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I SURROGATI DELLA FEDE

Ultimo Aggiornamento: 17/01/2014 14:39
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17/01/2014 14:35
 
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CAPITOLO II. - ALCUNI CASI TIPICI

Kant e la religione del dovere.

- Kant non era affatto un ateo confesso o camuffato; era anzi un bravo protestante pietista, che prendeva molto sul serio le credenze e i riti della sua confessione, ai quali perciò cercava di trovare un senso razionale. Anche se parte da un metodo che, ai nostri occhi, 6 assolutamente inadeguato, la sua opera: La religione nei limiti della ragione non è puramente negativa, come fu detto spesso. Vi permangono le nozioni di Verbo, di peccato, di Chiesa con alcuni corollari essenziali, tanto che il suo pensiero, sotto le due forme, è dominato dalla considerazione dell'Assoluto: " totalità incondizionata " per la ragion pura, a bene sovrano " per la ragion pratica.

Pero Ratti, da una parte, come filosofo, pretende di aver stabilito l'impossibilità di tiare ai problemi metafisici una soluzione di carattere dommatico dimostrativo, perché le conclusioni legittime della ragione non vanno oltre il campo dei fenomeni. Dal fatto che l'idea di Dio rappresenta un'esigenza reale e inevitabile del pensiero, non se ne può concludere l'esistenza di un essere corrispondente a quest'esigenza. D'altra parte, Kant, come moralista, tiene costantemente desta la diffidenza per ogni specie di utilitarismo e perfino di eudemonismo. Azione moralmente buona è quella fatta non solamente in conformità, ma per la sua conformità col dovere; e qui importa non l'opera, ma la buona volontà. Ogni considerazione estrinseca, compresa quella della ricompensa e dei castighi d'oltre tomba, intervenendo nell'azione morale, mette perlomeno in pericolo la purezza dell'intenzione e il valore dell'atto.

In questo modo, Kant iniziò un surrogato della religione (la religione del dovere) che potè sedurre un certo numero di anime incontestabilmente nobili, specialmente tra quei cristiani di tradizione e di aspirazione che una coscienza e una filosofia male intese allontanavano dai dommi.

La dissero una morale indipendente da ogni metafisica definita, come pure da ogni dommatica confessionale, e quindi, suscettibile di venir proposta, negli ambienti più diversi e più lontani; morale autonoma, dove la volontà è forzata solo dalla ragione, dai suoi principi e dalla sua logica; morale disinteressata, per cui facciamo il dovere per il dovere stesso, senz'altra ricompensa che una gioiosa fedeltà alla legge che ci costituisce spiritualmente.

La pretesa di restare così fuori d'ogni speculazione o influsso religioso, assolutamente parlando, sarebbe sostenibile se si trattasse soltanto di una morale, come dice Goyau, " senz'obbligazione e senza sanzione ", in cui, per usare le parole di Fouillée, che hanno senso equivalente, " L"imperativo categorico" cede il posto "all'ottativo supremo" ".

Ma una coscienza, per quanto poco esigente, non può contentarsi di cosi poco di fronte a se stessa e a quello a cui, nonostante tutto, si sente legata. Questo almeno non è il caso dei discepoli di Kant di cui parliamo, per i quali le nozioni di obbligazione e di sanzione conservano un senso, forse rinnovato, ma irriducibile.

Ammettiamo che si giudichino un po' semplicisti e sbrigativi certi modi filosofici e teologici di identificare senz'altro l'idea d'obbligazione morale e quella di comandamento divino, ma resta sempre che non possiamo separare l'idea d'obbligazione da quella di valore, né l'idea d'imperativo categorico da quella di valore incommensurabile a qualsiasi altro valore. Ma non si può nemmeno separare l'ordine dei valori da quello delle verità, come l'ordine della verità da quello dell'essere: ciò che non è affatto, non agisce affatto, nemmeno come attrattiva e appello, e quindi, la stessa idea di valore comporta quella di essere in sé. Entrati in quest'ingranaggio dialettico, pare difficile sfuggirvi senza accettare l'illogismo e la contraddizione. Ma questo non rientra certamente nelle prospettive kantiane.

Ammettiamo che si ritengano grossolani certi modi di ridurre l'idea di sanzione a quella di ricompensa e di castigo; rimane però, come nota espressamente Kant stesso, che chi non agisce interessatamente, cioè direttamente e immediatamente preoccupato di un utile personale, non accetta per questo che il bene e il male non abbiano conseguenze e che queste possano essere le stesse per l'uno e per l'altro. Kant vuole che virtù e felicità alla fine si uniscano; ma come potranno unirsi se non c'è Qualcuno al principio e alla fine, abbastanza santo per voler sempre questa riconciliazione finale, abbastanza potente per poterla sempre attuare? E se non c'è una vita superiore, dove si potrà compiere e perfezionare ciò che non è compiuto sulla terra?

Il kantiano certamente aderisce a queste affermazioni solo per un postulato, poiché ritiene impossibile darne la prova; ma il sistema non offre forse qui uno dei suoi punti più fragili? Il nesso delle idee che abbiamo delineato non ha il carattere d'una dimostrazione adattata alla natura particolare del problema? D'altronde, il postulato non ammette nessuna dimostrazione, ma può venir dimostrato indirettamente attraverso l'intelligibilità e la fecondità del sistema di pensiero e di condotta che esso, ed esso solo, rende possibile; e questo genere di dimostrazione non pare inconciliabile con la critica più esigente.

Concludendo, diciamo che l'affermazione categorica e incondizionata del dovere è gravida di una concezione religiosa del mondo e della vita, e prima di tutto, dell'idea d'una Perfezione sussistente, e questa è la definizione meno equivoca del nostro Dio.

Augusto Comte e la religione dell'Umanità. - La religione dell'Umanità è una specie molto generale, che comporta numerose varietà (1);

(1) La religione dell'Umanità si può presentare come un umanitarismo (culto dell'umanità come collettività degli uomini, insieme degli esseri umani nati o nascituri) o come umanismo (culto dell'umanità come essenza e natura dell'uomo, complesso dei valori umani).

La nostra esposizione, che non intende dire tutto e che si limita, come abbiamo detto, ad alcuni casi tipici, si pone dal primo punto di vista.

Mettendoci al secondo punto di vista, si troverebbe ad esempio, dal lato dei filosofi, un Brunschvicg e il suo idealismo immanentista (dove lo spirito in fondo non è altro che lo sforzo dell'uomo che costituisce la scienza e la moralità) ; dal lato dei militanti, un Guéhenno e la sua " conversione all'umano ".

L'argomento da opporre resta in sostanza lo stesso. Si tratti di soddisfare la nostra intelligenza o di condurre e stimolare la nostra condotta, l'umanismo svolse e svolge spesso l'ufficio di una religione di sostituzione, in nome e in forza di principi impliciti che superano le sue affermazioni esplicite. L'uomo può essere oggetto di culto per l'uomo solo in quanto supera l'uomo.e consideriamo la forma datale da Comte in un clima che non era tanto favorevole, e quindi, in condizioni particolarmente istruttive.

È noto che l'idea appare nella seconda filosofia di Comte, la quale, a prima vista, sembra radicalmente opposta alla prima. Da una parte, la constatazione positiva, l'oggettività rigorosa e impassibile; dall'altra, una sintesi del sapere umano tentata dal punto di vista soggettivo, dal punto di vista dei bisogni e delle aspirazioni dell'uomo; qui, la scienza, la dimostrazione, la ragione da sole; là, un primato riconosciuto al cuore, all'intuizione, all'aspirazione; da un lato la concezione dell'azione e della pratica tutte rivolte all'utile, dall'altro l'accentuazione della simpatia, dell'amore disinteressato, della bontà; qui, se non il disprezzo, almeno il disdegno del passato metafisico e teologico dell'umanità; là, una costruzione religiosa calcata anche nei minimi particolari sulla dommatica. sulla disciplina, sulla liturgia della Chiesa cattolica.

Che cos'è avvenuto tra il Cours de Pkilosophie positive e il Système de Politique positive! Si dice: Ci fu di mezzo l'amore e la morte di Clotilde de Vaux, tutto un dramma passionale che riaperse in Augusto Comte le fonti troppo chiuse della sensibilità e delle lacrime, che contribuì ad aggravare i turbamenti mentali di cui aveva già sofferto; un fenomeno patologico, almeno nella misura in cui è patologico il predominio della sensibilità sulla ragione.

Certamente questo ci fu: ma ci fu anche un'altra cosa assai più significativa.

Fin dalla prima lezione del Cours, lo stesso Comte ammette che il bisogno d'unità è uno dei più profondamente sentiti dal pensiero umano. Ora, nonostante le generalizzazioni cui si abbandona il pensiero e per poco che la conoscenza scientifica rispetti i principi, questa non soddisfa il bisogno d'unità. Con i suoi principi e metodi specializzati, la scienza è fatta di scienze che non si con-giungono o si congiungono soltanto da un punto di vista superiore.

D'altra parte, il grande problema della vita morale consiste nel superare l'egoismo con l'altruismo, nel a fare prevalere gradualmente la socialità sulla personalità, anche se questa è spontaneamente preponderante " (Catéchisme positivisle); e anche qui, bisogna mettersi da un punto di vista superiore per capire che vivere per gli altri è ancora il miglior modo di vivere per sé.

Altro aspetto delle stesse idee. L'uomo non potrebbe rassegnarsi a un genere di esistenza che lo lasci esteriore e come estraneo all'ordine universale, come pure a un sapere inorganico. La religione dell'Umanità, con la sua Trinità (il Grande Essere, il Grande Feticcio, il Grande Ambiente) ristabilisce ovunque la continuità e la solidarietà e fa affluire in noi " l'essere, il movimento, la vita n da un piano più grande di noi.

Anche Comte venne a chiedere alla religione (religare: legare di nuovo) uno stato di unità completa, in cui tutte le potenze del nostro essere materiale e spirituale cooperano a uno stesso fine, in cui tutti gli uomini s'incontrano in uno stesso compito e per una felicità comune; un'armonia dell'uomo con se stesso, con gli altri, con l'universo.

Non diciamo che la scossa affettiva sofferta da Comte non abbia avuto una parte meccanica nel far scivolare il suo pensiero, ma dobbiamo ammettere anche che questo fu finalizzato da tendenze più profonde, che la ragione può confessare pienamente; dobbiamo pure logicamente ammettere che questo doveva portarlo ancor più lontano, se è vero, come dice Boutròux commentando questi fatti (Science et Réligion dans la philosophie contemporaine, p. 77-79) che, a nella stessa umanità, ci sono i gemi d'una religione che supera l'umanità " e che le stesse nozioni di reale e di utile, fondamento della filosofia positiva, a a noi sono un incitamento alla ricerca del Vero, del Bello, del Bene ".
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Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all'errore. Ef.4,14
 
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