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Obiezioni contro il Vecchio Testamento e risposte

Ultimo Aggiornamento: 03/06/2016 19:14
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25/02/2014 23:22
 
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CAPITOLO II - OBIEZIONI DESUNTE DAI PRETESI ERRORI STORICI DELLA BIBBIA

§ 1. - Considerazioni generali.

a) Caratteri di queste obiezioni. - Le obiezioni desunte dai pretesi errori storici della Bibbia sono infinitamente più complesse di quelle che abbiamo analizzato poco fa, perché qui non si può più credere che gli agiografi si siano espressi secondo le apparenze. Alcuni esegeti proposero una spiegazione, che fu violentemente combattuta fin dal suo primo apparire, spiegazione che non è contenuta nell'enciclica leonina sulla Sacra Scrittura e che l'enciclica di Benedetto XV, più severa, segnala per condannare.

b) Principi di soluzione. - Veramente l'espressione " apparenze storiche a è poco felice, è equivoca e, secondo me, anche inesatta, perché non ci sono apparenze storiche nel senso in cui intendevano i proponitori della formula. Ci sono invece modi difettosi di percepire, registrare, conservare, trasmettere, consegnare i fatti per scritto, e soprattutto vi sono diversi modi, egualmente legittimi, di concepire e scrivere la storia. Così il nostro modo d'intendere la storiografia, p. es. al modo del Duchesne o di Cauchie (per fermarci ai due più illustri rappresentanti della storiografia cattolica moderna) non è quello degli annalisti o dei cronisti dell'antico Oriente, che ignoravano, sia quanto a documentazione sia quanto ad analisi critica, le regole del moderno metodo critico, i processi redazionali e sintetici. Dimenticare questa cosa significa condannarsi in anticipo a non comprendere nulla dell'Antico Testamento.

Quindi non si deve dire che gli autori antichi sbagliano perché s'esprimono secondo le " apparenze storiche " erronee, il che, ripetiamo, è inesatto; occorre anzi riconoscere che essi procedono col metodo storico della loro epoca e con la larghezza che esso comportava, senza preoccuparsi d'avere una documentazione esauriente, non esigendo un'analisi rigorosamente critica delle fonti, ricorrendo a processi oratori, talvolta perfino a libere combinazioni, p. es., delle circostanze, amando tradurre in discorsi i pensieri dei principali attori, essendo in definitiva più preoccupati di fare una bella presentazione letteraria, che una rappresentazione materialmente esatta e, direi, fotografica dei fatti (1).

Gli autori dell'Antico Testamento non filmano i fatti, ma ne tratteggiano larghi quadri, seguendo i gusti estetici dei contemporanei, senza mai perdere di vista lo scopo d'istruire ed edificare i lettori. Essi sono, nella maggior parte, altrettanto filosofi della storia quanto annalisti o cronisti propriamente detti. Per questo molti critici credono di poter parlare di più storie delle origini religiose d'Israele, che chiamano la storia jahvista, elohistica, deuteronimista e sacerdotale. Un punto di vista particolare caratterizzerebbe ad un tempo e l'insieme ed i particolari dei racconti che compongono ogni ciclo storico cosi distinto.

Quindi ogni qualvolta sembrano sorgere gravi difficoltà, non si tratta di ricorrere subito ai generi letterari infrastorici, come la tradizione popolare, la storia idealizzata, il midrash aggadico, i favolari, i racconti fantastici, ecc, ma bisogna prima considerare che anche la storia vera e propria nell'Antico Testamento non era scritta come la concepiamo noi moderni, come incominciano a riconoscere apertamente i recenti manuali d'introduzione alla Sacra Scrittura (2), che in questo modo non compromettono affatto l'inerranza biblica. Infatti il carisma dell'ispirazione esercita tutta la sua causalità fino a escludere ogni errore soltanto nell'ambito del genere letterario al quale appartiene il libro ispirato (3).

D'altronde, come notano molto giustamente Lusseau e Collomb (4), il fatto che le affermazioni della Bibbia non contengono nessun errore, non comporta che esse esauriscano la verità del loro oggetto, poiché altrimenti sarebbe necessaria una serie di rivelazioni che farebbero dello storiografo un essere a parte e gli darebbero una mentalità e una cultura totalmente estranee a quelle del suo ambiente; i suoi discorsi e i suoi scritti sarebbero incomprensibili ai suoi contemporanei e perfino a lui stesso, senza uno speciale aiuto di Dio.

Ammessi questi pochi principi, la storia sacra non si presta a serie obiezioni e quelle che, ciononostante, le si oppongono derivano soprattutto dall'ostinazione a voler misurare l'esattezza biblica con le regole del metodo critico moderno. Ora questo è semplicemente grottesco.

Oltre il fatto suaccennato, che la storia sacra è scritta alla maniera degli antichi, avviene pure che per alcune sezioni dei libri detti storici, e forse anche per alcuni interi libri, gli autori ispirati s'allontanano deliberatamente dal genere storico per adottare questo o quel genere letterario, che Lusseau e Collomb chiamano " infrastorico ".

(1) Del resto, sebbene in misura minore, queste riflessioni valgono anche per i libri storici del Nuovo Testamento, come ammettono i migliori esegeti cattolici moderni. Si pensi particolarmente a certe varianti della tradizione evangelica. L'opera del P. Thibaut, Le sens des paralei du Christ, Bruxelles-Parigi, 1940, al riguardo contiene molte giudiziose osservazioni, che in materia segnano un progresso sulle posizioni che direi medie.
(2) Lusseau-Collomb, Manuil d'Éludes bibliques, t. I, Parigi 1936, p. 254, n. 3 e pp.
218-219. Vedi p. 218, lett. C: "È evidentissimo che il metodo storico degli antichi non
era il nostro ".
(3) Ivi, pi 176I
(4) Ivi, p. 177.

Come vuole prudentemente e giustamente la Chiesa, in ogni caso particolare bisognerà certamente dimostrare con solidi argomenti che l'agiografo usa simile genere letterario, e inoltre che s'allontana coscientemente dalla storia in senso stretto. Fatta questa dimostrazione, perché rifiutare agli storici sacri quei diritti che concediamo agli scrittori di tutti i tempi? Tanto più che si ammette che l'ispirazione non cambia le abitudini letterarie di chi ne beneficia, in quanto Dio, adattandosi a servirsi di strumenti, li sceglie quali la cultura profana del loro ambiente li ha preparati per svolgere il loro compito di scrittori. Non ci dobbiamo lamentare se la Chiesa esige esegeti prudenti e circospetti, ma in questo campo nessuno ha diritto di essere più esigente del Papa o della Commissione biblica.

A noi sembra die alcuni autori, preoccupati di non allontanarsi dalle direttive pontificie, sì servano con troppe riserve e quasi con il contagocce di certi principi di buona esegesi, sembrando talvolta di voler ricorrervi solo nei casi d'estrema necessità, quando è permesso appropriarsi dei beni altrui e, in questo caso, dei beni della critica. Tale posizione, anche se ispirata dalla lodevole intenzione di non scandalizzare mai il pubblico cattolico, ahimè troppo poco versato e istruito in materia, è inopportuna.

Queste poche considerazioni generali dovrebbero bastare e spero che risolvano più facilmente le difficoltà cui crediamo dover rispondere più diffusamente (5).
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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