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Obiezioni contro il Vecchio Testamento e risposte

Ultimo Aggiornamento: 03/06/2016 19:14
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25/02/2014 23:36
 
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2. Secondo grappo dì spiegazioni. - Rinunciando all'idea fondamentale di Renan, un secondo gruppo d'autori cerca di spiegare lo sbocciare delle credenze monoteistiche nell'antico Oriente mediante l'influsso che i culti solari avrebbero esercitato sulle antiche religioni politeistiche. Infatti è noto che la venerazione del dio sole fece sorgere parecchie religioni solari, che instaurarono tutte quante un certo monismo religioso. Gli esempi più noti sono quelli dei culti siriaci, dei quali Franz Cumont tracciò la storia, e quello del culto di Mitra, il sol invictus degl'imperatori romani. Nell'antico Oriente un caso simile di culto solare, forse altrettanto impressionante, fu il culto di Aton, il disco solare, che il faraone riformatore Amenofis IV tentò d'istituire e di opporre a quello del dio tebano Amon-Ra. Il tentativo sarebbe stato fatto prima che si formasse il jahvismo mosaico, e il famoso inno che Amenofis IV rivolse al sole avrebbe influito sul salmo CIV (CHI), uno dei più bei canti religiosi del salterio.

Anche qui, quando si considerano ì fatti da vicino e si stringe più da presso il senso dei documenti messi a confronto, all'estremo vertice del confronto cessano le analogie, proprio ove dovrebbe avvenire l'incontro. Per il culto del dio sole avviene press'a poco quanto accade per quello della dèa madre, la grande dea, la dea della vegetazione: in tutti e due i casi una divinità naturistica prevalse sulle altre non fino a sopprimerle, ma fino a dominarle e relegarle in secondo piano. È naturale che il sole e la terra madre siano pervenuti a una tale supremazia, perché si ritrovano quasi identici presso tutti i popoli e rappresentano gli elementi della natura con cui l'uomo deve fare i conti. Sotto alcuni aspetti s'aggiunsero " i cieli " e divennero anch'essi il simbolo d'una divinità, la cui religione ha essa pure un certo andamento monoteistico.

3. Terzo gruppo di spiegazioni. - Sembra che in questi ultimi anni la scienza comparata delle religioni cambi ancora una volta direzione, lasciandosi ora affascinare dal preteso monoteismo della letteratura sapienziale, quale si manifesterebbe soprattutto nella letteratura sapienziale egiziana. In un recente articolo il prof. A. Lods elenca i testi principali che occorrerebbe considerare {Le monothéisme israelile a-t-il eu des précurseurs panni des sages de l'Ancien Orienti in Rev. Hist. Philos. Rei, 1934, t. XIV, pp. 197-205) e da un responso tra i più categorici: " Nelle espressioni "Dio", "il dio" c'è poco più che un monoteismo verbale, che è soltanto un lontanissimo avviamento all'idea dell'unità del divino. L'uso di queste locuzioni nei moralisti egiziani e assirobabilonesi risponde esattissimamente a quello dei termini theós e o tkeós che dai Greci politeisti erano usati quasi come sinonimi di theoi. S'ammetterà volentieri che la letteratura gnomica internazionale dell'antico Oriente preparò il terreno al movimento profetico israelitico, diffondendo nell'elite della nazione idee "levate sulla divinità e la sua giustizia.

Però non basta quest'influsso a spiegare la convinzione categorica che si manifesta con crescente chiarezza nell'anima dei profeti d'Israele nei secoli VIII-VII-VI riguardo al carattere unico e universale del Dio che si era rivelato a loro, convinzione che arrivò a esprimersi in formule chiarissime: "Jahvé è Dio e non ce ne sono affatto altri". Gli dèi delle nazioni "non sono dèi". "Lo giuro sull'onor mio, dice Jahvé:

Ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua giungerà per il mio nome. Le isole spereranno in me" ".

4. Quarto gruppo di spiegazioni. - Altri autori si limitano ad appellarsi alle tendenze, dette enoteiste, d'ogni vita religiosa un po' intensa, cioè il bisogno che ha un'anima religiosa di fare una scelta tra le divinità che le si presentano e, data la preferenza, di limitare ad essa il proprio orizzonte religioso. Per appoggiare queste tendenze si citano volentieri i nomi teofori, che insistono sul carattere veramente trascendente d'una divinità particolare, o che la esaltano come la divinità, diremmo unica, di colui al quale venne dato il nome. Così questi nomi accadici: Iluma-Nushu (Nusku è davvero dio), Ea-ma-ilu (Ea è il mio dio), l-li-ma-ilum (il mio dio è dio), llu-shu-ma (lui soprattutto è dio), Mannum-kima-ilija (chi è come il mio dio?). Si dice essere sufficiente che la riflessione filosofica rinvigorisca queste tendenze, oppure che la volontà unificatrice d'un re o d'un collegio di sacerdoti se ne impadronisca, perché risulti nel modo più naturale un monoteismo almeno allo stato embrionale.

Questa teoria è insufficiente quanto le ipotesi rivali, lasciando sempre da spiegare perché in realtà queste tendenze siano riuscite soltanto in Israele, mentre altrove fallirono dovunque. Inoltre i migliori assirologi negano che tali formule ed esclamazioni esprimano un reale monoteismo, perché al massimo fissano temporaneamente ed esclusivamente l'attenzione dei fedeli sopra una divinità, che cercano di esaltare per un momento, onde attirare la sua attenzione sulle preghiere con cui viene assediata: B. Gemser, Die Beteekenisder Persoonsnamen voor onze Kennis vati het Leven der onde Babyloniers en Ai-syriers, Wageningen, 1924. Insomma soltanto il monoteismo israelitico seppe tenersi al riparo dalla credenza nelle idee associate nella suprema dignità e resistere all'attrattiva quasi generale di elaborare le triadi divine. Le scoperte dei testi archeologici di Ras Shamra-Ugarit hanno messo in una luce tutta nuova l'ammirabile trascendenza della religione d'Israele, in contrasto con le speculazioni mitologiche, di cui si dilettavano gli antichi cananei.

Conclusione. - Come si vede, i risultati della nostra inchiesta sulle origini del monoteismo israelitico sono sfavorevoli alle ipotesi della storia coniparata delle religioni, poiché nessuna di esse risolve il problema. Il monoteismo israelitico si presenta allo storico con caratteri che portano il segno indelebile della sua origine specificamente israelitica e che, posta la trascendenza del fenomeno, postulano una causa divina (15).
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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