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L'ORIGINE DELLA VITA

Ultimo Aggiornamento: 04/08/2023 18:12
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19/02/2014 21:44
 
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L’articolo originale pubblicato su Science è intitolato “Many Paths to the Origin of Life“, su Le Scienze è stato trattato in “Lo stato dell’arte delle teorie sull’origine della vita“, dove giustamente viene colta l’occasione per fare il punto della situazione sulle attuali conoscenze riguardo l’origine della vita. Nel titolo di Science viene subito dichiarato che esistono molti percorsi per spiegare l’origne della vita, si tratta di un’affermazione che non può che colpire chi si interessa dell’argomento, ma leggiamo direttamente le parole di Le Scienze:


 


L’origine della vita sulla Terra è ancora un mistero. E non perché si sappia troppo poco, ma perché non si riesce a decidere quale abbia effettivamente avuto luogo tra i diversi meccanismi che, secondo le ipotesi e i risultati sperimentali, sono in grado di sostenere l’emergere di composti organici, la loro autoreplicazione e infine l’integrazione in una cellula biologica del materiale genetico.


È questa la sintesi dello stato dell’arte sulle teorie dell’origine della vita proposta da Jimmy Gollihar dell’Università del Texas a Austin e colleghi dell’Albert Einstein College of Medicine a New York, in un articolo di commento pubblicato su “Science”.


Esistono dunque troppi “cammini” che risulterebbero tutti ugualmente soddisfacenti per sostenere l’emergere non solo l’emergere dei composti organici, come avvenuto per gli aminoacidi nell’esperimento di Miller, ma anche la loro autoreplicazione e persino l’integrazione in una cellula del materiale genetico. In realtà l’esperimento di Miller ha consentito di riprodurre in laboratorio solo degli aminoacidi a partire da sostanze di base possibilmente presenti nell’atmosfera primordiale:


 



Ma l’esperimento di Miller – Urey riuscì a formare solo una miscela racemica di aminoacidi (cioè di aminoacidi di forma speculare di cui solo una, la L, è presente negli organismo viventi) e di alcuni altri composti organici, ma in modo troppo semplicistico si giunge alla conclusione che la questione dell’origine delle molecole necessarie alla vita è praticamente risolta:


Ricostruita così a grandi linee la sintesi prebiotica dei composti organici, si apre però il problema di delineare un meccanismo plausibile per l’inizio dell’autoreplicazione delle molecole.


 Incredibilmente, nello stesso articolo, poche righe dopo parlando dell’ipotesi dl cosiddetto “mondo a RNA” viene negato quanto appena detto:


 In questa ricostruzione mancherebbe solo una buona disponibilità dei “mattoni elementari” da cui sintetizzare l’RNA, in particolare lo zucchero ribosio. 


E qui s’incontrano notevoli difficoltà teoriche. Con processi prebiotici, infatti, il ribosio si può sintetizzare in quantità limitate, e la sua vita media in ambiente acquoso è estremamente breve.


 Da ciò discendono due spiegazioni alternative: il ribosio si è formato in condizioni desertiche, come quelle della superficie di Marte, oppure l’RNA primordiale faceva a meno del ribosio (era una sorta di pre-RNA).


 L’appena dichiarata ricostruzione della sintesi prebiotica cade quindi di fronte alle difficoltà che pone la ricostruzione della sintesi del ribosio indispensabile per ottenere l’RNA (acido ribonucleico). Le difficoltà di ottenere il ribosio nelle stesse condizioni della Terra primordiale ipotizzate da Miller sono talmente insormontabili da spingere gli scienziati ad ipotesi fantascientifiche come quella che il ribosio si sia formato su Marte in situazione desertica e poi sia giunto sulla Terra dove invece in condizioni umide si erano nel frattempo formati gli aminoacidi. Va detto con grande franchezza, credere in questa specie di catena di montaggio interplanetaria richiede un’attitudine del tutto irrazionale che finisce col dare ragione al titolo del libro del trio Giorgio Vallortigara, Telmo Pievani, Vittorio Girotto che si intitola appunto “Nati per credere“. Solo che a differenza di quanto sostenuto dai tre autori i veri creduloni non sono i creazionisti ma coloro che accettano come possibili questi viaggi interplanetari del ribosio che poi, arrivato con una migrazione di massa sulla Terra, si sarebbe incorporato nelle basi azotate pronte ad accoglierlo nella giusta sequenza. Al confronto i miracoli di s. Gennaro sono roba da principianti.


 


L’alternativa rimanente sarebbe quella di un pre-RNA che faceva a meno del ribosio che poi sarebbe aggiunto in un secondo tempo. A questo punto proponiamo un gioco agli amici sostenitori di quest’ipotesi: servendosi della figura seguente provate a montare una catena di pre-RNA (ma anche DNA) senza il ribosio:



Ma l’esperimento di Miller – Urey riuscì a formare solo una miscela racemica di aminoacidi (cioè di aminoacidi di forma speculare di cui solo una, la L, è presente negli organismo viventi) e di alcuni altri composti organici, ma in modo troppo semplicistico si giunge alla conclusione che la questione dell’origine delle molecole necessarie alla vita è praticamente risolta:


Ricostruita così a grandi linee la sintesi prebiotica dei composti organici, si apre però il problema di delineare un meccanismo plausibile per l’inizio dell’autoreplicazione delle molecole.


Incredibilmente, nello stesso articolo, poche righe dopo parlando dell’ipotesi dl cosiddetto “mondo a RNA” viene negato quanto appena detto:


In questa ricostruzione mancherebbe solo una buona disponibilità dei “mattoni elementari” da cui sintetizzare l’RNA, in particolare lo zucchero ribosio.


E qui s’incontrano notevoli difficoltà teoriche. Con processi prebiotici, infatti, il ribosio si può sintetizzare in quantità limitate, e la sua vita media in ambiente acquoso è estremamente breve.


Da ciò discendono due spiegazioni alternative: il ribosio si è formato in condizioni desertiche, come quelle della superficie di Marte, oppure l’RNA primordiale faceva a meno del ribosio (era una sorta di pre-RNA).


L’appena dichiarata ricostruzione della sintesi prebiotica cade quindi di fronte alle difficoltà che pone la ricostruzione della sintesi del ribosio indispensabile per ottenere l’RNA (acido ribonucleico). Le difficoltà di ottenere il ribosio nelle stesse condizioni della Terra primordiale ipotizzate da Miller sono talmente insormontabili da spingere gli scienziati ad ipotesi fantascientifiche come quella che il ribosio si sia formato su Marte in situazione desertica e poi sia giunto sulla Terra dove invece in condizioni umide si erano nel frattempo formati gli aminoacidi. Va detto con grande franchezza, credere in questa specie di catena di montaggio interplanetaria richiede un’attitudine del tutto irrazionale che finisce col dare ragione al titolo del libro del trio Giorgio Vallortigara, Telmo Pievani, Vittorio Girotto che si intitola appunto “Nati per credere“. Solo che a differenza di quanto sostenuto dai tre autori i veri creduloni non sono i creazionisti ma coloro che accettano come possibili questi viaggi interplanetari del ribosio che poi, arrivato con una migrazione di massa sulla Terra, si sarebbe incorporato nelle basi azotate pronte ad accoglierlo nella giusta sequenza. Al confronto i miracoli di s. Gennaro sono roba da principianti.


L’alternativa rimanente sarebbe quella di un pre-RNA che faceva a meno del ribosio che poi sarebbe aggiunto in un secondo tempo. A questo punto proponiamo un gioco agli amici sostenitori di quest’ipotesi: servendosi della figura seguente provate a montare una catena di pre-RNA (ma anche DNA) senza il ribosio:



Immagine della coevoluzione di proteine ed RNA nei ribosmomi (da PlosOne)


L’immagine dell’evoluzione contemporanea di ribosomi e proteine pone un problema logico che ricorda quello dell’uovo e la gallina: se le proteine che interagiscono con l’RNA erano presenti casualmente nel brodo primordiale, come avrebbe potuto l’RNA incorporare poi la sequenza che le codifica per produrle?


Ovviamente lo studio ha subito suscitato obiezioni. Così, Russell Doolittle, dell’Università della California a San Diego, ha osservato: “E’ un articolo molto coinvolgente e provocatorio di uno dei ricercatori più innovativi e produttivi nel campo dell’evoluzione delle proteine”, tuttavia, lascia perplessi “l’idea che alcune delle prime proteine siano state prodotte prima dell’evoluzione del ribosoma come sistema di produzione delle proteine”: se le proteine fossero più antiche della macchina ribosomiale che oggi produce la maggior parte di esse, in che modo “le sequenze di amminoacidi di queste prime proteine sarebbero state state ‘ricordate’ e inserite nel nuovo sistema”?


Quello che dunque emerge da quest’analisi è il fatto che sull’origine delle prime molecole si conosce pochissimo, e che quel pochissimo risale ad ormai più di sessant’anni fa.


Ma cosa si può dire sulle fasi successive della comparsa della vita sulla Terra? Ecco le conclusioni riportate su Le Scienze:


In definitiva, spiega Gollihar, il merito dell’esperimento orginale di Miller è stato quello di aver individuato un percorso plausibile per l’origine della vita sulla Terra, le cui singole fasi attendono di essere chiarite con le moderne tecniche sperimentali.


L’altro grande capitolo, quello della cellularizzazione del materiale genetico, è invece un ambito ben al di là delle speculazioni che attualmente è possibile formulare.


E così, contrariamente a quanto detto all’inizio dell’articolo su Le Scienze, non esistono cammini diversi per spiegare la comparsa della vita sulla Terra, siamo lontanissimi dal capire come sono comparse e quali fossero le prime molecole autoreplicanti.


E siamo lontanissimi dal poter ipotizzare cosa sia successo dopo, quando si è trattato di passare da molecole autoreplicanti alle cellule. Su questo l’accordo con le conclusioni di Gollihar non avrebbe potuto essere più totale:


quello della cellularizzazione del materiale genetico, è invece un ambito ben al di là delle speculazioni che attualmente è possibile formulare“


Quest’ultima frase fa onore all’onestà intellettuale di uno scienziato, una frase che però dovrebbe essere estesa a tutte le teorie attuali non solo sull’origine della vita ma anche su quella delle specie.




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10/07/2014 23:41
 
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biologia-molecolare-tumore-alla-prostata-fotoI limiti della biologia molecolare
La ricerca scientifica si sviluppa in 3 fasi principali, analoghe a quelle che scandiscono il rapporto di un bambino con un giocattolo. Per prima cosa il bambino prende dimestichezza con l'oggetto, imparando ad usarlo in tutte le sue potenzialità. Ciò corrisponde in scienza empirica alla fase "aristotelica" di primo esame della natura, con la raccolta dei dati e la catalogazione: si osservano i fenomeni per separarli in categorie, classi e generi, al cui interno vengono raggruppati secondo il numero crescente di analogie. Si cominciano così ad intravedere regolarità in natura accanto alla varietà; schemi che si ripetono, pur nel cambiamento. La scienza chiama leggi naturali le regolarità che estrae dalle osservazioni.
Poi interviene la seconda fase, nell'una e nell'altra attività. Il bambino curioso vuol capire come funziona il giocattolo, così lo apre rompendolo in tanti pezzi. Altrettanto fa il ricercatore analizzando il fenomeno nelle sue componenti e queste nei loro costituenti, ecc. Lo scopo di entrambi è derivare il funzionamento del sistema intero dalle proprietà degli elementi più piccoli cui possono arrivare e dalle loro relazioni. Con l'intuizione, l'uno e l'altro si creano una teoria di come funzionano le cose, che all'inizio è soltanto una congettura di come le cose potrebbero funzionare, nel giocattolo o in natura.


C'è solo un modo che ha il bambino per sapere se ha compreso almeno in parte il funzionamento del giocattolo ed è quello di ricostruirlo ricombinando i pezzi. Allo stesso modo lo scienziato può riconoscere se la sua congettura è una teoria scientifica oppure una storia come tante solo tramite il test, che consiste nella replica sperimentalmente controllata del fenomeno (o di un fenomeno correlato al primo, quando questo non sia replicabile perché unico o remoto[ii]). Questa è la terza fase, cruciale in scienza sperimentale, ahimè dimenticata dai fantasiosi narratori che hanno una risposta facile, e soprattutto incontrollabile, per ogni problema difficile.

 

 

imagesLe basi quantistiche della vita

Nella Parte I ho descritto 4 fatti inspiegabili della biologia molecolare classica:
1.l'accadere in vivo di reazioni chimiche che non si osservano in vitro;
2.la velocità di molte reazioni biochimiche, nettamente superiore rispetto alle stesse reazioni in laboratorio;
3.l'elevatissima efficienza di molte reazioni biochimiche, traccia diretta di fenomeni quantistici; e, più strabiliante di tutti,
4.la presenza di codici organici, che guidano i cicli chimici nell'organizzazione funzionale a più livelli della vita.
Questi problemi rientrano nella questione dell'attenzionalità, che nomina quella caratteristica dei sistemi viventi per cui tutte le loro più minuscole componenti – a cominciare dalle particelle subatomiche, come vedremo – utilizzano le risorse dell'ambiente in un'organizzazione coordinata di miriadi di operatori per costruire, conservare e riprodurre i sistemi. L'attenzionalità è nella scienza moderna il concetto corrispondente in filosofia classica all'anima vegetativa, com'era chiamato il principio basico della vita, condizione dell'accrescimento, della nutrizione e della riproduzione. Tutte le specie, dagli archaea all'uomo, si supportano sulle funzioni vegetative.
L'attenzionalità rivela la presenza nella cellula, accanto al regime caotico descritto dalla statistica chimica, di un regime ordinato che può essere guidato solo da un campo fisico. Abbiamo visto anche che l'attenzionalità (e con essa la comparsa di forme esclusivamente vegetative di vita, ovvero l'abiogenesi) si potrebbero spiegare, se si riuscisse a risalire ad una struttura molecolare che derivi la sua individualità da una relazione tra due generi di processi fisico-chimici auto-organizzativi, dipendenti l'uno dall'altro. A questo punto si tratta di affiancare all'azione di smontaggio dell'organismo prodotta dalla biologia molecolare il metodo inverso della teoria quantistica dei campi (TQC), per provare a rimontare il "giocattolo". Solo così si può sperare di superare l'angustia del riduzionismo che, rimuovendo dall'analisi della materia vivente la sua complessità, abdica a spiegare la vita ed anche solo a definirla.


Ora viene la pars construens: mi riprometto di descrivere – usando un linguaggio comprensibile ad uno studente di liceo – alcune delle più recenti ricerche di biologia e chimica integrate con la fisica quantistica, volte ad individuare i due tipi di processi intrecciati che sono all'origine dell'attenzionalità della vita. L'interdisciplinarità di biologia, chimica e fisica si basa su una concezione fisico-strutturalistica del fenomeno "vita" e le sue teorizzazioni producono predizioni sperimentalmente controllabili (corroborate, come vedremo nell'ultima Parte). Questa concezione si candida comenuovo paradigma scientifico della biologia del XXI secolo, alternativo alle speculazioni poetiche succedutesi per millenni nella storia umana. In particolare, lo strutturalismo fisico è alternativo al darwinismo, che è una superstizione storico-funzionalistica ferma al meccanicismo della (falsificata) fisica classica e costituzionalmente priva, come abbiamo visto nella Parte I, di predittività.

Alla ricerca del campo fisico che crea l'ordine biologico
Capita ancora d'udire in ambienti anti-evoluzionisti che l'ordine e l'auto-organizzazione del vivente siano violazioni patenti del secondo principio della termodinamica, con l'immediato corollario che la vita sarebbe un fenomeno in contrasto con le leggi della fisica o comunque ad essa sfuggente. Ciò non è vero, come ho spiegato in un articolo dedicato al rapporto tra entropia e biologia.
Già nella materia inanimata, seppure in misura molto meno spettacolare che nell'animata, avvengono fenomeni di comparsa d'ordine in apparente opposizione alla termodinamica. Uno di questi era usato dai cercatori d'oro per filtrare il metallo prezioso dal miscuglio minerale: agitando la miscela, essi sfruttavano il campo gravitazionale per separare le particelle più pesanti, che andavano nel fondo del setaccio, da quelle più leggere, che emergevano in superficie, con l'effetto anti-entropico di riordinare i minerali del miscuglio. Mentre nei casi comuni l'agitazione d'una miscela allo stato liquido provoca il veloce raggiungimento della massima entropia perché accelera la distruzione di eventuali isole d'ordine generatesi per scarsa diffusione, nei microaggregati la stessa operazione è localmente anti-entropica in quanto esalta l'effetto ordinante della forza di gravità. Altri casi di anti-entropia locale, possibile grazie alla presenza di gradienti di energia gravitazionale, sono la formazione di vortici ordinati, i fenomeni atmosferici, l'erosione differenziale di rocce a diversa composizione di durezza, ecc. In generale, nei fenomeni inanimati ad apparizione d'ordine, è sempre l'interazione di un campo di forze ("driving field", o campo pilota) con la materia a guidare l'evoluzione anti-entropica di un sistema aperto[ii], a prezzo dell'accelerazione entropica degli altri sistemi energeticamente comunicanti col primo. Complessivamente comunque, nell'unione di tutti i sistemi comunicanti, l'entropia aumenta in continuazione. Ciò stabilisce la freccia del tempo e l'irreversibilità dei processi naturali: "Tu non puoi, o mortale esistenza, discendere due volte il medesimo fiume, né occupare due volte il medesimo stato, ma per rapido scambio di ardore ogni cosa si scinde e si aggrega, non prima né dopo ma nel medesimo tempo, si unisce e si disfa, compare e scompare" (Eraclito[iii]).
Alcuni fenomeni eclatanti con apparizione improvvisa, per scatto di fase, di ordine stabile nella materia inanimata richiedono l'intervento di campi diversi dal gravitazionale e le spiegazioni della TQC. Per es., i cristalli. Abbassando lentamente la temperatura, a 0 °C interviene con discontinuità un cambio di stato dell'acqua: le goccioline precipitano in fiocchi di neve dalle infinite forme, geometricamente regolari, con l'esagono come tema costante (Fig. 1). Altre sostanze precipitano (ad altre temperature) in altre geometrie: cubi, prismi, romboedri, ecc. La fisica spiega la comparsa di quest'ordine con un principio: a date condizioni di temperatura e pressione, la configurazione delle particelle di ogni cristallo è quella di valore minimo dell'energia del campo elettromagneticoprodotto dal moto delle stesse particelle. Cosicché, la simmetria stabile del cristallo non è che un ordine pre-esistente nel campo elettromagnetico, il quale nella precipitazione della materia allo stato solido emerge parzialmente a livello macroscopico. Il "continuismo" – la concezione laplaciana dei piccoli passi come descrizione esaustiva dei processi naturali – è una delle tante assunzioni della meccanica classica falsificate dai fatti sperimentali.
Altri fenomeni fisici spettacolari che nei cambi di stato (aeriforme → liquido ↔ solido, ma non solo) svelano a livello macroscopico simmetrie naturali profonde sono la superconduttività, la superfluidità, i cristalli liquidi, l'antiferromagnetismo, la ferroelettricità, ecc. In generale, l'ordine che ogni volta emerge è codificato nelle proprietà di simmetria matematica di campi fisici, rotta spontaneamente dopo l'interazione contingente[iv] con la materia e con l'ambiente. La "rottura spontanea della simmetria" è un termine tecnico allusivo al fatto che non tutte le simmetrie possedute dal campo si trasferiscono allo stato finale del sistema aperto, andando alcune perdute nel suo attualizzarsi. In questo modo, l'ordine che emerge a livello macroscopico è predetto dalla TQC come l'esito necessario del flusso energetico tra specifiche strutture atomiche soggette a campi dotati di simmetrie pre-esistenti che almeno in parte si conservano.

Il paradigma strutturalistico della biologia del XXI secolo

Nei precedenti due articoli ho descritto alcune questioni insolubili dalla biologia molecolare ed esaminato i risultati cui è giunta l'interdisciplinarità tra biologia, chimica e fisica quantistica, suscettibili di risolverle.

Tra questi:

1.l'acqua alle concentrazioni e temperature degli organismi viventi si ripartisce in due fasi, una con un moto ordinato delle molecole e l'altra con un moto caotico. Le molecole nel primo stato, oscillanti in tanti "domini di coerenza", producono un campo el

Neettromagnetico del range efficace di una cellula;
2.l'azione a lunga distanza del campo sul complesso delle molecole organiche spiega la velocità, la selettività e l'efficienza dei processi chimici che avvengono nella cellula;
3.la rimodulazione della frequenza del campo operata dal feedback delle reazioni chimiche è all'origine dell'informazione direttamente eseguibile contenuta nei cicli organici. Il campo elettromagnetico dell'acqua è il driving field dell'ordine dei viventi;
4.i vortici ordinati dei plasmi elettronici presenti nei domini di coerenza modulano finemente il campo elettromagnetico (così selezionando con precisione le reazioni chimiche) e accumulano l'energia di ionizzazione per liberare gli elettroni necessari alle reazioni redox;

5.la dinamica coerente a più livelli del sistema complessivo dei domini può essere relata all'organizzazione gerarchica dell'organismo pluricellulare;
6.l'intreccio sinergico tra il campo elettromagnetico e la struttura molecolare – l'entanglement tra elettrodinamica e chimica – giustifica l'attenzione vitale.
Tenuto conto della banda di frequenza (appartenente all'infrarosso) del campo elettromagnetico prodotto dall'acqua, solo alcune molecole possono entrare nei domini di coerenza; quelle che oscillano a frequenze diverse ne vengono respinte. Il meccanismo di attrazione e di repulsione, idrofilo ed idrofobico, dipende dallo spettro delle biomolecole. Il campo può dirigere con una definizione di frazioni di micron nelle due direzioni, dentro e fuori, ogni molecola di frequenza vicina alla sua. Alle molecole più grosse l'accesso al dominio è negato: esse aderiranno alle superficie di separazione formando le membrane, la cui polarizzazione negativa verso l'esterno si spiega con la struttura del campo.
Nessun ciclo vitale appare prodotto dal caso, né necessitato da interposizioni intenzionali, ma ogni successione ordinata di reazioni biochimiche è interpretabile come esito di uno schema diacronico che scandisce la variazione della frequenza del campo elettromagnetico dell'acqua nel suo entanglement con le altre molecole organiche, lo spettro di ognuna essendo emerso dalla nucleosintesi stellare come combinazione esatta dei valori delle costanti cosmologiche al Big Bang.


I meccanicisti non lo sanno: se tutto fosse affidato agli urti casuali (rettilinei, per il principio classico d'inerzia), nessuna collezione di particelle, in nessun intervallo di tempo per quanto grande, potrebbe aggregarsi in un organismo vivente, che è un sistema complesso, diversificato in poche forme e configurazioni stabili. Un demiurgo sarebbe necessario ad ogni stadio di ogni ontogenesi. Un teismo interventista alla Malebranche è ironicamente corollario del materialismo atomistico.
Aveva ragione Szent-Györgyi a predire: "L'acqua è la matrice della vita"[ii]. 2.500 anni prima, Talete di Mileto l'aveva intuito: "Le piante e gli animali non sono che acqua condensata e in acqua si risolveranno dopo la morte"[iii]. Così come hanno torto coloro che, nel XXI secolo, parlano ancora di reazioni casuali oppure d'informazione irriducibile alla fisica.
Ci proponiamo ora, in questa terza ed ultima Parte, di mostrare altre predizioni corroborate di queste teorizzazioni e di accennare ad alcune applicazioni tecnologiche.
Prime corroborazioni ed applicazioni
Le ricerche di biologia quantistica sono agli inizi e richiederanno ancora un lungo lavoro, teorico e sperimentale. Gli studi, i risultati e la bibliografia cui accennerò non hanno uno scopo esaustivo dello stato dell'arte, ma solo esemplificano l'interesse crescente della ricerca scientifica e dei fondi d'investimento verso questo campo interdisciplinare.
Il teorema della coerenza elettrodinamica applicato all'acqua liquida ha intanto permesso di spiegare – oltreché velocità, selettività ed efficienza delle reazioni chimiche intracellulari – in modo spettacolare le principali proprietà fisico-chimiche anomale dell'acqua, note da sempre per il loro stretto legame con la vita e del tutto incomprensibili negli schemi della fisica classica:


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21/10/2014 18:23
 
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A due anni di distanza dalprimo articolosu CS riguardo la mancanza di collegamenti tra Homo sapiens e i suoi presunti antenati, aumentano gli elementi contro un’interpretazione gradualistica dell’evoluzione umana.


La spiegazione neodarwiniana è sempre più inadeguata.


 


Con un singolare tempismo si sono susseguite in pochi giorni due notizie che mettono seriamente in discussione la ricostruzione dell’albero evolutivo della specie Homo sapiens. La prima, della quale ci siamo occupati ampiamente (vedi “Il cranio di Dmanisi: nonostante le smentite è un importante punto a sfavore della teoria neodarwiniana“), è quella relativa allo studio sui crani ritrovati a Dmanisi dai quali emerge il fatto che il presunto cespuglio evolutivo costituito da Homo rudolfensis, Homo habilis e Homo erectus è invece un unico ceppo del quale le tre presunte specie erano solo delle varietà.


 



Come già detto questo fatto rende non graduale il passaggio a Homo sapiens rendendo sempre meno probabile la spiegazione gradualista neodarwiniana per questo caso.


Come se non fosse già un problema notevole riuscire a spiegare un tale salto evolutivo, questo equilibrio punteggiato tra due specie troppo diverse tra loro e senza più passaggi intermedi, è giunto un secondo studio a complicare le cose. Il riferimento è a quanto riportato nell’articolo pubblicato suPNAS intitolato “No known hominin species matches the expected dental morphology of the last common ancestor of Neanderthals and modern humans“, che getta dei sospetti sul fatto che Homo heidelbergensis, Homo erectus e Homo antecessor, possano essere stati antenati di Homo sapiens e Homo neanderthalensis.  La notizia è stata riportata, stavolta senza alcun risalto da parte dei media, su Le Scienze nell’articolo del 22 ottobre intitolato “Più antico l’antenato comune di uomo moderno e Neanderthal“:


Nessuna delle specie indicate come possibile ultimo antenato comune tra l’uomo moderno e l’uomo di Neanderthal aveva una morfologia dentale corrispondente a quella che dovrebbe caratterizzarlo. Il risultato, ottenuto dall’esame di oltre 1200 reperti fossili, indicherebbe che la divergenza fra le due specie risale ad almeno un milione di anni fa, in contrasto con le stime ottenute in base alle indagini biomolecolari…


La divergenza fra le linee evolutive che hanno condotto all’uomo di Neanderthal e all’uomo moderno risalirebbe ad almeno un milione di anni fa, un’epoca decisamente anteriore a quella indicata dalle più accreditate stime ottenute sulla base dell’evoluzione del cranio (fra i 300.000 e i 400.000 anni fa) o delle indagini biomolecolari (circa 500.000 anni fa).


 


Se dunque dal punto di vista del cranio e delle indagini biomolecolari si poteva pensare che la divergenza di neanderthalensis e sapiens fosse compatibile con un antenato di 300/500 mila anni fa, adesso si devono escludere i reperti risalenti a quell’epoca dall’albero genealogico di Homo sapiens e Homo neanderthalensis, come riportato ancora su Le Scienze:


E’ così emerso, con un’alta affidabilità statistica, che nessuna delle specie candidate a questo ruolo – come Homo heidelbergensis , H. erectus e H. antecessor – ha una morfologia dentale corrispondente a quella che ci si aspetterebbe nell’ultimo antenato comune. 


 


Se questo fosse confermato andrebbe ulteriormente potato quel cespugli evolutivo già sfrondato con il ritrovamento dei crani di Dmanisi:


 



Oltre all’unificazione delle specie Homo cerchiate in nero dovremmo dunque ritenere non antenati di Homo sapiens e Homo neanderthalensis le specie cerchiate in rosso. 


Ma poiché Homo erectus compare in entrambi i casi ci troviamo di fronte ad un insieme intersezione che unisce le qualità dei due insiemi, da questo deriva la seguente affermazione: Homo rudolfensis, Homo habilis e Homo erectus sono una sola specie, ma poiché erectus è incompatibile con l’evoluzione di Homo sapiens e Homo neanderthalensis, si tratta di una specie che non è progenitrice di quella umana.


Ma non è tutto, come evidenziato nello schema non possono essere considerati progenitori della specie umana neanche Homo antecessor e Homo heidelbergensis, e quindi ci troviamo di fronte ad un Homo sapiens sempre più ‘venuto dal nulla’.


Quel gradualismo dell’evoluzione umana che era diventato insostenibile con i crani di Dmanisi appare adesso improponibile. Le leggi dell’evoluzione neo-darwiniana appaiono del tutto inadeguate per spiegare l’evoluzione umana, proprio come, per altre motivazioni, aveva sostenutoAlfred Russel Wallace in “The Limits of Natural Selection as applied to Man” nel 1869, solo dieci anni dopo la pubblicazione dell’Origine delle specie di Darwin




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26/10/2019 20:30
 
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Siamo in alto mare sulla origine naturalistica della vita. La sua origine  naturalistica e' un pregiudizio  filosofico piu' che scienza realistica. Infatti tutti gli esperimenti scientifici  che creano in provetta tutte le componenti essenziali della vita e il loro assemblamento per creare le  condizioni necessarie alla la vita, sono artificiali e si creano  solo mediante procedimenti complessi e guidati dalla  intelligenza degli sperimentatori.


Queste componenti possono essere aminoacidi, lipidi basi puriniche e pirimidiniche, RNA,. Se si mescolano a caso in una provetta queste componenti è impossibile che nasca una cellula vivente: solo per creare una membrana cellulare  non basta  avere fosfolipidi e colesterolo, ma devono essere nella dose giusta, inoltre la membrana è costituita da innumerevoli proteine specifiche che hanno funzione di pompa, per fare passare gli elementi chimici utili alla cellula, e per pomparli contro gradiente, canali fatti di proteine specifiche che fanno passare sodio, potassio , glucosio, aminoacidi, fosfolipidi. Tutto questo è evidente che non può avvenire per vie naturali,  ci vuole una intelligenza dietro. Inoltre il citoplasma di una cellula, anche quello di una cellula batterica è complicatissimo , con i ribosomi che sono macchine molecolari che fabbricano le proteine, i mitocondri , grazie a loro la cellula respira  bruciando l’ossigeno introdotto dall’esterno per bruciare le sostanze organiche cioè zuccheri, lipidi ed aminoacidi per scinderli, sviluppando energia che viene poi immagazzinata creando ATP che contiene l'energia immagazzinata ; questo avviene per opera di una proteina estremamente complessa chiamata ATP. Un altro organo della cellula è l'apparato del Golgi, una struttura con membrane che racchiudono vescicole che si scindono in altre vescicole più piccole che viaggiano attraverso dei filamenti fatti  da proteine specifiche allungate come dei binari ; queste vescicole contengono varie sostanze chimiche, in particolare ormoni aminoacidi , proteine destinate ad essere portate fuori dalla  cellula , oppure destinate ad andare in altri scompartimenti cellulari per svolgere funzioni specifiche. Come si può vedere la  cellula è di una complessità enorme: a  questo si aggiunge nella cellule eucariote il nucleo che racchiude il DNA che è la centrale di direzione e programmazione della cellula contenente tutti geni necessari alla costruzione della cellula .Il nucleo è rivestito da una membrana con dei pori che fanno passare varie sostanze chimiche o si chiudono per non farne passare altre. Infine esiste il più grosso problema per il darwinismo secondo il quale tutta la costruzione della cellula è determinata dal caso e dalla necessità (vedi Monod, lo scienziato autore del libro “il caso e la necessità”).In realtà gli elementi fondamentali della cellula sono le proteine: queste sono polimeri più o meno lunghi formati da una serie di venti tipi di aminoacidi diversi: ma la cosa importante è questa: per svolgere tutte le importanti funzioni(enzimatiche, strutturali, ecc.) è necessario che ci sia un esatto allineamento di vari aminoacidi :se cambia l'allineamento in punti critici della molecola, anche un solo aminoacido, la proteina, non funziona più, diventa perfettamente inutile. E’ come se si cambiassero a caso le lettere di un componimento: esso diventa incomprensibile. Si è tentato di mettere a caso gli aminoacidi in una proteina nella speranza che ne uscisse fuori qualcosa di funzionale. Purtroppo ne è uscito fuori o proteine instabili che cambiano conformazione continuamente oppure proteine stabili ma senza nessuna funzione utile alla cellula. In conclusione solo una intelligenza è capace di mettere assieme le giuste proteine per la cellula e poi la cellula stessa con tutte le proteine collegata per le moltissime sue funzioni.

fonte: http://www.origini.info/argomento/biologia/489-nobile,-aiso,-darwin,-cellule,proteine,caos.html#


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03/09/2022 19:13
 
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Il principio antropico e il senso del mondo




di Umberto Fasol*
*docente di scienze naturali in un liceo scientifico

I valori possibili delle quattro forze fondamentali e delle particelle materiali (protone, neutrone, elettrone) sono infiniti, perché la loro struttura è “dimensiva”, cioè modulabile. Solo i valori misurati effettivamente consentono a loro di interagire in rete e creare un Universo. Dunque è stata fatta una “scelta” tra le infinite possibilità. Perché? Ascoltiamo due introduzioni alla risposta:

1. “Nonostante il mutamento e la dinamica incessanti del mondo visibile, vi sono aspetti della struttura dell’universo che presentano una irremovibile costanza. Sono questi misteriosi aspetti immutabili che rendono il nostro universo quello che è e lo distinguono da altri mondi che potremmo immaginare. Sono le costanti di natura. Esse sono alla base di ogni identità dell’universo: spiegano perché ogni elettrone sembra essere identico a ogni altro elettrone.” (John Barrow, “I Numeri dell’universo”, saggi Mondatori 2003).

2. “Se la densità dell’Universo 1 sec dopo il big bang fosse stata maggiore della densità critica di 1 parte su 100 miliardi, l’Universo sarebbe collassato dopo 10 anni. Se invece fosse stata minore dello stesso valore, l’Universo sarebbe già vuoto dopo 10 anni di esistenza.” (S.Hawking, “Dai buchi neri all’Universo”, 2001)

Ed ecco ora la vera risposta, ancora una volta dell’autore della più imponente monografia sul principio antropico:
“Provando a immaginare un’intera raccolta di ipotetici “altri universi” in cui tutte le grandezze che definiscono la struttura del nostro universo assumono tutte le possibili permutazioni di valori, scopriremmo che quasi tutti questi possibili universi da noi creati sulla carta sono nati morti, incapaci di generare quel tipo di complessità chimica che chiamiamo “vita”. Questa scoperta ha indotto Brandon Carter a suggerire che possa esistere, nell’universo, qualche aspetto metafisico più speculativo, che egli ha denominato principio antropico forte, per distinguerlo dal poco controverso principio antropico debole (l’esistenza dell’uomo richiede determinate condizioni fisiche e cosmologiche). Il principio antropico forte afferma che, dal momento che sembra esistere un così gran numero di “coincidenze” notevoli e apparentemente sconnesse, cospiranti per permettere che la vita sia possibile, nell’universo, questo deve dar luogo a osservatori, a un certo stadio della sua storia” (John D. Barrow, “Il mondo dentro il mondo”, Adelphi, Milano, 1988, pp. 440; 444-446).

Il principio antropico introduce dunque una “finalità” nello studio scientifico dell’Universo: “ospitare l’uomo”. Se l’affermazione risulta forte, è altrettanto vero che la sua negazione costringe a negare qualunque “senso” all’Universo: come a dire: “esiste, ma senza uno scopo” e ancora: “sono capace di interrogarmi sul senso di un Universo che non ha senso!”. La Scienza depone a favore della ragionevolezza della finalità antropica, pena l’assurdità del tutto, compresa quella di qualunque conclusione che la voglia negare. Nell’ambito di questo principio trova risposta anche la domanda sul senso delle dimensioni quasi infinite dell’Universo: “perché tanto spazio e tanta materia?”. In realtà le misure sono legate al tempo e questo è legato a sua volta alla costruzione dei materiali necessari per creare la vita: solo un Universo “vecchio” e quindi espanso ha permesso alle sue stelle di fabbricare gli elementi chimici come il carbonio per la cellula o come il silicio per il pianeta.

Ora, la sfida è questa: credere nell’assurdo o credere in una Ragione al fondamento di tutto. Si dice: “l’ipotesi di Dio non è scientifica, quindi non puoi dimostrarla”. E se non puoi dimostrarla, è inutile parlarne. Accontentiamoci delle sue alternative, anche se improbabili. Con queste due battute, Dio diventa un fonema, un suono delle labbra e il Caso-Nulla diventa un Totem, certificato anche dalla Scienza. Hawking giunge addirittura al punto di scrivere: “Dal momento che c’è una legge come quella di gravità, l’Universo può crearsi dal nulla e lo fa. La creazione spontanea è la ragione per cui c’è qualcosa invece di nulla. Non è necessario appellarsi a Dio per mettere in moto l’Universo” (“Il Grande Disegno”, Mondadori, pag.170). Ma come può agire la gravità se mancano i gravi? E com’è apparsa una legge così creativa, capace di centinaia di miliardi di galassie? (… e non insegnano poi questi Professori che la Scienza non può occuparsi di Dio, per definizione?). Credo che, in realtà, se non c’è un Logos all’origine di tutto, siamo condannati al non senso. Perfino il nostro ragionamento che giunge alla conclusione che l’Universo non ha nessuna causa trascendente non risulta “garantito”. Infatti chi mi garantisce che il mio cervello funzioni correttamente quando esprime giudizi dal momento che è anch’esso un prodotto di equilibri materiali forgiato dalla mutazione casuale e dall’ambiente selettivo? Perché mai dovrebbe dire “la verità” una mente che non è stata programmata per dirla? L’ambiente infatti suggerisce anche l’opportunità di non dirla, a volte.

Insomma, chi rinuncia ad accettare come scientifica l’ipotesi di un Creatore dell’Universo è in balìa di qualunque “giochino” che l’evoluzione può inventarsi, imprevedibile com’è, per definizione. Dall’altra parte l’ipotesi di Dio è prima di tutto un’intuizione della persona, che dà senso a tutto ciò che scopriamo sempre di più essere finalizzato a funzioni precise e finemente sintonizzate tra loro. E’ sperimentale che dal nulla non si crea nulla e che l’ordine non si crea da solo. Dunque, l’ipotesi di un Creatore appartiene anche al ragionamento di tipo scientifico. Per quanto concerne il principio antropico è lecito comunque porsi un’ulteriore domanda e cioè: “le condizioni per la vita sono sufficienti per la sua creazione?”. A questa domanda bisogna rispondere di no; le condizioni sono necessarie ma non sufficienti. La vita rappresenta un “di più” rispetto ai suoi ingredienti materiali e per questo il mistero dell’uomo si infittisce ulteriormente ed apre al trascendente. Il principio antropico ne esce con una nuova sfaccettatura.

fonte UCCR


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03/09/2022 19:28
 
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Dalle coincidenze dell’universo al sorgere della vita



Nucleosintesi 
di Giorgio Masiero*
*fisico

 

Si sente dire spesso che l’immensità dell’Universo prova l’esistenza d’innumerevoli altre forme di vita nelle galassie, cui filosofeggiando si fa seguire come corollario l’irrilevanza cosmica dell’esistenza umana. È un fatto scientifico, invece, che una vita fondata sulla chimica del carbonio (com’è la nostra) o su qualsiasi altro supporto fisico, non potrebbe esistere in un mondo più piccolo. E che, nonostante tutte le risorse profuse in un secolo nelle rispettive ricerche, non abbiamo il minimo indizio di vita aliena, né la minima idea di come si sia originata quella nostrana.

È del 1929 la scoperta da parte di Edwin Hubble dell’espansione dell’Universo, rivelata dallo spostamento verso il rosso dello spettro luminoso delle galassie lontane. Da essa si poté desumere che la grandezza dell’Universo (una quindicina di miliardi di anni luce) è strettamente legata alla sua età (una quindicina di miliardi di anni). Dall’altro lato, a partire da un lavoro di Hans Bethe del 1939, la fisica nucleare sa che le stelle hanno un ciclo di vita durante il quale i nuclei d’idrogeno, di cui sono inizialmente composte, si fondono progressivamente ad assemblare tutti gli elementi della tavola di Mendeleev fino al ferro. Quest’attività della durata di 10 miliardi di anni circa si chiama nucleosintesi stellare. Anche gli atomi che compongono il nostro corpo, in particolare gli elementi ossigeno, carbonio, azoto e fosforo del DNA, furono sintetizzati nella fornace di un’antica stella, tra le prime nate dopo il Big Bang, in un lavorio durato 10 miliardi d’anni. Nell’esplosione finale, durante cui apparvero gli elementi chimici più pesanti, si staccò il frammento che è la nostra Terra e noi uomini siamo forme pensanti, organizzate sul fango di quella proto-stella ormai svanita.

Fra 5 miliardi di anni, quando avrà esaurito il suo combustibile nucleare, anche il nostro Sole uscirà dalla sequenza principale di produzione. Simile ad una cipolla dagli strati contenenti ordinatamente tutti gli isotopi dall’idrogeno al ferro 56, esso si dilaterà allora a “gigante rossa”, inghiottendo la Terra e i pianeti più interni. Gli oceani terrestri bolliranno a milioni di gradi e ogni forma di vita terrestre, ammesso che sia sopravvissuta fino ad allora, scomparirà nell’inferno di plasma. Qualche centinaio di milioni di anni dopo, la gigante rossa esploderà come una bolla di sapone in supernova, producendo gli isotopi più pesanti e disperdendo nello spazio il suo magazzino di prodotti chimici finiti, dall’idrogeno all’uranio.

Un Universo più piccolo di 10 di miliardi di anni luce non avrebbe l’età per aver ospitato il ciclo completo di una stella e pertanto non conterrebbe corpi celesti freddi con gli atomi necessari alla vita, ma solo fornaci nucleari in ebollizione e nubi sparse d’idrogeno e di elio. Facciamoci quattro conti in tasca:

  • Una decina di miliardi di anni per la nucleosintesi e l’esplosione in supernova della proto-stella;
  • mezzo miliardo di anni per il raffreddamento del frammento Terra, il suo aggancio ad un Sole nuovo di zecca e la precipitazione dell’abiogenesi dei primi batteri;
  • 3,5 miliardi di anni per la speciazione, culminata in Homo sapiens sapiens;
  • Totale: 14 miliardi di anni (e un Universo grande 14 miliardi di anni luce).

Aveva dunque ragione Gilbert K. Chesterton a dire che l’Universo non è affatto grande per noi, ma “è pressappoco il buco più piccolo in cui un uomo può ficcare la sua testa”. Solo chi non si rende conto della complessità fisica della materia-energia, della complessità chimica della vita nella complessità del suo habitat fisico, e del mistero dell’Io umano può credere il contrario…

Come avviene la sintesi degli elementi nelle stelle? Si è scoperto che questo è un processo accuratamente confezionato al momento del Big Bang da una serie di coincidenze nei valori di alcune costanti fisiche. Altrove ho spiegato che, come la nube degli elettroni intorno al nucleo atomico ha configurazioni energetiche discrete, anche il sistema dei protoni e dei neutroni nel nucleo (i nucleoni) si dispone su livelli quantizzati, a righe nitidamente osservabili. Quando i nucleoni passano da un livello energetico ad uno più basso viene emessa energia e, all’opposto, l’immissione dall’esterno di energia può favorire la transizione del nucleo ad un livello più alto. Questa chimica nucleare a livelli quantizzati è alla base della catena di reazioni che avvengono nelle stelle.

Naturalmente la prima reazione che accade al centro di una stella giovane, in seguito alla pressione della gravitazione, è la fusione d’idrogeno in elio, con un’emissione di energia che momentaneamente allenta la pressione. Però la riserva d’idrogeno sarebbe destinata a svanire velocemente se poi, alla contrazione gravitazionale con densità di decine di tonnellate per litro, non corrispondesse anche una salita della temperatura a un centinaio di milioni di gradi, che fa scattare una seconda reazione nucleare: la fusione di elio in carbonio. La fisarmonica di reazioni esotermiche decongestionanti, seguite da contrazioni, seguite da aumento di temperatura e nuove reazioni sintetizzatrici di nuovi elementi chimici e passanti sempre per la produzione del carbonio, scandisce lo schema della sintesi di elementi sempre più pesanti nelle caldere stellari. Tuttavia, perché la fusione di elio in carbonio (3 He4 → C12) avvenga, è necessaria la concomitanza di 3 coincidenze.

Prima coincidenza. La fusione diretta per collisione di 3 isotopi dell’elio è un evento troppo improbabile per dar luogo ad una significativa produzione di carbonio. Resta la strada indiretta che passa attraverso la produzione intermedia di berillio: prima 2 atomi di elio fondono in berillio (2 He4 → Be8), e poi la collisione di un atomo di elio con il berillio produce il carbonio: He4 + Be8→ C12. Perché ciò avvenga però, è necessario che l’isotopo di berillio abbia la durata di vita “giusta”, abbastanza lunga rispetto alla frequenza delle collisioni tra nuclei d’elio e alla loro durata (così da consentire anche la seconda reazione, che lo trasforma in carbonio), ma non troppo lunga da esser un elemento quasi stabile (e rendere la reazione violenta al punto da esaurire tutta la riserva d’idrogeno in berillio, senza produzione di altri elementi). Ebbene è risultato che il berillio ha una longevità di ~10-17 secondi, che è lunga rispetto ai tempi d’urto dei nuclei di elio (~10-21 s) ed ottimale per la produzione del carbonio e degli elementi successivi.

Seconda coincidenza. La longevità del berillio è una condizione necessaria, ma non sufficiente alla produzione di carbonio. Perché la fusione nucleare avvenga effettivamente, occorre che la somma dei livelli energetici dei nuclei di elio e berillio reagenti (7,37 MeV) sia leggermente inferiore al livello energetico del carbonio prodotto: solo così la reazione entra in “risonanza” e, con un piccolo ammontare di energia extra fornita dal calore di caldera, precipita. Ebbene, si è trovato che il livello quantico dell’isotopo 12 del carbonio è 7,66 MeV, appena superiore a quello dei reagenti! Se esso fosse inferiore, la reazione non potrebbe accadere; se la sua superiorità fosse più marcata, la reazione sarebbe rara. Con questi valori, essa accade e produce abbondante carbonio.

Terza coincidenza. La storia spericolata del carbonio non finisce qui. Sul neonato ora incombe la minaccia di una repentina eliminazione, con la sua trasformazione in ossigeno: He4 + C12 → O16. L’evento (catastrofico per l’apparizione di futuri osservatori) può essere controllato solo se il livello quantico dell’isotopo 16 dell’ossigeno è leggermente inferiore alla somma dei livelli dei reagenti (7,16 MeV). Ciò che, come il lettore ormai ha desunto dal fatto di essere vivo, risulta puntualmente: 7,12 MeV è infatti il livello energetico dell’ossigeno, con un’inferiorità giusto dello 0,6%.

Ecc., ecc., in una serie di altre, felici concomitanze per gli elementi chimici successivi. Come si spiegano queste coincidenze stellari senza cui, come notò per primo Fred Hoyle nel 1953, non esisterebbe la vita? In ultima istanza scientifica, esse derivano dai rapporti di forza dei campi fisici e di massa di nucleoni ed elettroni. Una ventina di Numeri che a priori, in ipotetici universi, potrebbero essere qualsiasi, nel nostro Universo invece hanno fin dal Big Bang i valori necessari per la (futura) comparsa di osservatori come noi umani. Né potrebbe essere altrimenti, se siamo qui a rilevarlo! Questa ovvia considerazione si chiama “principio antropico” (debole) ed è un’assunzione scientifica, capace di predizioni controllabili. Per es., con riferimento alla seconda coincidenza del carbonio, Hoyle prima previde col principio antropico l’esistenza di una risonanza dell’isotopo C12intorno ai 7,7 MeV” e solo dopo furono sperimentalmente cercate e misurate le righe che confermarono la sua predizione.

La cosa sorprendente però è un’altra: è la sintonizzazione “ultrafine” di questi Numeri, stante nel fatto che una minima variazione dei loro valori al Big Bang avrebbe reso impossibile qualsiasi forma di vita. Se uno solo dei Numeri – che infine regolano i giochi di fisica, chimica e biologia – fosse appena diverso, l’Universo sarebbe un singolo buco nero, o un insieme di buchi neri, o una polvere di particelle non interagenti, o sarebbe costituito di solo elio, e così via. In tutti i casi l’uniformità del paesaggio (ad entropia costante, quindi senza trasformazioni termodinamiche, quindi zero chimica, quindi no metabolismi) impedirebbe ogni forma di vita immaginabile. Per dare un’idea della finezza della sintonia, dirò solo che se la costante di gravitazione G o d’interazione nucleare debole gW fossero diverse per 1 parte su 1050, noi non saremmo qui.

Dalla sintonia fine io traggo una confutazione del naturalismo: il nostro Universo fisico non è una realtà chiusa, auto-esplicativa. Ogni spiegazione della sintonia fine infatti, può solo poggiarsi sull’esistenza di una seconda realtà inosservabile, che “trascende” l’Universo fisico in cui viviamo. Questa realtà metafisica si riduce infine a 2 opzioni: o un’Agenzia Trascendente Razionale (che tutti chiamano “Dio”) ha creato questo Universo, ordinandolo fin dal principio per la vita; o un’Agenzia Trascendente Cieca ha prodotto infiniti universi paralleli (il “multiverso”), con leggi fisiche e costanti cosmologiche disparate, e noi per caso ma necessariamente ci troviamo in una (rara) isola abitabile. Se, nel primo scenario, la scienza consiste nello scoprire le leggi di Natura – che vuol dire “conoscere i pensieri di Dio” (A. Einstein) –, mi chiedo: che cosa significa “scienza” per chi crede nel multiverso?


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03/09/2022 19:38
 
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Con il fine-tuning la scienza moderna porta a Dio



fine tuningIl Messiah College si trova in Pennsylvania ed è stato riconosciuto dalla Princeton Review come la miglior università del nord-est degli Stati Uniti. A guidare il dipartimento di Filosofia c’è il prof. Robin Collins, formatosi sotto l’ala del celebre Alvin Plantinga.


Collins, forte anche di un dottorato in Fisica all’Università del Texas, è un esponente di rilievo dell’argomento filosofico del fine-tuning (detto anche “argomento teleologico”), secondo il quale le perfettamente ottimizzate e finalizzate leggi e costanti della fisica rivelano l’esistenza di una causa intelligente dell’universo.


Una tesi molto affascinante, che ha condotto al deismo uno dei principali fisici inglesi, Paul Davies, nonché l’ateo più famoso del mondo, il filosofo Antony Flew, che ha annunciato la conversione nel 2005. «Le scoperte della fisica moderna e della cosmologia negli ultimi 50 anni», ha infatti affermato Collins in un’intervista televisiva del 2008, «hanno dimostrato che la struttura dell’universo è impostata in modo straordinariamente preciso per l’esistenza della vita; se la sua struttura fosse leggermente diversa, anche per uno straordinariamente piccolo grado, la vita non sarebbe possibile».


La sintonizzazione fine è rilevabile nelle leggi di natura, nelle condizioni iniziali dell’universo, ma «anche le costanti fisiche che regolano la struttura dell’universo», ha proseguito il filosofo americano, «devono rientrare in una gamma estremamente ristretta perché la vita possa esistere. Ad esempio, se la costante cosmologica fosse stata leggermente superiore, l’universo si sarebbe espanso troppo velocemente per la formazione delle galassie e delle stelle, se invece fosse stata anche solo leggermente inferiore rispetto a quanto è, l’universo sarebbe collassato su se stesso». D’altra parte, lo ha riconosciuto anche Stephen Hawking nel suo bestseller Dal big bang ai buchi neri: «Il fatto notevole è che i valori di questi numeri [cioè le costanti fisiche] sembrano essere stati molto finemente regolati per rendere possibile lo sviluppo della vita». Infine, anche l’iniziale distribuzione dell’energia di massa al momento del Big Bang avrebbe dovuto avere una configurazione estremamente speciale per permettere l’esistenza della vita, una possibilità «che il matematico Roger Penrose, della Cambridge University, ha calcolato essere dell’ordine di 1 su 1010123. Un numero incredibilmente piccolo».


Certo, c’è chi ha teorizzato una spiegazione alternativa alla creazione divina e, come più volte abbiamo accennato su questo sito web, quella più sostenuta è la cosiddetta ipotesi del Multiverso, secondo la quale vi sarebbe un numero enorme di universi con diverse condizioni iniziali, costanti fisiche e leggi naturali. «Semplicemente per caso», ha spiegato Collins, «almeno un universo avrà certamente la “combinazione vincente” per la vita e gli esseri che lo abitano guarderanno indietro stupiti di quanto sono stati fortunati. Siamo dunque solo il prodotto di una “lotteria cosmica”». Il dio caso puntualmente ritorna come tappabuchi, dunque, usato come spiegazione omnicomprensiva. Ma come questi universi sono emersi? «In genere, la risposta è postulare un qualche tipo di processo fisico, che chiamerò “universe generator”. Il problema è che anche questo “universe generator” deve aver avuto la giusta serie di leggi (e condizioni iniziali) per poter produrre anche un solo universo adatto alla vita. Dopo tutto, anche un banale elemento come una macchina del pane, che sforna solo pagnotte invece di complicati universi, deve avere il giusto insieme di meccanismi e programmazione per funzionare, utilizzando gli ingredienti esatti (farina, lievito ecc.) in esatte proporzioni. Ciò significa che l’ipotesi del Multiverso sposta semplicemente il problema del fine-tuning a livello dell'”universe generator” stesso». Senza considerare, inoltre, che si tratta di una ipotesi puramente teorica, impossibile da verificare e perciò al di fuori del campo scientifico, come ha spiegato proprio su questo portale il matematico italiano Paolo Di Sia.


Una seconda risposta è che l’universo esiste come un fatto che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni, la nostra esistenza è semplicemente un “incidente fortunato”. E non c’è nient’altro da dire. Certo, commenta il filosofo americano, «non si può assolutamente escludere questa possibilità, cose straordinariamente improbabili possono accadere e il nostro universo potrebbe essere una di esse. Ma, credo che la messa a punto dell’universo fornisca prove più convincenti per quello che si definisce “principio di verosimiglianza”, ma che io chiamo “principio di sorpresa”. Ogni volta che un’ipotesi risulta essere molto più sorprendente rispetto ad un’altra, bisognerà tendere in favore dell’ipotesi meno sorprendente. Immaginate un processo per omicidio nel quale le impronte digitali dell’accusato corrispondano precisamente a quelle presenti sull’arma del delitto. In circostanze normali, per la giuria si tratta di una forte evidenza di colpevolezza perché la questione verrebbe giudicata non sorprendente per l’ipotesi di colpevolezza e molto sorprendente per l’ipotesi di innocenza. Pertanto, il principio di sorpresa dice che la non sorpresa vale come una forte evidenza».


Concludendo il paragone, «allo stesso modo si potrebbe sostenere che la sintonizzazione fine dell’universo, tale da produrre la vita intelligente, è molto sorprendente se rimanesse un bruto e ipotetico fatto di ipotesi, ma non lo è se porta ad ipotizzare il teismo. Pertanto, seguendo il principio di sorpresa, la messa a punto fornisce una prova significativa a favore del teismo rispetto ad un semplice bruto e ipotetico fatto, non prova che il teismo è certamente vero perciò la fede, intesa come un modo speciale di conoscenza, simile alle nostre intuizioni etiche, svolge ancora un ruolo essenziale verso Dio. La sintonizzazione fine offre significative prove a conferma di questa convinzione, nonché una significativa sfida per coloro che sostengono che le scoperte della scienza taglierebbero fuori la fede in Dio».

fonte UCCR


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04/08/2023 18:12
 
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Secondo il pensiero convenzionale tra i teorici dell'origine della vita, la vita è sorta attraverso reazioni chimiche non guidate sulla Terra primordiale circa 3-4 miliardi di anni fa. La maggior parte dei teorici crede che ci siano stati molti passaggi coinvolti nell'origine della vita, ma il primo passo avrebbe comportato la produzione di una zuppa primordiale - un mare a base d'acqua di semplici molecole organiche - da cui è sorta la vita. Mentre l'esistenza di questa "zuppa" è stata accettata come un fatto indiscusso per decenni, questo primo passo nella maggior parte delle teorie sull'origine della vita deve affrontare numerose difficoltà scientifiche.

Nel 1953, uno studente laureato presso l'Università di Chicago di nome Stanley Miller, insieme al suo consulente di facoltà Harold Urey, eseguì esperimenti sperando di produrre i mattoni della vita in condizioni naturali sulla Terra primordiale. Questi "esperimenti di Miller-Urey" intendevano simulare un fulmine che colpisce i gas nell'atmosfera terrestre primordiale. Dopo aver eseguito gli esperimenti e aver lasciato riposare i prodotti chimici per un periodo di tempo, Miller ha scoperto che erano stati prodotti gli amminoacidi, i mattoni delle proteine.

Per decenni, questi esperimenti sono stati salutati come una dimostrazione del fatto che i "mattoni" della vita potrebbero essere sorti in condizioni naturali e realistiche simili alla Terra, corroborando l'ipotesi della zuppa primordiale. Tuttavia, è anche noto da decenni che l'atmosfera primordiale della Terra era fondamentalmente diversa dai gas usati da Miller e Urey.
L'atmosfera utilizzata negli esperimenti Miller-Urey era composta principalmente da gas riducenti come metano, ammoniaca e alti livelli di idrogeno. I geochimici ora credono che l'atmosfera della Terra primordiale non contenesse quantità apprezzabili di questi componenti. (I gas riducenti sono quelli che tendono a cedere elettroni durante le reazioni chimiche).

David Deamer, teorico dell'origine della vita della UC Santa Cruz, lo spiega sulla rivista Microbiology & Molecular Biology Reviews: "Questo quadro ottimistico iniziò a cambiare alla fine degli anni '70, quando divenne sempre più chiaro che l'atmosfera primitiva era probabilmente di origine e composizione vulcanica, composta in gran parte da anidride carbonica e azoto piuttosto che dalla miscela di gas riducenti ipotizzata dal modello Miller-Urey. L'anidride carbonica non supporta la ricca gamma di percorsi sintetici che portano a possibili monomeri…"
Allo stesso modo, un articolo sulla rivista Science affermava: “Miller e Urey facevano affidamento su un'atmosfera 'riducente', una condizione in cui le molecole sono grasse con atomi di idrogeno. Come Miller dimostrò in seguito, non poteva produrre sostanze organiche in un'atmosfera "ossidante".

L'articolo concludeva senza mezzi termini: "l'atmosfera primitiva non assomigliava per niente alla situazione di Miller-Urey". Coerentemente con questo, gli studi geologici non hanno scoperto prove che un tempo esisteva una zuppa primordiale.
Ci sono buone ragioni per capire perché l'atmosfera primordiale della Terra non conteneva alte concentrazioni di metano, ammoniaca o altri gas riducenti. Si pensa che la prima atmosfera terrestre sia stata prodotta dal degassamento dai vulcani e la composizione di quei gas vulcanici è correlata alle proprietà chimiche del mantello interno della Terra. Studi geochimici hanno scoperto che le proprietà chimiche del mantello terrestre sarebbero state le stesse in passato di oggi. Ma oggi i gas vulcanici non contengono metano o ammoniaca e non si riducono.

Un articolo su Earth and Planetary Science Letters ha scoperto che le proprietà chimiche dell'interno della Terra sono state essenzialmente costanti nel corso della storia della Terra, portando alla conclusione che "La vita potrebbe aver trovato le sue origini in altri ambienti o con altri meccanismi". Così drastica è l'evidenza contro la sintesi prebiotica degli elementi costitutivi della vita che nel 1990 lo Space Studies Board del National Research Council ha raccomandato che i ricercatori sull'origine della vita intraprendano un "riesame della sintesi biologica dei monomeri in ambienti primitivi simili alla Terra, come rivelato negli attuali modelli dei primi Terra.”
A causa di queste difficoltà, alcuni eminenti teorici hanno abbandonato l'esperimento di Miller-Urey e la teoria della "zuppa primordiale" che sostiene. Nel 2010, il biochimico dell'University College London Nick Lane ha affermato che la teoria primordiale della zuppa "non regge l'acqua" ed è "oltre la data di scadenza". Al contrario, propone che la vita sia nata nelle bocche idrotermali sottomarine. Ma sia lo sfiato idrotermale che l'ipotesi della zuppa primordiale devono affrontare un altro grosso problema: L'evoluzione chimica muore nell'acqua
Assumiamo per un momento che ci fosse un modo per produrre semplici molecole organiche sulla Terra primordiale. Forse hanno formato una "zuppa primordiale", o forse queste molecole sono nate vicino a uno sfiato idrotermale. In ogni caso, i teorici dell'origine della vita devono quindi spiegare come gli amminoacidi o altre molecole organiche chiave si siano collegate per formare lunghe catene (polimeri) come le proteine (o RNA).

Chimicamente parlando, tuttavia, l'ultimo posto in cui vorresti collegare gli amminoacidi in catene sarebbe un vasto ambiente a base d'acqua come la "zuppa primordiale" o sott'acqua vicino a una bocca idrotermale. Come riconosce la National Academy of Sciences, “Due amminoacidi non si uniscono spontaneamente nell'acqua. Piuttosto, la reazione opposta è favorita termodinamicamente”. In altre parole, l'acqua rompe le catene proteiche in amminoacidi (o altri costituenti), rendendo molto difficile la produzione di proteine (o altri polimeri) nella zuppa primordiale.
I materialisti mancano di buone spiegazioni per questi primi, semplici passi necessari all'origine della vita. L'evoluzione chimica è letteralmente morta nell'acqua.

Ma anche immaginando le migliori condizioni possibili per la formazione delle catene di RNA, risulta difficile immaginare che queste si pongano, per puro caso, nell’ordine preciso richiesto per poter formare filamenti di RNA autoreplicante. Le migliori stime disponibili della probabilità che ciò accadesse erano dell’ordine di 1 su 10^9450.

Nel 2021 un ricercatore giapponese, Totani, pubblicò uno studio su Nature dove ricalcolò tale probabilità mettendosi nelle migliori condizioni possibili: ottenne che occorrevano 10^100 sistemi solari come il nostro per avere una possibilità, in 20 miliardi di anni, per formare per caso RNA autoreplicante.
Peccato che il nostro universo osservabile si stima abbia “solo” 10^23 stelle (non soli, si badi bene, come il nostro sistema solare), quindi la probabilità che vi sia nata la vita è praticamente nulla.
È la prova che nessun ateo accetterà mai che la vita non è nata per caso.

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