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L’esperienza del Trascendente alla luce della psicoterapia

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2018 22:05
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16/09/2013 22:37
 
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Evidenze neuro-empiriche sull’esperienza religiosa e mistica
Già nel 2003 si rifletteva sulla direzione che stavano assumendo certi risultati delle neuroscienze relative all’esperienza religiosa e la “Neuroteologia” veniva introdotta a livello accademico (W. Whitfield, 2003). Nell’articolo di Repubblica  firmato da Vallortigara e Girotto emerge una deduzione per nulla dimostrata. Viene infatti sottolineata in maniera chiara un’identità stretta tra “mente umana” e “architettura cerebrale”, tesi filosofica appartenente alla cosiddetta corrente internalista del mentale che oggigiorno risulta abbastanza “ingenua” e obsoleta. Basti considerare il recente lavoro professionale e altamente scientifico della filosofa italiana Maria Cristina Amoretti sugli esternalismi del mentale (M. C. Amoretti, 2011). Interessante a questo riguardo l’approfondimento che Fingelkurts opera a partire dalla domanda caratteristica (the main empirical question) in quest’ambito della riflessione neuroetica: Is our brain hardwired to produce God, or is our brain hardwired to perceive God?(Il nostro cervello è cablato per produrre Dio, oppure il nostro cervello è cablato per percepire Dio?) (A. A. Fingelkurts, 2009).

Numerose monache di clausura e monaci buddisti furono reclutati come volontari a partire dagli anni ’90, all’interno di studi sperimentali neuroscientifici sull’esperienza religiosa e mistica (M. Beauregard, V. Paquette, 2006, 2008; A. Fenton, 2009). Considereremo brevemente alcuni degli esperimenti realizzati in quest’ambito per poter poi giudicare le conclusioni e le interpretazioni che portano avanti, spesso anche a livello mediatico, alcuni scienziati contemporanei.

Nel 2006, il dottor Mario Beauregard, pioniere negli studi neuroscientifici riguardanti l’esperienza religiosa e mistica (S. Lewis, 2009), del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Montreal in Canada, pubblicò, sul numero 405 di Neuroscience Letters, un articolo sui correlati neuronali dell’esperienza religiosa ottenuti studiando, attraverso l’elettroencefalografia, monache di clausura durante la loro meditazione quotidiana. Due anni dopo, nel 2008, lo stesso scienziato canadese pubblicò sulla stessa rivista, un lavoro che riassumeva nuovi dati di elettroencefalografia ottenuti durante l’esperienza mistica (M. Beauregard, V. Paquette, 2008). Le conclusioni di questi studi sperimentali (come di altri lavori che non è qui possibile menzionare nel dettaglio) portarono a concludere che durante l’esperienza religiosa numerose regioni cerebrali vengono attivate e coinvolte, particolarmente a livello della corteccia cerebrale. Ciò implica una rete neuronale complessa, cognitivamente strutturata, che coinvolge l’attivazione rilevante (in confronto con uno standard, cioè con i dati estrapolati da monache che non stavano ricordando le loro esperienze d’unione mistica) della famosa AAA (Attention Association Area), locus cerebrale associato alla concentrazione. Gli scienziati evidenziarono inoltre la riduzione dell’attività della OAA (Orientation Association Area) o zona dell’associazione e dell’orientamento spaziale. Già nel 2004 Olaf Blanke del Dipartimento di Neurologia di Ginevra (Svizzera), aveva pubblicato sulla rivista Brain, un interessante lavoro sull’implicazione di tale locus cerebrale e l’esperienza extracorporea detta anche out-of-body experience (O. Blanke et al., 2004).

Come dati scientifici, questi ed altri lavori, ci rivelano che durante un’esperienza spiritualediverse e numerose aree del nostro cervello vengono modulate (si attivano o vengono inibite in rapporto ad un parametro standard). Così concludono i ricercatori nel lavoro citato in precedenza: These results indicate that mystical experiences are mediated by marked changes in EEG power and coherence. These changes implicate several cortical areas of the brain in both hemispheres (M. Beauregard, V. Paquette, 2008).

 

Interpretazione di questi dati sperimentali
Dal dato scientifico alcuni ricercatori passano alla sua interpretazione fino ad arrivare a vere e proprie manipolazioni. Così il dottor Andrew Newberg dell’Università della Pensilvania a Filadelfia (Stati Uniti), compiendo gli stessi esperimenti con monaci buddisti e francescani, giungendo agli stessi dati empirici, scrisse un libro intitolato Dio nel cervello (God in the brain, Why God Won’t Go Away), nel quale riduce l’esperienza religiosa a puro prodotto materiale del nostro cervello. Newberg e altri neuro-riduzionisti interpretano i dati sull’esperienza del Trascendente come se il cervello stesso ne fosse la causa diretta e ultima. Si potrebbe allora concludere come fa il “padre” della neuroscienza contemporanea, Michael S. Gazzaniga: se il nostro cervello produce l’esperienza religiosa, Dio sta nel cervello e, in fin dei conti, il cervello diventa Dio. Questa visione fu divulgata con successo dallo spagnolo E. Punset nel suo libroL’anima è nel cervello.

La verità è, sfortunatamente per questo tipo di scienziati (che rappresentano un’esigua minoranza che però fa clamore), che i dati neuroscientifici non ricercano direttamente l’esperienza umana di Dio, ma cercano di identificare le basi neurofisiologiche associate alla fenomenologia di qualsiasi esperienza religiosa. Ciò che viene misurato non è affatto l’esperienza mistica in sé, ma l’intensa attività intellettivo–volitiva che l’accompagna. La ricchezza dell’esperienza religiosa, naturale in tutti gli esseri umani, si manifesta nella nostra dimensione corporea a livello delle complesse reti neuronali in gioco.

 

Nella seconda parte, che sarà pubblicata domani, arriveremo alle conclusioni.

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