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ARTICOLI INTERESSANTI DI ANTONIO SOCCI

Ultimo Aggiornamento: 16/11/2020 13:46
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05/03/2015 18:32
 
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Papa Francesco “liquida” i cristiani perseguitati?
No, è la stessa prudenza di Pio XII

Nel nuovo articolo Socci ha rinunciato a snocciolare i “peccati” di Papa Francesco, si è limitato alla riciclata accusa di ignorare i cristiani perseguitati. Secondo il giornalista sarebbe l’ora di«grandi iniziative di solidarietà e di aiuto», di «un instancabile intervento diplomatico della Santa Sede presso l’Onu e gli Stati democratici in difesa delle minoranze cristiane e della libertà religiosa. Ma in Vaticano tutto tace. Si dovrebbe tuonare ogni giorno dalla Cattedra di Pietro per difendere il gregge dai lupi. Invece niente di tutto questo». Quelle di Bergoglio sarebbe «sporadiche e imbarazzate dichiarazioni» dove «si limita a esprimere “dispiacere”, guardandosi bene dal fare qualsiasi riferimento all’Islam e dal fare alcun appello alla comunità internazionale per fermare le violenze con l’uso della forza».

Ironia della sorte, esattamente due giorni dopo è arrivata la testimonianza dell’arcivescovo Jacques Behnan Hindo, capo dell’arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi che ha annunciato la liberazione dei 19 cristiani assiri presi in ostaggio dai jihadisti dello Stato Islamico (Isis). Mentre Socci ha ridicolizzato i tentativi di dialogo e negoziato con l’Isis proposti da Francesco («Io mai do per persa una cosa: mai. Forse non si può avere un dialogo, ma mai chiudere una porta»ha detto il Santo Padre), l’arcivescovo Behnan Hindo ha proprio spiegato che i capi delle Chiese e delle comunità locali cercano invece di tenere aperti i contatti e i negoziati con i miliziani dell’Is attraverso la mediazione di alcuni leader tribali musulmani locali.

Se Socci accusa il Vaticano di non “tuonare” contro l’Islam, mons. Behnan Hindo, fisicamente a fianco dei cristiani perseguitati, ha affermato: «Il momento è delicato e ogni iniziativa o parola non calibrata e presa senza ponderazione può aumentare i rischi per tutti». E’ dunque evidente che se in Vaticano si prendessero sul serio i consigli dei giornalisti di “Libero”, i cristiani in Medioriente sarebbero esposti a gravissime ripercussioni.

Socci lo sa benissimo, è la stessa accusa che fecero a Pio XII quando scelse la prudenza nei confronti degli ebrei. Come ci ha scritto un nostro lettore, lo stesso giornalista difese Papa Pacelli in un convegno: «Socci era moderatore dell’incontro e ha affrontato il medesimo problema (relativo a Pio XII) senza la veemenza accusatoria che oggi lo contraddistingue, ma con la ragionevole volontà di capire». Infatti, diede la parola al vaticanista Andrea Tornielli, il quale spiegò: «L’attitudine di Pio XII è quella dello stile papale in tempo di guerra: non gettare benzina sul fuoco, tenere aperti tutti i possibili canali diplomatici, e salvare più vite possibili. Al Papa non interessava compiere un gesto clamoroso che gli avrebbe portato una fama sicura nei secoli futuri, ma la salvezza delle vite umane». Era guidato dalla prudenza, per non provocare mali peggiori magari per vendetta. Lo stesso che chiede oggi di fare l’arcivescovo di Hassakè-Nisibi. La stessa prudenza di Benedetto XVI, che ha sempre condannato gli attentati e la persecuzione dei cristiani senza mai parlare di colpe dell’Islam o generalizzare sulla fede musulmana ma piuttosto accusando la strumentalizzazione della religione (sfidiamo chiunque a trovare un solo intervento di condanna del Papa emerito di qualche strage in cui tira in ballo l’islam o l’islamismo). Tanto che nel 2009 la Chiesa di Benedetto XVI fu accusata dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, di avere “reazioni ammiccanti all’islam”.

E’ evidente che il Vaticano non ignora la sorte di Asia Bibi, la stessa donna ha scritto a Papa Francesco chiedendogli semplicemente di pregare per lei (e non di esprimersi pubblicamente), aggiungendo: «ti esprimo tutto il mio ringraziamento per la tua vicinanza». Vicinanza? Evidentemente la vicinanza del Pontefice alla donna arriva in Pakistan attraverso vie nascoste ai media.

Allo stesso modo non c’è alcuna dimenticanza dei cristiani perseguitati, chi si interessa dei pronunciamenti di Papa Francesco sa bene che ne parla ogni settimana. Lo ha fatto ieri incontrando i vescovi nordafricani: «mi unisco ai fedeli delle vostre diocesi, portate loro l’affetto del Papa e la certezza che egli resta vicino a loro e li incoraggia nella generosa testimonianza che rendono al Vangelo di pace e di amore verso Gesù. Vorrei in particolare rendere omaggio al coraggio, alla fedeltà e alla perseveranza dei Vescovi in Libia, come pure dei sacerdoti, delle persone consacrate e dei laici che rimangono nel Paese nonostante i molteplici pericoli. Sono autentici testimoni del Vangelo». Domenica scorsa ha detto«non cessano, purtroppo, di giungere notizie drammatiche dalla Siria e dall’Iraq, relative a violenze, sequestri di persona e soprusi a danno di cristiani e di altri gruppi. Vogliamo assicurare a quanti sono coinvolti in queste situazioni che non li dimentichiamo, ma siamo loro vicini e preghiamo insistentemente perché al più presto si ponga fine all’intollerabile brutalità di cui sono vittime. Insieme ai membri della Curia Romana ho offerto secondo questa intenzione l’ultima Santa Messa degli Esercizi Spirituali, venerdì scorso. Nello stesso tempo chiedo a tutti, secondo le loro possibilità, diadoperarsi per alleviare le sofferenze di quanti sono nella prova, spesso solo a causa della fede che professano». Così come più volte fatto appello ai leader islamici perché condannino il terrorismo religioso e si dissocino da esso.

Per interventi più specifici è evidente che il Vaticano si stia muovendo su binari riservati (contatti diplomatici, contatti personali, lettere, telefonate) e non è certo a noi che deve rendere conto. Come ha spiegato l’esperto vaticanista John L. Allen«papi e funzionari del Vaticano hanno sempre pesato le parole con attenzione, per paura che dire qualcosa di provocatorio possa peggiorare le cose. In questo contesto si apprezza il fatto che il Vaticano possa preferire operare dietro le quinte».


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20/04/2015 09:44
 
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LA SINISTRA DI MAOMETTO

Posted: 19 Apr 2015 03:01 PM PDT

Ecco alcune notizie degli ultimi giorni:

1) la strage di 147 studenti cristiani compiuta dagli islamisti all’Università di Garissa in Kenya;

2) le minacciose invettive del presidente islamico turco per l’evocazione da parte di papa Bergoglio del “genocidio” di un milione e mezzo di cristiani armeni, un secolo fa;

3) un ragazzo bruciato vivo in Pakistan perché cristiano;

4) i combattenti islamisti in Siria bombardano i quartieri cristiani di Aleppo facendo decine di morti;

5) secondo alcune notizie dalla Nigeria, le 200 studentesse cristiane rapite da Boko Aram sarebbero state uccise;

6) quindici migranti islamici fermati dalla polizia a Palermo per aver buttato in mare dodici migranti cristiani a causa della loro fede.

E’ un orrore che va avanti da tempo. Ricordo un numero della rivista di geopolitica “Limes” che già nel 2000 scriveva: “Il cristianesimo è la religione più perseguitata del mondo. Conta migliaia di vittime; i suoi fedeli subiscono torture e umiliazioni di ogni tipo. Ma l’opinione pubblica occidentale… non concede a questo dramma alcuna attenzione”.

Ha un bel chiedere – in questi giorni – Lucia Annunziata “dov’è la sinistra” davanti al massacro degli studenti cristiani in Kenya. La risposta è “non pervenuta”.

VICINANZA ALL’ISLAM

Del resto l’opinione pubblica che conta, quella sinistra liberal o ancora marxisteggiante che dilaga sui media e nelle istituzioni scolastiche, manifesta di frequente disprezzo verso quei principi e quella storia cristiana su cui sono fondati la nostra libertà e il nostro benessere. L’Europa tecnocratica poi sembra smaniosa di cancellare le tracce di tutto ciò che è cristiano (in Francia siamo al ridicolo: si epura perfino la toponomastica).

Si progettano pure disegni di legge che potrebbero limitare proprio la libertà di espressione dei cristiani magari in nome delle nuove bandiere ideologiche della sinistra, come l’omofobia.

Ma la stessa sinistra che qua è pronta a fare le barricate per i cosiddetti “diritti civili” appare muta di fronte – non dico ai cristiani perseguitati – ma all’umiliante condizione delle donne nei paesi islamici e al brutale trattamento lì riservato alle persone omosessuali.

L’astioso pregiudizio contro il cristianesimo delle élite “progressiste” va di pari passo con il loro benevolo pregiudizio verso l’Islam. Del quale non si vogliono riconoscere nemmeno i massacri.

D’altronde cosa fece la Sinistra marxista di un tempo con i crimini del comunismo? Negò quelle atrocità finché poté, poi pretese di ridurli a degenerazioni locali, scomunicando chi riteneva che invece il problema fosse lo stesso marxismo-leninismo.

Oggi la Sinistra progressista vuol farci credere che il terrorismo non c’entra niente con l’Islam. E ignora le stragi (soprattutto di cristiani) che hanno costellato tutta la storia dell’Islam e della sua sanguinosa espansione.

Si arriva al punto di capovolgere la storia e far passare i cristiani per aggressori evocando a rovescio le crociate (le quali tentarono semplicemente di limitare i danni dell’invasione islamica di terre cristiane).

L’ignoranza storica si accompagna alla cecità ideologica, perché l’Islam più che una religione come il cristianesimo, è una teologia politica come il marxismo.

Il laicissimo Bertrand Russel in un suo saggio sul bolscevismo scriveva che fra le religioni il bolscevismo doveva essere paragonato piuttosto all’Islam che al cristianesimo. Quest’ultimo infatti è una religione personale con una sua spiritualità, una mistica, una teologia. Invece “Islamismo e Bolscevismo sono religioni pratiche, sociali, non spirituali, impegnate a conquistare il dominio del mondo terreno. I loro fondatori non avrebbero resistito alla terza tentazione nel deserto di cui parla il Vangelo”.

L’Islam infatti comporta un’ideologia totalitaria simile al comunismo, ma anche al fascismo e al nazismo (Eric Voegelin ha ampiamente mostrato che sono diverse maschere riemergenti della gnosi).

Come ha spiegato Samir Khalil Samir, “l’Islam nasce fin dall’inizio come progetto socio-politico e anche militare: ciò è evidente sia nel Corano sia nella sunna, nella tradizione che include la vita e i detti di Maometto. Per un musulmano religione e politica sono indissolubili”.

DOMINIO

Maometto è stato un formidabile condottiero e ha fondato una teologia politica universalista funzionale alla conquista dell’Arabia e poi al dominio del mondo.

A chi crede che oggi il problema sia rappresentato solo da pochi fondamentalisti violenti e non dall’Islam in sé, risponde Samuel Huntington: “Millequattrocento anni di storia dimostrano il contrario. L’Islam è l’unica civiltà ad aver messo in serio pericolo, e per ben due volte, la sopravvivenza dell’Occidente”.

“Per quasi mille anni” aggiunge Bernard Lewis “dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco di Vienna, l’Europa è stata sotto la costante minaccia dell’Islam”.

Credere che siano cose del passato o limitate – oggi – ad Al Qaeda e all’Isis è da illusi (del resto chi ha inventato e sostiene l’Isis?). L’Islam per sua natura punta al mondo intero.

Monsignor Bernardini, arcivescovo di Smirne, al Sinodo dei vescovi del 1999 riferì: “Durante un incontro ufficiale sul dialogo islamo-cristiano, un autorevole personaggio musulmano, rivolgendosi ai partecipanti cristiani, disse a un certo punto con calma e sicurezza: ‘Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo’ ”.

Hanno già cominciato con l’enorme pressione dei grandi capitali petroliferi, da una parte, e con l’immigrazione incontrollata dall’altra. Una tenaglia che già si stringe sull’Inghilterra, come pure sulla Francia (vedi il romanzo “Sottomissione” di Houellebecq).

Quanto all’Italia il pensiero dominante ha emarginato una voce profetica come quella di Oriana Fallaci. Chissà come avrebbe tuonato – lei che era stata partigiana – sapendo della controversia sul 25 aprile di quest’anno fra la presenza delle insegne della “Brigata ebraica” (che partecipò alla liberazione dell’Italia) e la bandiera palestinese che “non ha nulla a che vedere con le truppe Alleate e in quel momento storico” ha ricordato Pacifici “era dalla parte dell’occupante”.

IL METODO BIFFI

Oltre alla Fallaci è rimasta inascoltata la voce del cardinale Biffi. Ecco le sue parole del 2000: “Oggi è in atto una delle più gravi e ampie aggressioni al cristianesimo (e quindi alla realtà di Cristo) che la storia ricordi. Tutta l’eredità del Vangelo viene progressivamente ripudiata dalle legislazioni, irrisa dai ‘signori dell’opinione’, scalzata dalle coscienze specialmente giovanili. Di tale ostilità, a volte violenta a volte subdola, non abbiamo ragione di stupirci”, perché era stato profetizzato nel Vangelo, “ci si può meravigliare invece degli uomini di Chiesa che non sanno o non vogliono prenderne atto”.

Poi Biffi ricordò una sua intervista di alcuni anni prima, dove gli fu chiesto: “Ritiene anche lei che l’Europa sarà cristiana o non sarà?”.

Rispose: “Io penso che l’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la ‘cultura del niente’, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l’atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa ‘cultura del niente’ (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’islam che non mancherà: solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo – e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa – potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto”.

Biffi concluse che “i ‘laici’, osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l’ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi”.





Antonio Socci
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06/05/2015 14:56
 
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IL FATTORE CRISTIANO

E’ storicamente dimostrabile che i fattori antropologici sono decisivi e – per esempio – un substrato culturale cristiano ha favorito lo sviluppo basato su istruzione, impresa, ricerca scientifica, investimenti e tecnologia, dentro un orizzonte che favorisce la democrazia e il rispetto dei diritti sociali e umani.

Del resto nessuno al mondo è tanto impegnato contro la fame quanto i cristiani, con gli aiuti nelle emergenze umanitarie, ma anche con iniziative di sviluppo che vanno dalla costruzione di pozzi, scuole e ospedali, all’artigianato e alla fondazione di università.

Vale pure per gli sprechi alimentari. In Italia il Banco Alimentare, la più grande iniziativa concreta che convoglia tonnellate di derrate alimentari verso i più bisognosi, nasce in ambito cattolico, ma ha aggregato attorno a sé energie di tutti i tipi e soprattutto è nata dal rapporto con una grande industria alimentare e dalla collaborazione della grande distribuzione.

Che non sono affatto nemici, ma protagonisti della nutrizione dell’umanità.

L’uomo non è il cancro del pianeta, ma la sua più grande risorsa anche per la salvagiardia dell’ambiente, perché nessuno inquina e devasta più della natura stessa.

Tanti si battono per proteggere la biodiversità, ma assai pochi si battono per quella che Benedetto XVI ha chiamato l’ecologia umana, a salvaguardia della vita, dell’integrità e della dignità dell’essere umano. Che è il grande “principio non negoziabile”.





Antonio Socci
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18/05/2015 09:36
 
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GENIO DEL MONACHESIMO

Molte delle specialità italiane, dal parmigiano al prosciutto (ma anche lo “champagne” francese) vengono da quei monaci benedettini che dissodarono le campagne d’Europa sottraendole alla foresta e alle paludi, che riempirono di mulini le campagne perché il cristianesimo aveva spazzato via la schiavitù.

Monaci che insegnarono all’Europa barbarica la dignità del lavoro, che esercitavano l’architettura e l’ingegneria idraulica mentre salvavano l’antica cultura classica, approfondendo la scienza delle erbe medicinali e della farmacologia e realizzando l’idea del chiostro e del giardino come immagine del “paradiso perduto” (tanto che l’abbazia di Vallombrosa sarà l’Eden del “Paradise Lost” di John Milton).

Tutti sentono il fascino di queste radici se ieri, sulla “Repubblica”, è uscita una bella lettera del professor Luciano Verdone dove si raccontano le abbazie benedettine in cui “la cultura classica è entrata in osmosi con quella germanica grazie all’elaborazione cristiana”.

In quelle abbazie l’ “ora, labora et lege” aveva “ripristinato il triangolo aristotelico dell’uomo composto di spirito, psiche, intelletto e ‘soma’, cura del corpo, attività fisica. Il monastero benedettino” spiega Verdone “riproduceva la ‘città platonica’, in cui ciascuno viene valorizzato per le proprie abilità. Dove al lavoro intellettuale della trascrizione dei codici antichi, si affiancava l’attività chimica dei ‘laboratoria’, che precorre quella moderna, e l’attività manuale di artigiani, allevatori e contadini. Grandezza dei monaci contadini che” conclude Verdone “dopo l’ondata barbarica, ci hanno restituito la dieta mediterranea degli antichi, i montepulciani, i trebbiani, l’olio delle nostre colline”.

Tutto fiorito in quel silenzio che era preghiera, un ordine e una bellezza che volevano evocare i “cieli e terra nuova” della “Gerusalemme celeste”.

Perfino il laico Corrado Augias ha risposto confermando l’apologia della cultura benedettina di questa splendida lettera. Poi ha ricordato il film sui “monaci di Tibhrine, in Algeria, massacrati da fanatici musulmani”, perché è un film capace di “una restituzione così intensa dell’atmosfera monacale da risvegliare quella nostalgia del sacro che la modernità occidentale ha ormai perduto”.

LA RISPOSTA

Per quanto possa sorprendere tutto questo è anche la vera risposta al primo problema dell’Expo, quello della fame.

E’ quanto dimostra uno straordinario articolo pubblicato nei giorni scorsi da padre Piero Gheddo, un missionario del Pime che ha trascorso la vita a viaggiare nel Terzo Mondo e a studiarlo.

La sua accurata analisi va letta per intero, ma ecco la conclusione:

“il maggior dono che possiamo fare all’Africa è l’annuncio di Cristo e del Vangelo”.

Spiega:

“Alla radice del sottosviluppo ci sono mentalità, culture e religioni fondate su visioni inadeguate di Dio, dell’uomo e della donna, del creato. La santa Madre Teresa di Calcutta diceva: ‘La più grande disgrazia dell’India è di non conoscere Gesù Cristo’ ”.

La fame si risolve solo con un cambiamento culturale in quelle terre: ecco perché proprio i cristiani dovrebbero dire che occorre aiutarli a casa loro.

Scriveva don Gianni Baget Bozzo: “Uomini di Occidente, non vedete che abbandonate le popolazioni africane a un destino di morte, che lo fate perché non siete più cristiani, che non avete più il desiderio di salvare i loro corpi perché non avete il desiderio di salvare le loro anime?”.

Occorrerebbero dunque nuovi benedettini, per la fame del Terzo Mondo, ma anche per far rifiorire il nostro deserto spirituale.



Antonio Socci
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10/07/2015 13:18
 
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Anticipo qui un capitolo del mio libro “Avventurieri dell’eterno” (Rizzoli), da oggi in libreria


Ci sono volti, fra i cristiani, che in maniera straordinaria fanno trasparire la luce del Risorto e quindi la luce del Paradiso.

Sono stato colpito, per esempio, dal «mistero» di una foto (la stessa che si può vedere sulla copertina del libro) che mi è capitata tra le mani tempo fa.

Chi è quel giovane scarmigliato, biondo e barbuto? Cosa significa quel suo sorriso sereno, quello sguardo fermo e limpido?

Forse è un attore o un artista, anzi, probabilmente dalla camicia malconcia siamo romanticamente indotti a pensare che possa essere un guerrigliero o un avventuriero o un esploratore.

È una di quelle foto che sembrano immortalare un giovane eroe, un po’ come quella celebre di Che Guevara, perché, si sa, «gli eroi son tutti giovani e belli»…

In effetti lui è un eroe, un audace avventuriero: cominciamo col dire che era spagnolo si chiamava Martín Martínez Pascual e – quando fu scattata questa istantanea – aveva venticinque anni.

Un altro «dettaglio»: era un prete cattolico che fu catturato dai miliziani repubblicani: non aveva nessuna colpa, se non quella di essere un sacerdote.

Il 18 agosto 1936 fu fucilato e la foto è stata scattata pochi istanti prima dell’esecuzione. Questo è l’aspetto affascinante…

Fu uno dei tantissimi martiri. La carneficina perpetrata dalle forze repubblicane in Spagna negli anni Trenta, ai danni della Chiesa, fu di inusitata ferocia. Quell’odio non era motivato né dalla guerra civile – che scoppiò successivamente – né dall’obiettivo politico di instaurare un regime analogo a quello sovietico. Era un odio satanico, ebbe a dire il papa.

Mentre il 70 per cento delle chiese subirono devastazioni e profanazioni (a volte la distruzione totale), in odio alla fede cristiana furono catturati e massacrati senza alcun motivo, solo per l’appartenenza alla Chiesa, migliaia di inermi, preti, suore, religiosi, catechisti, famiglie cattoliche ed esponenti cristiani impegnati nelle parrocchie e nella società.

Solo in anni recenti la Chiesa stessa ha potuto capire l’enormità di quello che accadde in Spagna negli anni Trenta.

Giovanni Paolo II, in diverse riprese, beatificò 460 vittime di quella persecuzione, fra questi padre Martín, il 1° ottobre 1995. Fra il 2005 e il 2011 poi Benedetto XVI ne beatificò più di cinquecento. E altri 522 sono stati beatificati a Tarragona il 13 ottobre 2013 sotto il pontificato di Francesco.

Tuttavia si calcola che siano state circa diecimila le persone che furono martirizzate in odio alla fede e uno dei maggiori storici di quel periodo, monsignor Vicente Cárcel Ortí, ha spiegato bene (in un’interviusta a Tempi) le caratteristiche di questa tragedia:

“Non si tratta di eroi, ma di persone normali che vivevano una fede per cui valeva la pena dare la vita. E fu una sorpresa anche per la Chiesa: molti pensavano che la fede popolare degli spagnoli fosse insufficiente, folcloristica e sentimentale. Invece, davanti alla prova, emerse la sua forza semplice e cristallina, prima snobbata dagli intellettuali. La cosa impressionante è che in ogni città, senza conoscersi né mettersi d’accordo, morirono tutti allo stesso modo: invitati ad abiurare in cambio della vita, rifiutarono e morirono pregando per i loro assassini e urlando: ‘Viva Cristo Re’. Come accadeva anche in Messico o in Germania davanti alle SS di Hitler. Leggendo tutte le carte dei processi non si trova un solo caso di tradimento. Questo è miracoloso perché non è scontato che uno che ha fede non ceda o non tradisca”.

Ma torniamo a fissare lo sguardo su una di queste storie, appunto quella di padre Martín, il giovane della foto. Era nato l’11 novembre 1910, entrò in seminario e fu ordinato presbitero il 15 giugno 1935. Nel 1934 era entrato nella Società di sacerdoti operai diocesani del Sacro Cuore di Valdealgorfa (Teruel), nella diocesi di Saragozza.

Inviato al Collegio di San José, allo scatenarsi della persecuzione anticristiana padre Martín dovette entrare in clandestinità. Quando apprese che suo padre era stato catturato si presentò ai persecutori, sapendo bene cosa lo aspettava, e fu subito arrestato.

Insieme ad altri cinque sacerdoti e nove laici (catechisti e militanti cattolici) fu portato dai miliziani verso il cimitero del villaggio dove furono tutti messi in fila, di spalle, per la fucilazione. Solo Martín volle stare di fronte ai suoi carnefici guardandoli negli occhi.

Gli chiesero se prima di morire voleva fare qualche dichiarazione. Lui disse: «Voglio solo darvi la mia benedizione, in modo che Dio non consideri la pazzia che state per fare».

Il fotografo tedesco Hans Gutmann, più noto come Juan Guzmán (1911-1982), che era presente lì, con i miliziani, fece le sue istantanee proprio in quei drammatici momenti. Subito dopo puntarono i fucili su Martín e lui, appena prima della raffica, gridò: «Viva Cristo Re!».

Avrebbe potuto abiurare e salvare la sua giovane vita. Ma nemmeno per un attimo prese in considerazione questa possibilità.

Al contrario sembrava felice di poter rendere testimonianza a Gesù con la sua stessa vita, in segno di amore a Lui che dette la sua vita per salvare tutti.

Ma in quella foto c’è qualcosa di più, infatti il suo volto è sereno, i suoi occhi luminosi, il suo atteggiamento è fermo e pacato, la postura delle braccia esprime forza e poi quel sorriso straordinario, non ostentato, non beffardo, ma pieno di candore evangelico. Quasi lascia senza fiato perché fa trasparire una certezza vittoriosa.

Il mistero di questa foto sta proprio qui: è il volto di un venticinquenne pochi istanti prima della sua fucilazione. Com’è possibile che non mostri alcuna traccia di nervosismo o di odio, nessuna paura della fucilazione e della morte? Perché non ha nessun terrore?

Quegli occhi, quel sorriso sono già illuminati da ciò che lo aspetta di lì a qualche secondo. La vita vera, la realtà vera lo aspetta. E – a guardare il suo volto – deve essere bellissima.

I martiri spagnoli come padre Martín sono solo una piccola parte di quell’immane fiume di sangue cristiano che è stato versato nel XX secolo e si continua a versare nel XXI. In tutte le latitudini, sotto tutti i regimi e tutte le ideologie.

È la più grande persecuzione di tutta la storia cristiana e mostra come la Chiesa è stata chiamata a rivivere la Passione del Salvatore, in modo speciale, proprio nel nostro tempo.

Cosa che dà ai nostri anni un connotato apocalittico e mostra al mondo questa Chiesa dei martiri come il primo segno e la più chiara testimonianza dell’eternità.



Antonio Socci (da “Avventurieri dell’eterno”, Rizzoli)


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03/08/2015 10:26
 
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INDIGNAZIONE PLANETARIA PER IL LEONE CECIL. MA PER I BAMBINI SGOZZATI ?

Posted: 02 Aug 2015 08:46 AM PDT

Non c’è partita, fra il leone Cecil e il dentista americano che l’ha ammazzato durante un safari. E’ ovvio che stiamo tutti dalla parte del leone.

Particolare indignazione ha suscitato il fatto che il felino, una volta ucciso, sia stato decapitato così da diventare un trofeo di caccia.

Lo sdegno planetario è esploso su internet e sui media. Così ieri una petizione con 146 mila firme è stata consegnata al governo americano: “Sollecitiamo il segretario di Stato John Kerry e il ministro della Giustizia, Loretta Lynch, a cooperare pienamente con le autorità dello Zimbabwe e ad estradare tempestivamente Walter Palmer”.

Nel frattempo il dentista Palmer ha dovuto eclissarsi perché davanti alla sua casa si svolgono continui sit-in di manifestanti indignati.

Ha pure dovuto chiudere lo studio dentistico comunicando ai suoi pazienti l’impossibilità, in questo momento, di continuare l’attività.

Bene. Nulla da dire. Solidarietà al leone Cecil anche da parte mia e sdegno per il dentista.

Però permettetemi di accostare questo episodio – che è diventato un affare di stato di cui si occupa la Casa Bianca – a un altro fatto accaduto negli stessi giorni.

SACRIFICI UMANI

Martedì scorso, nel villaggio nepalese di Kudiya, al confine con l’India, un ragazzino di 10 anni, Jivan Kohar, è stato sgozzato da un gruppo di adulti – a loro dire – per scacciare degli spiriti da un’altra persona.

Secondo le testimonianze raccolte dalla Cnn il “sacrificio umano” sarebbe stato perpetrato in un tempietto indù. Il bambino è stato costretto a terra mentre un uomo gli tagliava la gola con un falcetto.

La pratica dei “sacrifici umani”, tipica delle religioni pagane spazzate via dal cristianesimo (per il quale i sacrifici umani sono degli abominevoli crimini satanici), non è solo un orrore del passato. La Bbc, riportando la denuncia di una ong inglese, ha affermato che solo in Uganda negli ultimi anni si sono verificati circa 900 casi.

Domanda: avete visto per il bambino Jivan Kohar (o per un’altra vittima di questi crimini rituali) qualche manifestazione di sdegno e protesta? Avete notato un moto di pietà e solidarietà anche lontanamente paragonabile a quella per il leone? C’è stata una sollevazione popolare sulla rete?

A me non risulta. Per restare all’Africa, dove è stato ucciso il leone, va detto che quel continente è martoriato da violenze e massacri quotidiani di esseri umani innocenti e di fronte a questo oceano di dolore, a cui siamo pressoché disinteressati, francamente appare singolare che in Occidente diventi un affare di stato l’uccisione di un leone.

Un esempio.

CRISTIANI MASSACRATI

Lunedì scorso i terroristi islamici di Boko Aram, in un villaggio del nord della Nigeria, hanno ucciso e decapitato venti pescatori cristiani originari del Ciad. Fra loro anche un ragazzo di 16 anni.

Le vittime stavano gettando le reti nel lago Ciad quando sono arrivati i jihadisti armati.

Abubakar Gamandi, l’unico che è riuscito a scappare (è fratello del sedicenne ucciso), ha testimoniato che gli assassini sono piombati sui pescatori e li hanno accusati di essere “seguaci di Gesù, un profeta che con le sue parole ha attirato molte persone stolte, tentando di corrompere il mondo”.

Dopodiché hanno ucciso i poveretti a colpi di kalashnikov. Un dettaglio agghiacciante: alcuni che erano rimasti vivi sono stati recuperati dalle acque del lago e decapitate.

Come il leone, ma da vivi. Per loro però nessuna indignazione planetaria, nessuna sollevazione sulla rete e sui media. Nulla di nulla.

D’altronde nei primi mesi del 2015 sono già centinaia in Nigeria le vittime di Boko Aram, ma non fanno notizia. Nessun clamore. Nessun moto di pietà o di solidarietà collettiva.

I terorristi islamisti sono all’attacco in diverse zone dell’Africa con l’ambizione di sradicare il cristianesimo come ormai stanno riuscendo a fare in Medio Oriente.

Vogliono islamizzare l’intero continente africano a furia di massacri. Tutto questo nell’indifferenza del mondo.

Ora mi chiedo: è accettabile che l’uccisione (per quanto esecrabile e assurda) di un leone scateni una reazione così spropositata rispetto alla quotidiana uccisione di tanti esseri umani innocenti?

Si può sommessamente far notare che c’è un doppiopesismo etico?

ORRIDO MONDO

Periodicamente su queste colonne proviamo a segnalarlo. Nel settembre scorso mi aveva colpito la sollevazione generale di protesta per l’uccisione (oltretutto accidentale) di un orso in Trentino, con servizi nei tg della sera, per diversi giorni.

Una sorta di tragedia nazionale impressionante se paragonata al disinteresse collettivo per l’uccisione di tre suore italiane in Burundi (Africa), avvenuta nelle stesse ore.

L’episodio dell’orso era pure concomitante con le stragi dell’Isis nel Nord Iraq. Anche in quel caso il doppio standard dell’indignazione collettiva fu palese.

Cosa dobbiamo concludere da tutto questo? Che tipo di società stiamo diventando? Che mentalità sta vincendo?

A me un mondo così fa paura e orrore.

Ovviamente simpatizziamo tutti per l’orsa e per il leone. Ma gli esseri umani? Se non c’è una pietà almeno paragonabile per le vittime umane di violenze atroci, a me sembra che ci sia un problema. Un grosso problema.

A voi no? Non vi pare che in tutto questo ci sia qualcosa di inquietante?



Antonio Socci

(nella foto: Jivan Zohar, il bambino vittima di un “sacrificio umano”)

Da “Libero”, 2 agosto 2015

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07/12/2015 22:58
 
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QUELLO CHE NESSUNO VI HA DETTO SULLA GUERRA DEI PRESEPI NELLA SCUOLA (C’ENTRANO IL PROSCIUTTO, IL PARMIGIANO, DANTE, CARAVAGGIO, LA MUSICA, GLI OSPEDALI E LE UNIVERSITA’)


 




Nei giorni scorsi è scoppiata una guerra sul Natale nelle scuole. Ma il problema non è il presepe, è l’ignoranza e il dominio del “secondo me”.


Carlo Giovanardi ha giustamente ricordato un fatto dimenticato da tutti: “Il 25 dicembre, Natale, è una festività cattolica di precetto come tale riconosciuta dallo Stato anche agli effetti civili sin dal tempo dell’Unità d’Italia (decreto 17 ottobre 1860, n. 5342)”.


Faccio presente che il governo del Regno d’Italia a quel tempo era fatto di politici che erano in guerra con la Chiesa e una guerra molto dura, dopo le leggi Siccardi e quelle sulla soppressione degli ordini religiosi: uno scontro che portò anche alle scomuniche.


Eppure quella legge riconosceva la festa del Natale, la nascita dell’Uomo-Dio, come festa dello stato laico risorgimentale.


Dopo il Regno d’Italia arriva la Repubblica e il Natale (che per la Chiesa è “la Gloria del Cielo che si manifesta nella debolezza di un bambino”), viene riconosciuto come festa: in base alla legge della Repubblica 27 maggio 1949 n. 260, il 25 dicembre è “giorno festivo con l’osservanza del completo orario festivo e del divieto di compiere determinati atti giuridici”.


Cioè – spiega Giovanardi – lo Stato laico riconosce la festività cattolica del Natale come sua festa civile. Esattamente come istituì la festa nazionale del 4 novembre (oggi soppressa), la festa della Repubblica il 2 giugno o il 25 aprile come festa della Liberazione e il 1° Maggio come festa dei lavoratori.


Quest’ultima – com’è noto – è una festa nata nell’alveo del movimento socialista, ma è stata riconosciuta come festa civile e oggi è festa di tutti.


E’ ovvio che una scuola che fa fare vacanza ai ragazzi per il 1° Maggio o per il 25 aprile debba spiegare loro perché fanno vacanza e cosa si celebra.


Così come è ovvio che, dando quindici giorni di festa ai ragazzi, per il Natale, si spieghi chi e cosa si festeggia: non “l’inverno” o altre corbellerie, ma la nascita di Gesù Cristo. E a Pasqua non si celebra la pace, ma la Resurrezione di Gesù.


Questo taglia la testa al toro, spazzando via tutte le chiacchiere sulla “scuola laica” che non dovrebbe parlare del Natale cristiano o della Pasqua.


INTEGRAZIONE


Tanto più dovrà spiegarlo agli studenti immigrati e di altre religioni: proprio a scuola questi giovani possono imparare un fatto fondamentale della nostra cultura, quel fatto in base al quale si dice che oggi siamo nel 2015 (perché si computano gli anni a partire dalla nascita di Gesù), quel fatto per cui abbiamo la settimana e la domenica facciamo festa.


Il fatto cristiano, che è rappresentato in gran parte del nostro patrimonio artistico, ha “inventato” le Cattedrali, gli ospedali e le università.


Anche la nostra lingua ha lì la sua origine, perché l’italiano è una lingua istituita avendo come paradigma il Poema sacro, la Divina Commedia, ed ha il Cantico delle creature come sua prima opera poetica (Cantico scritto dallo stesso san Francesco che ha “inventato” il presepio).


Se volessimo scavare nella nostra storia scopriremmo che pure l’Europa è stata forgiata dalla storia cristiana e così il diritto internazionale (vedi la Scuola teologica di Salamanca), così le banche (prima c’erano perlopiù usurai) e il sistema economico moderno.


Ma perfino le nostre delizie gastronomiche – dal parmigiano, al prosciutto alla spumante – ci portano nelle abbazie medievali che insegnarono l’agricoltura a un’Europa barbarica e trasmisero la cultura classica e quella ebraica e inventarono la notazione musicale. Pure le origini della nostra tecnologia e della nostra scienza vanno cercate lì.


’68 E DINTORNI


Don Lorenzo Milani, che la Sinistra ritiene da decenni un prete dei suoi (ma lui se ne faceva beffe), scrisse, con i ragazzi della scuola di Barbiana, “Lettera a una professoressa”, un libro che veniva sbandierato dai Sessantottini come il loro testo di riferimento per la contestazione della “scuola borghese”.


Bene, credo che lo abbiano letto poco. Infatti, in quel libro, Don Milani, contestando il tempo che la scuola dedica ai classici, prosegue:


“Neanche un minuto solo sul Vangelo. Non dite che il Vangelo tocca ai preti. Anche levando il problema religioso restava il libro da studiare in ogni scuola e in ogni classe. A letteratura il capitolo più lungo toccava al libro che più ha lasciato il segno, quello che ha varcato le frontiere. A geografia il capitolo più particolareggiato doveva essere la Palestina. A storia i fatti che hanno preceduto, accompagnato e seguito la vita del Signore. In più occorreva una materia apposta: scorsa sull’Antico Testamento, lettura del Vangelo su una sinossi, critica del testo, questioni linguistiche e archeologiche. Come mai non ci avete pensato? Forse chi v’ha costruito la scuola Gesù l’aveva un po’ in sospetto: troppo amico dei poveri e troppo poco amico della roba”.


Altro che presepio a scuola: don Milani voleva il Vangelo come programma di studio fondamentale in tutte le materie.


Ma – si dirà – per quanto considerato di sinistra lui era pur sempre un prete. Eppure anche Immanuel Kant, vate della cultura laica europea, affermava: “Il Vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra cultura”.


Un paio di aneddoti illuminanti.


AMARCORD


Attorno al 1978 frequentavo la Facoltà di Lettere e filosofia a Siena e seguivo in particolare i corsi di Critica letteraria tenuti da Franco Fortini. Era un professore straordinario, da cui ho imparato tantissimo. Un intellettuale affascinante.


Fortini stava fuori dagli schemi: era marxista, ma antistalinista, era ebreo (lui e suo padre subirono la persecuzione delle leggi razziali), ma critico con lo Stato d’Israele. Noi facevamo discussioni accesissime, furono scontri epici. Ma fecondissimi.


Una mattina iniziò la lezione leggendo (meravigliosamente) dei versi. In pochi riconoscemmo che era il “Mercoledì delle ceneri” di Eliot: “Perch’i’ non spero più di ritornare/ Perch’i’ non spero..”.


Quel giorno era appunto il Mercoledì delle ceneri e lui si mise a chiedere se sapevamo cosa significava. La maggior parte non ne sapeva niente. Così Fortini fece lezione per spiegarci che non era possibile studiare letteratura, filosofia, storia dell’arte o storia in Italia senza sapere tutto del cattolicesimo. Tanto più, disse, se uno si professa marxista.


Le stesse, identiche considerazioni poi mi furono fatte, qualche anno dopo, da Massimo Cacciari, quando lavoravo al “Sabato”, durante un’intervista. Cacciari, originariamente marxista, si occupa da sempre di teologia ed era inorridito dall’ignoranza in materia religiosa che riscontrava nei suoi studenti.                                                                                         E’ una questione centrale della formazione e la scuola non l’ha ancora compreso. Non è una questione confessionale, ma culturale e educativa.


PURE GLI ANTICLERICALI                                                                                                                                                


Ho già ricordato – su queste colonne – cos’hanno scritto in proposito i campioni della nostra cultura laica. Nella sua “Storia dell’idea d’Europa”, Federico Chabod dice:


il Cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c’è fra noi e gli Antichi (…) è proprio dovuta a questogran fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il verbo cristiano. Anche i cosiddetti ‘liberi pensatori’, anche gli‘anticlericali’ non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo”.


E il papa laico, Benedetto Croce, il maestro della cultura liberale, nel saggio del 1942 “Perché non possiamo non dirci cristiani”, spiegava:


“Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta (…). Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate (…). E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni (…) non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana (…) perché l’impulso originario fu e perdura il suo”.


Ripeto: il problema della scuola italiana non è il presepio, ma l’ignoranza.


 


Antonio Socci





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26/12/2015 22:25
 
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E’ GESU’ LA VERA “GIOVENTU’ BRUCIATA” (CE LO DICE IL NATALE…)
Posted: 24 Dec 2015 03:39 AM PST
Forse “Via delle storie infinite” sarebbe la giusta dislocazione per “il caffè della gioventù perduta” di cui parlava Guy Debord. La vedo ogni giorno questa generazione di venticinquenni e di trentenni. Volti che fanno tenerezza. Destini incerti come le foglie nei boschi di dicembre. Proprio nell’età che dovrebbe essere quella della fioritura, della fecondità, dell’energia.

Silenziosi, pur trovandosi a pagare tutti i conti degli errori della generazione precedente.

Sembrano naufraghi in una terra di nessuno. Ci sono fra loro anche i “pirla”, come in ogni compagnia, ma perlopiù è una generazione di ragazzi bravi, intelligenti, col segreto dolore di chi si sente fuori luogo, senza definizione, anonimo, senza un posto nel presente e forse nel futuro: “non c’era posto per loro in quell’albergo”.

Così – col versetto evangelico riferito a Maria e Giuseppe (due altri giovani di duemila anni fa, con un figlio che doveva nascere) – con quelle parole del Vangelo, si può descrivere la condizione di questa generazione.

IL SENSO DELLA VITA

Non c’è “un posto” per loro. Non solo un posto di lavoro (e il lavoro è tanto per un uomo). Ma non hanno un posto nel mondo: una dimora, una patria, una terra che abbia un perché, una bellezza e un futuro. Non hanno padri che dicano loro chi sono e per cosa vale la pena vivere.

Abbandonati. Perduti. Senza sapere da chi sono stati fregati. Smarriti come solo si può smarrire un figlio all’aeroporto. In una terra di nessuno, che non è più il tuo Paese e non è nemmeno una terra straniera. E’ un non-luogo. Sembra (ma non è così) che per loro non sia in partenza nessun volo. Non sentono chiamate.

Sono spaesati. Si dice che il nostro non è un Paese per giovani. Ma è perduta questa gioventù o è perduto un tale Paese?

Guy Debord – ricordate il Situazionismo e la “Società dello spettacolo”? – fece una suggestiva parafrasi dell’incipit della Divina Commedia, che sembra un affresco di oggi: “Nel mezzo del cammino della vera vita, eravamo circondati da una malinconia oscura, che tante parole tristi e beffarde hanno espresso, nel caffè della gioventù perduta”.

Stava in un libro strano con un titolo misterioso: “In girum imus nocte et consumimur igni”. Questo bizzarro titolo latino, un vero palindromo (si può leggere egualmente da sinistra a destra e viceversa) è in realtà una citazione dell’esametro imperfetto che è stato attribuito a Paolo Silenziario, un poeta bizantino del VI secolo d.C.

Pare sia dedicato alle falene o alle torce (ma vale per tutte le gioventù bruciate) e significa: “Andiamo in giro di notte e veniamo consumate dal fuoco”.

Da quale fuoco? Dalla vita come passione inutile, come diceva Sartre? L’uomo deve ardere, ma per cosa? Consumarsi per nulla è la dissipazione e la disperazione. Una gioventù bruciata (dagli altri o da se stessi) è l’opposto dell’ardore.

Guardo i bei volti dei miei figli e mi chiedo: quale giovinezza è veramente perduta e bruciata? Non è forse quella che non conosce il suo significato?

Bisogna donare la propria vita (e così farne un capolavoro) prima che il tempo ce la rubi. Questo è il vero fuoco, così la giovinezza non sfiorisce mai. Sapere per cosa (per chi) si vive. E si muore.

Toni Negri ha scritto un libro autobiografico di 600 pagine. C’è una frase che colpisce: “‘Papà, che cosa vuol dire morire?’, chiede mia figlia”. La risposta non arriva, in 600 pagine. E allora voglio raccontarvi una storia di ardore, cioè di amore. Una storia di vita che vince la morte.

LA GRANDE AVVENTURA

Era giovane anche Robert Southwell. Era un poeta. Nasce a Horsham St Faith in Inghilterra, viaggia per l’Europa, va a Parigi e poi a Roma (e non c’era l’Erasmus). A 19 anni, nel 1580, entra nella Compagnia di Gesù. A 23 anni è ordinato sacerdote. A 25 anni viene mandato, con Henry Garnett, in Inghilterra.

Era la sua patria, ma la corona aveva imposto l’anglicanesimo e perseguitava i cattolici. Un feroce decreto della regina Elisabetta comminava la pena di morte ai sacerdoti cattolici che fossero trovati sul suolo inglese.

Era un bagno di sangue terribile. Un martirio che fece molte vittime illustri. Così Robert entrò clandestinamente nel suo Paese. A quel tempo i gesuiti erano un po’ i “marines” della Chiesa.

Si trovavano sempre nelle imprese più ardimentose, che si trattasse delle foreste amazzoniche (si ricorda il film “Mission”) o dei Paesi sotto tirannie anticattoliche, si trattasse di solcare gli oceani fino all’India e al Giappone, come Francesco Saverio, o di entrare alla corte degli imperatori cinesi come Matteo Ricci.

Il giovane padre Robert svolse in Inghilterra il suo lavoro missionario, in segreto, per nove anni. Poi, nel 1592, a 31 anni, fu denunciato, arrestato e accusato di far parte di un complotto per assassinare la regina Elisabetta.

Durante la prigionia fu brutalmente torturato, ma lui sempre si dichiarò innocente sostenendo che dovevano giudicarlo il popolo inglese e Dio. Nel 1595, a 34 anni, fu condannato a morte per tradimento (come si vede non ci sono solo gesuiti troppo amici dei potenti anticattolici, ma anche dei grandi gesuiti martiri).

Gli fu tagliata la testa e il corpo fu fatto a pezzi. Ma quando il boia sollevò il suo capo mozzato, quel 21 febbraio, a Tyburn, il popolo non gridò “Traditore!”, come di consueto. Il giudizio del suo popolo era contenuto in un triste silenzio di sgomento.

E il giudizio di Dio? Robert Southwell fu beatificato nel 1929 e fu proclamato santo nel 1970 da Paolo VI. E’ uno dei quaranta martiri d’Inghilterra e del Galles. Un giovane santo e martire.

Una gioventù bruciata, la sua, si direbbe. Ma bruciata per amore, per il grande Amico, per il vero Re dell’universo, un Re croficisso.

Così Robert Southwell conquistò un’eterna giovinezza. E’ sua una memorabile poesia su quel fuoco, su quell’ardore, su questa giovinezza bruciata (vedi sotto il testo integrale).

Southwell fu un grande poeta ed ebbe un’influenza decisiva sulla letteratura inglese, a cominciare da William Shakespeare di cui fu amico: c’è chi sostiene che proprio grazie a lui Shakespeare sia morto (segretamente) da cattolico.

Southwell appartiene a quel fiume di poesia metafisica che comprende anche John Donne e arriva a Thomas S. Eliot, passando per quello straordinario poeta che fu Gerard Manley Hopkins (1844-1889), un convertito al cattolicesimo diventato anche lui gesuita.

CUORI ARDENTI

Dunque, dicevo, fra le poesie di Southwell ce n’è una, strana e struggente, intitolata “The Burning Babe” (Il bambino che brucia), una poesia apprezzata da due artisti apparentemente così lontani da Southwell, come Dylan Thomas e Ben Jonson. E’ stata recentemente trasformata in canzone dal violinista folk inglese Chris Wood ed è stata cantata da Sting nella cattedrale di Durham.

Inizia in una sorta di foresta oscura, che è la vita di tutti, dove accade qualcosa: “Una bianca notte d’inverno, tremando nella neve,/ Fui sorpreso da un improvviso calore che m’infiammava il cuore”.

L’ “everyman” che racconta questa situazione allegorica si accorge che il calore gli viene da un “bambino raggiante”, lì vicino, che soffre per essere avvolto nelle fiamme e versa fiumi di lacrime che quasi le spengono.

Il fanciullo parla: “appena nato mi consumo in fiamme ardenti,/ eppure nessuno si avvicina a riscaldarsi il cuore o a sentire il mio fuoco!”.

Ma da dove vengono quelle fiamme? Lo spiega il bimbo: “Il mio petto innocente è la fornace, la legna ha rovi laceranti,/ Amore è il fuoco, il fumo son sospiri, le ceneri insulti e scherno;/ Giustizia porta la legna e misericordia soffia sui carboni”.

E’ un fuoco che trasforma il duro metallo delle “anime degli uomini”, piene di sozzura, per rinnovarle, e dopo le fiamme “mi scioglierò in un bagno per lavarle nel mio sangue”.

Conclude il poeta: “Dette queste parole sparì alla mia vista dissolvendosi d’improvviso,/ e subito mi ricordai che era il giorno di Natale”.

E’ venuto al mondo per dare la sua vita per te, una follia d’amore, perché tu fossi felice per sempre.


Antonio Socci
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19/02/2016 21:53
 
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APOCALYPSE NOW. I MEDIA CELEBRANO L’INCONTRO FRANCESCO-KIRILL, MA CENSURANO L’ESPLOSIVA DICHIARAZIONE. STORICO PATTO PER COMBATTERE ISLAMISMO E LAICISMO OBAMIANO ED EUROPEO


C’è uno sfondo quasi apocalittico nello storico incontro di papa Francesco con il patriarca ortodosso Kirill e s’intravede nella solenne Dichiarazione che hanno firmato: Dalla nostra capacità di dare insieme testimonianza dello Spirito di verità in questi tempi difficili dipende in gran parte il futuro dell’umanità”.




E’ un’ombra apocalittica che – in modo discreto – si trova nel magistero di tutti gli ultimi papi, da Pio XII a Benedetto XVI (ne parlo proprio nel mio libro, “La profezia finale”).


Siamo del resto nell’epoca della minaccia atomica planetaria e oggi del terrorismo globale. Il tempo in cui l’autodistruzione dell’umanità è diventata possibile.


E’ stato lo stesso Francesco, ripartendo verso il Messico, a sottolineare sull’aereo questo aspetto con una frase enigmatica: “Io mi sono sentito davanti a un fratello… Due vescovi che parlano… sulla situazione del mondo, delle guerre, che adesso rischiano di non essere tanto ‘a pezzi’, ma che coinvolgono tutto”.


Finora Francesco aveva detto che è in corso una “terza guerra mondiale a pezzi”. Ora intravede il rischio della sua esplosione globale.


Sono stati proprio i tempi drammatici che viviamo a urgere per questo riavvicinamento della cristianità orientale e di quella romano-cattolica.


Ortodossi e cattolici si sono già trovati uniti nel martirio sotto i totalitarismi del Novecento (il secolo del grande macello di cristiani) e di nuovo oggi si trovano perseguitati e uccisi insieme, soprattutto in Medio Oriente dove si stanno sradicando intere (e antichissime) chiese.


PERSEGUITATI


Questo è il principale motivo dello storico incontro e la “Dichiarazione” lo afferma esplicitamente:


Il nostro sguardo si rivolge in primo luogo verso le regioni del mondo dove i cristiani sono vittime di persecuzione. In molti paesi del Medio Oriente e del Nord Africa i nostri fratelli e sorelle in Cristo vengono sterminati per famiglie, villaggi e città intere. Le loro chiese sono devastate e saccheggiate barbaramente, i loro oggetti sacri profanati, i loro monumenti distrutti. In Siria, in Iraq e in altri paesi del Medio Oriente, constatiamo con dolore l’esodo massiccio dei cristiani dalla terra dalla quale cominciò a diffondersi la nostra fede e dove essi hanno vissuto, fin dai tempi degli apostoli, insieme ad altre comunità religiose.Chiediamo alla comunità internazionale di agire urgentemente per prevenire l’ulteriore espulsione dei cristiani dal Medio Oriente. Nell’elevare la voce in difesa dei cristiani perseguitati, desideriamo esprimere la nostra compassione per le sofferenze subite dai fedeli di altre tradizioni religiose diventati anch’essi vittime della guerra civile, del caos e della violenza terroristica”.


C’è poi un punto specifico sulla Siria, terreno di confronto fra Putin e Obama. La Dichiarazione che vuole dialogo e pace e chiede di debellare il terrorismo, è obiettivamente conflittuale con i progetti bellici di Turchia, Arabia Saudita e Stati Uniti.


STORIA ROVESCIATA


E’ noto che la Chiesa ortodossa russa è oggi molto vicina al presidente Putin che ha scelto – come prospettava profeticamente Solzenicyn negli anni Settanta – di liberare il Paese dall’ideologia comunista (e dai tentativi di colonizzazione occidentale) tornando alle radici cristiane del popolo russo.


La Dichiarazione dà un grande riconoscimento a questa rinascita cristiana dei Paesi che subirono l’ateismo marxista.


E poi il Papa e il Patriarca denunciano la “restrizione della libertà religiosa” che si verifica in quei paesi occidentali che un tempo furono cristiani e liberali: “i cristiani si scontrano sempre più frequentemente con una restrizione della libertà religiosa, del diritto di testimoniare le proprie convinzioni e la possibilità di vivere conformemente ad esse. In particolare, constatiamo che la trasformazione di alcuni paesi in società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio ed alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa. È per noi fonte di inquietudine l’attuale limitazione dei diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo, cercano di spingerli ai margini della vita pubblica”.


Il riferimento è anzitutto all’Europa:


“invitiamo a rimanere vigili contro un’integrazione che non sarebbe rispettosa delle identità religiose. Pur rimanendo aperti al contributo di altre religioni alla nostra civiltà, siamo convinti che l’Europa debba restare fedele alle sue radici cristiane”.


Assistiamo così al ribaltamento della storia: mentre gli Stati Uniti di Obama incarnano oggi la minaccia di un imperialismo ideologico laicista e anticristiano, che viene pesantemente imposto anche attraverso istituzioni internazionali come l’Onu e la Ue, invece i Paesi ex comunisti rappresentano una resistenza a questa nuova “colonizzazione ideologica” (Francesco). E non intendono subirla come subirono il comunismo.


Questo fronte dell’Est non è politicamente compatto, ma anch’esso conflittuale (ad esempio Polonia e Russia non sono alleate). Vi sono ostilità politiche nei confronti di Putin.


Invece la comune religione cristiana supera le divisioni politiche e unisce cattolici e ortodossi nella battaglia contro le persecuzioni anticristiane e contro “la dittatura del relativismo” che si sta dispiegando in Occidente.


PAROLE ESPLOSIVE


Ecco quindi le fortissime parole contenute nella Dichiarazione sui cosiddetti “principi non negoziabili”. Anzitutto in difesa della famiglia naturale uomo-donna:


Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica”.


Il patriarca Kirill nell’estate del 2013 ha evocato scenari apocalittici attaccando proprio quella “serie di Paesi” dove “negli ultimi tempi” si stanno legalizzando i matrimoni omosessuali e dove “quelli che, in coscienza, combattono tali leggi imposte da una minoranza vengono repressi”.


Tutto ciò, secondo il Patriarca, che guarda gli eventi in un’ottica spirituale, è “un pericoloso segno dell’apocalisse”, quindi ha chiesto che tali leggi non si affermino nel “territorio della Santa Russia… perché questo significherebbe che la nazione ha intrapreso la strada dell’autodistruzione”.


Parole simili aveva pronunciato anche il cardinal Bergoglio nel 2010 da arcivescovo di Buenos Aires: “Qui c’è l’invidia del Demonio, attraverso la quale il peccato entrò nel mondo: un’invidia che cerca astutamente di distruggere l’immagine di Dio, cioè l’uomo e la donna che ricevono il comando di crescere, moltiplicarsi e dominare la terra”.


Nella Dichiarazione congiunta di venerdì poi si dice:Chiediamo a tutti di rispettare il diritto inalienabile alla vita. Milioni di bambini sono privati della possibilità stessa di nascere nel mondo. La  voce del sangue di bambini non nati grida verso Dio (cfr Gen 4, 10)”.


C’è poi una dura condanna dell’eutanasia. Infine una forte preoccupazione per lo “sviluppo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, perché la manipolazione della vita umana è un attacco ai fondamenti dell’esistenza dell’uomo”.


E’ chiaro che la firma su questa Dichiarazione solenne espone il Papa sul tema oggi bollente in Italia delle unioni gay (è ben più duro di Bagnasco).


Si dirà che le sue successive dichiarazioni in aereo ne minimizzano la portata (“Non è una Dichiarazione politica, è una dichiarazione pastorale, anche quando si parla del secolarismo e di cose esplicite, della manipolazione biogenetica e di tutte queste cose”).


Tuttavia questo documento sottrae di fatto il Papa all’agenda Obama e onusiana a cui spesso è sembrato aderire. E forse l’irritazione degli ambienti obamiani, dell’establishment europeo e dei regimi islamisti non tarderà a farsi sentire.


 


Antonio Socci





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20/02/2016 22:17
 
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LA LETTERA CHE MI HA SCRITTO IL PAPA SU “LA PROFEZIA FINALE” E LA MIA RISPOSTA


Posted: 19 Feb 2016 04:00 AM PST




Venerdì scorso passavo frettolosamente da casa dei miei, piena di ricordi di mio padre, come il suo quadro più bello: un minatore esanime trasportato su una barella dai compagni (mio padre stesso in miniera un giorno rischiò la vita e restò mutilato).


E’ lui che mi ha insegnato che la vita è lotta per la propria dignità e per la verità. E mi ha testimoniato che la libertà è perfino più importante del pane.


A lui, che da minatore cattolico il 18 aprile 1948 si batté per la libertà del nostro Paese, devo l’insegnamento più importante: vivere senza menzogna.


E a lui ho pensato venerdì, quando mi è arrivata quella lettera per posta prioritaria. Mia madre stupita mi ha consegnato la busta bianca, col timbro della Città del Vaticano, sussurrandomi: “ma ti ha scritto il Papa?”.


In effetti la grafia era inequivocabile. Proprio il Pontefice, con una stilografica a inchiostro nero, ha tracciato il mio indirizzo e il mittente, dietro la busta (una “F.” per Francesco) e sotto: “Casa Santa Marta – 00120 Città del Vaticano”.


Ho pensato a mio padre perché per me è il simbolo di quel popolo cristiano a cui dobbiamo tantissimo, quel popolo cristiano che è disprezzato dall’establishment intellettualoide che esalta Francesco (penso a “Repubblica”). Quel popolo cristiano che si è sentito abbandonato dai suoi pastori negli ultimi tre anni.


Papa Francesco infatti ha un gran successo mediatico tra i mangiapreti, ma ha portato la Chiesa in una grande confusione. Basti vedere le dichiarazioni fatte anche ieri sul volo di ritorno dal Messico dove si è “immischiato” pesantemente sulle politiche dell’immigrazione, ma ha affermato di non volersi immischiare nella discussione italiana relativa alle unioni gay (eppure è vescovo di Roma e primate d’Italia).


Ma voglio fare un esempio più clamoroso.


L’IMPERO


Proprio venerdì, mentre ricevevo la sua lettera, vedevo il Santo Padre in tv per la Dichiarazione firmata da lui col Patriarca ortodosso Kirill. E’ un memorabile pronunciamento storico-politico con cui la Chiesa Cattolica romana e la Chiesa ortodossa, insieme, hanno rovesciato l’“Agenda obamiana” a cui il Papa si era finora – disastrosamente – sottomesso.


La Dichiarazione riporta la Chiesa sulla via di Benedetto XVI, infatti è un vero siluro contro “la dittatura del relativismo” dell’Occidente e contro la dittatura dell’islamismo dell’Oriente. E’ un grido di libertà che esalta le nostre radici cristiane, dall’Atlantico agli Urali, e ci restituisce alla grande storia dell’Europa dei popoli e delle cattedrali.


Il contrario di ciò che Francesco ha fatto in questi anni.


Infatti la Dichiarazione fa una vigorosa difesa (finalmente) dei cristiani perseguitati e della libertà religiosa a tutte le latitudini, con l’appello a una coraggiosa testimonianza cristiana nella vita pubblica; attacca la tecnocrazia nichilista dell’Europa occidentale che ha rinnegato le sue radici cristiane e che emargina fino al disprezzo i cristiani; infine fa una difesa tenace della famiglia naturale e della vita dal suo concepimento fino alla sua fine naturale.


Tuttavia, subito dopo la pubblicazione solenne e in mondovisione di questo documento, papa Bergoglio ha cercato di “rimangiarsi” la firma minimizzandone il significato. Riducendo tutto a una “photo opportunity”.


Come si spiega questa repentina e incredibile marcia indietro? Evidentemente l’Impero che ha “dimissionato” Benedetto XVI e che “sostiene” il pontificato di Francesco non gli consente di ribaltare la collocazione geopolitica della Chiesa.


Per questo Francesco (che pure sulla Siria nel 2013 si permise una coraggiosa indipendenza) è subito tornato nei confini assegnati. Gli è stato facile anche per la leggerezza con cui abitualmente dice, disdice e si contraddice, a seconda degli interlocutori. Il suo magistero è spesso cangiante come la veste di Saruman.


Probabilmente ora anche al Patriarcato di Mosca si chiederanno quanti Francesco sono in circolazione. Noi ce lo chiediamo da tre anni. Qualunque barca condotta così affonda, infatti la confusione nella Chiesa regna sovrana.


Forse per questo il Papa chiede insistentemente preghiere.


IMPLORARE


Purtroppo però lui ha molti adulatori, cortigiani, lustrascarpe e tifosi che lo esaltano, ma ben pochi pregano per lui e per la barca di Pietro che rischia di colare a picco fra gli applausi e le risa del mondo.


Io invece prego per lui.


Nel mio libro “La profezia finale”, ho concluso così la lettera aperta a Franceso dove lo esortavo a combattere virilmente con noi la “santa battaglia” contro la notte, contro il “Mysterium iniquitatis” ormai dilagante:


“io vivo anche una mia guerra personale, durissima, che combatto con la mia famiglia contro il male e che da anni ci fa stare sul Calvario (…). Le assicuro che nell’offerta di questo martirio – insieme a tutta la Chiesa e all’umanità – c’è anche lei, con papa Benedetto XVI. La nostra preghiera è a Dio, perché restituisca e conservi sempre alla Chiesa e al mondo la luce del Vicario di Cristo, specialmente nelle tenebre dell’ora presente. Caro papa Francesco, sia uno dei nostri veri pastori sulla via di Cristo, con papa Benedetto che la sostiene con la preghiera e il consiglio: aiuti anche lei la Chiesa, oggi smarrita e confusa, a ritrovare la via del suo Salvatore e così riaccenderà quella luce che permetterà all’umanità di non perdersi in un abisso di violenza. Tutti i santi del Cielo pregano per questo”.


Nelle pagine precedenti del libro non ho lesinato (dolorose e amare) critiche a questi tre anni di Francesco, e l’ho esortato a difendere la Chiesa e la fede cattolica anziché farsi “usare” ed esaltare dai nemici di essa.


L’ho implorato di non umiliare più la Chiesa, di non proclamare la resa, solidarizzando con gli avversari, ma invece di opporsi al dominio del “nuovo potere” che – come diceva Pasolini – è “completamente irreligioso, totalitario, violento, falsamente tollerante, anzi, più repressivo che mai, corruttore, degradante”.


ALTRE STRADE?


Io credo che nel profondo papa Francesco ne sia convintissimo. E, dibattendosi fra gli Imperi, cerchi una strada che scaltramente tolga la Chiesa dall’angolo: ma si può essere più scaltri di Dio?


Può esservi una via più “scaltra” di quella di Cristo che è la testimonianza alla verità fino alla croce? Può esserci un annuncio del Vangelo che non sia anche un giudizio sul mondo e sulle tenebre dei poteri mondani? “Se non c’è lotta non c’è cristianesimo” dice Benedetto XVI.


E’ stolto mettersi contro il Potere? San Paolo ci avverte che è attraverso la “stoltezza” della predicazione della verità che Dio salva il mondo “perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Co 1, 25).


Queste sono le cose che ho scritto nel mio libro e su queste mi ha risposto il Papa.


LA LETTERA


Quando ho aperto la busta ho visto che era tutto di suo pugno. So capire il senso di certi “dettagli”: i Pontefici comunicano attraverso la Segreteria di Stato (ho ricevuto in passato altre missive papali di questo tipo).


Invece questa lettera autografa scritta dal Papa stesso e inviata direttamente, senza passare per nessun ufficio vaticano, ha un significato preciso: vuole essere un segno di familiarità, un gesto paterno, di affetto e di comunione.
Pur sapendo quanto papa Bergoglio ami uscire fuori dai formalismi, non me lo aspettavo. Gli avevo fatto inviare dalla Rizzoli il mio libro perché il sottotitolo recita: “Lettera a papa Francesco sulla Chiesa in tempo di guerra”.

Su quel volume avevo scritto una dedica in cui spiegavo al Papa che il libro contiene ciò che in coscienza mi sento in dovere di dirgli. Ma dopo averlo fatto inviare non ci ho pensato più.

Sono dunque rimasto molto sorpreso vedendo la lettera e leggendo le parole – davvero non formali – di papa Francesco:

 

Vaticano 7 febbraio 2016  

 

Sig. Antonio Socci

Caro fratello:

 

Ho ricevuto il suo libro e la lettera che lo accompagnava. Grazie tante per questo gesto. Il Signore la ricompensi.

Ho cominciato a leggerlo e sono sicuro che tante delle cose riportate mi faranno molto bene. In realtà, anche le critiche ci aiutano a camminare sulla retta via del Signore.

La ringrazio davvero tanto per le sue preghiere e quelle della sua famiglia.

Le prometto che pregherò per tutti voi chiedendo al Signore di benedirvi e alla Madonna di custodirvi.

Suo fratello e servitore nel Signore,

 

Francesco

 

Sono parole che non lasciano indifferenti. Ci sono cose di questo Papa che mi commuovono profondamente (l’ho scritto nel libro).

Mi entusiasma la sua libertà evangelica, la sua semplicità, il suo essere fuori dagli schemi clericali. E’ emozionante quando parla dello sguardo di Gesù o, come nei giorni scorsi a Guadalupe, degli occhi materni di Maria. E quando ricorda che il nostro Salvatore non vuole perdere nessuno e si prende ciascuno di noi sulle spalle.

Ma infine un pontificato è anzitutto il suo magistero e il suo governo della Chiesa e di fronte allo smarrimento e alla confusione che in questi tre anni hanno investito il popolo cristiano ho dovuto e voluto dire la verità, a costo del suicidio professionale e morale.

PARRESIA, NON IPOCRISIA

Ho buttato alle ortiche quello che il mondo definisce “prestigio”, costruito in decenni di lavoro, per diventare un reietto nel mondo cattolico, che è la mia casa.

Diventato di colpo un “appestato”, in questi due anni ho fatto indigestione di insulti. Quelli più frequenti sono stati i seguenti: “sei un indemoniato” e “sei impazzito”.

Altri poi hanno invocato l’arrivo di un esorcista, del Tso o perfino una sentenza di scomunica, hanno insinuato addirittura che fossi stato accalappiato da qualche setta, da qualche bislacco guru o da qualche oscuro “potere” e hanno sentenziato che sarei ormai fuori dalla Chiesa.

Mi hanno messo al bando dai loro media ed è stato messo all’Indice un mio volume in certe librerie cattoliche dove, magari, vendono Augias e Mancuso. C’è perfino chi ha fatto disgustose considerazioni sulle traversie vissute dalla mia famiglia.

Oggi però le parole che Francesco mi ha scritto fanno giustizia di mesi e mesi di insulti. Sono anzitutto, per ciascuno di noi, un esempio di umiltà e di paternità.

Ma la legittimazione delle “critiche al papa”, contenuta nella lettera, mi pare anche che insegni ad essere cristiani virili e non pavidi o opportunisti. Si deve parlare con “parresia” e non con calcolata ipocrisia.

Nel mio libro avevo riportato le parole del vescovo spagnolo Melchor Cano (1509-1560), grande teologo del Concilio di Trento: “Pietro non ha bisogno delle nostre bugie o della nostra adulazione. Coloro che difendono ciecamente e indiscriminatamente ogni decisione del Sommo Pontefice sono quelli che più minano l’autorità della Santa Sede: distruggono, invece di rafforzare le sue fondamenta”.

Così motivavo la mia franchezza, come un piccolo aiuto al vescovo di Roma. E’ molto bello che ora il Papa risponda al mio libro confermando tutto: “In realtà, anche le critiche ci aiutano a camminare sulla retta via del Signore”

Francesco del resto sa bene che, per lui, il pericolo non viene dalla franchezza dei figli di Dio, ma dalla corte: un giorno arrivò a dire che “la corte è la lebbra del papato”.

E’ vero del resto che nella Curia romana e nelle altre curie, sotto il suo pontificato, domina un clima di vero terrore, un’oppressiva aria inquisitoriale, mai vista prima. Ed è sua responsabilità.

Il modo come ha condotto le vicende ecclesiali in questi anni e anche l’ultimo Sinodo purtroppo dimostrano che insieme al Francesco paterno e comprensivo ce n’è uno che usa il potere in modo molto duro. Talora anche per imporre alla Chiesa dottrine eterodosse.

E’ lui che usa il pugno di ferro contro famiglie religiose o ecclesiastici di grande fede e ortodossia e poi elogia e promuove chi va dietro ai venti delle ideologie mondane.

Continuo a sperare vivamente che egli metta fine a questo clima ed esorti tutti a stare nella Chiesa con la libertà e la dignità dei figli di Dio, come lo stesso Concilio insegna (senza temere epurazioni, vendette e umiliazioni).

Ma spero soprattutto che sia fedele alla missione di Pietro, cioè che difenda la fede cattolica e non la svenda e nemmeno la stravolga: questo non gli è lecito. Non può farlo.

“Perché anche il papa” diceva Joseph Ratzinger “non può fare quello che vuole. Non è un monarca assoluto, come un tempo lo furono alcuni re. È tutto il contrario, Egli è il garante dell’ubbidienza. Egli è il garante che noi non siamo dell’opinione sua o di chicchessia, ma che professiamo la fede di sempre che egli, ‘opportune importune’, difende contro le opinioni del momento”.

 

Antonio Socci  19 febbraio 2016


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29/03/2016 12:15
 
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E’ VERAMENTE RESUSCITATO. CI SONO LE PROVE RAZIONALI


Posted: 27 Mar 2016 01:56 AM PDT



Ogni anno a Pasqua si celebra la resurrezione di Cristo. Ma nessuno s’interroga sulla verità della notizia: Gesù è davvero risorto? O è il più clamoroso falso della storia?


Molti cristiani credono che sia risorto, ma non sanno dare le ragioni di questa fede e gli agnostici o atei non vi credono in modo egualmente irrazionale. Senza ragioni.


Sanno dire solo: è impossibile. Ma è proprio così? Un vero scettico dovrebbe andare fino in fondo e dubitare pure del proprio scetticismo.


Il più importante filosofo dell’ateismo del XX secolo, Anthony Flew, che negli ultimi anni della sua vita, studiando la fisica di Einstein e la biologia (il Dna), ha rinnegato la sua opera precedente ed è arrivato alla certezza razionale dell’esistenza di Dio, ha dato la risposta più logica: “Non si possono limitare le possibilità dell’onnipotenza”.


Un altro filosofo e matematico, Blaise Pascal, diceva: “Con che ragione vengono a dirci che non si può risuscitare? Che cos’è più difficile: nascere o risuscitare? E’ più difficile che ciò che non è mai stato sia o che ciò che è stato sia ancora? E’ più difficile essere o ritornare a essere? L’abitudine ci fa sembrare facile l’essere; la mancanza di abitudine ci fa sembrare impossibile il ritornare a essere. Che modo ingenuo, popolare di giudicare!”.


In effetti noi non riflettiamo mai sul “miracolo” del venire all’esistenza. Ma su scala cosmica è ancora più sconvolgente il venire all’esistenza dal nulla dell’universo intero.


CREAZIONE DAL NULLA


Gli scienziati oggi confermano la Bibbia. In effetti le cose sono andate così: il Big Bang è un evento inspiegabile, un improvviso scoppio di energia infinita che dal nulla ha dato origine al tempo e allo spazio.


Un celebre scienziato come Paul Davies, non particolarmente incline alla religiosità, scrive:


“Oggi molti astronomi e cosmologi sostengono la teoria secondo cui c’è effettivamente stata una creazione databile a circa diciotto miliardi di anni fa, quando l’universo fisico sorse all’improvviso con l’inimmaginabile esplosione volgarmente detta ‘big bang’ (…). L’ipotesi fondamentale – che, cioè, si sia data una creazione – è dal punto di vista scientifico del tutto accettabile. Essa infatti nasce da un vastissimo insieme di dati scientifici accomunati dalla legge fisica più universale a noi nota, la seconda legge della termodinamica”.


E sempre a proposito del Big Bang (che rientra nella categoria scientifica della “singolarità”) ha aggiunto:“Una singolarità è quanto di più prossimo a una entità sovrannaturale che la scienza ha saputo scoprire”.


Chi ha creato dal nulla tutto l’universo e la vita stessa, può ben riprendersi la vita dopo che – fattosi uomo per amore – è stato ucciso. Non vi pare?


Si deve dunque riconoscere la possibilità razionale che Gesù Cristo sia veramente la rivelazione di Dio, cioè Dio fatto uomo, e che sia risorto in quell’aprile dell’anno 30 a Gerusalemme. Tutto questo è ragionevole. Ed è verificabile.


NUOVA CREAZIONE


La Sindone rappresenta l’umile e doloroso segno fisico di quell’avvenimento unico verificatosi in quel sepolcro. Essa infatti – ci dice la medicina legale – ha sicuramente avvolto il corpo morto del crocifisso, ma per meno di 40 ore (in quanto non ci sono tracce di decomposizione) e quel corpo si è sottratto alla legatura del lenzuolo – dopo un giorno a mezzo – senza alcun movimento (come dimostrano i coaguli di sangue intatti), come passandovi attraverso.


Un’altra prova dell’evento soprannaturale poi è il formarsi stesso dell’immagine in modo inspiegabile, anche perché non è avvenuto per contatto, ma per lo sprigionarsi di un’energia sconosciuta che ha bruciato la parte superficiale del lino lasciando un’immagine tridimensionale.


Quella sua resurrezione rappresenta – per la teologia cristiana – l’inizio di una “nuova creazione”, di cieli nuovi e terra nuova (come il Big bang ha dato inizio alla creazione del cosmo).


Infatti il corpo risorto di Gesù, pur essendo lo stesso corpo di carne, ha caratteristiche fisiche divinizzate, sottratte ai limiti di tempo e di spazio. E’ un “corpo glorioso”.


UNA STORIA UNICA


La vicenda terrena di Gesù era stata già un evento eccezionale perché ha realizzato perfettamente circa 300 profezie messianiche contenute nell’Antico testamento e risalenti a secoli prima.


La questione delle profezie mostra che egli era l’Atteso, il Desiderato. Ma è anche un fatto unico nella storia che indica la sua assoluta signoria sul tempo.


Lui del resto manifestò poteri divini durante la sua vita terrena attraverso miracoli, segno di un potere sulla natura che nessun uomo possiede.


I suoi miracoli sono storicamente testimoniati non solo dai testi cristiani, ma anche dal Talmud babilonese (Sanhedrin 43a), per di più in una pagina polemica con i cristiani.


E traspaiono dalla decisione dell’imperatore Tiberio di sottoporre al Senato di Roma – nell’anno 35 dC – il riconoscimento della religione cristiana e quindi di Gesù come “dio”.


Del resto c’è una pagina celebre di Giuseppe Flavio, lo storico ebreo-romano che scrisse attorno al 93 dC le “Antichità giudaiche”, dove si parla di Gesù come “uomo sapiente, se pure lo si deve definire uomo”.Gesù “compiva opere straordinarie” (cioè miracoli) e “attrasse molti a sé”. Giuseppe Flavio afferma: “Egli era il Cristo”. Fu crocifisso, ma “non smisero di amarlo” ed “Egli apparve loro il terzo giorno di nuovo in vita, secondo che i profeti avevano predetto di lui”.


Erroneamente nei tempi moderni si era sospettato che questo passo fosse un’interpolazione. Nel mio libro “La guerra contro Gesù” ripercorro le tappe degli ultimi studi che invece ne definiscono l’autenticità.


E va ricordato che Giuseppe Flavio era nato a Gerusalemme nell’anno 37 dC da una famiglia sacerdotale, quindi disponeva di testimonianze dirette.


VIENI E VEDI


D’altra parte la prova che gli apostoli e gli altri suoi amici portavano per dimostrare che Gesù era risorto, quindi è vivo, era molto semplice: egli continuava – attraverso di loro, che erano peccatori – a operare gli stessi prodigi straordinari che aveva compiuto durante la sua vita pubblica.


Fin dall’inizio infatti gli “Atti degli apostoli” riferiscono di questi miracoli che Pietro e gli altri cristiani attribuivano non a proprie capacità, ma a Gesù presente fra loro.


Tommaso d’Aquino insegna che per capire se un uomo è vivo occorre vedere se si comporta da vivo, cioè se agisce e interviene sulla realtà. Ed è esattamente questo che hanno annunciato i cristiani: “vieni e vedi”.


Il modo principale per “incontrarlo” è entrare nella comunità cristiana e sperimentare la potenza di Cristo che cambia l’esistenza e rende più uomini, più forti, rende la vita più vera e feconda. I volti dei santi fanno trasparire la sua bellezza. E le esperienze dei mistici spalancano l’eternità nel tempo.


Ma i miracoli continuano a verificarsi perché egli continua a compierli da duemila anni. Basta studiare i faldoni della commissione medica della “Congregazione per le cause dei santi” per trovarne un enorme repertorio.


Come ha scoperto – da atea – la dottoressa canadese Jacalyn Duffin che ne ha dato conto in una memorabile intervista alla Bbc e in un articolo intitolato “Can a scientist believe in miracles?”.


Fra questi miracoli – nel corso di duemila anni – sono stati contati circa 400 miracoli di resurrezioneottenuti dalla preghiera e dall’intercessione dei santi. Ovviamente questo tornare alla vita di persone morte è cosa diversa dalla resurrezione gloriosa di Gesù, che vivremo tutti alla fine dei tempi. Ma è una prova di quella sua resurrezione. Prova che Egli è vivo e opera.


Nei miei libri “Tornati dall’aldilà” e “Avventurieri dell’eterno” ho riferito delle resurrezioni avvenute pure oggi, grazie – per esempio – all’intercessione di padre Pio e Natuzza Evolo.


Ma c’è anche la resurrezione di un bambino avvenuta nel settembre 2010 per intercessione del vescovo americano Fulton Sheen (1895-1979).


C’è una sola conclusione da trarre: Egli è vivo. Ed è, misteriosamente, qui, fra noi.


.Antonio Socci



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31/07/2016 12:33
 
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SE DIO E’ MORTO….
ALCUNE VOCI AUTOREVOLI DENUNCIANO L’ANTICRISTIANESIMO DELLE ELITE.
DA CUI DERIVA L’ATTUALE AGONIA (ANCHE ECONOMICA) DELL’EUROPA E DELL’OCCIDENTE

michelangelo-pieta2

L’Italia, con l’Europa, si dibatte in un’impotenza e un’angoscia molto più profonde e gravi della stessa crisi economica.

Certo, questa crisi da noi sembra senza via d’uscita (aumenta la povertà, la disoccupazione giovanile è devastante, il sistema bancario trema) e si aggiunge all’aggressione del terrorismo, all’esplosione politica della Ue e alla marea migratoria.

Tuttavia è sempre più forte la convinzione che all’origine di tutto questo ci sia una crisi di civiltà. Che nasce da una disfatta spirituale, da una perdita di radici culturali e di identità religiosa.

L’altroieri un intellettuale laico e liberale come Ernesto Galli della Loggia lo scriveva nell’editoriale del Corriere della sera.

ELITE ANTICRISTIANE

Fra le cause di questa disfatta indicava la “delegittimazione ideologico-culturale” del Cristianesimo e “più in generale” del “nesso religione-società” (insieme ad altri fattori relativi alla decadenza dello Stato).

Questa, sostiene Galli, “è stata per gran parte l’opera di élite superficialmente progressiste, di debolissima cultura storica e politica, succubi delle mode, le quali hanno così creato un vuoto culturale e sociale enorme”.

Praticamente è l’identikit dello stesso Corriere della sera e di tutti i giornaloni del pensiero unico (è stato, giustamente, Massimo Bordin a far notare il paradosso di questa requisitoria contro le élite pubblicata sul giornale stesso delle élite).

Infatti fuori dal Palazzo, fuori dai salotti del pensiero unico, questa giusta intuizione di Galli (un pensatore intelligente e libero) è una certezza ormai da molto tempo. Perfino fra persone che non sono abitualmente dedite allo studio dei fatti sociali, ma all’azione.

COSA SIAMO?

Mi ha colpito, ad esempio, l’intervista, uscita due giorni fa, del generale di Corpo d’Armata Marco Bertolini, un uomo consapevole della cupezza dei tempi tanto da aver dichiarato il 2 luglio scorso: “Ad altri toccheranno sfide che alla mia generazione sono state risparmiate”.

Molto stimato nel suo mondo, il generale (ora in congedo) che è stato Comandante del Centro operativo interforze e ha guidato tante missioni militari italiane all’estero, nell’intervista ha dichiarato:

“Ritengo che una società che voglia sopravvivere, debba preservare con tutte le forze la propria identità e le proprie tradizioni. Poi, sarà ovvia, per ogni nuovo venuto, la necessità di adeguarsi alla nostra cultura. Ma se pensiamo che la nostra identità possa esclusivamente basarsi sul ‘Made in Italy’, sulle eccellenze della nostra cucina e sui centimetri di pelle nuda che esponiamo in pubblico, stiamo freschi.Senza radici cristiane, cosa ci resta da difendere, il nostro benessere? Quanto ai diritti, faccio parte di una generazione che era stata educata al rispetto dei propri doveri, vale a dire di quanto, come individui, si doveva alla comunità. I diritti, intesi come atti che la comunità deve all’individuo, non ci salveranno. Anzi”.

Parole lucide, profonde e coraggiose. Difficili da sentire in Italia. All’estero invece sì. Leggiamo sempre più spesso riflessioni analoghe.

SE DIO E’ MORTO

Per esempio Pat Buchanan, alcune settimane fa, ha pubblicato un articolo dal titolo eloquente: “If God is Dead…”.

Buchanan è un intellettuale e un politico conservatore ed è stato consigliere di Nixon e di Reagan. Oggi sostiene Trump.

In quell’articolo – riprendendo alcune considerazioni di Dennis Prager – biasima il laicismo delle élite:“Essi non si rendono conto del  disastro a cui l’ateismo ha portato in Occidente”.

Buchanan sostiene che l’America (e con essa l’Occidente) non può sopravvivere alla morte di Dio: “La religione di un popolo, la sua fede, crea la sua cultura, e la sua cultura crea la sua civiltà.  E quando una fede muore, muore la cultura, muore la civiltà  – e anche quel popolo comincia a morire. Non è questa la storia attuale dell’Occidente?”.

La diagnosi di Buchanan si allarga alle cause del fenomeno, reperibili nella storia del Novecento. Sintetizzata in una celebre battuta di Chesterton: “quando gli uomini cessano di credere in Dio, non è che non credano più in nulla; credono a tutto”.

In effetti – spiega Buchanan – “le elites europee, abbandonato il Cristianesimo, cominciarono a convertirsi alle ideologie, quelle che Russel Kirk chiamava ‘religioni secolari’.  Per un certo tempo, queste religioni laiche (marx-leninismo, fascismo, nazismo) hanno conquistato i cuori e le menti di milioni.  Ma sono oggi tra gli dèi che hanno fallito nel XX secolo. Così ora l’Occidente abbraccia le fedi più nuove: egualitarismo, democratismo, capitalismo, femminismo, ambientalismo, mondialismo.  Anche queste danno  significato alle vite di milioni; ma anche queste sono sostituti inadeguati della fede che partorì l’Occidente.  Infatti manca  ad esse la cosa che il cristianesimo ha dato all’uomo:  una causa per la quale vivere e per la quale morire, ed anche un codice morale ‘con cui vivere’ tutti i giorni – con la promessa che,  al termine di una vita vissuta secondo quel codice,  viene la vita eterna. L’Islam fornisce questa promessa. Il secolarismo non ha niente da offrire che eguagli una simile speranza”.

Buchanan rivendica i valori di libertà e dignità dell’uomo che l’America “ha insegnato al mondo”, ma – aggiunge – quei valori “risalgono alla cristianità” e oggi “con il cristianesimo morto in Europa, e lentamente morente in America, la cultura occidentale  diventa sempre più corrotta e decadente, e la civiltà occidentale è visibilmente in declino”.

Per Buchanan, fra tutti i leader, solo Vladimir Putin “che ha visto da vicino la morte del marxismo-leninismo, sembra capire l’importanza cruciale del cristianesimo per la Madre Russia”.

LA LEZIONE DI RATZINGER

Il tema delle radici religiose, necessarie all’Occidente, è di una tale evidenza che perfino sul Wall Street Journal, qualche mese fa, in un editoriale di Bret Stephens, si è potuto leggere che “la morte dell’Europa è all’orizzonte” non tanto “a causa della sua sclerotica economia o della sua stagnante demografia o delle sue disfunzioni statali”. Ma per ragioni morali. Per la “superficialità” della sua cultura che ha scordato le radici giudaico-cristiane.

L’editorialista citava la mente più illuminata di oggi, cioè Joseph Ratzinger: “È encomiabile che l’Occidente cerchi di essere più aperto, più comprensivo dei valori degli estranei, ma ha perso la capacità di amarsi. Nella sua stessa storia riesce solo a vedere ciò che è disprezzabile e distruttivo; non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. Ciò di cui l’Europa ha bisogno è una nuova accettazione di se stessa, se davvero vuole sopravvivere”.

Se l’Europa “non sarà fedele al suo patrimonio essenziale”, alle sue radici spirituali, “non potrà più esistere come Europa”, la quale è sempre stata caratterizzata “dal matrimonio tra ragione e rivelazione”.

Così “la tradizione politica liberale europea non potrà sopravvivere all’afflusso massiccio degli immigrati musulmani”.

Le considerazioni qui esposte non sono confessionali. Ma derivano da consapevolezza culturale e storica.

UN SAGGIO

Jonathan Sacks, rabbino capo del Regno Unito dal 1991 al 2013, un mese fa, ricevendo il Premio Templeton, ha tenuto un discorso che ha fatto clamore, dove esprimeva preoccupazioni simili:

Il futuro dell’occidente, l’unica forma che ha aperto la strada alla libertà negli ultimi quattro secoli, è a rischio. La civiltà occidentale è sull’orlo di un crollo”.

Il sintomo di questa crisi, per il Rabbino, è il crollo demografico che “ha portato a livelli senza precedenti di immigrazione”.

Ma – ricordato che l’immigrazione di massa non può essere la risposta – ha spiegato che la crisi demografica deriva dalla crisi spirituale: “Senza memoria, non vi è identità. E senza identità, siamo solo polvere sulla superficie dell’infinito”.

Così anche l’integrazione degli immigrati diventa impossibile “perché quando una cultura perde la memoria perde l’identità e quando una cultura perde l’identità non c’è niente in cui far integrare le persone”.

.

Antonio Socci


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13/08/2016 12:32
 
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GUARDARE STELLE CADENTI CONTESTANDO (SENZA SAPERLO) “LA DITTATURA DEL RELATIVISMO”


nottestellata1

Ieri molti hanno cercato di vedere le stelle cadenti. E’ dalla notte dei tempi che gli uomini guardano il cielo stellato pieni di meraviglia e di timore: uno spettacolo commovente perché ha a che fare col mistero del nostro essere nell’universo, con la nostra solitudine.


C’è una traccia nella nostra lingua, nella parola “desiderio”. Infatti “de-sidera” etimologicamente rimanda all’impossibilità di vedere le stelle, quando gli aruspici non potevano scrutare gli astri per decifrare un destino e i viandanti non potevano orientarsi per ritrovare la strada.


Così gli antichi chiamavano “desiderantes” quei soldati romani che, preoccupati, attendevano il ritorno incerto dei propri compagni dal campo di battaglia.


Ma “desiderantes” sono tutti coloro che soffrono una mancanza o una nostalgia, siamo tutti noi per il buio che avvolge il nostro destino.


Soldati di non si sa quale guerra, inquieti viandanti, inappagati sognatori alla ricerca di noi stessi, con tante domande sul senso della vita e sulla nostra sorte, come in una notte senza stelle.


Con la sua sensibilità ebraica, George Steiner dice: “Siamo le creature di una grande sete, ossessionate dal ritorno a una casa che non abbiamo mai conosciuto. […] Più che ‘homo sapiens’, l’uomo è ‘homo quaerens’ ”.


E’ una creatura desiderante e mendicante. E chissà che ad ogni stella cadente non si dica “esprimi un desiderio” per questa antica memoria che lega “sidera” (stelle) a “de-sidera”.


IL CAOS DANZANTE


In realtà sappiamo che quelle scie luminose che solcano la volta celeste sono solo detriti spaziali che cadono nella nostra atmosfera e per l’attrito s’incendiano.


L’universo intero di per sé è uno spaventoso ammasso di gas infuocati nello spazio tenebroso e senza vita, ovvero – ciò che atterriva Pascal – un immane abisso, orrido, di gelo e di fuoco, teatro di continue catastrofi cosmiche.


Ma da tempo immemorabile gli uomini hanno colto in tutto questo un misterioso ordine, un’armonia e quindi una suggestiva bellezza. Trasformarono il “caos danzante” nel “cielo stellato”.


Cercarono di decifrare il linguaggio del cosmo cogliendo negli astri figurazioni simboliche che chiamarono costellazioni. Poi studiarono il moto regolare dei corpi celesti e il legame dell’uomo con l’universo.


Il dato naturale divenne così un fatto culturale, “il cielo stellato sopra di me” rifletteva il cielo stellato “dentro di me”. E tutto questo diventò una civiltà millenaria.


Cosicché noi oggi guardiamo le “stelle cadenti”, ma non ne siamo atterriti perché vediamo in realtà il “notturno” dipinto da Van Gogh e suonato da Chopin. Anche se non ne siamo consapevoli.


Che lo sappiamo o no, guardare il cielo stellato nel 2016 è un potente gesto anti-relativista. Noi infatti vediamo lassù un ordine, una bellezza, che è dentro di noi e che abbiamo imparato o ereditato dalla cultura che abbiamo respirato.


“Dopo Van Gogh i cipressi ardono, dopo Klee gli acquedotti camminano” ha scritto Steiner.


Il cielo stellato che “vediamo” è in realtà l’immagine che riceviamo dalla nostra civiltà, che abbiamo interiorizzato anche se non abbiamo studiato.


OMERO IN NOI


Pochi – guardando il cielo in questi giorni – rammenteranno le leopardiane “Ricordanze”:


“Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea


Tornare ancor per uso a contemplarvi…”.


Ma in realtà tutti hanno già lo sguardo e la poesia di Leopardi addosso, anche se non ne conoscono un verso, perché fa parte della cultura che li ha cresciuti e si è fatta in loro carne, sangue, occhi e cuore.


E tutti avranno, inespresse nel cuore, le sensazioni e le domande che Leopardi rappresentava col suo pastore errante dell’Asia:


E quando miro in cielo arder le stelle,


Dico fra me pensando:


A che tante facelle?


Che fa l’aria infinita, e quel profondo


Infinito seren? che vuol dir questa


solitudine immensa? ed io che sono?”


Lo sguardo dell’uomo verso l’infinito, così come si è stratificato nella cultura umana, nella religiosità, nelle civiltà, è oggi il nostro sguardo personale, la nostra sensibilità spontanea. Anche se non ce ne rendiamo conto.


Infatti il “nostro” cielo stellato si trova già agli inizi della letteratura. Piero Boitani, nel suo splendido volume “Il grande racconto delle stelle” (Il Mulino) spiega che “la prima immagine letteraria delle stelle” ha circa tremila anni e si trova nel libro VIII dell’Iliade:


“come quando le stelle nel cielo, intorno alla luna che splende,


appaiono in pieno fulgore, mentre l’aria è senza vento,


e si profilano tutte le rupi e le cime dei colli e le valli;


e uno spazio immenso si apre sotto la volta del cielo,


e si vedono tutte le stelle, e gioisce il pastore in cuor suo:


tanti falò splendevano dalle navi e il letto di Xanto, quando i Troiani accesero i fuochi davanti alle mura di Ilio”.


Ma perché Omero rappresenta questo bellissimo notturno (in cui già troviamo i versi di Leopardi)? Cosa c’entra con quell’atroce e antica guerra? La legge della poesia, spiega Boitani, impone ad Omero di “cantare la notte e le stelle e il cielo infinito: il bello, il sublime”.


E’ la stessa sublime bellezza di Elena che fu la causa di quella guerra. Così, per cantare la bellezza del cielo stellato, Omero fa fermare Ettore, il quale non scatena l’attacco definitivo che forse gli avrebbe dato la vittoria.


“Perché noi si possa guardare le stelle, Troia perde la Guerra. Forse ne vale la pena”, conclude Boitani. Questa è la morale: nella bellezza sublime del cielo stellato rifulge qualcosa che vale più della vita e della vittoria terrena.


Il volume di Boitani è una brillante ed erudita traversata dell’arte universale “sotto le stelle”, ma l’autore segnala che la scienza moderna non ha affatto dissolto la bellezza e la poesia del cielo stellato.


POESIA DELLA FISICA


Cita il grande fisico Richard Feynman:


“I poeti dicono che la scienza rovina la bellezza delle stelle, riducendole solo ad ammassi di atomi di gas. Solo? Anch’io mi commuovo a vedere le stelle di notte nel deserto, ma vedo di meno o di più? La vastità dei cieli sfida la mia immaginazione… il mio occhio riesce a cogliere luce vecchia di un milione di anni. Vedo un grande schema… Qual è lo schema, quale il suo significato, il perché? Saperne qualcosa non distrugge il mistero, perché la realtà è tanto più meravigliosa di quanto potesse immaginare nessun artista del passato”.


Lo scienziato infatti scopre che solo per un perfetto dosaggio di forze, dopo il Big Bang, la materia ha potuto organizzarsi in ammassi ordinati; che ferrei valori numerici li hanno armonicamente legati e che erano necessari questi forni cosmici, le stelle, per fabbricare le sostanze che poi, dopo una serie incalcolabile di coincidenze – che sembrano deliberatamente progettate – sorgesse un piccolo pianeta dove “casualmente” si verificano insieme tutte le condizioni che rendono possibile la vita.


E in essa quel piccolo essere che – unico nell’universo – è in grado di comprendere queste leggi cosmiche, di commuoversi per la bellezza di questo ordine e di aver coscienza di sé, disponendo di “circa cento miliardi di neuroni, cellule nervose […] interconnesse l’una con l’altra in maniera estremamente intricata” perché “ogni neurone si connette in media con 10.000 altri neuroni” e “il numero di interconnessioni sinaptiche di un singolo cervello umano supera abbondantemente quello delle stelle della nostra Via Lattea:1015 sinapsi contro 1011 stelle” (Gingerich).


Così un “disegno intelligente” traspare sia dal cielo stellato che dalla grandezza misteriosa dell’uomo.


Il matematico Henri Poincaré scriveva:


“Lo scienziato non studia la natura perché ciò è utile, la studia perché ne prova piacere e ne prova piacere perché essa è bella… quella bellezza che viene dall’ordine armonioso delle parti”.


La scienza, la poesia del mondo e il cristianesimo parlano dello stesso Logos, la stessa unica e bella verità.


Questo sapeva Dante che la celebrò nel suo divino poema il cui ultimo verso canta “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.


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Antonio Socci




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13/08/2016 12:37
 
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NEWMAN TUONA : ECCO LA RELIGIONE DEL MONDO, “HANNO SACRIFICATO LA VERITA’ AI VANTAGGI”


anticristo

«Il mondo costruì, con l’aiuto dei filosofi del giorno, una contro-religione, in parte simile al cristianesimo, ma in realtà sua acerrima nemica (…)
[Essa] ha scelto del Vangelo il suo lato più sereno: l’annuncio della consolazione, i precetti di reciproco amore. Rimangono così relativamente dimenticati gli aspetti più oscuri e più profondi della condizione e delle prospettive dell’uomo.
È la religione naturale in un’epoca civile, e Satana l’ha accortamente ornata e perfezionata fino a farne un idolo della verità. 
Via via che la ragione prospera, via via che il gusto si forma e si raffinano gli affetti e i sentimenti, sarà inevitabile che alla superficie della società si diffonda, del tutto indipendentemente dall’influenza della rivelazione, un costume generale di onestà e di benevolenza.

[Essa] abbandona un intero lato del Vangelo, cioè il suo carattere austero e ritiene basti essere benevoli, cortesi, candidi, corretti nella condotta, delicati, e che non include il vero timor di Dio, nessun vero zelo per il Suo servizio, nessun odio profondo del peccato, non l’adesione fervida alla verità dottrinale, nessuna speciale sensibilità intorno ai singoli mezzi adatti a raggiungere i fini, purché siano buoni i fini, nessuna lealtà di sudditanza alla santa Chiesa apostolica di cui parla il Credo, nessun senso dell’autorità della religione se non all’interno della mente: in una parola, una dottrina che non ha serietà, e perciò non è calda né fredda, ma (secondo la parola della Scrittura) è semplicemente tiepida.
[COSI’ FACENDO] NON ABBIAMO AGITO SPINTI DALL’AMORE DELLA VERITA’, BENSI’ SOTTO L’INFLUSSO DEI TEMPI (…)  [GLI UOMINI COSI’] HANNO SACRIFICATO LA VERITA’ AI VANTAGGI. 

[Pensano che] non occorre spaventarci, che Dio è un Dio di misericordia, che basta emendarsi per cancellare le trasgressioni, che il mondo, tutto sommato, è ben disposto verso la religione, che non è bene eccedere nella serietà, che in tema di natura umana non si debbono avere idee ristrette. Ecco dunque il credo degli uomini che non hanno alcun pensiero profondo (…).

Il timor di Dio è il principio della sapienza, fino a quando non vedrete Dio come un fuoco consumatore, e non vi avvicinerete a Lui con riverenza e con santo timore, per il motivo di essere peccatori, non potrete dire di essere nemmeno in vista della porta stretta. Il timore e l’amore devono andare insieme; seguitate a temere, seguitate ad amare fino all’ultimo giorno della vostra vita (…).

La vostra conoscenza delle colpe aumenterà con l’aumentare della visione della misericordia di Dio nel Cristo. È questa la vera condizione cristiana e la massima somiglianza alla calma del Cristo e al suo placido sonno durante la tempesta cui sia possibile giungere; non saranno la perfetta gioia e la perfetta certezza che appartengono al cielo, ma una profonda rassegnazione alla volontà di Dio, un abbandono di noi stessi, corpo e anima, a Lui; senza dubbio nella speranza di essere salvi, ma fissando gli occhi più su Lui che su noi stessi, vale a dire, agendo per la Sua gloria, cercando di compiacerlo, dedicandoci a Lui con virile ubbidienza e intensità di buone opere».
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John Henry Newman


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23/08/2016 10:39
 
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QUEI “MURI APPESI AI CROCIFISSI”. SIENA E L’ANIMA DELL’EUROPA.
CIO’ CHE RESTA SALDO NEI SECOLI E I FALLIMENTI DELLE CASTE DI POTERE

duomo

“Tenet”, due volte la parola latina “Tenet” a forma di croce palindromica, con la N al centro e il Tau ai quattro vertici. Così è scritto nel cosiddetto “quadrato magico” che – sconosciuto a tutti – sta da secoli inciso su un lato del Duomo di Siena.

“Tiene”. E’ la Cattedrale che “tiene”, perché è fondata sulla “pietra angolare” che è Cristo. Ricorda il motto dei certosini: “Stat crux dum volvitur orbis”, cioè fissa resta la croce, come asse dell’universo, mentre il mondo ruota e il tempo divora la vanità e la gloria mondana.

Dunque “tenet” la fede millenaria degli avi e dei santi di Siena, a cui si appoggia la povera fede dei senesi di oggi, ma anche il loro accanito amore alla tradizione.

Ed è stato emozionante, lunedì – per la solenne Messa della Madonna Assunta in cielo, a cui sono dedicati il Duomo e il Palio di agosto (e perfino il campanone sulla Torre del Mangia) – dopo la consacrazione, al momento in cui il vescovo ha elevato l’Ostia e il Calice, assistere all’irrompere del suono alto e limpidissimo delle chiarine (simbolo dell’antica repubblica di Siena) con tutte le bandiere delle contrade innalzate che si sono inchinate all’eucaristico re dell’universo.

In questa misteriosa città, di cui la Madonna è Regina, tutto grida la passione per la bellezza, cioè per la fede cattolica. “Tenet” questa fede millenaria. Sia pure come piccola luce, oggi, nei cuori.

IL TRACOLLO

Altro, a Siena, non tiene. Anzi, frana tutta una storia per il malgoverno, l’incultura e l’arrogante ideologia che da settant’anni soffocano questa antica città.

La malinconia e lo stordimento di Siena, in questo agosto 2016, contrastano col suo cielo blu cobalto e con l’allegro sventolare delle bandiere.

E’ lo smarrimento di una città che era economicamente ricchissima fino a ieri e che di colpo si trova terremotata. Scoprendo di essere l’epicentro di un possibile sisma che potrebbe dissestare tutto il sistema bancario italiano e quindi europeo con conseguenze catastrofiche.

Siena, per tutta l’Europa, fu un faro di civiltà, arte e ricchezza finanziaria già nel Duecento. Era – fino a ieri – una città che aveva la banca più antica del mondo e la più solida del Paese (finché Mps è stato governato da Dc e Psi cioè fino agli anni Novanta). La banca rovesciava ricchezza sulla città.

Poi è arrivata la casta del “progresso” e in dieci anni sappiamo com’è finito quello che era stato costruito in 500 anni.

Lo stesso Renzi ha dichiarato: “Le responsabilità di una parte politica della sinistra, romana e senese, sono enormi”.

Ora la banca verrà salvata (ad alto costo), ma il suo rapporto con Siena no. Mps non significa solo patrimonio finanziario, ma anche culturale e spirituale: come sapeva Ezra Pound che proprio al Monte dedicò i suoiCantos, perché questa antica banca era nata dalla predicazione francescana contro l’usura ed era cresciuta per la sapienza cristiana dei governanti antichi della città.

SATOR

Dicevo del cosiddetto “quadrato magico” (definizione impropria) che sta nascosto sul lato della cattedrale di fronte al Palazzo arcivescovile.

Perché c’entra con la storia e con la cronaca, anche bancaria, della città?

Il pittore belga Jean Claude Coenegracht – che ha dipinto il palio d’agosto – ha raffigurato il Quadrato, fra tanti piccoli simboli, ma quando gliene hanno chiesto il motivo ha dato una risposta che fa cascare le braccia: “Solo perché il Drappellone starà per giorni al Duomo…”.

Evidentemente ha distrattamente rappresentato quel crittogramma, ma senza conoscerne il significato e senza volerlo scoprire. Del resto anche a Siena sono pochissimi a sapere dell’esistenza del “Quadrato” sul Duomo. Sintomo di quel vuoto culturale che non sa più leggere i simboli di tutta l’antica tradizione.

Il significato del Quadrato invece merita di essere scoperto.

Intanto diciamo che è composto di cinque parole latine di cinque lettere ciascuna: “SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS”.

Se provate a trascriverle una sopra all’altra scoprirete che formano un palindromo perfetto: si legge la stessa frase da sinistra a destra e da destra a sinistra, dall’alto verso il basso e viceversa.

Non si sa quale raffinata mente lo abbia inventato. E’ stato per molto tempo un rompicapo per gli studiosi.

Infatti veniva trovato su edifici o codici antichi (specie biblici) nei posti più diversi: in Etiopia, in Egitto, in Cappadocia, su alcuni amuleti copti, su manoscritti greci e latini. E soprattutto su chiese (a San Lorenzo a Rochemaure, a Tremori, a Capestrano, a Magliano, a Verona).

I ritrovamenti più clamorosi a Watermoor, in Inghilterra, nella contea di Gloucester, su un edificio della prima metà del III secolo d.C. e a Doura Europos, sull’Eufrate, sul muro dell’archivio della XX coorte romana, denominata Palmyrenorum, stanziata là fra il 196 circa e il 256 d.C.

Infine a Pompei, la città sommersa dalla lava del Vesuvio nella devastante eruzione del 79 d.C., il Quadrato fu trovato sulla colonna della grande palestra vicina all’Anfiteatro e sul colonnato della casa di Publio Paquio Proculo.

Il Quadrato non è un gioco enigmistico, anche se fu un vero genio a inventare questo messaggio cifrato, pieno di significati teologici nascosti forse a causa della persecuzione neroniana contro i cristiani.

Nel corso del tempo si è perso il suo significato profondo ed è rimasto il suo uso “protettivo” tramandato dalla tradizione. Poi è slittato sempre più verso un più banale uso apotropaico e ha finito per diventare addirittura un amuleto per i superstiziosi.

IL SEGRETO SVELATO

Finché alcuni studiosi nel Novecento sono giunti a scoprire il mistero cristiano che si cela in questo crittogramma. Infatti la frase del Quadrato, anagrammata, dà due volte PATER NOSTER che, a causa della presenza di una sola N, posta al centro, si può trascrivere solo in forma di croce.

Ai quattro angoli della “crux dissimulata” vanno una A e una O, evidente citazione dell’Apocalisse dove Cristo si definisce “l’alfa e l’omega” cioè “il Principio e la Fine, Colui che è, che era e che viene”.

Vi sono mille implicazioni storiche e rimandi biblici (a Ezechiele e all’Apocalisse) che ho esplicitato nel mio saggio “La Guerra contro Gesù” e che fanno del Quadrato una vera summa di teologia.

La stessa figura geometrica del quadrato ha una simbologia antica e profonda: evoca la perfezione dei quattro lati associata al Tetragramma ebraico, le quattro lettere del Santo Nome di Dio.

Svelato l’enigma diventa chiaro anche il significato letterale della frase, che è duplice. “Sator” infatti sta per “Seminatore” e anche per “Salvatore”. Il significato di “Arepo” rimanda al carro trainato dal cavallo o all’aratro (che per i padri della Chiesa era simbolo della croce di Cristo). “Rotas” significa il sole e il ciclo del tempo.

Così la frase rimanda al Creatore che governa saldamente (Tenet) la creazione nel tempo. Ma c’è pure una seconda possibile traduzione che rimanda al Salvatore, che è anche il Seminatore evangelico, il quale governa e domina (Tenet) con l’aratro-croce il cosmo e la storia, facendo crescere l’opera di Dio, le opere della Grazia, il suo Regno.

Nel “Carmen de providentia Dei” lo Pseudo Prospero d’Aquitania (ca. 415 d.C.), scrive: “Cum sator ille operum teneat momenta suorum”, cioè “con il Salvatore egli sostenga, aiuti, doni la forza delle sue opere”. Si potrebbe tradurre: “Con Cristo Salvatore, Dio faccia crescere il suo Regno, faccia venire il suo regno. Venga il tuo regno” (eccoci tornati al Pater noster). La vera regalità, il vero potere appartiene a Dio.

Ecco perché i senesi antichi vollero il Quadrato sui pilastri della Cattedrale. Sapevano che solo la Croce dà solidità e verità alle opere umane destinate tutte all’inevitabile fallimento.

Come dice una canzone di Gianna Nannini“quei muri appesi ai crocifissi”… Questa è Siena, da qui viene la sua bellezza e la sua antica ricchezza, le sue grandi opere di carità, la sua arte e pure la sua banca.

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Antonio Socci


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09/02/2017 10:51
 
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UN INVITO A PREGARE PER PAPA FRANCESCO E PER BENEDETTO XVI E UN INVITO (A TUTTI) A DIRE “NO” ALLA GUERRA CIVILE FRA CATTOLICI

Posted: 08 Feb 2017 02:23 PM PST

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Sono rimasto sinceramente colpito e amareggiato dalla durezza delle polemiche che negli ultimi giorni sono divampate fra cattolici (col contributo dirompente della stampa laica).

Non sono uno a cui non piaccia il confronto, anche vigoroso e polemico, ma quella a cui stiamo assistendo è ormai una sorta di guerra civile tra cattolici, una criminalizzazione reciproca in cui non si ravvisa più molto di cristiano. E non va bene. Non si può andare avanti così.

Molte parole dure e offensive sono state usate dai due campi contrapposti. E ho dovuto constatare che nei confronti di papa Bergoglio, in particolare nei social, vengono usate da alcuni delle espressioni che sono del tutto inaccettabili.

E’ vero che taluni lamentano di essere bersagliati – a loro volta – da alcune espressioni che il papa usa, specie nelle omelie di Santa Marta, verso certi cattolici (i cosiddetti “rigidi”) e si sentono offesi.

Ma questa non è una ragione per usare parole o giudizi che travalicano la normale e corretta critica.

Penso che il momento che vive la Chiesa sia davvero delicato e drammatico. Per quanto mi riguarda non ho nessuna intenzione di contribuire a questo clima da “guerra civile fra cattolici”.

Perciò d’ora in poi ho deciso di tirarmi fuori da questa mischia (nella quale peraltro mi prendo, da tempo, la mia parte d’insulti).

Se mi occuperò della situazione della Chiesa (e lo farò meno di prima) eviterò accuratamente di usare espressioni che possano involontariamente alimentare animosità e rancori, cercando le espressioni che più invitino al dialogo fraterno. E vorrei che questo “codice” fosse condiviso, così da riportare il confronto dentro i binari cristiani.

Mi permetto anche – pur essendo solo un normale cattolico di parrocchia – di invitare tutti a pregare per papa Francesco, perché il Signore lo aiuti nel suo ministero e lo illumini possibilmente facendogli comprendere la situazione di sofferenza e di confusione che vivono tanti cristiani a motivo delle cose da lui dette o decise.

Preghiera da estendere anche a papa Benedetto, perché possa essere accolto il suo paterno contributo alla vita della Chiesa in questo momento così delicato.

Una preghiera che – ovviamente – è anche per la nostra personale conversione, perché ciascuno deve pensare anzitutto alla propria salvezza personale.

Siccome sicuramente questo post susciterà reazioni istintive sbagliate, preciso che tutti coloro che hanno obiezioni da fare all’attuale pontificato dovrebbero rileggersi l’intervista al Foglio del card. Caffarra (o quelle del card. Burke) e sintonizzarsi su quello stile, lo stile dei veri pastori, che sono veri esempi di paternità.

C’è bisogno di quella pacatezza, di quell’amore alla Verità e di quella carità. Non basta testimoniare la Verità (questo è il nostro dovere), bisogna anche farlo nella maniera giusta. Questo è quello che penso (e mi conforta che quanto ho scritto in questo post sia compreso nella sua continuità con quanto ho scritto in questi anni, come dimostra l’articolo che potete leggere qui con il mio commento e qui da solo).


Antonio Socci
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12/02/2017 18:22
 
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LA PRECARIETA’ DEI GIOVANI E IL SENSO DELLA VITA

Posted: 11 Feb 2017 01:31 PM PST

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E’ vergognoso e suicida, per un grande Paese come l’Italia – una delle prime potenze industriali del mondo – avere il 40 per cento di disoccupazione giovanile (fra i 15 e i 24 anni).

Significa che una generazione – con immense potenzialità – rischia di essere sacrificata o restare ai margini della vita (per gli errori delle classi dirigenti): sacrificata sull’altare di politiche (europee ed eurocentriche) che si sono dimostrate fallimentari.

Dovremmo far di tutto per capovolgere quelle politiche e cambiare strada. Altro che chiedere “più Europa”, dovremmo chiedere più Italia, più interesse nazionale. Finalmente.

Ho tre figli – tutti fra i venti e i trent’anni – e so bene quanto sia doloroso e ingiusto per loro pagare quegli errori dei diversi governi e avere davanti a sé un’interminabile e sfibrante strada di precariato mal pagato e senza prospettive sicure.

Anche in questi giorni – per alcuni fatti di cronaca – si è tornati a parlare del “precariato” dei giovani come di un dramma esistenziale, prima che sociale. E lo è. E’ il connotato del nostro tempo.

CIO’ CHE NON SI DICE

Tuttavia c’è un dramma più vasto che lo contiene: è un clima sociale che – oltre a negare un lavoro sicuro – ci nega la speranza, un clima che de-moralizza i popoli.

Viviamo in una mentalità dominante futile, che sembra voler occultare le cose per cui vale veramente la pena vivere. E’ il falò delle vanità, ma recitato sul Titanic…

Su quali fondamenti spirituali e culturali vogliamo ricostruire il nostro Paese?

E’ questa – ben oltre la politica – la domanda che è stata al centro delle recenti presidenziali americane e che è anche messa a tema, nell’altra grande potenza mondiale, la Russia, da Vladimir Putin, in tutti i suoi discorsi più importanti. Mentre le leadership italiane ed europee stanno ben alla larga da questi temi vitali.

Eppure proprio questa era la riflessione che anche Benedetto XVI aveva cercato di proporre nel dibattito pubblico europeo parlando del “nichilismo” come il grande problema dell’occidente: “Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.

E’ questa la peggiore precarietà. Un clima che tutti respiriamo e forse contribuiamo a consolidare. Un clima in cui non si trovano o non si propongono o non si testimoniano più le cose per cui vale veramente la pena vivere, lottare, lavorare duramente, sacrificarsi e anche soffrire.

Dovremmo fare una grande e pacifica e umanissima rivoluzione culturale.

PRECARIA E’ LA VITA

Intanto dovremmo cominciare a dirci che precaria è la vita stessa. E la “sicurezza” va anzitutto cercata nei beni non deperibili, in ciò che non passa.

Quando sento parlare di precariato giovanile – scusate – a me viene subito, automaticamente, alla mente una scena particolare, che ho vissuto sulla mia pelle.

Era una dolce sera di settembre, a Firenze. Le luci di Ponte Vecchio si erano già accese, rispecchiandosi nell’Arno.

Una ragazza di 24 anni, bella come il sole e sana come un pesce, a dieci giorni dalla laurea in Architettura, stava parlando con alcune amiche quando di colpo si accascia a terra morta per arresto cardiaco.

E’ stata morta per un’ora e poi miracolosamente il suo cuore ha ripreso a battere. Inspiegabilmente (e ovviamente è iniziato lì un lungo Calvario).

Quella ragazza era (è) mia figlia. Tutti e tre i miei ragazzi hanno imparato da questa dura vicenda quanto è effimera l’esistenza.

E’ scioccante, sconvolgente, terribile, ti senti mancare totalmente il terreno sotto ai piedi, ti sembra che non valga più la pena fare nulla. Ho dovuto rispondere alle domande dei miei figli: “perché studiare, impegnarsi, faticare, costruire se da un momento all’altro può crollare tutto e puoi morire?”.

Ma se riesci a superare questo scoramento trovando le risposte – o lasciandoti trovare dalla Risposta – allora diventi invincibile. Allora non ti fa più paura l’incertezza del lavoro e del futuro.

CATERINA

Io sono impressionato dalla testimonianza di forza morale che ci dà mia figlia Caterina, sulla sua croce, da sette anni e mezzo.

E’ una guerriera, una lottatrice instancabile, che non si arrenderà mai. E che ce la farà. Fra sofferenze e prove indicibili. E’ una testimonianza formidabile per gli altri figli.

Questi sette anni, in cui i suoi coetanei hanno cercato lavoro e hanno cominciato a costruirsi un futuro, sia pure precario, lei li ha trascorsi inchiodata su un letto o su una carrozzella, ma tutt’altro che vinta: in lotta e vincente. Col suo sorriso radioso. E vincerà.

La sua è una forza che – insieme a chi la ama e la sostiene – anzitutto ha fatto i conti con la nostra radicale debolezza di esseri umani, con la fragilità della nostra esistenza che può essere spazzata via in un istante: siamo come l’erba che fiorisce al mattino e alla sera è tagliata via, dice la Bibbia…

Non è vero che siamo dei padreterni, che siamo padroni della vita, di noi stessi e del mondo, non è vero che la morte non esiste. Questo – che la mentalità dominante c’induce a credere – è semplicemente falso. E’ una menzogna. Un inganno.

Però c’è qualcosa più forte della morte e del nulla. E per questo vale la pena vivere.

L’INFINITO

Dirci la verità sulla vita e fare i conti con la nostra fragilità è la base di una salutare rivoluzione culturale.

Da lì può venire una forza sconosciuta e tanti, proprio tanti giovani, oggi hanno nel cuore delle risorse vitali formidabili. Basta solo aiutarli a tirarle fuori.

Ha provato a farlo Alessandro d’Avenia che oltre ad essere un grande scrittore è anche un appassionato professore che sa stare con i giovani. Lo ha fatto attraverso Giacomo Leopardi. Il suo libro, “L’arte di essere fragili”, ha colpito molti ragazzi e anche adulti.

“Viviamo in un’epoca” ha scritto nella quarta di copertina “in cui si è titolati a vivere solo se perfetti. Ogni insufficienza, ogni debolezza, ogni fragilità sembra bandita. Ma c’è un altro modo per mettersi in salvo, ed è costruire, come te, Giacomo, un’altra terra, fecondissima, la terra di coloro che sanno essere fragili”.

I geni della nostra civiltà sono una grande risorsa, se i giovani trovano maestri che glieli fanno incontrare. E sanno parlare loro del Mistero dell’universo come il “fragile” poeta di Recanati.

RADICI

E poi si tratta anche di raccontare la nostra storia ai nostri figli. Dobbiamo spiegare loro che non sono una generazione di sfigati, ma che tutte le generazioni hanno dovuto lottare e sudare. Molto più di loro. E che così si sono costruite le cose grandi.

Bisogna mostrare loro – per esempio – da quali immense rovine e da quali sacrifici viene il benessere di cui – in ogni caso – oggi ancora godiamo.

Ai miei figli racconto la storia di mio padre che a 14 anni è dovuto andare a lavorare in miniera, dove è rimasto mutilato e ha rischiato la vita. Mio padre che – quando sono nato io – era rimasto disoccupato con tre figli. Ma ha lavorato duramente e ce l’ha fatta, soprattutto ad essere un uomo vero, nobile, giusto.

E racconto la storia dell’altro loro nonno, figlio di un militante socialista perseguitato durante il fascismo, una famiglia che ha lottato nella Resistenza con uno zio che fu deportato dai tedeschi a Dachau ed è sopravvissuto per miracolo, ridotto pelle e ossa, dopo aver visto l’orrore.

Sono questi i loro nonni, gli italiani semplici e grandi, che si sono rimboccati le maniche e hanno ricostruito un Paese distrutto dalla guerra e dalla dittatura facendone, in pochi anni, uno dei più prosperi al mondo.

Senza piangersi addosso, senza ripiegarsi su se stessi, ma dandosi da fare col lavoro, il sacrificio, l’intelligenza, la passione, l’inventiva, la fede in valori solidi.

Un popolo che dimentica la sua storia e le sue radici è spiritualmente morto ed è destinato a soccombere.

I nostri figli hanno diritto di sapere quanto l’uomo – dentro la fragilità della vita e le devastazioni della storia – possa essere creativo, grande e nobile. E’ il loro momento.

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Antonio Socci

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13/02/2017 10:37
 
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Il benessere diffuso dal capitalismo nelle società occidentali deriva dai suoi fondamenti giudaico cristiani.

Sennonché “cento anni fa (nel 1914) l’attentato di Sarajevo dette inizio al grande macello della Prima Guerra mondiale che segnò la fine dell’epoca vittoriana e l’inizio del secolo più sanguinoso nella storia del genere umano. Fino a quell’attentato il mondo era in pace. C’era commercio, c’era la globalizzazione, c’era lo scambio tecnologico… e la fede cristiana era predominante in tutta Europa. Sette settimane più tardi c’erano cinque milioni di uomini in uniforme e dopo trenta giorni si contava già un milione di vittime”.

Così sono arrivati i totalitarismi. “Quella guerra” dice Bannon “ha innescato un secolo di barbarie senza precedenti nella storia dell’umanità. Dai 180 ai 200 milioni di persone sono state uccise nel XX secolo. Siamo figli di quella barbarie che in futuro sarà considerata un’epoca oscura”.

Secondo Bannon “ciò che ci ha portato fuori” da essa non è stato solo l’eroismo americano sulle spiagge della Normandia, ma la cultura giudaico-cristiana che ha combattuto la barbarie ateista.

Il capitalismo ci ha dati i mezzi e la ricchezza per riportare la pace e per dare il benessere ai popoli, ma un capitalismo animato dalla cultura giudaico-cristiana.

Oggi siamo alla crisi del capitalismo, dell’occidente, della cultura giudaico-cristiana e della fede.

Bannon sosteneva, nel 2014, che siamo alle fasi iniziali di “un conflitto molto brutale e sanguinoso” e se non lotteremo per la nostra fede, tutti insieme, “contro questa nuova barbarie” sarà sradicato “tutto ciò che ci è stato lasciato in eredità nel corso degli ultimi 2.500 anni”.

Bannon ricorda, per esempio, che “siamo in guerra aperta contro il fascismo islamico jihadista”, che si è diffuso in Africa e “sta per venire in Europa”.

DIVERSI CAPITALISMI

Poi spiega che ci sono nel mondo diversi tipi di capitalismo. C’è quello “sostenuto dallo Stato” in Cina.

Inoltre in Occidente si è imposto – dopo il ’68 – “un capitalismo del tutto estraneo ai fondamenti spirituali e morali del cristianesimo e della cultura giudaico-cristiana”.

Esso guarda alle persone come “materie prime”, come merce ed è andato di pari passo con “l’immensa secolarizzazione dell’occidente”.

Bannon parla delle élite globalizzate (“il partito di Davos”) e sostiene che il governo americano ha fatto pagare il botto della bolla speculativa del 2008 non a loro, ma al ceto medio e alle classi popolari.

Da questa crisi del capitalismo si può uscire solo – secondo Bannon – tornando ai suoi fondamenti morali e spirituali, alle sue radici giudaico-cristiane che hanno dato pace e prosperità alle nazioni, ai ceti medi e popolari.

Un pensiero non banale. Che i media preferiscono ignorare.

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Antonio Socci
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02/03/2017 15:14
 
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LETTERA A CATERINA. IL POTERE SUI MEDIA PROPAGANDA LA MORTE, NON LA VITA PER CUI TU STAI LOTTANDO. MA NOI NON CI ARRENDEREMO MAI

Posted: 01 Mar 2017 09:57 AM PST

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Cara Caterina,

ieri hai voluto che sulla tua pagina facebook – sotto la tua foto sorridente – fosse scritto: “La vita è sempre bellissima”. E poi le parole del salmo 138: “Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio…”.

So che sei addolorata per Fabiano, questo nostro fratello per cui preghiamo e di cui oggi tutti parlano. Pregare per lui è il modo per volergli ancora bene, ma nessuno invita a pregare perché pensano che sia tutto finito e che si tratti solo di invocare leggi che permettano in Italia ciò che fanno altrove.

“Repubblica” titola: “L’addio di Dj Fabo, ora la legge”. Ma c’è qualcuno che invece chiede leggi e interventi pubblici a favore di chi vuole vivere e guarire?

“La Stampa” titola: “Il suicidio di Fabo scuote l’Italia”. Purtroppo la vita di tanti che lottano, come te, Caterina, per vivere e per guarire non scuote l’Italia.

Eppure la tua grinta, la tua fede e il tuo coraggio sono una luce che illumina tutti quelli che ti conoscono. E quanti altri giovani come te abbiamo conosciuto durante questa nostra avventura.

Chi chiede leggi per sostenere la loro lotta? E chi difende i più piccoli e indifesi che non hanno voce?

Chi aiuta, per esempio, una grande donna come Paola Bonzi del “Centro di aiuto alla vita” della Mangiagalli, che ha salvato più di 17 mila bambini (e 17 mila mamme) dall’aborto? Eppure nessuno è più debole e indifeso di un bambino nel grembo e della sua madre.

Nessuno racconta coloro che aiutano e salvano le vite.

Nessuno parla dei tanti – medici o riabilitatori o volontari – che stanno lottando per strappare alla sofferenza, alla malattia o alla morte anche questi territori drammatici dell’esistenza.

Noi ne conosciamo tanti e sappiamo che è proprio questo “non arrendersi” che per secoli ha fatto andare avanti la medicina. Altrimenti oggi si morirebbe ancora di morbillo.

I media non parlano che di leggi sulla morte. Ma noi vorremo che tutti insieme gridassero: forza, dobbiamo mettercela tutta, cari medici e ricercatori. Con forza e intelligenza andiamo all’assalto della malattia. Strappiamo alla prigionia tanti giovani (o meno giovani) bloccati nel proprio corpo. Ce la possiamo fare.

Ci sono già nel mondo nuovi percorsi di recupero molto interessanti e poco conosciuti.

Noi impariamo da te, Caterina, dalla tua forza vittoriosa. Stamani la tua mamma ti ha letto un articolo dove si spiegava come sono nati gli ospedali: letteralmente inventati dai cristiani.

E’ bene ricordarlo in queste ore in cui, sui giornali, i cristiani vengono rappresentati quasi come sadici che vogliono far soffrire le persone.

Fu un papa che si chiamava come Fabiano, già negli anni della persecuzione (attorno al 240), a istituire i primi servizi di accoglienza. E il primo Concilio che seguì l’Editto di Costantino (il Concilio di Nicea del 325) rese obbligatori per le chiese gli xenodochi, i primi ospedali dove si curavano tutti i malati.

Da allora fu un fiorire di ospedali che per tutto il medioevo vennero costruiti come cattedrali. I malati non furono più abbandonati, come nell’antichità, ma ritenuti la carne stessa di Cristo.

L’Annuarium statisticum Ecclesiae del 2014 riporta 116.060 strutture sanitarie cattoliche presenti oggi nel mondo.

L’esempio di padre Pio dice tutto. Colui che ha vissuto per 50 anni crocifisso ha voluto costruire uno dei più grandi ospedali del meridione: la Casa sollievo della sofferenza.

Proprio chi ha abbracciato la croce e ha esaltato il valore infinito della sofferenza umana è colui che più ha cercato di alleviare la sofferenza dei fratelli.

Perché è dalla pietà e dalla compassione di Gesù, che guariva tutti, che i cristiani hanno imparato ad abbracciare e prendersi cura dei fratelli che soffrono.

E’ dagli ospedali inventati dai cristiani (come le università) che è nata quella medicina che ha vinto tante malattie. E’ stato il cristianesimo il vero illuminismo.

Ma oggi chi si unisce a noi cristiani nell’incitare ricercatori e medici a non arrendersi? Chi chiede leggi e fondi per combattere le malattie più invalidanti?

Una “legge per la morte” è una scorciatoia che fa risparmiare soldi…. Ma che tristezza.

E poi questi media che parlano sempre di stupidaggini e – un quarto d’ora all’anno – si occupano della morte, ma solo in questi termini gelidi, per rivendicare dallo stato una legge per la morte.

Nessuno mai che s’interroghi sul senso della vita e sul mistero del nostro destino eterno. Eppure è ciò che caratterizza la condizione umana. Lo testimonia tutta la letteratura e l’arte.

Tutti desideriamo essere felici, ma senza dimenticare nulla, nemmeno la malattia e la morte. Abbiamo fame e sete di un significato, il desiderio di una felicità che sia per sempre.

Ma c’è una terribile censura sulla grande promessa che ci è stata fatta nel Vangelo: “il centuplo quaggiù e la vita eterna”. Come se il Re dei Cieli non fosse mai venuto qui sulla terra. Come se non fosse morto e risorto per noi, vincendo così la morte.

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Ma l’umanità è stata abbandonata da chi avrebbe dovuto annunciare la grande speranza, da chi avrebbe dovuto donare a tutti notizia di Gesù, la nostra gioia.

Io e tua madre siamo sempre commossi quando – a chi ti chiede se sei felice – tu rispondi decisa (col tuo linguaggio): “sì!”.

E sappiamo perché rispondi così. Perché sei amatissima. Perché Gesù è qui. Con noi. E non ci abbandona mai.

E’ la nostra forza e il nostro conforto. E’ Lui che ci sostiene in questa lotta. Ed è con Lui che saremo poi nell’eternità, insieme a tanti altri amici. Per la grande Festa.

La vita quaggiù è una preparazione alla vera Vita. Ma nessuno più lo sa. E la si butta via o la si spende male.

Si trascorrono le giornate come fossimo sassi trascinati dalla corrente del fiume. E nessuno conosce persone diverse che vivono una vita appassionata, piena di significato e di gioia.

Magari proprio cercando di alleviare le sofferenze dei fratelli. Anche qui ci sono testimonianze bellissime.

Chi parla delle centinaia di suore e missionari che sono andati perfino a vivere nei lebbrosari (noi abbiamo amici così) e a prendersi cura dei più dimenticati nei lazzeretti del mondo? Non sono solo delle suore di Madre Teresa. Ce ne sono tanti altri.

O chi parla – per venire dalle nostre parti – della storia che abbiamo scoperto a Bologna qualche anno fa (nella Bologna del XX secolo) dove decine e decine di giovani suore, dopo la Prima Guerra mondiale, andarono volontariamente a prendersi cura dei malati di Tbc in un ospedale fuori città, contraendo loro stesse il virus e morendo in gran numero?

Erano giovane ragazze. E’ una storia di cui nessuno sapeva niente e – anche oggi che ne abbiamo scritto – sembra non interessi a nessuno. I miti che oggi vengono celebrati stanno piuttosto a cantare sul palcoscenico o a correre sul campo di calcio.

E nessuno racconta i volti di quelle giovani ragazze, la loro passione per la vita, cioè per Cristo, la loro compassione per i sofferenti. E’ la storia di un grande amore che illuminerebbe il nostro mondo. Farebbe capire la maestà della vita e il suo senso.

Ogni istante della nostra esistenza è prezioso. Ed è affacciato sull’eternità. Ci giochiamo quaggiù il nostro destino eterno: o una gioia senza fine o una sofferenza senzalimite. O il Paradiso o l’Inferno.

Gli ecclesiastici pavidi non hanno più il coraggio di dirlo, perché si vergognano di Cristo, ma – come dice il Vangelo – lo gridano le pietre delle nostre cattedrali che non a caso hanno spesso accanto a sé gli ospedali medievali (a Siena è così).

Cosicché il dolore umano e la bellezza, abbracciate dalla carità e dalla liturgia, guardavano tutte al volto del Salvatore gridando: “vieni a salvarci”.

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Antonio Socci

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21/03/2017 11:09
 
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GUARDATE BENE QUESTA FOTO…




E’ stata scattata a Praga negli anni bui del comunismo, fra il 1978 e il 1988. Un qualunque passante avrebbe considerato quest’uomo un normale lavavetri, un operaio qualsiai.
Ma quest’uomo in realtà era anche un preteMiloslaw Vlk, e mentre faceva il lavavetri esercitava di nascosto il suo ministero che non gli era consentito esercitare alla luce del sole: “Confessava per strada, nei vicoli, persino nelle sale d’attesa del tribunale. Celebrava la messa clandestinamente nelle case. «Sono stati gli anni più benedetti della mia vita», ha confidato. In quel periodo ha svolto segretamente la sua attività pastorale con piccoli gruppi di laici” (Osservatore romano).
Crollato il comunismo, nel 1990 fu nominato vescovo da Giovanni Paolo II e nel 1991 arcivescovo di Praga.
Nel 1994 papa Wojtyla – che ben conosceva la Chiesa perseguitata, avendone fatto parte – lo creò cardinale.
“Momenti per lui indimenticabili sono state le visite di Giovanni Paolo II a Praga nel 1990 (con tappa a Velehrad), nel 1995 (con tappe a Olomouc e a Ostrava) e nel 1997 (con tappa a Hradec Králové), e di Benedetto XVI nel 2009: «Passare con il Papa per le strade del centro di Praga dove avevo lavato i vetri è un’esperienza molto particolare» aveva confidato” (Osservatore romano).
Oggi quest’uomo di Dio è “nato al cielo”, a 85 anni, dopo una grave malattia, e merita la nostra più ardente preghiera. La sua testimonianza ci ricorda che la vera Chiesa è quella perseguitata. E ci ricorda il grande pontificato di Giovanni Paolo II che a questa gloriosa “Chiesa del silenzio” ha dato una voce potente, tanto da scuotere il mondo intero.

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Antonio Socci
(foto dall’Osservatore romano)


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24/06/2017 10:11
 
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IL SUO CUORE IMMENSO…

Posted: 23 Jun 2017 08:15 AM PDT

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Forse non si riflette bene sulla festa del Sacro Cuore di Gesù (che è oggi). E’ facile relegarla fra le devozioni e le tradizioni, oltretutto poco comprensibili se si pensa a quell’iconografia strana, con il cuore circondato di spine che fa un po’ impressione….
Invece la Chiesa – veramente grande nell’amore del Suo Sposo – ci fa soffermare su qualcosa di immenso…
Quante volte, di fronte a una persona di grande generosità, di eroica carità, diciamo: “ha un cuore grande!”, oppure “Che cuore!”.
Beh… pensare a Gesù in questo senso è abbagliante… Che cuore bisogna avere per abbandonare la gloria divina e farsi carne, vivere da uomo, nella miseria della condizione fisica di ogni essere umano, poi accettare l’odio il disprezzo, gli insulti, gli sputi, le più disumane sevizie e la morte, PER AMORE di quegli stessi che lo stanno torturando, per salvarli e farli eternamente felici?
“Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno…”, proprio nel momento in cui gli uomini scatenano su di lui la più diabolica cattiveria
Che CUORE bisogna avere per perdonarli sempre, sempre, sempre, per mendicare instancabilmente da loro una briciola di amore, Lui che è il re dell’universo ed è l’onnipo tente Dio?
Come fa ad avere un CUORE che arde di amore appassionato per delle creature cattive, ingrate, meschine, egoiste, criminali?
George Bernanos ha scritto una cosa che mi ha sempre colpito: «Verrà un giorno in cui gli uomini non potranno pronunciare il nome di Gesù senza piangere».
CHE CUORE BISOGNA AVERE PER PROVARE COSI TANTA COMPASSIONE DI NOI, DELLA NOSTRA CONDIZIONE INFELICE E SOFFERENTE, DA PRENDERE SU DI SE’ TUTTO IL MALE DEL MONDO, PUR DI RENDERCI FELICI? E ANCHE PER RENDERCI COME LUI, PARTECIPI – CON IL NOSTRO SI – ALL’AVVENTURA DELLA SALVEZZA UNIVERSALE…
Stamani, presto, sono stato ad Assisi, sulla tomba di san Francesco: credo che lui sia fra i pochi ad aver capito l’immensità del Cuore di Gesù.
Quando san Francesco, sul monte della Verna gridava e piangeva “l’Amore non amato! l’Amore non è amato!”, è a Gesù che pensava e a tutta la nostra cattiveria e ingratitudine. E così quando, alla fine della vita, ai suoi frati, diceva: “DOBBIAMO ANCORA COMINCIARE AD AMARE GESU’…”.

Antonio Socci
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30/10/2017 16:44
 
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RIVELAZIONI. LA CONVERSIONE DEL FILOSOFO MARXISTA GALVANO DELLA VOLPE: “ALLA FINE NON C’E’ PIU’ MARX NE’ ENGELS, MA SOLO GESU’ CRISTO”

“Il più grande pensatore marxista del secondo ‘900”. Così, dedicandogli un’intera pagina, “L’Unità”, il 13 luglio del 2008, commemorava Galvano Della Volpe nel quarantennale della morte.

La casa editrice di area Pci, Editori Riuniti, aveva pubblicato tutta la sua opera nel 1972, in un’elegante edizione in sei volumi. Secondo “L’Unità” egli fu addirittura “il maestro invisibile del Sessantotto”. Peraltro morì proprio in quell’anno fatale.

Oggi – dopo quasi 50 anni – si scopre qualcosa, di quei suoi ultimi giorni, che sorprenderà tutti: se non è una conversione le somiglia assai.

Ad alzare il velo su questo mistero intimo del grande pensatore marxista è la sua stessa nipote, suor Monica Della Volpe, con una toccante testimonianza appena pubblicata sul numero 679 di “Studi Cattolici”, il bel mensile diretto da Cesare Cavalleri.

Suor Monica, oggi Madre Badessa di un monastero trappista (di rigorosa clausura), con tenera ironia traccia una piccola storia familiare per incorniciare il suo prezioso incontro con lo zio filosofo.

Comincia parlando del nonno, il conte Lorenzo Della Volpe che era “un uomo dall’intelligenza brillante, spirito illuminista, ironico… Credo fosse chimico, faceva il nobiluomo spiantato e l’inventore”.

La moglie di Lorenzo, Emilia “era una donna di sincera fede e devozione cristiana”, che soffriva quella vita di alti e bassi nel bilancio familiare e “soffriva nel vedere i figli crescere secondo la mentalità paterna, irriverente per le cose sante”.

Dei sei figli maschi, Galvano era il maggiore e il padre di suor Monica, che era il più piccolo, “aveva una venerazione per questo fratello grande, professore e giovane filosofo”.

Suor Monica racconta che sua madre, che aveva un ottimo rapporto di affetto e rispetto verso i suoceri, “detestava fortemente lo zio Galvano, che riteneva l’unico colpevole della ‘conversione’ di mio padre ‘alla fede marxista’, come a volte si diceva. Aveva sposato un cristiano e si era ritrovato un marito sinceramente convinto a questa perniciosa ideologia”.

Suor Monica racconta pure della zia Adriana, moglie di Galvano, “una donna buona e cordiale, di sinceri sentimenti cristiani, anche se imbevuta della fatuità dell’ambiente aristocratico che frequentavano”.

Dice: “Da lei ho sentito alcune battute su mio zio, frecciate che riceveva dalle nobildonne nei salotti e che riguardavano il comportamento frivolo o libertino di suo marito”.

Suor Monica racconta dunque i suoi incontri con questo suo zio filosofo. La prima volta fu dopo la maturità, quando gli zii abitavano a Roma.

La giovane Monica apprese dalla zia che l’amico più affezionato di Galvano era Pier Paolo Pasolini “che lo zio prendeva in giro chiamandolo ‘misticone’ per i suoi interessi religiosi, ma la cui compagnia apprezzava”.

Oggi suor Monica racconta di essere poi tornata a salutare gli zii dopo alcuni anni per congedarsi da loro “essendo in procinto di entrare in monastero”.

E questo è il ricordo più prezioso:

“lo zio era gravemente ammalato, mi ricevette a letto. Dopo i primi convenevoli, mi disse che desiderava completare il capitolo di un libro che stava scrivendo, e mi chiese se poteva dettarmelo. Acconsentii volentieri. Era molto affaticato, mi dettò poche frasi non ben connesse, ma quale fu la mia sorpresa quando dettò chiaramente: ‘alla fine non c’è più né Marx né Engels, ma solo Gesù Cristo!’. Era ciò a cui voleva arrivare. Ci fu un silenzio, poi mi chiese: ‘quanto ho dettato, saranno tre o quattro pagine?’ ‘No zio, meno di una pagina’. Seguì un altro silenzio, si lamentava un poco, disse ‘sono come Cristo in Croce’. Zia Adriana poi mi confermò di averlo sentito altre volte. Era troppo stanco, l’incontro era finito. La morte sopraggiunse dopo non molto tempo”.

Suor Monica commenta: “Ho sempre ritenuto provvidenziale questo incontro”. In effetti questo ricordo svela qualcosa che finora, se non erro, era rimasto del tutto inedito: qualcosa di molto simile a una conversione.

Galvano Della Volpe, in anni recenti, aveva fatto scrivere a proposito di un’altra sua conversione, quella che da Gentile e dal fascismo lo aveva portato a Marx e al Pci: una “conversione” che riguardò gran parte degli intellettuali italiani di quell’epoca.

Mirella Serri, nel 2005, aveva pubblicato un libro che fece molto discutere, “I redenti (Gli intellettuali che vissero due volte. 1938-1948)”, dove ricostruiva i percorsi dei tanti intellettuali che in quegli anni passarono dal nero al rosso.

Di Galvano Della Volpe la Serri nel suo libro menzionava, fra l’altro, gli articoli scritti per “Primato” fra il 1940 e il 1941.

Nel 2006 Pigi Battista con “Cancellare le tracce” torna sull’argomento scrivendo:

“Mai è apparso un accenno, un appunto, una nota, una parentesi autobiograficamente impegnativa con cui Galvano Della Volpe avrebbe potuto dar conto di quel repentino ‘salto da fascista a comunista’ di cui ha parlato il suo allievo Lucio Colletti. Nulla: neanche sulla rapidità di un passaggio così marcato, nel giro di una manciata di anni, dall’elogio estetico del carro armato della Wehrmacht alla compilazione di una sistematica ‘Teoria marxista dell’emancipazione umana’ proposta da Della Volpe già nel 1945”.
Questo “problema” biografico riguarda davvero la gran parte dell’intelligentsia italiana di quegli anni.

Ma, a proposito di Della Volpe, non aveva torto Michele Prospero, in quell’articolo sull’“Unità” del 2008, in cui scriveva:

“Quando, nei primi anni Quaranta, Galvano Della Volpe si accostò al marxismo, aveva già alle sue spalle una assai intensa e molto marcata produzione teorica… Non si può però in alcun modo parlare di ‘due’ Della Volpe. Il filosofo che, dopo aver varcato i 40 anni, scoprì Marx non compì affatto una rottura con la sua ventennale riflessione. Collocò piuttosto il nucleo del suo precedente lavoro filologico-critico, mirante a rivendicare la positività dell’esperienza sensibile, nelle nuove categorie analitiche che esploravano il mondo dell’empirico sociale”.

Prospero concludeva polemicamente:

“solo la volgarità di questi anni un po’ meschini ha potuto inserire il nome di Della Volpe tra i ‘redenti’, che con disinvoltura passarono dal fascismo al comunismo. Il suo approdo al marxismo avvenne in realtà su un rigoroso e trasparente profilo di scientificità”.

In effetti, diversamente dai tanti voltagabbana che certo ci furono, quello di Della Volpe fu un itinerario filosofico chiaro: in fondo sia Gentile che Marx discendono da Hegel e forse la cosa davvero indicibile non è tanto il “trasformismo”, ma è proprio questa parentela filosofica, che si aggiunge alla parentela politica e che rende intellettualmente “comprensibili” i passaggi da una parte all’altra.

Anche Lucio Colletti, che fu suo allievo, parlando del caso Della Volpe, fedelissimo al Pci, ma tenuto ai margini dal partito, in una intervista a “Repubblica” escluse che il problema fosse quello dei trascorsi giovanili:

“Personalmente dei suoi scritti fascisti non mi sono mai occupato. Ma mi chiedo: Antonio Banfi aveva perfino insegnato alla scuola di mistica fascista e non era neppure marxista, eppure il Pci lo portava in palmo di mano. Ranuccio Bianchi Bandinelli era rispettato malgrado in orbace avesse fatto il cicerone di Hitler a Firenze. Allora non riesco a capire. I motivi veri per cui Della Volpe fu tenuto ai margini erano altri”, a cominciare da “quel suo andare controcorrente” cosa che “metteva in luce di quale stoffa erano fatte le consorterie filosofiche italiane”.

Alla fine della vita Galvano Della Volpe – ci racconta la nipote – si rese conto che nulla restava di tutta quella complessa vicenda intellettuale e politica.

Tutto svanisce: Hegel, Marx e le consorterie filosofiche, gli amori e le donne, la politica, il Pci, il fascismo e le ideologie.

Tutto dissolto come nebbia al sole: “alla fine non c’è più né Marx né Engels, ma solo Gesù Cristo”, disse l’anziano pensatore alla nipote.

Forse è questa la più profonda intuizione di un filosofo.

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Antonio Socci
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17/07/2018 15:41
 
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L’ESTATE, IL VIAGGIO, LA RICERCA DI DIO

Posted: 16 Jul 2018 01:18 PM PDT

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L’estate è un tempo metafisico non solo per chi sceglie come meta la bellezza solitaria delle montagne o il silenzio degli eremi (sempre più ricercati) o la tranquillità degli agriturismi.

E’ un tempo metafisico perché è la stagione del viaggio, del sogno, dell’altrove, dell’uscita dal tempo e dallo spazio consueti. Perciò è anche il tempo della fuga, di una parvenza di liberazione dalle catene e dai pesi del quotidiano. O magari – in tempi di ristrettezze economiche – è (quantomeno) la fantasia della fuga (che non costa niente).

In ogni caso il viaggio è la migliore metafora della vita. Tanto è vero che la troviamo nel linguaggio corrente della gente comune, ma pure all’origine (letteraria) della nostra civiltà giudaico-cristiana e greco-latina.

Gli archetipi sono il viaggio di ritorno a casa di Ulisse, il viaggio di Enea con una grande missione da compiere (la fondazione di Roma). Oppure il viaggio verso l’ignoto di Abramo, chiamato da Dio, cioè dal Mistero, dal Destino, verso un orizzonte sconosciuto e più grande (lui che era un uomo ricco e benestante).

Nel primo caso (Ulisse, che parte da Itaca e lì ritorna) si riflette la nozione circolare del tempo che avevano i greci e in genere le civiltà antiche, un’idea ripresa dai cicli della natura, che in fin dei conti è percepita dagli uomini come una trappola mortale. Alimenta la triste sensazione dell’inutilità dell’esistenza.

Perché il cuore dell’uomo – diversamente dagli alberi, dalle stagioni e dagli animali – reclama un fine, uno scopo, una felicità che non trova, cerca una terra promessa, brama il compimento, desidera scoprire il proprio vero io.

Tutti gli esseri animati trovano sulla terra ciò di cui hanno bisogno. Noi – come già notava Leopardi – siamo le sole creature del mondo perennemente insoddisfatte, le uniche che non trovano in natura ciò che le appaga, le sole per cui la vita è un problema da risolvere. Perciò il viaggio significa ricerca.

Ed è infatti lineare (non più ciclico) il tempo della rivelazione biblica e cristiana: la vita ha un inizio e guarda verso l’annuncio e l’attesa di una terra promessa, di un salvatore, di un grande Amore, di un compimento per sempre, di qualcosa di straordinario che deve accadere e che finalmente colmerà il desiderio del cuore con una Felicità inimmaginabile.

Ma forse per noi moderni del dopoguerra e soprattutto per le generazioni laicizzate post-sessantottine, il vero archetipo del viaggio è “On the Road” (Sulla strada) di Jack Kerouac (che fu pubblicato nel 1957).

C’è uno scambio di battute nel libro che è spesso citato, ma poco compreso: “Dobbiamo andare e non fermarci mai finché non arriviamo”, dice il primo personaggio. Risponde l’altro: “Per andar dove, amico?”. Replica: “Non lo so, ma dobbiamo andare”.

Così qualcuno ha creduto di dedurne che la meta sia il viaggio stesso, l’andare senza significato, una fuga verso il nulla, ma per Kerouac non era così.

La stessa Fernando Pivano, a proposito del libro di Kerouac, scriveva:

“Era inevitabile che ai critici superficiali questa corsa affannosa verso una meta così poco definibile sembrasse una fuga; ma è chiaro che in realtà essa è soltanto una ricerca. Si è detto che il dramma più disperato della beat generation è quello di trovare una realtà trascendente in cui poter credere, tale da soppiantare la realtà terrena ormai superata dalla scienza moderna e in cui non possono credere più. Questi drogati, questi alcolizzati, questi edonisti, sono forse dei mistici che lottano contro le spiegazioni offerte loro dagli adulti e inadeguate a colmare lo spacco tra il mondo di ieri e il mondo di domani, per trovare una giustificazione alla loro vita di uomini… È il loro misticismo a creare la grande differenza tra la beat e la lost generation”.

Probabilmente il viaggio di Kerouac da costa a costa voleva rivivere anche l’epica marcia verso il West dei pionieri, simbolo dell’umana corsa verso la felicità, ma riscrivendo quel sogno americano senza il trionfalismo vorace di Walt Whitman, piuttosto con gli occhi smarriti di una generazione che era uscita dalla Guerra e dalla grande Depressione, che aveva conosciuto il dolore e cercava se stessa, non la grande abbuffata al consumismo che era appena iniziata.

Ci sarebbe da ricordare anche il piccolo viaggio del “Giovane Holden” che – negli stessi anni – raccontava in modo simpatico e struggente un’adolescenza in cerca di autenticità, in fuga dall’ipocrisia del mondo adulto e alla scoperta della propria vocazione umana.

Poi arrivò il ’68 e furono macerie. L’utopia politica (utopia significa “nessun luogo”) occupò tutto l’immaginario del viaggio umano e divenne presto distopia.

La generazione che ne fu protagonista e che ha preso il potere decise che – siccome loro non l’avevano trovato – il senso della vita non esisteva, ci si doveva astenere dal cercarlo e ci si poteva sistemare a Palazzo con una buona dose di ipocrisia e di arroganza (cioè continuando a sentirsi migliori).

Così “l’isola non trovata”, cantata con delicata e religiosa intelligenza da Guido Gozzano ai primi del Novecento (“Ma più bella di tutte l’isola non trovata… L’isola esiste. Appare talora di lontano…”) fu riscritta da Francesco Guccini con l’inchiostro della delusione e lo scetticismo del post ‘68 (“quell’ isola non c’era/ e mai nessuno l’ha trovata:/ svanì di prua dalla galea/come un’ idea,/ come una splendida utopia,/ è andata via e non tornerà mai più”).

Eppure è finito anche il disincanto dei Sessantottini e oggi si continua a viaggiare e a vivere scrutando l’orizzonte, cercando quell’isola sognata dove potremmo ritrovare la felicità, la nostra anima, le nostre radici e il nostro destino.

Questa ricerca non caratterizza solo l’uomo occidentale, ma connota la stessa natura umana. Una scrittrice giapponese, Mahoko Yoshimoto, scrive: “Non capivo perché ma venivo presa da una nostalgia così lancinante che, anche se mi trovavo a casa mia, sentivo che esisteva un posto, da qualche parte, dove dovevo tornare”.

La casa, la vera patria, che poi è la terra del Padre, il luogo della Bellezza e della Felicità. Non è questo che si sogna ad ogni partenza e ad ogni ritorno?

Appena “On the Road” divenne un best seller, Kerouac fu intervistato nel celebre programma televisivo di John Wingate, Nightbeat, e alla domanda: “Si è detto che la beat generation è una generazione alla ricerca di qualcosa. Che cosa state cercando?”, lui rispose lapidario: “Dio! Voglio che Dio mi mostri il suo volto”.

Nel suo Diario annotò: “Fu da cattolico che un pomeriggio andai nella chiesa della mia infanzia (una delle tante), Santa Giovanna d’Arco a Lowell, e a un tratto, con le lacrime agli occhi, quando udii il sacro silenzio della chiesa (ero solo lì dentro, erano le cinque del pomeriggio; fuori i cani abbaiavano, i bambini strillavano, cadevano le foglie, le candele brillavano debolmente solo per me), ebbi la visione di che cosa avevo voluto dire veramente con la parola ‘Beat’, la visione che la parola Beat significava beato…”.

In un articolo del 1957 Kerouac spiegò che il fenomeno beat esprime “una religiosità profonda, il desiderio di andarsene, fuori da questo mondo (che non è il nostro regno), ‘in alto’, in estasi, salvi, come se le visioni dei santi claustrali di Chartres e Clairvaux tornassero a spuntare come l’erba sui marciapiedi della Civiltà stanca e indolenzita dopo le sue ultime gesta”.

Tutti sappiamo che siamo viaggiatori insoddisfatti, sappiamo che abbiamo sostituito gli antichi pellegrinaggi con il turismo e l’andare con il girovagare, ma intuiamo qual è la vera meta del viaggio. Lo sappiamo. Sapremmo anche dirne il nome. Pochi però conoscono la strada.

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Antonio Socci

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01/08/2018 00:13
 
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NON CI ACCORGIAMO DI FRATELLO SOLE E DELLE SUE MERAVIGLIE. EPPURE…




Tutti a parlare della luna per l’eclissi, ma il protagonista indiscusso dell’estate (e pure della stessa eclissi) in realtà è il sole.


Per millenni attorno a lui ruotavano le antiche religioni pagane, in ogni continente. Oggi ruota attorno a lui la religione delle vacanze e del turismo, che celebra ogni anno un pellegrinaggio solare di massa.


Il sole è il protagonista al mare per quelli che vogliono prendere l’abbronzatura (i fedeli del rito estetico), ma è protagonista dappertutto, anche in montagna e in campagna, perché è per la sua luce, il suo calore e la lunghezza delle giornate dovuta alla sua traiettoria estiva, che tutti in questi mesi stanno all’aria aperta e ne hanno grandi benefici.


Sono i suoi raggi che provocano il ciclo dell’acqua da cui viene la vita del pianeta che sarebbe inabitabile per l’uomo senza il calore del sole.


Sono i suoi raggi che permettono la fotosintesi clorofilliana, quindi l’esistenza delle piante (e di conseguenza del mondo animale). Il sole fa maturare i frutti della terra, a cominciare dal grano e dall’uva. Nel pane e nel vino gustiamo in modo speciale l’effetto del sole.


I meglio informati cercano di “prendere il sole” – a parte l’abbronzatura – anche perché grazie all’azione dei suoi raggi la pelle produce la vitamina D che è essenziale a fissare il calcio nelle ossa.


Ma il sole fa molto di più. Attraversa letteralmente il nostro corpo ed ha effetti straordinari su di noi. Del resto la funzione terapeutica della luce è già molto nota, per esempio in relazione al sangue. Basti ricordare “l’uso della luce per curare l’ittero neonatale”, come scrive Norman Doidge nel libro “Le guarigioni del cervello”.


La scoperta fu fatta per caso, grazie all’esposizione al sole di una fiala di sangue di un bambino malato. Ma la cosa era già nota nel mondo antico: “Sorano di Efeso, uno dei medici più noti della Roma imperiale, suggeriva di esporre al sole i neonati affetti da ittero”.


E “quasi tutti i popoli antichi” aggiunge Doidge “prendevano molto sul serio la fototerapia e l’‘elioterapia’ – da Helios, la divinità greca del sole – era considerata così potente che gli edifici venivano progettati per catturare quanta più luce solare possibile”.


Ma il libro di Doidge aggiunge molte altre cose importanti su quello che il sole fa nel nostro organismo.


Ne accenno soltanto alcune: aiuta la guarigione dei tessuti danneggiati e anche di alcune forme di depressione, la luce naturale inoltre regola il nostro orologio biologico e, secondo uno studio del 2005, riduce il dolore nei pazienti post-operatori.


Oltre a innescare il meccanismo della vista la luce stimola reazioni chimiche importanti nel corpo e veicola tante informazioni essenziali: “l’interazione fra il corpo umano e la luce” scrive Doidge “non si ferma alla pelle: il corpo non è una caverna oscura, all’interno delle cellule, quando i fotoni si illuminano avviene un trasferimento di energia, dando origine a una cascata di cambiamenti colorati”.


Probabilmente è sempre all’attività solare che si deve il continuo cambiamento climatico delle diverse aree della Terra, che negli ultimi anni si vuole attribuire alle attività umane, ma che – in realtà – è sempre esistito, anche prima dell’arrivo dell’uomo sul pianeta, ed è continuo e sempre ci sarà.


Del resto basterebbe una tempesta magnetica nel sole, di quelle dimensioni che sono documentate fino al secolo scorso, per creare enormi problemi – e probabilmente anche una grande catastrofe – ai sensibilissimi sistemi tecnologici che oggi governano tutta la nostra vita sociale.


Gli antichi non sapevano tutto quello che sappiamo noi, ma intuivano molte cose e veneravano il sole come fonte della vita. Col cristianesimo il sole diventato una metafora di Dio.


Lo dice magnificamente san Francesco nel suo cantico che loda Dio anzitutto per frate sole: Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione”.


Ma noi non abbiamo la sensibilità e la profondità del santo di Assisi. E’ curioso che – nonostante il sole sia ciò che permette di vedere tutto – sia così poco “notato” dagli uomini. Siamo così distratti da dare per scontate anche le cose più grandi.


Molto opportunamente Ralph Waldo Emerson scriveva: “Il sole splende e riscalda e ci illumina e non abbiamo curiosità di sapere perché è così; e invece ci chiediamo la ragione di ogni male, del dolore e della fame, e delle zanzare e delle persone stupide”.





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15/03/2019 18:09
 
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EUROPA E CRISTIANESIMO. L’INCREDIBILE CONTRADDIZIONE DELLA SINISTRA

Posted: 11 Mar 2019 03:17 PM PDT


Le insanabili contraddizioni della Sinistra non riguardano solo le sue leadership politiche, ma anche i suoi intellettuali e le sue idee di fondo.

Massimo Cacciari e Mario Tronti sono due dei migliori pensatori dell’area post marxista. Ultimamente sono intervenuti – fra l’altro – sulla “questione europea”, che diventerà calda con le prossime elezioni di maggio, e lo hanno fatto entrambi valorizzando un autore, cattolicissimo, che è agli antipodi delle idee circolanti a Sinistra sull’Europa.

Si tratta di Romano Guardini, sacerdote e teologo italiano, ma vissuto in Germania (nato a Verona nel 1885 e morto a Monaco di Baviera nel 1968).

RADICI CRISTIANE

Tronti ha pubblicato un libro-intervista, “Il popolo perduto (Per una critica della sinistra)”, in cui – ad un certo punto – rammenta che “c’è un bellissimo testo di Romano Guardini, ‘Europa, realtà e compito’”.

Dopo averne sintetizzato il contenuto evoca “la mal gestita vicenda della mancata Costituzione europea. Ricordo, tra l’altro, il superficiale dibattito se andavano richiamate nella Carta le radici cristiane d’Europa. Ma il problema non era quello di una certificazione scritta. Il problema era riconoscere da parte di tutti, intimamente, che il sentire comune del cristianesimo, cattolico, protestante, ortodosso che fosse, era un legame spirituale che univa, nondivideva. Forse l’unico che univa e non divideva. Lo aveva capito ed espresso tragicamente papa Ratzinger. Non è con la secolarizzazione che si dà spirito a un’azione. C’è anche una sacralità nell’idea di Europa”.

Bene, ma la Sinistra italiana ha sempre avuto (ed ha tuttora) una politica diametralmente opposta, tutta identificata con quella Unione Europea laicista e tecnocratica che di fatto detesta e combatte le sue radici cristiane e le profonde identità dei popoli. E’ la Sinistra della scristianizzazione.

L’ AUT AUT

Ancora più significativo è il saggio che Massimo Cacciari ha dedicato sempre a Guardini (e alla sua concezione di Europa) su “Vita e Pensiero” (2/2018) intitolato “L’aut aut sull’Europa di Romano Guardini”.

Cacciari spiega che per Guardini il “compito” dell’Europa non è quello di restare“un insieme di nazioni ciascuna in sé rinserrata”, ma neanche il ripetersi del “sogno egemonico” dei grandi Stati europeiche “non potrà condurre che ad altre catastrofie infine al suicidiodella stessa Europa”.

Non appartiene a Guardini – spiega Cacciari – nemmeno l’idea di Europa come un’artificiale forma-Stato: l’Europa “non ha natura pattizia, convenzionale; né può nascere dal ‘contratto’ tra diversi interessi”.

Infine “la missioned’Europa” non consiste nemmeno nella rivendicazione archeologica delle proprie radici (classiche o giudaico-cristiane o illuministe). Ma sta piuttosto in una “decisione”.

Cacciari coglie bene il pensiero originale di Guardini: “Determinante per l’Europa è il Cristo. Qui l’aut-aut di Guardini, che richiede di esser colto in tutta la sua provocatoria radicalità, senza vani annacquamenti. Lo stesso mondo classico non sarebbe concepibilein Europa se non attraverso la mediazione cristiana”.

C’è dunque, in Guardini, molto più della nostalgia per le radici cristiane. Ciò che rende urgente e drammatica la decisione su Cristo – per lui, che aveva vissuto gli anni dei grandi totalitarismi – è il rischiorappresentato dalla possibile saldatura della Scienza e della Tecnica col potere economico e col potere politico.

È un’intuizione profetica oggi ancora più vera considerata l’enorme espansione, in questi anni, della Tecnica e del potere economico.

Sia chiaro, Guardini non ha nessuna nostalgia romantica o reazionaria e indica proprio nel cristianesimo la culla del pensiero scientifico e quindi della tecnologia: “Nulla di più falso dell’opinione che il dominio moderno sul mondo nella conoscenza e nella tecnica abbia dovuto essere raggiunto lottando contro il cristianesimo. È vero il contrario (…) L’enorme rischio della scienza e della tecnica moderna (…) è diventato possibile solo sul fondamento di quella indipendenza personale, che il Cristo ha dato all’uomo”.

Ma oggi – sottolinea Cacciari – “la scienza… è intrinsecamente collegata alla Tecnica e perciò al mondo produttivo-economico. L’uomo faustiano ne governa i processi”.

L’ ANTICRISTO

Cacciari sintetizza il pensiero di Guardini: “la cristianità è la sola forza capace di contenere il prepotente ‘accordo’ tra scienza, tecnica, economia, ‘accordo’ capace di dominare il processo stesso della decisione politica”.

A questo punto Cacciari tratteggia l’inquietante scenario: “il politeismo dei valori proprio delle società secolarizzate potrebbe rappresentare il prologo di un paganesimo ben più pericoloso, un paganesimo che si esprime nel culto di una sola Potenza salvifica – e quando in essa si sposino Tecnica e Potere politico, allora è ‘semplicemente’ l’avvento dell’Anti-Cristo”.

Ecco perché “occorre una ri-conversione alla figura di Cristo per superare la riduzione dell’umano a materialedella Tecnica” e riportare tutto al suo Fine autentico.

Infatti “soltanto se fondato sulla Rivelazione del Cristo, il Potere, le forme del potere politico, potranno ordinarsi al servizio di quel Fine, e non confondersi con il sistema tecnico-economico”.

Cacciari rilegge Guardini dunque indicando che “soltanto la Cristianità, nella sua stessa forma politica, operante nel mondo” può “affrontare e resistere allo scatenamento delle potenze anti-cristiche immanenti al mondo della Tecnica, ma anche indicare la possibilità reale… di un ‘nuovo tipo umano, dotato di una più profonda spiritualità’ ”.

ILLUSIONE?

Il pensatore veneziano si chiede, a questo punto, se quella di Guardini è una prospettiva illusoria, ma ne sottolinea la natura realistica. Scrive che “occorre che si affermi l’idea cristiana di personae di potere politico”.

Poi conclude: “Improbabile prospettiva? E quale altra opporle? Impossibile, forse? E non è proprio soltanto Dio a potere l’impossibile?”.

O forse oggi alle domande di Guardini si risponde con “una sovrana indifferenza”? Cacciari ha saputo andare al cuore del problema, esplicitando le domande fondamentali.

Ma – come per Tronti – questo apprezzabile “Cacciari pensatore”, non si ritrova nel Cacciari politico e polemistadel quotidiano, tanto meno nella sua Sinistra, che percorre strade opposte a quelle guardiniane.

E LA CHIESA?

Padre Giandomenico Mucci, un autorevole saggista della “Civiltà Cattolica”, nel numero della rivista di marzo, ha colto il valore e la novità dell’intervento di Cacciari.

Ma si è limitato a sottolineare la “rinnovata riscoperta delle radici cristiane dell’Europa”e la “nostalgia” che traspare in tanti “agnostici tiepidi”.

...

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Antonio Socci
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28/03/2019 13:39
 
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LI EROI DIMENTICATI (PERCHE’ ITALIANI) DEL PULLMAN DI CREMA E QUEL BAMBINO CHE HA GRIDATO “DIO, TI AMOOO!!!” QUANDO SONO STATI LIBERATI

Posted: 27 Mar 2019 02:00 PM PDT


Quella che, alle porte di Milano, la settimana scorsa, poteva essere una strage di bambini e (grazie a Dio) è stata scongiurata dal pronto intervento dei Carabinieri, sui media è stata trasformata nell’occasione per far propaganda allo “Ius soli”. Paradossale – visto che l’autista era un senegalese diventato cittadino italiano – ma è così.

Per questo i media hanno trasformato in un eroe il giovane Ramy, in quanto egiziano, mentre sono spariti dalle cronache tutti quei ragazzi i quali – essendo appunto italiani – non servivano alla causa. Un titolo per tutti, quello del “Corriere della sera” : “Ramy, il ragazzino eroe: ‘Sogno la cittadinanza’”.

Tutti i riflettori sono stati per lui. Non si è più visto il bambino (credo si chiami Riccardo ) che ha preso per primo il telefonino per cercare aiuto. Dall’unica, iniziale, intervista che gli è stata fatta appare come un ragazzino italiano, biondo, con un piccolo crocifisso al collo, quindi non serviva per la narrazione migrazionista.

Così come non si è saputo nulla del ragazzo, veramente eroico, che – quando l’autista ha preteso uno che andasse lì vicino a lui, da tenere a portata di mano – si è offerto come volontario(“altrimenti minacciava di far saltare in aria il bus…”). Un vero eroe. Ma solo i ragazzi stranieri hanno avuto la celebrazione mediatica.

L’unico italiano a cui i media hanno dedicato qualche attenzione è colui che – mentre correva via dal pullman con i suoi amici – ha gridato due volte “ti amo” . L’episodio corrispondeva alla sensibilità oggi dominante che cucina “l’amore” in tutte le salse e in tutti i modi possibili. Così ha suscitato palpiti di commozione e interesse.

A lui infatti sono state dedicate le considerazioni di Massimo Gramellini sulla prima pagina del “Corriere” , che ha scritto: “Sono affascinato dal ragazzino che urla ‘ti amo… io ti amo’, mentre scappa con i compagni dallo scuolabus in fiamme, ma anche seriamente preoccupato per lui”.

E la preoccupazione – spiega sarcasticamente Gramellini – sta nella “possibilità che, in mezzo a tutto quel frastuono, la destinataria del suo ‘Ti amo’ non si sia accorta di nulla. O, peggio, che se ne sia accorta e gli abbia risposto: ‘Ti voglio bene anch’io, ma più come amico’ ”.

Noi adulti siamo scafati e sappiamo come vanno queste faccende di cuore. Guardiamo con tenerezza, ma anche con una certa disincantata ironia i ragazzi che a 12 anni non hanno ancora capito che l’amore espone ad amare delusioni.

Anche “Le iene” hanno acceso un faro su questo ragazzo e sono andate a cercarlo. Ma – una volta trovatolo – ecco la sorpresa che ha spiazzato l’intervistatrice.

Guglielmo – questo è il nome di quel dodicenne – ha una faccetta simpatica e una felpa gialla. Appare un po’ intimidito dalle telecamere.

Dopo aver detto che ora sta bene (“mi sono ripreso dallo spavento”), alla giornalista che gli chiedeva a chi erano rivolte le parole ‘ti amo’, ha spiegato: “Erano rivolte al Signore, perché sul pullman eravamo tutti disperati e anche io ho voluto fare una mia preghiera. E quando siamo riusciti a salvarci mi è sembrato che si fosse avverata e quindi ho voluto ringraziare”.

La giornalista, stupita (e spiazzata) chiede: “E hai urlato…?”: E lui : “(Ho urlato) Dio ti amo!” .Ecco svelato il mistero. Non “io ti amo!”, ma “Dio, ti amo!”. Così, in questi strani giorni, in un momento storico che affonda nel cinismo, ci è arrivata una lezione da un bambino che spalanca un orizzonte dimenticato. E’ sembrato avverarsi quanto proclama il Salmo 8: “Con la bocca dei bimbi e dei lattanti/ affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,/ per ridurre al silenzio nemici e ribelli”.

Quei ragazzi, nel momento del terrore, si sono raccomandati a Dio e, una volta liberati dal pericolo, scappando verso la libertà, Guglielmo – per tutti gli amici – con quel grido (“Dio ti amo!”) ha ringraziato il Padre che tutti abbiamo nei Cieli.

Dietro il bel volto luminoso di Guglielmo c’è quell’Italia umile, fatta di famiglie, parrocchie e oratori che è e resta ancora l’Italia che dà speranza. Ed è la bella Italia che sui media non sembra degna di essere raccontata.
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07/12/2019 11:01
 
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EUROPEISTA, UMANISTA ED ECOLOGISTA: L’IDENTIKIT DELL’ANTICRISTO DEL 2000 TRACCIATO DA SOLOVEV E RILANCIATO DAL CARD. BIFFI E DA BENEDETTO XVI (DAL MIO LIBRO “IL DIO MERCATO LA CHIESA E L’ANTICRISTO”)

Posted: 06 Dec 2019 10:00 AM PST


Il racconto dell’Anticristo di Solov’ëv fu pubblicato nel 1900 e Il padrone del mondo di Benson nel 1907. Ma entrambi collocano temporalmente i loro romanzi attorno all’anno 2000.

In entrambi i romanzi – al tempo in cui si svolge la storia – «il papato era stato scacciato da Roma». Inoltre l’Imperatore/Anticristo di Solov’ëv viene eletto presidente degli Stati Uniti d’Europa (da lì s’impadronisce del mondo intero e pure delle Chiese) e anche Julian Felsenburgh, che è l’Anticristo di Benson, ne Il padrone del mondo, diventerà presidente dell’Europa (da lì poi presidente del governo mondiale).

Egualmente, in questi anni recenti, Michael O’Brien, nel suo romanzo L’inviato (ultimo di una trilogia) rappresenta l’Anticristo come «Presidente dell’Unione europea, leader politico mondiale che predica un nuovo mondo e il superamento di tutte le differenze in chiave umanitaria».

Dunque, come oggi O’Brien, quei due autori, agli inizi del Novecento, prefiguravano la possibilità che l’Europa, dopo essere stata per due millenni la terra cristiana per eccellenza, (…) potesse diventare, a cavallo del 2000, la terra dell’apostasia dalla fede, la guida e l’esempio della scristianizzazione del mondo. E che tutto questo potesse avvenire nel nome di un umanitarismo senza Cristo, in nome di un’ideologia filantropica, ecumenica, ecologista, oggi diremmo «politicamente corretta», avversa al cristianesimo. (…) Un avvertimento profetico?

È martedì 27 febbraio 2007. Il cardinale Giacomo Biffi sta tenendo gli esercizi spirituali alla Curia romana. Benedetto XVI, che lo ha scelto per questo compito, lo ascolta attentamente.

Il cardinale introduce un filosofo a lui caro (…): si tratta del russo Vladimir Sergeevicˇ Solov’ëv (1853-1900). Autore de Il racconto dell’Anticristo (…).Addirittura Biffi pone come titolo a questa meditazione L’ammonimento profetico di Solov’ëv, riconoscendo dunque un valore fortissimo al suo insegnamento (…).

Ma in che cosa consiste la profezia? Il cardinale Biffi ricorda che alla fine dell’Ottocento dominava un euforico ottimismo: si «prevedeva per il secolo che stava per iniziare un avvenire di progresso, di prosperità, di pace».

Lo scrittore russo, invece, (…) «prevede che il secolo XX sarà contrassegnato da grandi guerre, da grandi rivoluzioni cruente, da grandi lotte civili».

È esattamente ciò che è avvenuto (…). Ma lo scrittore in quell’opera va oltre e centra perfettamente anche un’altra «profezia». Infatti – spiega il cardinale Biffi – vi si legge che «sul finire del secolo, i popoli europei – persuasi dei gravi danni derivati dalle loro rivalità – daranno origine, egli dice, agli Stati Uniti d’Europa. “Ma […] i problemi della vita e della morte (…) rimangono come per l’addietro senza soluzione. Viene in luce soltanto un unico risultato importante, ma di carattere negativo: il completo fallimento del materialismo teoretico. Ciò non comporterà però l’estendersi e l’irrobustirsi della fede. Al contrario, l’incredulità sarà dilagante. Sicché, alla fine si profila per la civiltà europea una situazione che potremmo definire di vuoto. In questo vuoto appunto emerge e si afferma la presenza e l’azione dell’Anticristo».

Un’Europa unita, scristianizzata e nichilista, dopo il crollo del materialismo, diventa dunque il trampolino di lancio dell’Anticristo per Solov’ëv che parla espressamente di abbattimento degli Stati nazionali e delle identità nazionali (le «vecchie tradizionali strutture del mondo in nazioni separate»),a vantaggio di una «organizzazione internazionale […] di tutta la popolazione europea» chiamata «Stati Uniti d’Europa», e poi prospetta vagamente un’analoga «unificazione» del mondo intero (potremmo chiamarla «globalizzazione»).

(…) Le caratteristiche dell’Anticristo di Solov’ëv sono sorprendenti (…). Potremmo definirlo oggi un campione dell’umanitarismo progressista, un messia dell’ecumenismo politically correct, un perfetto simbolo dell’ideologia attualmente dominante (…)

Era anche «un convinto spiritualista» con «altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficienza». E il suo spirito ecumenico lo porterà a voler unire tutte le diverse confessioni. (…)

Ripeto: a riproporre tale profezia è uno dei più autorevoli cardinali della Chiesa cattolica (…) tenendo gli esercizi spirituali per la Curia romana, davanti a Benedetto XVI, nel febbraio 2007.

Questo episodio ha anche – come sfondo storico – la «battaglia culturale» che Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi hanno combattuto dagli anni Novanta del XX secolo attorno al tema delle «radici cristiane» dell’Europa. (…) Un’epocale questione spirituale e politica.

Infatti, con il crollo del Muro di Berlino e del comunismo, quella che era la Comunità economica europea, nata dai Trattati di Roma del 1957, nata peraltro su spinta americana in contrapposizione al blocco dell’Est europeo, con un’identità cristiana legata alle diverse Dc che governavano l’Europa occidentale e con la limitazione a una cooperazione economica fra Stati (nel rispetto della sovranità e dell’identità di ogni singolo Stato), si trasforma radicalmente.

La svolta è realizzata con il Trattato di Maastricht del 1992, quando nasce l’Unione europea. Una struttura tecnocratica – a egemonia franco-tedesca – che svuota progressivamente le sovranità degli Stati, sottraendo a essi anche la sovranità monetaria (con la nascita dell’euro) e la politica economica.

L’impronta ideologica della Ue è per un verso mercatista – in quanto sottomette gli Stati alla sovranità assoluta dei mercati –, per altro verso fortemente laicista, rispecchiando così le due corsie della globalizzazione:deregulation finanziaria e deregulation antropologica.

Così (…) «il sogno dei padri storici e autentici dell’idea d’Europa è rimasto irrealizzato e, per di più» scrive Renato Cristin «è diventato l’incubo dei popoli europei di oggi.»

(…) Il mese dopo quegli esercizi spirituali, il 24 marzo, Benedetto XVI tenne un discorso agli episcopati europei in occasione del 50° anniversario della firma dei Trattati di Roma (25 marzo 1957).

Benedetto XVI elencò le criticità che si erano manifestate con la nuova Unione europea nata nel 1992, a partire dal grave crollo demografico («Si deve purtroppo constatare che l’Europa sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia») che ha pure enormi ricadute economiche (…).

Benedetto XVI mise infine il dito nella piaga: “Il processo stesso di unificazione europea si rivela non da tutti condiviso, per l’impressione diffusa che vari ‘capitoli’ del progetto europeo siano stati ‘scritti’ senza tener adeguato conto delle attese dei cittadini. Da tutto ciò emerge chiaramente che non si può pensare di edificare un’autentica ‘casa comune’ europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente. Si tratta infatti di un’identità storica, culturale e morale”.

(…) Pochi mesi dopo, nel novembre dello stesso anno, papa Ratzinger pubblicava la sua enciclica Spe salvi nella quale – anch’egli – evocava, a un certo punto, a sorpresa, l’Anticristo e lo faceva – significativamente – con una citazione di Immanuel Kant (…): “Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore […] allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo […] inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato a essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose”.


Antonio Socci da “Il dio Mercato, la Chiesa e l’Anticristo” (Rizzoli)
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26/12/2019 22:01
 
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LE DELIZIE DI S. AMBROGIO E LA CIVILTA’ ITALIANA. LA BUONA CUCINA CHE VIENE DALLA BUONA NOVELLA COME LA GRANDE ARTE




Fra i vari “comandi” lasciati da Gesù ai suoi fedeli, secondo un dotto frate domenicano di Bologna, “quello più trascurato è: ‘Guardate’. La bontà dei sensi, che ci aprono al mondo creato da Dio, non è sempre stata compresa: il primo martire domenicano, fra Pietro, morì proprio per difendere la fede nel Dio buono, Creatore e Signore del cielo e della terra. Ambrogio, dal canto suo, ha scritto pagine memorabili che ci testimoniano il fatto che la bellezza della creazione e il saperla gustare sono vie di comunione con Dio”.


È il domenicano fra Stefano Prina  a cominciare così, sul sito dei frati predicatori di Bologna, un articolo intitolato “Buon pastore buongustaio”, dedicato al grande vescovo di Milano.


Sant’Ambrogio infatti non fu solo una guida coraggiosa della sua città e una straordinaria mente teologica per la Chiesa, in lotta con le eresie e i poteri di questo mondo, ma anche – e le cose non sono affatto estranee – un palato raffinato  che lodava Dio ricordando “le specie di tutti gli esseri che abitano le acque: seppie, polipi, ostriche, gamberi, granchi, e fra questi gli innumerevoli esemplari di ciascuna specie. La murena” aggiungeva “è un cibo squisito. La rana non manca d’una sua eleganza, e in bontà supera quasi tutti i cibi”.


Fra Stefano menziona anche altri singolari passi gastronomici ambrosiani: “il vino bevuto con sobrietà contribuisce alla salute e accresce il discernimento ”, scriveva il vescovo di Milano. Che si rallegrava con un amico perché “mi hai mandato dei tartufi, e per giunta di grana enorme, così che le loro inusitate proporzioni lasciavano a bocca aperta”.


Il religioso domenicano arriva a scrivere che “il padre dell’ottimismo teologico, col suo virtuosismo retorico, ci inietta l’antidoto all’anticristo con l’ode a un buon secondo piatto : ‘Nel mio elencare non lascerò senza lusinghiera menzione te, o trota  Timocui ha imposto il nome un fiore. Cosa c’è di più soave del tuo sapore? Che cosa più fragrante del tuo profumo?”.


Con questo “gusto” delle cose create  – spiega il domenicano – “il decano dei dottori della Chiesa” contesta lo “spiritualismo dei buoni pensieri”, cantando “la sua spassionata lode al Dio della vita ” e si oppone a quelle ricorrenti eresie gnostiche le quali considerano come Male il mondo creato.


Lo stesso “Cantico delle creature” di san Francesco, – col suo “quadro luminoso e amoroso del creato” – da una parte segna, come ha spiegato Franco Cardini, “una sorta di atto di nascita della cultura e delle sensibilità umanistiche”, dall’altro si può considerare “alla stregua d’un efficace, serrato e appassionato manifesto anticataro”, in riferimento a quei Catari che “odiavano la natura” e la materia, la cui eresia “in quel momento minacciava l’integrità della Chiesa”.


Del resto – nella predicazione dei gesti  tipica di san Francesco – andrebbe ricordato un commovente dettaglio alimentare delle sue ultime ore, quando scrive a madonna Jacopa de’ Settesoli, a Roma, annunciandole che sta morendo e chiedendole di portargli “quei dolci che eri solita darmi quando mi trovavo ammalato a Roma”.


Una richiesta sorprendente, soprattutto per un uomo abituato a durissimi digiuni, protratti per mesi, ma c’è – in quel gesto, fatto in punto di morte – un grande insegnamento: di umiltà  (non voleva che i suoi lo idealizzassero oltremisura) e – ancora una volta – di lode a Dio per la sua bontà di creatore delle cose terrene.


Il rapporto felicissimo del cristianesimo col cibo  deriva anche dal fatto che è l’unica religione che non ha nessuna proibizione alimentare.


Gesù nega qualunque contaminazione dell’anima dall’esterno, fa il suo primo miracolo  a un pranzo di nozze, paragona il Paradiso a un immenso e festoso banchetto  e vuole che addirittura la sua presenza sacramentalefino alla fine dei tempi sia legata al pane  e al vino , consacrati durante una cena. Che diventa “il” rito dei cristiani.


A questo proposito i famosi cesti di frutta di Caravaggio  – secondo alcuni studiosi – andrebbero interpretati proprio all’interno della spiritualità di san Carlo Borromeo e del Concilio di Trento, come simbolo dei benefici del sacramento eucaristico, definiti nel Catechismo tridentino “admirabiles fructus”.


Questo incrocio di cibo, spiritualità, arte e cultura  del resto è tipico del grande monachesimo benedettino  che ha letteralmente salvato l’agricoltura e la cultura  (l’antica letteratura classica). Costruendo lefondamenta della civiltà europea.


Si deve ai monaci l’allevamento del bestiame, “la fabbricazione della birra, l’apicoltura, la frutticoltura. Dovettero ai monaci la propria esistenza il commercio del grano in Svezia, la fabbricazione del formaggio a Parma, i vivai di salmone in Irlanda” (Thomas Woods) e tante altre cose. Come la produzione del vino  e “la stessa scoperta dello champagne  che si può far risalire a un monaco benedettino, Dom Perignon, dell’Abbazia di Saint Pierre a Hautvillers sulla Marna” (Woods).


Cibo, arte e cultura sono soprattutto la caratteristica dell’Italia e continuano a rappresentare le sue ricchezze proprio perché l’Italia è il paese che ha avuto per duemila anni il rapporto più intenso con la Chiesa (essendone il centro planetario), il Paese che è stato plasmato dalla spiritualità cattolica.


Accostiamo dunque due notizie recenti. La prima: “Il 2018 è stato l’anno record per il cibo italiano nel mondo. Raggiunta per la prima volta quota 42 miliardi di export”.


L’ Ansa ci spiega ancora: “Mai cosi tanto cibo e vino italiano sono stati consumati sulle tavole mondiali con il record storico per le esportazioni agroalimentari Made in Italy che nel 2018 hanno raggiunto per la prima volta il valore di 42 miliardi di euro grazie all’aumento del 3%”.


Seconda notizia: una ricerca Ipsos per l’Enit, di qualche mese fa, rivelava che l’Italia è la meta più desiderata al mondo: il nostro Paese attrae per la sua arte, il suo cibo e le sue città. La nostra storia è il nostro tesoro.


Dunque non solo per l’arte e il paesaggio, ma anche per la nostra civiltà alimentare, non possiamo non dirci cristiani..


Antonio Socci




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15/07/2020 14:31
 
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LA BASILICA DI SANTA SOFIA TRASFORMATA IN MOSCHEA. IL FALLIMENTO DEL DIALOGO CON L’ISLAM. PERFINO BERGOGLIO DICE UNA PAROLA. ECCO PERCHE’


Posted: 13 Jul 2020 03:13 PM PDT



... ieri all’Angelus papa Bergoglio ha detto una parola su Santa Sofia: si è detto “molto addolorato”. E’ poca cosa, ma è comunque un messaggio, quanto basta per non passare alla storia – fra l’altro – come il papa che è stato indifferente alla trasformazione in moschea di Santa Sofia. Il pronunciamento pontificio esprime infatti il dolore della Chiesa cattolica.


E’ un intervento significativo anche per l’Italia, dove sono stati Matteo Salvini e Giorgia Meloni a intervenire su questo caso che – peraltro – evidenzia il problema internazionale rappresentato dalla Turchia di Erdogan.


Giorgia Meloni ha scritto sulla sua pagina fb:


“Erdogan completa il processo di trasformazione della laica Turchia in un sultanato islamico convertendo (nuovamente) in moschea il museo di Santa Sofia di Istanbul. Con questo atto, che Erdogan crede essere una dimostrazione di forza della sua deriva islamista, l’aspirante sultano non fa altro che ammettere di essere incapace, nel 2020, di costruire qualcosa che possa anche solo avvicinare la maestosità della basilica di Santa Sofia costruita circa 1500 anni fa dalla cristiana Costantinopoli”.


Matteo Salvini, preannunciando anche un presidio della Lega davanti al consolato turco di Milano, ha scritto su Twitter:


“La stessa Turchia che qualcuno vorrebbe far entrare in Europa, trasforma Santa Sofia in una moschea. La prepotenza di un certo Islam si conferma incompatibile con i valori di democrazia, libertà e tolleranza dell’Occidente”.


Con l’operazione Santa Sofia il “Sultano” Erdogan ha riconfermato le sue mire espansionistiche ed egemoniche che vanno addirittura dalla Spagna a Gerusalemme (passando per la Libia).


Infatti Erdogan, parlando ai turchi e ai musulmani di tutto il mondo, ha detto che la “riconversione” di Santa Sofia è precorritrice della liberazione della moschea al-Aqsa”, cioè di Gerusalemme (gli sono giunti applausi da Hamas) e fa parte del piano che vuole risvegliare l’Islam “da Bukhara, in Uzbekistan, all’Andalusia, in Spagna”. Una sorta di Califfato. Come si vede c’è di che preoccuparsi.


Gad Lerner – sul “Fatto quotidiano” – ieri ha notato l’inquietante riferimento a Gerusalemme, mettendone giustamente in luce il senso destabilizzatore.


Poi ha sentito l’inspiegabile bisogno di improvvisarsi storico parlando del 1236 “quando la reconquista cristiana della penisola iberica fu suggellata dalla trasformazione della Mezquita islamica di Cordoba in cattedraledell’Immacolata Concezione”.


Lerner probabilmente voleva insinuare che anche i cristiani hanno fatto ai musulmani quello che oggi Erdogan fa con Santa Sofia.


La storia però dice l’opposto, perché la Spagna era cristiana, i musulmani la invasero nel 756 e a Cordova costruirono la moschea dove prima c’era la basilica visigota, del IV-VI secolo, dedicata a San Vincenzo Martire (con la sede episcopale e il seminario).


Gli islamici la demolirono e ci costruirono la Mezquita. Gli scavi archeologici del XX secolo hanno riportato alla luce i resti dell’originaria basilica cristiana. La “reconquista” – lo dice la parola stessa – non fu altro che la liberazione della Spagna dal dominio degli invasori musulmani e per questo, una volta liberata Cordova, la struttura edificata sulla basilica fu ritrasformata in chiesa. Lerner aveva esordito ammonendo che “a scherzare con la storia ci si brucia” e in effetti lui ha provveduto a bruciarsi.


Nella vicenda di Santa Sofia tutto comincia dalla tragica invasione turca che nel 1453 devastò Costantinopoli e pose fine a una civiltà millenaria che aveva illuminato tutto il Mediterraneo. Costantinopoli era letteralmente la seconda Roma.


Per la cristianità orientale di rito ortodosso Santa Sofia è la Chiesa madre, perciò è come sa da noi fosse trasformata in moschea la basilica di San Pietro.


Prima della dichiarazione di ieri del Papa, il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, aveva dichiarato che la “riconversione” di Santa Sofia avrebbe spinto “milioni di cristiani in tutto il mondo contro l’islam”.


Ma soprattutto il Patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill – che giorni fa aveva già lanciato un appello per scongiurare questa decisione – ha espresso “grande pena e dolore”. Il metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, l’ha definita “un duro colpo per l’ortodossia mondiale”.


Oggi però la Turchia è un problema per il mondo, non solo per i cristiani.


.Antonio Socci


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16/11/2020 13:46
 
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LE DRAMMATICHE PAROLE DI BENEDETTO XVI: “LA MINACCIA VIENE DALLA DITTATURA UNIVERSALE DI IDEOLOGIE APPARENTEMENTE UMANISTICHE… AVER PAURA DI QUESTO POTERE SPIRITUALE DELL’ANTICRISTO E’ FIN TROPPO NATURALE”.

Posted: 15 Nov 2020 10:27 AM PST


A maggio ci furono polemiche per le anticipazioni di alcune dichiarazioni fatte da Benedetto XVI a Peter Seewald e pubblicate nella sua biografia che stava per uscire in Germania. Adesso quest’opera è tradotta in Italia col titolo “Benedetto XVI. Una vita” (Garzanti), dunque si ha la possibilità di comprendere meglio le parole del papa.

La domanda cruciale di Seewald a Ratzinger è questa: “Una frase della sua prima omelia come pontefice è rimasta particolarmente impressa nella memoria: ‘Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi’. Aveva forse previsto quello che la aspettava?”.

Il papa risponde che non c’era l’allusione ai problemi del Vaticano (tipo Vatileaks), come molti hanno pensato.

“La vera minaccia per la Chiesa, e quindi per il servizio petrino” spiega Benedetto XVI “non viene da questo genere di episodi: viene invece dalla dittatura universale di ideologie apparentemente umanistiche, contraddire le quali comporta l’esclusione dal consenso di base della società. Cento anni fa chiunque avrebbe ritenuto assurdo parlare di matrimonio omosessuale. Oggi coloro che vi si oppongono sono socialmente scomunicati. Lo stesso vale per l’aborto e la produzione di esseri umani in laboratorio. La società moderna intende formulare un credo anticristiano: chi lo contesta viene punito con la scomunica sociale. Avere paura di questo potere spirituale dell’Anticristo è fin troppo naturale e occorre davvero che le preghiere di intere diocesi e della Chiesa mondiale vengano in soccorso per resistervi”.

I media hanno semplificato tutto in modo superficiale scatenando la polemica su quegli esempi. Ma non è lì il centro del ragionamento di Benedetto XVI, che ha ben altro respiro. Egli parla della “minaccia”rappresentata “dalla dittatura universale di ideologie apparentemente umanistiche”.

Qui è il punto. Che un uomo di grande cultura, di profonda spiritualità e di riconosciuta autorevolezza, parli della “minaccia” di una “dittatura universale” non può lasciare indifferenti.

Si può obiettare, ma questo tema è emerso pure nel dibattito pubblico. Anche intellettuali laici si sono mostrati preoccupati per l’evidente imporsi di un “pensiero unico” e addirittura “Micromega” ha puntato l’indice contro “la nuova stagione di eccessi che l’ideologia del politically correct sta vivendo e che ha condotto alla riscoperta ‘progressista’ della censura”.

Non solo. Autorevoli pensatori – come Giorgio Agamben – in questi mesi hanno lanciato l’allarme per “lo stato d’eccezione” durante “l’emergenza sanitaria”, ma più in generale per la politica che diviene biopolitica.

Pure un intellettuale laico (francese) lontano dal pensiero di Ratzinger, come Michel Onfray, ha pubblicato il libro “Teoria della dittatura”, dove addirittura vede all’orizzonte “un nuovo tipo di totalitarismo”. Dunque il tema esiste.

Ratzinger parla della “dittatura di ideologie apparentemente umanistiche” e aggiunge che “la società moderna intende formulare un credo anticristiano” e che “avere paura di questo potere spirituale dell’Anticristo è fin troppo naturale”.

Qui la riflessione di Benedetto XVI incontra – per esempio – il pensiero di uno dei più grandi filosofi del nostro tempo: René Girard. Il quale, in effetti, usa le stesse categorie di Ratzinger nel libro “Vedo Satana cadere come la folgore” (Adelphi) per riflettere sul presente. Anche lui intravede “il nuovo totalitarismo”.

Girard spiega che il cristianesimo ha introdotto nel mondo la “pietà per le vittime”. C’è oggi un umanitarismo (Ratzinger parla di “ideologie apparentemente umanistiche”) che fa sua questa sensibilità, ma contro il cristianesimo: “il movimento anticristiano più forte è quello che fa sua e ‘radicalizza’ la preoccupazione verso le vittime per paganizzarla… Il nuovo totalitarismo si presenta come liberatore dell’umanità”.

Anche Girard – come Ratzinger – chiama in causa la figura neotestamentaria dell’Anticristo, ovvero di colui che “imita sempre meglio Cristo e pretende di superarlo”.

Tutto il Novecento è percorso da figure letterarie dell’Anticristo – da quello di Solovev a quello di Benson – come grande umanitario e filantropo, una “imitazione usurpatrice” del Redentore che ricorda l’affresco di Luca Signorelli.

“L’Anticristo” scrive Girard “si vanta di recare agli uomini la pace e la tolleranza”, mentre “porta con sé l’effettivo ritorno a ogni sorta di abitudini pagane” (anche Girard, come Ratzinger, cita qui l’aborto e altre situazioni moderne).

In pratica Girard condivide con Ratzinger l’allarme per una modernità anticristiana che entrambi non esitano ad accostare alla figura apocalittica dell’Anticristo.

Considerazioni molto interessanti sull’Anticristo e la modernità sono state svolte anche da Mario Tronti e da Massimo Cacciari, in vari interventi e nel libro “Il potere che frena” (Adelphi).

Sull’Anticristo ha scritto – da laico – pure Giorgio Agamben proprio in un libro dedicato alla rinuncia di Ratzinger: “Il mistero del male. Benedetto XVI e la fine dei tempi”.

Appunto a questo libro fa riferimento un’altra domanda di Seewald al papa. Il biografo spiega che Agamben “si dice convinto del fatto che la vera ragione delle sue dimissioni (del pontefice, ndr) sia stata la volontà di risvegliare la coscienza escatologica. Nel piano divino della salvezza la Chiesa avrebbe anche la funzione di essere insieme ‘Chiesa di Cristo e Chiesa dell’Anticristo’. Le dimissioni sarebbero una prefigurazione della separazione tra ‘Babilonia’ e ‘Gerusalemme’ nella Chiesa”.

Agamben faceva riferimento a un antico saggio di Ratzinger su Ticonio. Il papa emerito non risponde direttamente, ma ricorda con Agostino che “molti sono parte della Chiesa in modo solo apparente, mentre in realtà vivono contro di essa” mentre “al di fuori della Chiesa ci sono molti che – senza saperlo – appartengono profondamente al Signore e dunque anche al suo corpo, la Chiesa”.

Poi aggiunge: “Sappiamo che nella storia ci sono momenti in cui la vittoria di Dio sulle forze del male è visibile in modo confortante e momenti in cui, invece, le forze del male oscurano tutto”.


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Antonio Socci

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Da “Libero”, 15 novembre 2020
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