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PROTREPTICO AI GRECI di Clemente Alessandrino

Ultimo Aggiornamento: 07/03/2014 16:02
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07/03/2014 15:53
 
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CAPITOLO 4

Se, oltre a questo, io vi porrò innanzi le statue stesse, perché le osserviate, passandole in rassegna troverete che È una vera sciocchezza questa vostra consuetudine, per la quale venerate delle opere insensibili, " fatte da mani di uomini ". Anticamente infatti gli Sciti adoravano l'acinace, gli Arabi la pietra, i Persiani il fiume, e, degli altri uomini, quelli che erano ancora più antichi innalzavano pali altissimi di legno ed erigevano colonne di pietre, che chiamavano x¢ana, per il fatto che la materia era stata levigata (x‚o]. Certo, in Icaro il simulacro di Artemide era un pezzo di legno non lavorato, e quello di Era Citeronia in Tespia era un tronco tagliato, e quello della Era di Samo, come dice Aethlio, prima era una tavola, dopo, durante il governo di Prode, fu fatta in forma umana. Dopoché si cominciò a dare agli x¢ana forma umana, questi presero il nome di brete, da brotoi (= uomini). Lo storico Varrone dice che in Roma anticamente lo x¢anon di Ares non era che un'asta, Poiché gli artisti non si erano volti ancora a questa, bella in apparenza, arte della malora. Ma dopoché fior� l'arte, crebbe l'errore. È senz'altro evidente, oramai, come delle pietre e del legno, e per dirla in breve, della materia, gli uomini abbiano fatto statue di forma umana, con le quali simulate la pietà, calunniando la verità; ma tuttavia, Poiché questo punto ha bisogno di una qualche dimostrazione, non ci dobbiamo rifiutare di darla. Che, dunque, lo Zeus di Olimpia e la Poliade di Atene le abbia fatte Fidia, d'oro e d'avorio, È chiaro probabilmente a tutti. Che, poi, lo x¢anon di Era in Samo sia stato fatto da Smilide figlio di Euclide, lo racconta Olimpico nella sua " Storia di Samo ". Non dubitate dunque che delle così� dette Dee " Venerande " in Atene, due le abbia fatte Scopa della così� detta pietra lychnea, e Calos quella di mezzo; posso citarti Polemone che lo racconta nel quarto libro della sua opera " Contro Timeo". NÉ dubitate che le statue di Zeus e di Apollo in Patara della Licia le abbia fatte ancora quel Fidia, come anche i leoni che sono dedicati insieme con esse; ma se, come dicono alcuni, l'arte ‚ quella di Bryaxis, non ne faccio una questione: hai anche questo statuario, attribuiscile a quale dei due tu voglia. E inoltre opera di Telesio di Atene, come dice Filocoro, sono le statue di nove cubiti di Poseidone e di Amfitrite, che si adorano in Teno. Demetrio nel secondo libro della " Storia di Argo ", riferisce che dello x¢anon di Era in Tirinto la materia fu il pero e l'autore Argo. Molti forse si meraviglieranno nell'apprendere che il Palladio, quello chiamato " caduto-dal-cielo", che si racconta Diomede e Ulisse abbiano tolto da Ilio e affidato a Demofoonte, era fatto delle ossa di Pelope, come l'Olimpico Zeus di altre ossa, quelle di una fiera indica; e come fonte di questa notizia adduco Dionisio, che la racconta nella quinta parte del " Ciclo". Apella nella " Storia di Delfo " dice che vi sono due Palladii, e che ambedue sono stati costruiti da uomini. Ma perché nessuno supponga che io abbia tralasciato questo per ignoranza, vi citerò la statua di Dioniso Morycho in Atene, la quale È stata fatta della così� detta pietra phellatas, ed È opera di Sicone, figlio di Eupalamo, come dice Polemone in una epistola. Vi furono anche due altri scultori, credo cretesi (si chiamavano Scillide e Dipeno); questi fecero le statue dei Dioscuri in Argo e la statua di Eracle in Tirinto e lo x¢anon di Artemide Munychia in Sicione. Ma a che indugiare in queste cose, quando È possibile mostrarvi chi era il gran demone stesso, l'egiziano Sarapide, che sappiamo essere stato ritenuto degno di particolare venerazione da parte di tutti gli uomini, quello di cui hanno osato dire che non È fatto da mani d'uomo? Alcuni raccontano che esso fu mandato come offerta di ringraziamento dai Sinopei a Tolomeo Filadelfo re dell'Egitto il quale se li era cattivati, quando essi, soffrendo di una carestia, avevano mandato a prendere frumento dall'Egitto -, e che questo x¢anon era una statua di Plutone. Egli, ricevuta la statua, la innalzò sul promontorio, che ora chiamano Rhacoti, dove si trova anche il tempio di Sarapide, oggetto di venerazione; la regione È vicina al cimitero. Essendo morta in Canobo la sua concubina Blistiche, Tolomeo la fece là trasportare e le diede sepoltura sotto il tempio anzidetto. Altri dicono che Sarapide era una statua del Ponto, e che fu trasportata ad Alessandria con l'onore di una solenne adunanza festiva. Solo Isidoro dice che la statua fu portata da parte delle genti di Seleucia abitanti presso Antiochia, le quali si erano trovate, anche esse, in penuria di frumento ed erano state sostentate da Tolomeo. Ma Atenodoro, il figlio di Sandone, mentre voleva dimostrare l'arcaicità di Sarapide, inciampò in non so che cosa, Poiché venne a dimostrare che esso È una statua fatta da uomini. Egli dice che il re egiziano Sesostri, dopo aver soggiogato la maggior parte delle genti elleniche, tornato in Egitto, condusse con s‚ degli abili artisti; fu lui dunque che fece fare con grande sontuosità la statua del suo avo Osiride, della quale È autore l'artista Bryaxis - non l'ateniese, ma un omonimo di quel Bryaxis -, il quale si ‚ servito, per la costruzione, di una materia mista e varia. Egli aveva infatti limatura di oro e di argento e di rame e di ferro e di piombo e anche di stagno; e non gli mancava nessuna delle pietre egiziane, frammenti di zaffiro e di ematite e di smeraldo, ma anche di topazio. Avendo ridotto in polvere, dunque, tutte queste cose e avendole mescolate, le colorò col ciano, a causa di che il colore della statua È nerastro, e avendo impastato il tutto con la tintura rimasta dal funerale di Osiride e di Api, egli plasmò la statua di Sarapide, il cui nome anche allude alla comunanza col funerale e al fatto di essere stata costruita col materiale della sepoltura, essendo Osirapide un composto di Osiride e di Api. Un altro nuovo dio, in Egitto, quasi proprio tra i Greci, lo ha creato l'imperatore dei Romani, divinizzando solennemente il suo amato, che era bellissimo sopra ogni altro. Antinoo egli consacrò allo stesso modo come con Ganimede aveva fatto Zeus; non si frena facilmente infatti una brama che non ha ritegno; e ora vi sono degli uomini che celebrano le notti sacre di Antinoo, la vergogna delle quali conosceva l'amante, che le aveva vegliate insieme con lui. Perché mi annoveri tra gli dei quegli che È stato onorato per la sua prostituzione? Perché ordinasti che fosse pianto come un figlio? Perché vai magnificando la sua bellezza? È vergognosa la bellezza che l'oltraggio ha fatto marcire. Non tiranneggiare, o uomo, la bellezza, Né recare oltraggio al giovane ch’è nel suo fiore: conservala pura perché sia bella. Sii re della bellezza, non tiranno. Rimanga libera; allora riconoscerò la tua bellezza, quando tu hai conservato pura la sua immagine; allora adorerò la bellezza, quando essa È il vero archetipo delle cose belle. Ma ormai vi È già un sepolcro dell'amato, vi È un tempio di Antinoo e una città; e come, io credo, i templi, così� anche i sepolcri sono ammirati, piramidi e mausolei e labirinti, altri templi dei morti, come quelli sono sepolcri degli dei. Come maestra vi citerò la profetica Sibilla: Non la parola profetica di Febo bugiardo, che gli uomini stolti dissero dio ed a torto chiamarono vate, ma del gran Dio, che mani d'uomini non plasmarono simile agli idoli muti, di levigata pietra. Essa però chiama rovine i templi, preannunziando così� che il tempio di Artemide Efesia "per effetto di voragini e di terremoti ", sarà inghiottito: Supina gemerò Efeso, piangendo presso le rive, e un tempio invano cercando, che non esiste più. Dice che il tempio di Iside e di Sarapide in Egitto sarà distrutto e bruciato: Iside, dea infelicissima, presso il corso del Nilo rimani, sola, furente, muta sulle sabbie dell'Acheronte, e continuando quindi: E tu di molte pietre inerti coperto, Sarapide, giaci, ruina grandissima, nell'Egitto tre volte infelice. Ma tu, se non vuoi dare ascolto alla profetessa, ascolta almeno il tuo filosofo, Eraclito di Efeso, che rimprovera ai simulacri la loro insensibilità: " E pregano questi simulacri, come se uno conversasse con le pareti della casa". Non sono strani infatti coloro che supplicano delle pietre, e poi le collocano, tuttavia, quasi che fossero vive ed agenti, dinanzi alle porte, che adorano Ermes come dio, e pongono l'Agyieo come portiere? Se infatti li offendono come privi di senso, perché li adorano come dei? Se poi credono che essi abbiano della sensibilità perché li pongono come portieri? I Romani, attribuendo alla Tyche i loro più grandi successi, e credendo questa una dea grandissima, l'andarono a porre nella latrina, assegnando alla dea, come degno tempio, la cloaca. Ma certamente alla pietra insensibile, e al legno, e al ricco oro non importa affatto Né del grasso Né del sangue Né del fumo, dai vapori del quale, mentre si intende onorarli, sono anche anneriti; ma neppure dell'onore, come neppure dell'insulto. Le statue sono più spregevoli di qualunque essere vivente. E non riesco a comprendere come mai siano state divinizzate le cose insensibili, e compiango come infelici, a causa della loro stoltezza, quelli che cadono in questo errore. Sebbene infatti vi siano alcuni animali che non hanno tutti i sensi, come i vermi e i bruchi e quanti appaiono subito imperfetti a causa della nascita, come le talpe e il topo-ragno, che Nicandro chiama " cieco e sordo ", ma almeno essi sono superiori a questi x¢ana e alle statue, che sono interamente insensibili, Poiché almeno un senso solo lo hanno, per esempio quello dell'udito o quello del tatto o quello corrispondente all'olfatto o al gusto: quelle invece, le statue, non hanno neppure un senso solo. Vi sono molti degli animali, che non hanno Né vista Né udito Né voce, come ad esempio la famiglia delle ostriche, ma vivono tuttavia e crescono e inoltre sentono l'influsso della luna: le statue, invece, sono brute, non fanno nulla, non sentono nulla, sono legate, inchiodate, fissate, fuse, limate, segate, levigate, cesellate. Gli statuari " oltraggiano la insensibile terra", facendole cambiare la natura che le È propria, con l'indurre per effetto della propria arte gli uomini ad adorarla; i fabbricatori di dei adorano, non gli dei e i demoni, almeno secondo il mio modo di intendere, ma la terra e l'arte, cioè le statue. La statua È infatti veramente materia morta alla quale ha dato forma la mano dell'artista. Per noi invece l'immagine di Dio non È una cosa sensibile, di materia sensibile, ma È cosa intellegibile. Cosa intellegibile, non sensibile, È Dio, quegli che solo È veramente Dio. E, d'altra parte, negli stessi infortuni che incolgono alle statue, i cultori dei demoni, gli adoratori delle pietre, apprendono per esperienza a non adorare la materia insensibile, soggetta alla stessa necessità degli altri, ma sono trascinati alla rovina dalla loro superstizione; sebbene disprezzino le statue, non vogliono tuttavia apparire di disprezzarle del tutto, ma il comportamento degli stessi dei ai quali le statue sono state dedicate dà loro la dimostrazione dell'errore in cui sono caduti. Infatti, il tiranno Dionisio il giovane, tolta alla statua di Zeus in Sicilia la veste d'oro, ordinò di mettergliene una di lana, dicendo spiritosamente che questa era migliore di quella d'oro, perché d'estate più leggera e più calda d'inverno. Antioco di Cizico, essendo in difficoltà finanziarie, ordinò di fondere la statua d'oro di Zeus, che era della grandezza di quindici cubiti, e di collocare al suo posto una statua simile a quella, ma fatta di altra materia meno preziosa, e solo ricoperta di foglie d'oro. E le rondini, e la maggior parte degli uccelli, volando lasciano cadere sulle statue stesse il contenuto del loro ventre, senza curarsi Né di Zeus Olimpio Né di Asclepio Epidaurio Né di Atena Poliade o dell'egiziano Sarapide: voi neppure da essi apprendete che le statue sono prive di sensibilità. Ma vi sono anche dei malfattori o dei nemici invasori, i quali, per turpe avidità di guadagno, devastarono i templi e depredarono le offerte votive o anche fusero le statue. E se Cambise o Dario o altri, nel suo furore, pose mano a imprese di questo genere, e se un tale uccise l'egiziano Api, io rido perché.., uccise il loro stesso dio, ma mi indigno se perpetrava ciò per amore di guadagno. Volentieri dunque trascurerò questo genere di malvagità, perché lo ritengo frutto di avidità, non prova della debolezza degli idoli. Ma non sono certo avidi di guadagno il fuoco e i terremoti, Né, certo, temono o hanno rispetto dei demoni e delle loro statue più di quanto non ne abbiano le onde dei ciottoli ammucchiati lungo i lidi. Io conosco un fuoco capace di convincere e di curare il male della superstizione: se vuoi cessare da questa demenza, il fuoco ti illuminerà Questo fuoco consumò tra le fiamme il tempio che era in Argo, insieme con la sacerdotessa Cryside, e il tempio di Artemide in Efeso, il secondo dopo il tempo delle Amazzoni, e spesso ha devastato il Campidoglio che È a Roma; non si astenne neppure dal tempio di Sarapide che È nella città di Alessandria. Ad Atene ahbatt‚ il tempio di Dioniso Eleuterio, e quello di Apollo in Delfi prima fu preda di una procella e dopo fu annientato da un " fuoco intelligente ". In questo ti È mostrato solo il preludio di quelle cose che ti promette il fuoco. Gli autori delle statue, poi, non fanno vergognare quelli di voi che sono in senno, e non li inducono a disprezzare la materia? L'ateniese Fidia, per esempio, che scrisse sul dito dello Zeus Olimpio "Pantarce bello " (giacché per lui non era bello Zeus, ma il proprio amato); Prassitele, come mostra chiaramente Posidippo nel suo libro " Intorno a Cnido ", nell'apprestare la statua della Afrodite Cnidia, la ha rappresentata somigliante nell'aspetto alla sua amante Cratina, affinchÈ gli sciagurati potessero adorare l'amante di Prassitele. Quando Frine, la etera tespiese, era nel suo fiore, tutti i pittori prendevano a modello la bellezza di Frine nel dipingere le immagini di Afrodite, come, da parte loro, gli scultori effigiavano gli Ermes in Atene prendendo a modello Alcibiade. Non resta che al tuo giudizio il còmpito di concluderne se voglia adorare anche le etere. Da qui, credo, furono spinti gli antichi re a disprezzare questi miti, e a proclamare liberamente - Poiché la cosa non offriva pericoli da parte degli uomini - se stessi come dei, dimostrandoci in questo modo che anche gli altri dei non erano che degli uomini, i quali erano stati divinizzati a cagione della fama: Ceyce, il figlio di Eolo, era chiamato Zeus dalla moglie Alcione, Alcione, a sua volta, era, chiamata Era dal marito. Tolomeo quarto era chiamato Dioniso, e Mitridate il Pontico era chiamato, anche lui, Dioniso. Voleva anche Alessandro essere creduto figlio di Ammone ed essere rappresentato con le corna dagli statuari, desiderando oltraggiare con un corno il bel volto di uomo. E non solo i re, ma anche dei privati glorificavano se stessi con denominazioni divine, come il medico Menecrate, quello che era soprannominato Zeus. Che bisogno c’è di citare Alexarco (questi, che era, quanto al sapere, grammatico, come narra Aristo di Salamina, trasformava se stesso nel dio Sole)? Che bisogno c’è di ricordare anche Nicagora (era questi Zelita di stirpe, vivente ai tempi di Alessandro; Nicagora si chiamava Ermes e portava il vestimento di Ermes, come egli stesso attesta) - dal momento che a svilire i miti intorno agli dei sono intere nazioni e città con tutti i loro abitanti, le quali si mettono la maschera di adulatori: semplici uomini, che gonfi di vanagloria, trasformano se stessi (cioè degli uomini come loro) in esseri pari agli dei, e votano a se stessi onori straordinari? E ora decretano che si adori nel Cynosarge il Macedone di Pella, Filippo il figlio di Aminta, quello " dalla clavicola spezzata e storpio di una gamba", quello a cui fu cavato un occhio, e in seguito proclamano Demetrio, anche lui, dio, e nel punto in cui egli discese dal cavallo nell'entrare in Atene, vi È il tempio di Demetrio Cataibàtes (= che discende), e are dappertutto, e gli si preparavano dagli Ateniesi le nozze con Atena, ma egli disdegnava la dea, non potendo sposare la sua statua, e saliva con l'etera Lamia sull'acropoli e si giaceva nel talamo di Atena, mostrando alla vecchia vergine le posizioni erotiche della giovane etera. Non bisogna prendersela dunque neppure con Ippone, che immortala la sua morte. Questo Ippone fece scrivere sul suo monumento funebre questo distico: Questa È la tomba di Ippone, che pari ai numi immortali fu fatto dalla Moira, poi che egli fu morto. Bravo, o Ippone! Tu ci indichi l'errore umano. Se gli uomini non hanno prestato fede a te, quando potevi parlare, di te morto divengano perciò discepoli. Questo È l'oracolo di Ippone: cerchiamo di comprenderlo. Quelli che sono adorati presso di voi furono una volta degli uomini, che in seguito, naturalmente, sono morti: il mito e il tempo li hanno circondati di onore. Sogliono infatti, in certo qual modo, le cose presenti essere disprezzate a causa della consuetudine, ma le cose passate, lontane, a causa della oscurità prodotta dal tempo, dalla possibilità di un'immediata confutazione, sogliono trarre onore dalle cose inventate, e, mentre le cose presenti sogliono non essere credute, quelle passate sono invece anche ammirate. E così� dunque gli antichi morti, glorificati nel lungo periodo dell'errore, sono stimati dei dai posteri. Una prova di questo ve la danno i vostri stessi misteri, le solenni adunanze, le catene e le ferite e gli dei piangenti: Povero me, ché SarpÈdone, il più diletto degli uomini, È destin che da Patroclo, figliuol di Menezio, sia vinto! È stato superato il volere di Zeus, e il vostro Zeus, a causa di Sarpedone, piange, sconfitto. A ragione cosi voi stessi li avete chiamati idoli (cioè fantasmi) e demoni, Poiché Atena stessa e gli altri dei Omero li chiamò demoni, onorandoli così� per la loro natura cattiva: Essa saliva all'Olimpo alla casa di Zeus che ha l'egida, presso i restanti demoni. Come dunque potranno ancora essere ritenuti dei gli idoli e i demoni, quando questi non sono in realtà che spiriti abbominevoli e impuri, riconosciuti da tutti come terreni e immondi, incombenti sulla terra, " aggirantisi intorno ai sepolcri e alle tombe", che sono precisamente i luoghi dove essi appaiono confusamente come " foschi fantasmi"?. Questo sono i vostri dei, gli idoli, le ombre e, oltre a questi, quelle " zoppe " e " rugose, dagli occhi distorti ", le Litai, figlie di Tersite piuttosto che di Zeus, così� che non senza spirito mi sembra dica Bione, quando si domanda come potrebbe essere giusto che gli uomini chiedano a Zeus quella bellezza di prole che neppure lui potÈ dare a se stesso. AhimÈ, quale empietà! Voi sotterrate, nella misura in cui vi È possibile, la incorruttibile essenza, e quell'essere incontaminato, quell'essere santo, avete seppellito nelle tombe, privando la divinità della sua reale e vera essenza. Perché dunque attribuiste a quelli che non sono dei gli onori che sono propri di Dio? Perché, abbandonato il cielo, avete onorato la terra? Che altro È l'oro o l'argento o l'acciaio o il ferro o il rame o l'avorio o le pietre preziose? Non sono essi terra e provenienti dalla terra? Non sono figli di una sola madre, la terra, tutte queste cose che tu vedi? Perché dunque, o stolti e senza senno (giacchÈ voglio tornare sull'argomento), avendo bestemmiato il luogo iperuranio, avete trascinato al suolo la pietà, foggiandovi divinità terrene, e, andando dietro a queste cose generate invece che al Dio ingenerato, siete piombati in tenebre più profonde? È bello il marmo pario, ma non È ancora Poseidone, È bello l'avorio, ma non È ancora l'Olimpio. La materia ha bisogno sempre dell'arte, Dio non ne ha bisogno. Sorse l'arte, la materia È stata rivestita della forma; e la ricchezza della sostanza rappresenta un valore economico, ma per la sola forma diventa oggetto di venerazione. Oro È la tua statua, È legno, È pietra, È, se la consideri dall'origine, terra, la quale ha ricevuto forma dall'artista. Io mi sono abituato a calpestare la terra, non ad adorarla; giacchÈ per me non È lecito affidare mai le speranze dell'anima alle cose inanimate. Bisogna perciò avvicinarsi, quanto più È possibile, alle statue, affinché sia dimostrato anche dal loro aspetto che connaturato con esse È l'errore. Sono improntate infatti molto chiaramente le figure delle statue, del segno caratteristico dei demoni. Così�, se qualcuno, andando intorno, osservi le pitture e le statue, riconoscerà subito i vostri dei dalle riprovevoli caratteristiche, Dioniso dalla sua veste, Efesto dalla sua arte, Demetra dalla sua sventura, Ino dal suo velo, dal suo tridente Poseidone, dal suo cigno Zeus; Eracle lo indica la pira, e se uno veda rappresentata una donna nuda, riconosce "l'aurea" Afrodite. Così� il famoso Pigmalione di Cipro si innamorò di una statua di avorio; la statua era di Afrodite, ed era nuda; È vinto il Ciprio da quella figura e si mescola con la statua; e questo, lo racconta Filostefano. Un'altra Afrodite in Cnido era di marmo, ed era bella, un altro si innamorò di essa e si mescola col marmo, (lo racconta Posidippo; il primo nella " Storia di Cipro", l'altro in quella di Cnido): tanto potere ebbe l'inganno esercitato dall'arte, la quale divenne in tal modo seduttrice e trascinatrice nel baratro per quegli uomini lascivi. Capace di simili effetti È l'arte manuale, ma essa non È tale da ingannare la parte razionale, e quelli che vivono secondo la ragione. A causa infatti della somiglianza della pittura, dei colombi volarono verso un dipinto rappresentante una colomba, e cavalli nitrirono verso cavalle bellamente dipinte. Dicono che una fanciulla si innamorò di una immagine, e un bel giovane, di una statua cnidia: ma in tali casi erano gli occhi degli spettatori a essere ingannati dall'arte. Giacché nessun uomo sano di mente si sarebbe mescolato con la statua di una dea, Né sarebbe stato seppellito con una morta, Né si sarebbe innamorato di un demone e di una pietra. Ma, quanto a voi, l'arte vi inganna con un altro genere di ciurmeria, se anche non inducendovi ad innamorarvene, certamente però ad onorare e ad adorare �e statue ed i dipinti. Il dipinto È somigliante: si lodi, in tal caso, l'arte, ma non inganni l'uomo, cercando di passare per verità. È rimasto tranquillo il cavallo, la colomba non si È mossa, pigra È rimasta l'ala: ma la vacca di Dedalo, la quale era di legno, sedusse un toro selvaggio, e l'arte costrinse la fiera, trattala in inganno, a coprire una donna innamorata. Tanto stimolo le arti, coi loro malvagi artifici, destarono nelle creature prive di senno. Ma le scimmie sono oggetto di ammirazione presso i loro allevatori e guardiani perché esse non si lasciano ingannare dalla somiglianza di immagini di cera o di fango e dagli abbigliamenti di fanciulle: voi sarete dunque inferiori alle scimmie, Poiché ponete attenzione a immaginette di pietra e di legno e d'oro e di avorio e a pitture. Di tali perniciosi trastulli sono per voi autori gli scalpellini e gli statuari e i pittori e i carpentieri e i poeti, che introducono una simile, grande moltitudine di dei, nei campi Satiri e Pani, nelle selve Ninfe, oreadi e amadriadi, e inoltre presso le acque e presso i fiumi e le fonti, le Naiadi, e presso il mare, le Nereidi. I maghi vantano perfino come servitori della loro empietà i demoni, essendoseli aggregati come domestici, Poiché li hanno resi a forza loro schiavi mediante l'azione delle loro formule magiche. Inoltre le nozze degli dei e le loro procreazioni di figli e i loro parti, che tutti ricordano, e gli adulteri, che sono cantati dai poeti, e i banchetti, che danno materia a commedie, e le risate durante il convito, introdotte nei vostri poemi, mi spingono a gridare (anche se io voglia tacere): ahimÈ, quale empietà! Avete fatto del cielo una scena, e ciò ch’è divino È diventato per voi dramma, e, sotto la maschera di demoni, avete fatto commedia di ciò ch’è santo, volgendo in derisione, come in un dramma satiresco, la vera pietà, per mezzo della superstizione. Egli intanto, suonando la lira, cominciava a cantar bellamente: Cantaci, Omero, quel bel canto intorno all'amore di Are e Afrodite dalla bella corona, come la prima volta nelle case di Efesto si unirono, di nascosto; e avea fatti parecchi doni, e macchiò il letto di Efesto sovrano... Cessa, Omero, il canto; non È bello, insegna l'adulterio; di fornicare noi non permettiamo neppure alle nostre orecchie. Giacché noi, noi siamo i portatori dell'immagine di Dio in questo simulacro, che vive e si muove, ch’è l'uomo, immagine che abita con noi, ci consiglia, ci accompagna, partecipa del nostro focolare, dei nostri affetti, si commuove per noi. Noi siamo stati consacrati come un'offerta a Dio per amore di Cristo, noi " la razza eletta, il regale sacerdozio, la gente santa, il popolo scelto, che una volta non eravamo popolo e ora siamo il popolo di Dio ", che, secondo Giovanni, non siamo " dal basso ", ma abbiamo appreso il tutto da colui che venne dall'alto, che abbiamo compreso la distribuzione di Dio, che ci siamo esercitati " a camminare in novità di vita". Ma non la pensano così� i più; gettati da parte il pudore e il timore, essi si fanno dipingere nelle loro case le impure passioni dei loro demoni. E così�, intesi come sono alla lussuria, essi hanno ornato le loro camere nuziali con certe tavolette dipinte, appese in alto a guisa di offerte votive, prendendo l'intemperanza per pietà: e mentre giacciono nel letto, durante gli amplessi, fissano lo sguardo a quella Afrodite ignuda, stretta in catene nell'atto dell'adulterio. E tanto prediligono la rappresentazione della effeminatezza che fanno imprimere nei castoni dei loro anelli il lascivo uccello volante verso Leda, servendosi così� di un sigillo, ch’è in tutto degno della intemperanza di Zeus. Questi sono i modelli della vostra mollezza, questo il fondamento divino delle vostre sregolatezze, questi gli insegnamenti offerti dai vostri dei, che fornicano insieme con voi. " Giacché, ciò che ciascuno vuole, questo anche crede ", secondo l'oratore ateniese. E quali anche le altre vostre immagini! Statuine di Pan e fanciulle nude e satiri ubbriachi e itifalli, che vengono presentati nudi nelle pitture, e che la loro stessa intemperanza condanna. Ormai non vi vergognate più di ammirare i dipinti rappresentanti le posizioni di ogni genere di lussuria esposti apertamente in pubblico; ma anzi li custodite, tenendoli appesi in alto come offerte votive, come se fossero veramente le immagini dei vostri dei, consacrando nelle vostre case queste stele di svergognatezza, facendovi dipingere ugualmente, così� le posizioni di Filenide come le fatiche di Eracle. Di queste cose noi vi dichiariamo che bisogna dimenticare non solo l'uso, ma anche la vista e la semplice audizione. Hanno fornicato le vostre orecchie, si sono prostituiti i vostri occhi, e, ciò che È la cosa più strana, prima dell'amplesso, i vostri sguardi hanno commesso adulterio. O voi che faceste violenza all'uomo e cancellaste con l'ignominia ciò che di divino È nella creatura, siete del tutto non credenti per potervi abbandonare alle vostre passioni, e credete negli idoli perché imitate la loro intemperanza, ma non credete in Dio, perché non sopportate la temperanza; e le cose migliori le avete odiate, le cose peggiori onorate, fattivi spettatori della virtù e campioni del vizio. " Beati " solo perciò, per dir così�, per consenso unanime, tutti quelli, secondo la Sibilla, che negheran tutti i templi, pur avendoli visti, e gli altari che sono sedi vane di pietre insensibili, e i simulacri di pietra e le statue fatte da mani, di sangue animato insozzate e di sacrifici cruenti di quadrupedi e bipedi e di uccelli e di fiere. A noi invece È espressamente proibito di esercitare quest'arte ingannatrice. " GiacchÈ tu non farai ", dice il profeta, " somiglianza di qualunque cosa, fra quante sono in cielo, in alto, e fra quante sono in terra, in basso ". Forse ancora potremmo stimare dei la Demetra di Prassitele e la Core e il mistico Iacco, oppure l'arte di Lisippo e le mani di Apelle, le quali hanno rivestito la materia della forma della gloria divina? Ma voi ponete ogni vostra cura al modo come mai la statua possa essere fatta quanto più bella È possibile, e intanto non vi date pensiero che non siate resi voi stessi simili alle statue, a cagione della insensibilità. Molto chiaramente e brevemente perciò la parola del profeta biasima questa abitudine, quando dice che " tutti gli dei delle genti sono immagini di demoni; Dio fece i cieli" e ciò che È nel cielo. E così� alcuni, movendo da qui, cadono, non so come, in errore e adorano, piuttosto che Dio, l'arte divina, il sole e la luna e il restante coro degli astri, assurdamente ritenendoli dei, mentre non sono altro che gli strumenti per misurare il tempo. " Giacché dal Verbo di lui furono fissati stabilmente e dal soffio della sua bocca tutta la potenza di essi". Ma l'arte umana crea case e navi e città e pitture: le cose che fa Dio, come le potrei enumerare? Volgi lo sguardo al mondo intero, È opera di lui; e il cielo e il sole e gli angeli e gli uomini sono " opera delle sue dita". Quanto È grande la potenza di Dio! La sua sola volontà È creazione del mondo. Solo Dio infatti lo fece, Poiché egli solo È veramente Dio. Col semplice volere egli crea, e alla sola espressione del suo volere segue immediatamente l'attuazione. Qui si svia il coro dei filosofi, i quali, mentre riconoscono che l'uomo È mirabilmente fatto per la contemplazione del cielo, adorano le cose che appaiono nel cielo e che si percepiscono con la vista. Se anche infatti non siano umane le opere che sono nel cielo, ma certamente sono state fatte per gli uomini. E nessuno di voi adori il sole, ma desideri l'autore del sole, Né divinizzi il mondo, ma cerchi il creatore del mondo. Un solo rifugio resta dunque, a quanto pare, a chi vuole giungere alle porte della salvazione: la divina sapienza. Da qui, come da un sacro asilo, l'uomo che tende alla salvezza da nessuno dei demoni può essere più trascinato via.
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