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Obiezioni contro il Vecchio Testamento e risposte

Ultimo Aggiornamento: 03/06/2016 19:14
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25/02/2014 23:20
 
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§ 2. - La pretesa ignoranza delle leggi della natura.

Ci sì dice: sia pure; però la Bibbia non s'accontenta di registrare un certo numero di dati erronei, ma s'inganna direttamente perfino sul meccanismo della natura, perché considera tutto quanto l'universo soggetto all'influsso delle cause libere, che intervengono capricciosamente a modificare a loro arbitrio il corso della natura, e questo significa che per gli autori ispirati non esiste la nozione di legge naturale su cui si fondano le scienze esatte moderne; significa che nella natura non regna nessun determinismo e che le creature tono soggette alla volontà e al dominio di colui che " frena il furore dei flutti n. In questo modo si spiegano i frequenti prodigi e miracoli, tanto che lo straordinario diventa il fatto quasi quotidiano e il corso normale delle cose finisce coll'apparire prodigioso; si spiega pure la grandezza dei miracoli compiuti poiché, siccome nulla è superiore alla potenza divina, le tradizioni bibliche moltiplicano e pongono innumerevoli fatti meravigliosi sulla via del popolo di Dio e li descrivono in modo teatrale. La Bibbia riporta fatti cosi enormi, che offendono perfino la fede del carbonaio; molti gesti divini toccano l'assurdo e ledono gli attributi di Dio.

Risposta. - L'obiezione esposta parte dai pregiudizi classici degli autori razionalisti sul miracolo, i quali dicono che il miracolo non esiste perché non può esistere. La Bibbia, credendo ai miracoli, condivide la fede della gente semplice e quindi s'inganna grossolanamente facendo proprie le credenze popolari.

Anche se qui non è il caso di discutere i presupposti razionalisti, dobbiamo però protestare proprio in nome della scienza storica. La storia ha come primo compito la constatazione dei fatti, e un fatto qualsiasi è più rispettabile di qualsiasi ipotesi scientifica o filosofica. Ora se in un caso particolare i fatti sembrano spezzare gli schemi delle leggi naturali, non bisogna negarli, ma registrarli, pur segnalando il loro carattere insolito e paradossale, che i credenti chiameranno miracoloso.

Gli autori razionalisti d'ordinario non si limitano a negare aprioristicamente l'esistenza del soprannaturale, ma aggiungono che i pretesi miracoli della Bibbia si presentano in una luce sfavorevole, rivestiti di particolari fantastici, e molti richiamano i dati del folklore e della mitologia, apparendo quindi a posteriori come un prodotto dell'immaginazione religiosa creatrice degli Ebrei.

Secondo noi, l'ultima asserzione è falsa, e per convincersene basta confrontare le attestazioni e descrizioni di prodigi, che si trovano nelle tradizioni della Bibbia, con quelle dei popoli pagani dell'Oriente antico, constatando cosi come subito ci colpisca la sobrietà dei Libri sacri. Anche nei cicli di racconti dove sono più frequenti i miracoli (p. es. la storia dell'Esodo, le biografie di Elia e d'Eliseo), non ci sono prodigi che s'impongono col gesto teatrale, cosa invece che è evidente nelle raccolte letterarie della taumaturgia popolare e folkloristica. Si può dire che Jahvè non compare mai come un'imbonitore da fiera; ogni tanto opera fatti straordinari, ma sempre in circostanze che manifestano la sua gloria divina e sempre inquadrandoli e subordinandoli ai fini religiosi e morali dell’economia della salvezza.

Forse soltanto il soprannaturale del libro di Tobia e la storia assai bizzarra del profeta Giona sembrano fare eccezione alla regola generale, ma ricordiamo che il genere letterario di questi due libri è soggetto a discussione e ci si chiede se abbiano un carattere strettamente storico, oppure, per molti particolari d'importanza didattica o simbolica indiscutibile, non si colleghino a qualcuno di quei generi letterari infrastorici, che l'antichità, compresa quella ebraica, apprezzò molto come metodo per inculcare le verità religiose in una forma popolare concreta, impressionistica. Com'è noto, la questione, sulla quale ritorneremo, viene liberamente discussa dagli esegeti cattolici e, comunque sia, possiamo facilmente rispondere mettendoci da un punto di vista d'un'interpretazione larga dei libri di Tobia e di Giona. Bisogna guardarsi dal voler imporre come verità di fede, a quelli che sono ancora fuori della Chiesa, certe posizioni dottrinali che sono semplicemente opinioni dei teologi, o che la Chiesa raccomanda, o anche prescrive ai suoi fedeli, ma unicamente come la via dottrinale più sicura, finché i problemi non siano meglio impostati e chiariti (3).

(3) Nulla impegna maggiormente alla prudenza delle variazioni dell'esegesi cattolica nell'interpretazione dell'Esamerone. Quelli che vollero difendere un'interpretazione stretta e concordista di questa pagina biblica, proposero al riguardo considerazioni che oggi si vorrebbero dimenticate.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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