|
07/12/2013 13:59 | |
4. Due diverse concezioni della rivelazione. La differenza in questo contenuto centrale della fede comporta anche un diverso modo di intendere l’autocomunicazione divina: la rivelazione si compie per il Cristianesimo in un insieme di eventi e parole, che vengono testimoniati dal testo ispirato, senza però che la ricchezza in essi contenuta sia del tutto risolta nelle parole che li esprimono. Ecco perché l’accoglienza delle Scritture sacre nella tradizione ebraico-cristiana esige l’interpretazione, e cioè quel lavoro di scavo e di intelligenza operosa che - nel rispetto della “lettera” - raggiunga le profondità del mistero cui essa apre. Non è un caso che l’ermeneutica come scienza dell’interpretazione nasca all’interno dell’esegesi ebraico-cristiana della rivelazione! Nell’Islam non è così: il Profeta scrive ciò che gli viene dettato (cf. Sura 75,16-19), e il suo testo è a tal punto sacro e intangibile (è il Corano eterno, disceso dal cielo) che di esso esiste solo applicazione, obbediente ripetizione, non propriamente interpretazione (dall’undicesimo secolo - quinto dell’era islamica - si dà per assodato che “la porta dell’interpretazione” sia stata definitivamente chiusa). C’è insomma nell’Islam un’autorità del testo ispirato in quanto tale che - se lo rende oggetto di rispetto e obbedienza - può generare un letteralismo fondamentalista e fare dell’insegnamento del Profeta soprattutto un codice di leggi. Per la Bibbia la mediazione ermeneutica a tutti i livelli è invece irrinunciabile e crea spazi di libertà, possibilità di scavo sempre nuove: avvenendo in eventi e parole intimamente connessi (cf. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla divina rivelazione Dei Verbum, 2), la rivelazione viene registrata in un testo ispirato, che tuttavia rimanda all’auto-comunicazione di Dio avvenuta nella storia. Nelle parole del testo bisogna allora incontrare la Parola e in essa il Dio vivente che vi si offre. Per l’Islam il ricorso al dettato ispirato - in assenza di una legittima ermeneutica - può rassicurare nella presunzione umana di possedere la verità e può fondare un integralismo applicativo fino agli estremi dell’intolleranza del diverso e della negazione della libertà religiosa.
|