molti tra di voi il dolore e la morte a sopportare esortano, come Cicerone nelle Tusculane, come Seneca nei Casi fortuiti, come Diogene, come Pirrone, come Callinico. Né tuttavia le parole tanti discepoli trovano, quanti i Cristiani ne ottengono ammaestrando con i fatti.

[15] Quella stessa ostinazione che ci rimproverate, fa da maestra. Chi, infatti, considerandola, non si sente scosso a ricercare che cosa ci sia in fondo alla cosa? E quando ha indagato, chi non vi accede?. E quando vi è acceduto, chi non brama patire, per acquistarsi la pienezza della grazia di Dio, per ottenere intero da lui il perdono a prezzo del proprio sangue?

[16] Ché tutte le colpe a questo atto sono condonate. Da ciò il fatto che lì sul posto, noi vi rendiamo grazie per la vostra sentenza. Come v'è contrasto fra il divino e l'umano, quando da voi siamo condannati, da Dio siamo assolti.
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