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APOLOGETICO di Tertulliano

Ultimo Aggiornamento: 19/03/2014 11:44
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19/03/2014 11:38
 
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CAPO 15 -- Lo scempio e la profanazione della divinità si compie anche nel modo più ripugnante su la scena e nell'interno degli stessi templi.

[1] Anche le altre licenziose fantasie servono al vostro divertimento attraverso al dileggio degli dei. Considerate le arguzie dei Lentuli e degli Ostilii e, vedete un po' se ridete dei mimi, oppure degli dei vostri in quegli scherzi e burle: un Anubi adultero, una Luna maschio, una Diana staffilata, la lettura del testamento di Giove morto, i tre Ercoli affamati burlati.

[2] Ma pur le parti degli attori esprimono tutta la sconcezza degli dei. Piange il figlio precipitato giù dal cielo il Sole, mentre voi vi divertite; Cibele per un pastore sospira, che non vuol saperne di lei, senza che voi ne arrossiate; e sopportate che le birbanterie si declamino di Giove, e che Giunone, Venere e Minerva giudicate siano da un pastore. [3] Col fatto stesso che una testa ignominiosa e famigerata la figura di un vostro dio rivesta, che un corpo impuro e a codesta arte educato con una vita effeminata una Minerva o un Ercole rappresenti, non si viola e contamina, tra i vostri applausi, la maestà divina?

[4] Più religiosi senza dubbio siete nell'anfiteatro, dove sopra il sangue umano, sopra i cadaveri di sozzi giustiziati ugualmente i vostri dei istrioneggiano, argomenti di storie somministrando a dei criminali, se pur spesso i criminali proprio la figura degli dei vostri non rivestono.

[5] Ho veduto io stesso una volta un Atti evirato, quel famoso dio di Pessinunte, e uno il quale aveva la parte di Ercole assunto e ardeva vivo. Ho riso, assistendo anche agli svaghi atroci dei ludi meridiani, davanti a un Mercurio, che i morti col cauterio esaminava; ho veduto anche il fratello di Giove che, armato di martello, i cadaveri dei gladiatori trascinava via.

[6] Tutti codesti fatti, e quanti altri ancora avrebbe uno potuto investigare, se l'onore scuotono della divinità, se gli attributi della maestà divina disonorano, hanno certo origine dal disprezzo in cui sono tenuti tanto gli dei che li compiono; quanto gli spettatori, per il cui divertimento li compiono.

[7] Ma sia pure: codesti sono passatempi. - Ma se io aggiungessi quello che la coscienza di tutti non meno riconoscerà vero, cioè che nei templi si combinano adulteri, che fra gli altari ruffianerie si compiono, che spesso proprio nelle celle dei custodi e dei sacerdoti, proprio sotto le bende e i berretti e le porpore, tra il fumo degli incensi si dà sfogo alla libidine, non so se gli dei vostri, più che dei Cristiani, abbiano di che lamentarsi di voi. Certo i sacrileghi sempre tra i vostri sono còlti: ché i Cristiani i templi nemmeno di giorno conoscono. Li spoglierebbero, forse, anch'essi, se anch'essi li venerassero. [8] Orbene, che è quello che onorano coloro che tali cose non onorano? è facile senz'altro intendere che della verità sono cultori coloro che non sono cultori della menzogna, che più non errano in ciò, in cui riconoscendo di avere errato, hanno cessato di errare. Codesto prima comprendete; e di qui tutto il seguito del nostro culto apprendete, dopo, per altro, che confutate saranno le false opinioni vostre in merito.

CAPO 16 -- Stupida e falsa è l'accusa che i Cristiani adorino una testa d'asino. Adoriamo una croce? Non sono forse di croci e sopra croci fabricati i vostri dei?

[1] E invero, come ha scritto un tale, avete sognato che una testa d'asino è il nostro dio. Codesto tale sospetto l'ha introdotto Cornelio Tacito.

[2] Costui, infatti, nel libro quinto delle sue Storie, prendendo a raccontare la guerra giudaica dall'origine della gente, dopo aver anche congetturato quello che ha voluto, tanto su l'origine stessa, quanto sul nome e la religione della gente, narra che i Giudei, liberati dall'Egitto o, com'egli credette, banditine, trovandosi nelle vaste località dell'Arabia, quanto mai prive di acqua, tormentati dalla sete, su l'indizio di onagri, che si credeva si recassero, per avventura, dopo il pasto, a bere, poterono far uso di sorgenti; e per questo beneficio la figura di una bestia simile consacrarono. Così di qui si presunse, penso, che anche noi, come parenti della religione giudaica, all'adorazione della medesima immagine venissimo iniziati. Vero è che il medesimo Cornelio Tacito, pur essendo quel gran chiacchierone di menzogne, nella stessa Storia racconta che Gneo Pompeo, presa Gerusalemme ed entrato perciò nel tempio allo scopo di osservare gli arcani della religione giudaica, nessun simulacro colà trovò.

[3] E in verità, se si onorava cosa, che per via di qualche figura era rappresentata, in nessun luogo, meglio che nel suo sacrario, avrebbe potuto essere esposta, tanto più che quel culto, pur vano, presenza di estranei non temeva. Infatti solo ai sacerdoti era lecito entrare; anche la vista ne era impedita agli altri da un velo disteso.

[4] Tuttavia voi non negherete di adorare tutte le razze di giumenti e muli tutt'interi con la loro Epona. Ma forse per questo ci si muove rimprovero, perché tra gli adoratori di bestiame e di belve d'ogni sorta, di asini soltanto adoratori siamo.

[5] Ma anche chi ci crede adoratori di una croce, sarà nostro correligionario. Quando si adora un legno, poco importa il suo aspetto, essendo la stessa la qualità della materia; poco importa la forma, quando proprio codesto legno sia il corpo di un dio. E tuttavia quanto poco si differenzia dal legno di una croce Pallade attica e Cerere faria, che senza figura si presentano, rozzo palo e legno informe!

[6] Parte di una croce è ogni legno, che piantato viene in posizione verticale. Noi, se mai, adoriamo un dio intero e completo. Ho detto che, quale forma iniziale degli dei vostri, i modellatori abbozzano una croce. Ma anche le Vittorie adorate nei trofei, mentre dei trofei le croci formano le parti interiori.

[7] Tutta la religione romana degli accampamenti venera le insegne, giura per le insegne, le insegne antepone a tutte le divinità. Tutta quella congerie di immagini su le insegne, sono monili apposti a croci; quei veli degli stendardi e delle bandiere, di croci sono rivestimento. Lodo la vostra diligenza: consacrare non avete voluto delle croci disadorne e nude. [8] Altri, indubbiamente con un concetto di noi più umano e verisimile, credono che il sole sia il nostro dio. Se mai, saremo messi fra i Persiani, sebbene non il sole dipinto in un lenzuolo adoriamo, avendolo, esso proprio, dovunque, nel suo disco.

[9] Di qui in fin dei conti un tale sospetto: è noto che noi si prega rivolti dalla parte d'oriente. Ma anche molti di voi, affettando di adorare qualche volta pur cose celesti, le labbra muovete volti dove sorge il sole.

[10] Del pari, se il giorno del sole concediamo alla gioia per un ben altro motivo che per il culto del sole, veniamo al secondo posto dopo coloro che il giorno di Saturno all'ozio e alla crapula dedicano, differenziandosi essi pure dal costume giudaico, che ignorano. [11] Ma una nuova rappresentazione del dio nostro è stata già recentemente in codesta città divulgata, dacché un criminale, assoldato per frustrare l'assalto delle bestie, espose un dipinto con una scritta di questo tenore: 'il dio dei Cristiani, razza di asino'. Questo dio aveva orecchie d'asino e un piede munito di zoccolo e recava un libro e la toga. Ridemmo e del nome e della figura.

[12] Sennonché essi, gl'inventori della rappresentazione, senz'altro adorare avrebbero dovuto il nume biforme, dacché dei con testa di cane e di leone, con corna di capro e di ariete, becchi a partire dai lombi, serpenti nell'ima parte e alati nelle piante e nel tergo promiscuamente accolsero. Tutto codesto per abbondare, al fine di non aver omesso, in certo modo scientemente, nessuna diceria, senza averla confutata. Di tutto ciò ci scolperemo nuovamente, volgendoci senz'altro alla esposizione della religione nostra.

CAPO 17 -- Il Dio dei Cristiani.

[1] Ciò che noi adoriamo, è un Dio unico, che tutta codesta mole, insieme a tutto il corredo di elementi, corpi, spiriti, con la parola con cui comandò, con la ragione con cui dispose, con la virtù con cui potè, dal nulla trasse fuori a ornamento della sua maestà; onde anche i Greci all'universo dettero il nome di "kòsmos".

[2] Esso è invisibile, sebbene si veda; inafferrabile, sebbene per grazia si renda presente; incomprensibile, sebbene si lasci dalle facoltà umane comprendere: per questo è vero e così grande. Il resto che comunemente si può vedere, afferrare, comprendere, minore è degli occhi da cui è abbracciato, della mano con cui viene a contatto, dei sensi da cui viene scoperto.

[3] Invece ciò che è incommensurabile, solo a se stesso è noto. Questo è ciò che Dio fa comprendere, il fatto che di essere compreso non cape; così l'immensità della sua grandezza agli uomini lo presenta noto e ignoto. E in questo sta la colpa principale di coloro che riconoscere non vogliono Colui, che ignorare non possono.

[4] Volete che lo proviamo dalle di Lui opere, tante e tali, onde siamo circondati, sostentati, allietati, spaventati anche? Volete che lo proviamo in base alla testimonianza dell'anima stessa?

[5] La quale, pur nel carcere del corpo serrata, pur da insegnamenti pravi circondata, pur da passioni e concupiscenze svigorita, pur a false divinità asservita, tuttavia, quando ritorna in sè come dopo l'ubriachezza o un sonno o qualche malattia, e il possesso riprende della sua condizione sana, fa il nome di Dio, con questa sola parola, poiché è propria del Dio vero: e 'Dio buono e grande', e 'quello che a Dio piacerà' sono le parole di tutti. 6. Anche quale giudice lo attesta: 'Dio vede' e 'a Dio mi affido' e 'Dio me lo renderà'. O testimonianza dell'anima naturalmente cristiana! In fine, pronunciando queste parole, non al Campidoglio, ma al cielo volge lo sguardo. Conosce infatti la sede del Dio vivente: da Lui e di là essa è discesa.
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