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APOLOGETICO di Tertulliano

Ultimo Aggiornamento: 19/03/2014 11:44
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19/03/2014 11:42
 
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CAPO 40 -- Non i Cristiani sono la causa delle disgrazie e dei disastri che incolgono i Pagani. Quanti di questi non si contano prima ancora che i Cristiani esistessero! Se mai, ora i disastri sono più rari e meno gravi, in quanto i Cristiani il vero Dio pregano e presso lui intercedono, mentre voi fate ricorso agli dei falsi.

[1] Per contro a quelli si deve attribuire il nome di fazione, i quali, per suscitare l'odio contro persone buone e oneste cospirano, che contro il sangue d'innocenti gridano, a giustificazione del loro odio pretestando, invero, anche quella futile opinione, per cui stimano che per ogni publica calamità, per ogni disgrazia popolare siano in causa i Cristiani.

[2] Se il Tevere fino alle mura sale, se il Nilo fino ai campi non cresce, se il cielo si arresta, se la terra si scuote, se c'è la fame, la peste, subito 'I Cristiani al leone!' - si grida. Tanta gente a un solo leone?

[3] Io vi domando: prima di Tiberio, vale a dire, prima della venuta di Cristo, quante calamità le città del mondo non devastarono! Si legge che le isole di Iera, Anafe e Delo e Rodi e Cos scomparvero negli abissi con molte migliaia di uomini.

[4] Anche Platone ricorda che una terra, maggiore dell'Asia e dell'Africa, fu dal mare Atlantico strappata. Ma anche il mare di Corinto fu da un terremoto assorbito; e la violenza delle onde la Lucania distaccò e rimosse col nome di Sicilia. Tutto ciò accadere senza danno degli abitanti certo non poté.

[5] Ma dov'erano allora, non dirò i Cristiani, dei vostri dei spregiatori, ma gli stessi vostri dei, quando il diluvio il mondo tutto distrusse, oppure, come credette Platone, soltanto il piano?.

[6] E invero, che quegli dei al disastro del diluvio posteriori siano, le città stesse lo attestano, in cui nacquero e morirono, quelle anche ch'essi fondarono; né infatti altrimenti sarebbero fino al dì d'oggi durate, se esse pure non fossero a quel disastro posteriori.

[7] Non ancora la Palestina aveva lo sciame dei Giudei accolto, usciti dall'Egitto; né ancora si era colà il popolo stanziato, che fu della setta cristiana l'origine, quando le regioni a lui confinanti, Sodoma e Gomorra, il fuoco distrusse. Tuttora quella terra di bruciato odora; e se pur colà qualche frutto di piante appare, è un tentativo che non va oltre gli occhi: toccato, si riduce in cenere.

[8] Ma nemmeno la Toscana, allora, e la Campania dei Cristiani si lagnavano, quando Volsinio il fuoco caduto dal cielo, Pompei quello disceso dal proprio monte ricoperse. Nessuno ancora in Roma il Dio vero adorava, quando Annibale a Canne la sua strage misurava, col moggio gli anelli romani raccogliendo.

[9] Tutti gli dei vostri da tutti erano adorati, quando il Campidoglio stesso i Senoni avevano occupato. Per fortuna che, se avversità le città incolsero, i disastri ugualmente gli edifici e i templi colpirono: talché pure da ciò io concludo che non da essi dei i disastri derivano, perché capitarono anche ad essi.

[10] Sempre il genere umano male meritò della divinità: prima, invero, come non riguardoso di essa, che pur intendendola in parte, non ricercò, ma altri dei da adorare per di più si foggiò; poi perché, il maestro dell'innocenza e il giudice e l'inquisitore della colpevolezza non ricercando, di tutti i vizi e misfatti si ricoperse.

[11] Invero, se Dio ricercato avesse, ne seguiva che, una volta ricercato, l'avrebbe riconosciuto e, riconosciutolo, l'avrebbe venerato e, venerandolo, propizio più che adirato sperimentato lo avrebbe. Deve dunque sapere che il Dio anche presentemente adirato, è il medesimo che per l'addietro, sempre, prima che il nome dei Cristiani si facesse.

[12] Se dei benefici di lui godeva, operati prima. che egli si foggiasse i suoi dei, perché non dovrebbe comprendere che anche i mali da Colui gli derivano, al quale non comprese appartenere quei beni? Colpevole è esso verso Colui, verso il quale è ingrato.

[13] E tuttavia, se i precedenti disastri compariamo, più lievi sono quelli che accadono ora, da che il mondo da Dio i Cristiani ha ricevuto. Da allora, infatti, e persone innocenti hanno le iniquità del mondo temperato, e ad esservi cominciarono degli intercessori davanti a Dio.

[14] In fine quando d'estate le nuvole le piogge sospendono e l'annata è causa di preoccupazioni, voi, pur ogni giorno ben pasciuti e pronti a rimettervi a tavola, mentre i bagni e le osterie e i postriboli sono pur sempre in attività, aquilici, vittime immolando a Giove, celebrate, al popolo processioni a piedi nudi ordinate, il cielo cercate sul Campidoglio, le nuvole attendete dai soffitti, proprio a Dio e al cielo le spalle voltando.

[15] Noi, invece, disseccati per i digiuni e da ogni specie di continenza estenuati, da ogni piacere della vita allontanati, di sacco e di cenere avvolti, al cielo bussiamo con la fame, commoviamo Dio: e quando noi gli abbiamo strappata la pietà, da voi vengono resi onori a Giove.

CAPO 41 -- Vostra è la colpa, se disgrazie vi colpiscono, non nostra. Le quali per noi sono, in ogni caso, un salutare ammonimento.

[1] Voi, dunque, di dànno siete all'umanità, voi colpevoli, delle publiche calamità provocatori sempre, tra i quali il Dio vero è disprezzato e si adorano delle statue. E invero deve ritenersi più credibile esser Lui che si adira, il quale viene disprezzato, che coloro, i quali sono venerati. Oppure sono ben ingiusti quelli, se, per cagione dei Cristiani, anche i loro cultori danneggiano, che dovrebbero dai demeriti dei Cristiani separare.

[2] 'Codesto - dite - si può anche contro il vostro Dio ritorcere, se egli pure permette che, per cagione degli empi, anche i suoi adoratori siano danneggiati'. - Ascoltate prima le sue disposizioni, e non ritorcerete.

[3] Egli invero, che il giudizio eterno una volta per sempre ha fissato dopo la fine del mondo, non anticipa la separazione, che è condizione del giudizio, prima della fine del mondo. Nel frattempo egli uguale si mostra nei riguardi di tutto il genere umano: benigno e severo. Ha voluto che comuni fossero i benefici agli empi, e i danni ai suoi, affinché in pari consorzio tutti e la sua bontà sperimentassero e la sua severità.

[4] Poiché codesto essere così proprio da lui abbiamo appreso, ne amiamo la bontà, ne paventiamo la severità; voi, al contrario, l'una e l'altra disprezzate; e ne segue che tutti i flagelli del mondo per noi, se mai, da Dio provengono in ammonimento, per voi in castigo.

[5] Sennonché noi in nessun modo n'abbiamo danno: in primo luogo perché nulla c'interessa in questo mondo, se non codesto, andarcene al più presto; in se- conda luogo, perché, se qualche avversità ci viene inflitta, alle vostre colpe va attribuita. Ma se pur qualcuna ci tocca, come vostri coabitatori, ci rallegriamo piuttosto, i divini ammonimenti riconoscendovi, confermanti, è chiaro, la fiducia e la fede nel compimento della nostra attesa.

[6] Che se, invece, tutti i mali capitano a voi da quelli che venerate, per causa nostra, perché a venerare persistete dei tanto ingrati, tanto ingiusti, che aiutarvi e difendervi avrebbero piuttosto dovuto in mezzo al dolore dei Cristiani?

CAPO 42 -- Nemmeno meritano i Cristiani la taccia di gente inutile: essi partecipano a tutte le forme della vostra vita. Non alle festivitd pagane, si capisce. Ma di ciò nessun danno proviene a voi.

[1] Ma anche per un altro titolo accusati siamo di farvi torto: anche ci si dice inutili agli affari. Come mai si dice questo di uomini, che insieme con voi vivono, a parte della stessa vita, dello stesso vestito, della stessa suppellettile, delle stesse necessità dell'esistenza? Chénon siamo i Bramani o i Gimnosofisti degli Indiani, delle selve abitatori, fuori della vita.

[2] Ci ricordiamo di dover riconoscenza a Dio, Signore, Creatore; nessun frutto dell'opera sua rifiutiamo; certo ci moderiamo, per non usarne oltre misura o malamente. Perciò non senza usare del foro, del macello, dei bagni, delle botteghe, delle officine, delle stalle, dei vostri mercati e degli altri commerci, con voi coabitiamo in questo mondo.

[3] Navighiamo noi pure insieme con voi e della milizia facciamo parte e la terra coltiviamo e ugualmente le mercanzie scambiamo e i prodotti delle arti e il nostro lavoro mettiamo in vendita per l'utile vostro. Come si possa sembrare inutili ai vostri affari, con i quali e dei quali viviamo, non comprendo.

[4] Ma se le tue cerimonie non frequento, sono tuttavia anche in quel giorno un uomo. Non faccio il bagno al primo albore nei Saturnali, per non perdere la notte e il giorno: tuttavia faccio il bagno a un'ora conveniente e salubre, che il calore mi conservi e il sangue. Di intirizzire e di diventar pallido dopo il bagno ho la possibilità dopo morto.

[5] Non banchetto in pubblico nelle feste Liberali, poiché di farlo hanno costume i bestiarii, quando compiono l'ultimo pranzo: tuttavia pranzo dove che sia, della roba tua usando.

[6] Non compro una corona da pormi sul capo: che importa a te com'io dei fiori usi, che nondimeno compro? Penso che più gradito torni usarne liberi e disciolti e per ogni verso disordinati: ma pur intrecciati in corona, noi conosciamo la corona per uso delle nari; quelli che annusano per mezzo dei capelli, se la vedano loro.

[7] Non conveniamo agli spettacoli: tuttavia le cose, che in quelle accolte di gente si vendono, se n'ho desiderio, più liberamente le posso comperare nei luoghi loro propri. Incenso certo non comperiamo: se le Arabie se ne lagnano, sappiano i Sabei che in maggior copia e a più caro prezzo le loro merci vengono consumate per seppellire i Cristiani, che per affumicare gli dei.

[8] 'Certo - dite - ogni giorno le entrate dei templi si assottigliano: quanto pochi sono coloro che gittano ormai delle monete!' - Gli è che noi non bastiamo a dar soccorso agli uomini e agli dei vostri mendicanti, né crediamo che elargire si debba ad altri, che a quelli che domandano. In somma, stenda Giove la mano e riceva: mentre, intanto, la nostra pietà più impiega distribuendo per i vicoli, che la vostra religione nei templi.

[9] Ma le altre rendite renderanno grazie ai Cristiani, che il loro debito fedelmente pagano, in quanto dal frodare l'altrui ci asteniamo: talché, se il conto si facesse di quanto va per le entrate perduto a causa della frode e delle menzogne delle vostre dichiarazioni, il conto potrebbe tornare facilmente, riscontrandosi il danno deplorato per un solo titolo, compensato dal vantaggio degli altri computi.

CAPO 43 -- Coloro che in verità possono lagnarsi di non ricevere nessun utile da noi, sono i seduttori, i mezzani, i sicari eccetera; e del pari gl'indovini e gli aruspici.

[1] Confesserò francamente chi sono coloro che, se mai, con verità lagnarsi potrebbero del nessun lucro procurato loro dai Cristiani. Primi verranno i lenoni, i seduttori, i mezzani; indi i sicari, gli avvelenatori, i fattucchieri; del pari gli aruspici, gl'indovini, gli astrologhi.

[2] Non procurar lucro a costoro è grande lucro. E tuttavia, qualunque sia il pregiudizio che al vostro interesse da questa setta deriva, da qualche vantaggio può essere compensato. Quanto non stimate, non dico già persone che da voi i demonii cacciano, non dico già persone che anche per voi preghiere al vero Dio umiliano, perché forse non ci credete: ma persone, da cui nulla temere potete?

CAPO 44 -- Danno verace per voi è la condanna che pronunciate di tanti innocenti: tra i quali mai non riscontrate un criminale.

[1] Ma in verità quello è un danno per lo Stato, danno tanto grande quanto reale, cui nessuno pone mente; quella è un'offesa alla città, che nessuno considera: il fatto che tanti giusti fra noi siano tolti di mezzo, che tanti innocenti siano fatti morire.

[2] Chiamiamo infatti in testimonio senz'altro i vostri atti, voi che ogni giorno presiedete al processo dei prigionieri, voi che con le vostre sentenze le accuse specificate. Tanti colpevoli sono da voi passati in rassegna sotto varie imputazioni di delitti: quale sicario in quelle, quale borsaiolo, quale sacrilego o seduttore o ladro di bagnanti, chi tra quelli è al tempo stesso come cristiano annoverato? Oppure, allorché dei Cristiani vi sono a proprio titolo deferiti, chi fra essi è nello stesso tempo tale, quali sono tanti colpevoli?

[3] Dei vostri sempre rigurgita il carcere, dei vostri sempre i sospiri nelle miniere, dei vostri sempre s'ingrassano le belve, dai vostri sempre gl'imprenditori di spettacoli traggono le mandre di malfattori, che essi nutrono. Nessun Cristiano colà, se non proprio soltanto Cristiano: o, se altra cosa, non più Cristiano.
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