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LA MATEMATICA E LA FEDE

Ultimo Aggiornamento: 13/07/2019 23:18
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15/09/2013 22:18
 
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Il matematico Olivier Rey:
«la scienza è un modo di amare Dio»

Olivier ReyAl recente Meeting di Rimini ha partecipato anche Olivier Rey, docente di matematica per quindici anni e oggi dedicato alla filosofia al Centro Nazionale della ricerca Scientifica (CNRS) di Parigi e insegna all’Università Panthéon-Sorbonne.

Cresciuto in una famiglia lontana da Dio, esperienze e incontri l’hanno condotto alla fede. Come ha spiegato: «È stato un lungo cammino. Ma resto sempre meravigliato quando penso all’infinita dolcezza con cui Dio ha saputo prendermi»ha commentato. Alla kermesse riminese ha presentato il suo ultimo lavoro, Itinerari dello smarrimento. E se la scienza fosse una grande impresa metafisica? (Ares 2013), nel qualecritica l’approccio epistemologico della scienza moderna che, tradendo il metodo e le finalità originari della scienza classica, scivola spesso in un pericoloso scientismo.

«Il mio libro non è contro la scienza»ha spiegato il professore, «piuttosto vuole criticare il posto che la scienza ha occupato nella società moderna. Lo smarrimento di cui io parlo viene dal fatto che la scienza quando la si considera come fonte principale ed unica della veritàarriva ad annientare la distinzione degli ordini ed in particolare a marginalizzare l’ordine della carità». E ancora: «quando Cristo dice “io sono la verità” si vede bene che la verità ha un senso che ha poco a che vedere con la scienza come viene intesa oggi. Il problema non è la scienza in se stessa ma il ruolo che si fa giocare alla scienza». E’ evidente che «mettere la scienza al giusto posto non vuol dire imporle dei limiti ma permetterle, magari a lungo termine, di esprimersi al meglio

Se la scienza classica cercava la verità, quella moderna si preoccupa soltanto dell’esattezza delle proprie acquisizioni. Così essa non è più «un modo per rendere grazie a Dio». Ecco perché, citando Pascal, «quando la scienza esce dal suo ordine, non è il suo trionfo, ma il suo naufragio»«La scienza è un modo di amare Dio», ha concluso, «per questo motivo lo smarrimento di cui parlo nel libro è precisamente il fatto che invece la scienza è diventata un modo per detestare Dio».

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15/09/2013 22:20
 
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La matematica e la fede religiosa:
un rapporto lungo trenta secoli (I° parte)

 

di Francesco Agnoli*
*scrittore e giornalista

 
 

L’idea che un personaggio televisivo come Piergiorgio Odifreddi (un ex seminarista convertito al comunismo e all’ateismo militante, senza alcun vero merito scientifico) può far passare, è che tra matematica e religione ci sia una perfetta incomunicabilità. Di qua i numeri, da un’altra parte Dio. La storia della matematica è però lì a dirci il contrario.

Partiamo da Pitagora, il celebre filosofo greco al cui nome è associato il teorema forse più famoso di tutti i tempi, sempre citato al principio di ogni storia della matematica (magari insieme ad Archimede). Pitagora aveva le idee molto chiare: la matematica non è una invenzione dell’uomo, ma una scoperta. E’ la realtà stessa ad essere intessuta di matematica, fondata sul numero. La filosofia greca coglie l’ordine, la razionalità dell’universo; la filosofia di Pitagora identifica il numero come fonte di questa razionalità. Scrive l’astrofisico italiano Mario Livio nel suo “Dio è un matematico”“I pitagorici radicavano letteralmente l’universo nella matematica. In effetti per loro Dio non era un matematico ma la matematica era Dio”. Ciò significa che i Pitagorici coglievano come vera sostanza della realtà qualcosa di intangibile, di invisibile; qualcosa che precede la realtà materiale, che la supera e la informa.

Sarà poi Platone, con la sua metafisica, a dare alla matematica un ruolo fondamentale nella conoscenza umana, ritenendo l’esistenza delle realtà matematiche “un fatto oggettivo tanto quanto l’esistenza dell’universo stesso”[1]Fatto: l’universo fisico esiste, non è capriccioso e caotico, ma ordinato. Riflessione filosofica: la matematica, immateriale, ne rappresenta il fondamento, la sostanza. Si vede bene che siamo, benchè in epoca ancora pagana, sulla strada di una concezione teista, che non pone il mondo “a caso”, ma al contrario, ne riconosce l’ intelligenza, l’armonia, la matematicità. Da dove viene questa armonia? Per Platone dal mondo metafisico delle idee, e, tramite esse, dall’opera del Demiurgo.

Prima dunque che Galileo scriva che “la matematica è l’alfabeto col quale Dio ha scritto l’universo”; prima che il grande pisano definisca la natura come “il libro…scritto in lingua matematica”- alludendo molto chiaramente, quanto all’autore del libro, ad un Dio Creatore- è evidente a chi affronti questa disciplina che la matematica nasce da un atto di fede nella non assurdità del mondo; da un atto di stupore di fronte al fatto che ciò che ci circonda non è regolato dal capriccio, ma dall’ intuizione, per dirla con Platone, che “Dio geometrizza sempre”. Scriverà in pieno Novecento il grande matematico cattolico Ennio De Giorgi“il mondo è fatto di cose visibili e invisibili e la matematica ha forse una capacità, unica tra le altre scienze, di passare dall’osservazione delle cose visibili all’immaginazione delle cose invisibili”.

La matematica dunque ci mette di fronte ad un fatto: l’universo si presenta come qualcosa diintelliggibile alla nostra ragione. Non è un dato scontato. Per Einstein “il mistero più grande è che il mondo sia comprensibile”, cioè che il pensiero sia in grado di fornire un ordine alle esperienze sensoriali. Per il premio Nobel L. De Broglie invece “noi non ci meravigliamo abbastanza del fatto che una scienza sia possibile, cioè che la nostra ragione ci fornisca i mezzi per comprendere almeno certi aspetti di ciò che accade attorno a noi”[2]. Non ci meravigliamo abbastanza, si potrebbe chiosare, del fatto che una sola creatura si ponga anzitutto domande che vanno ben al di là dei bisogni primari, delle esigenze che evoluzionisticamente sarebbero necessarie alla sopravvivenza, e che sia in grado di andare al fondo della realtà, a ciò che la regola e la fonda. Il mistero dell’intelleggibilità del cosmo fa il paio con il mistero di una creatura, e solo quella, che vuole e sa leggere tale intelleggibilità. A dimostrazione, ne dedurrebbe un credente, che entrambe le ragioni, quella di Dio che fonda l’universo, e quella dell’uomo, fatto “a immagine e somiglianza di Dio”, che lo interpreta e lo penetra, hanno una origine comune.

Sono ben comprensibili, allora, non soltanto la divinizzazione del numero di Pitagora e la metafisica di Platone, ma anche il linguaggio biblico, così spesso ripetuto nell’epoca delle cattedrali: Dio ha fatto l’universo “secondo numero peso e misura” (Sap.11, 20). Quest’idea appartiene anche alla storia del pensiero medievale, in particolare di quello francescano, tutto intento nello scorgere nella natura, nella sua bellezza, non un ammasso informe, non una materia principio del male, ma i segni della Ragione e della Bontà creatrice. Di qui l’idea di un grande antenato della scienza moderna, il medievale Roberto Grossatesta, per cui Dio è il “Numerator et Mensurator primus”; oppure il pensiero di san Bonaventura, il quale scriveva:“tutte le cose sono dunque belle e in certo modo dilettevoli; e non vi sono bellezza e diletto senza proporzione, e la proporzione si trova in primo luogo nei numeri: è necessario che tutte le cose abbiano una proporzione numerica e, di conseguenza, il numero è il modello principale nella mente del Creatore e il principale vestigio che, nelle cose, conduce alla Sapienza”[3].

Giovanni Keplero, scopritore delle leggi del moto dei pianeti, non argomenterà in modo dissimile la sua fiducia nella bontà e bellezza della creazione. La sua intuizione di fondo fu infatti che la matematica è “la struttura ontologica dell’Universo”. Da ciò svilupperà “il suo intero lavoro di astronomo, in cui ritroveremo strettamente intrecciate fra loro l’esplicita ripresa di antiche dottrine pitagoriche e neoplatoniche e una fervente fede cristiana”. Infatti,“certo del fatto che l’intera creazione dipenda da un disegno divino perfetto, Keplero crede di averne trovato il segreto nell’idea che l’Universo sia costruito sulla base di figure geometriche note sin dalla geometria antica con il nome di ‘solidi regolari’ […]. Dietro una tale rappresentazione dell’universo vi è una concezione metafisica ben precisa. Keplero è convinto, infatti, che la stessa mente di Dio sia costituita da idee geometriche originarie di cui la mente dell’uomo diviene partecipe”“Non è un caso che poi Keplero interpreti in senso trinitario l’intera struttura del cosmo…Ciò che anima Keplero, è utile ricordarlo, non è tanto la convinzione di un meccanicismo originario, quanto l’idea che l’Universo sia pervaso da unaarmonia matematica divina[4]. Al punto che Keplero scriveva: “La geometria precede l’origine delle cose, è coeterna alla mente di Dio, è Dio in persona (cosa c’è in Dio che non sia Dio?); la geometria ha fornito a Dio gli archetipi della creazione e fu impiantata nell’uomo contemporaneamente alla somiglianza di Dio”[5].

Da: Francesco Agnoli, Scienziati dunque credenti, Cantagalli, Siena, 2012

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15/09/2013 22:21
 
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La matematica e la fede religiosa:
un rapporto lungo trenta secoli (II° parte)


 

di Francesco Agnoli*
*scrittore e giornalista

 
 

L’idea che un personaggio televisivo come Piergiorgio Odifreddi (un ex seminarista convertito al comunismo e all’ateismo militante, senza alcun vero merito scientifico) può far passare, è che tra matematica e religione ci sia una perfetta incomunicabilità. Di qua i numeri, da un’altra parte Dio. La storia della matematica è però lì a dirci il contrario, qui si può leggere la prima parte di questo percorso.

Sulla stessa scia di Keplero e degli altri grandi pensatori citati nella prima parte, si colloca a ben vedere tutto il pensiero matematico e in generale scientifico, per secoli e secoli, a partire dalle origini. Sempre la matematica è vista come una scoperta dell’uomo, non come una sua invenzione. Si ritiene cioè che il linguaggio matematico sia efficace, funzioni, non per caso, ma perché coglie l’oggettività di un ordine, l’esistenza di leggi universali: ordine e leggi universali che richiedono un Legislatore supremo. Un Dio “dell’ordine e non della confusione” (“God of order and not of confusion”), come ebbe a dire un altro dei più grandi matematici della storia,Isaac Newton.

Ha scritto il fisico contemporaneo Paul Davies“Come avviene che le leggi dell’universo siano tali da favorire l’emergenza di menti a loro volta capaci di riflettere e modellare accuratamente queste stesse leggi matematiche? Come è successo che il cervello dell’uomo, che è il sistema fisico più complesso e sviluppato che conosciamo, abbia prodotto tra le sue funzioni più avanzate qualcosa come la matematica, capace di spiegare con tanto successo i sistemi più basilari della realtà fìsica? Perché la mente, che si colloca al culmine dello sviluppo, si ripiega su se stessa e si collega con il livello base dell’esistenza, cioè con l’ordine retto da leggi su cui l’universo è costruito? A mio avviso questo strano “loop” suggerisce che la mente è qualcosa che è legata ai più fondamentali aspetti della realtà fisica, sicché se vi è un significato o un fine all’esistenza fisica, allora noi, esseri coscienti, siamo di sicuro una parte profonda ed essenziale di questo fine”[6].

Eric T. Bell, autore del celebre volume “I grandi matematici”, inizia la sua narrazione partendo dai filosofi greci, per passare quasi subito a Cartesio (1596-1650) e Pascal (1623-1662). Bell ricorda, di entrambi, la fede esplicita in un Dio Creatore, e il rapporto privilegiato con il celebre matematico padre Mersenne, intorno al quale nasceva in quegli anni l’Accademia Francese di Scienze. Si potrebbero anche ricordare la dimostrazione a priori dell’esistenza di Dio di Cartesio, convinto che “le verità matematiche che voi chiamate eterne sono state stabilite da Dio e ne dipendono interamente”, e la visione profondamente religiosa del matematico Pascal, inventore, tra le altre cose, della prima “calcolatrice”, la “pascalina”. Costui, perfettamente in linea con la teologia medievale, sosteneva da un lato che “la natura ha perfezioni per mostrare che è l’immagine di Dio, e difetti per mostrare che ne è solamente l’immagine”(Pensieri, 580), dall’altro specificava così la sua visione del rapporto tra scienza e fede: “Il Dio dei Cristiani non è un Dio solamente autore delle verità geometriche e dell’ordine degli elementi, come la pensavano i pagani e gli Epicurei. [...] il Dio dei Cristiani è un Dio di amore e di consolazione, è un Dio che riempie l’anima e il cuore di cui Egli s’è impossessato, è un Dio che fa internamente sentire a ognuno la propria miseria e la Sua misericordia infinita, che si unisce con l’intimo della loro anima, che la inonda di umiltà, di gioia, di confidenza, di amore, che li rende incapaci d’avere altro fine che Lui stesso” (Pensieri, 556).

Dopo Cartesio e Pascal, nella lista dei grandi matematici della storia, Bell pone il già citato Newton, e, dopo di lui, Leibniz (1646-1717): siamo sempre di fronte ad un filosofo, metafisico, giurista, fisico e matematico, che oltre a perfezionare il calcolatore già inventato da Pascal e ad offrire un importante contributo al calcolo infinitesimale, era fermamente convinto, sino a dimostrarla a priori, dell’esistenza di Dio, visto come “soggetto di tutte le perfezioni, cioè l’essere perfettissimo”. Dopo Leibniz, che già a ventun anni aveva scritto un trattatello intitolato “Testimonianza della natura contro gli atei”, Bell ricorda il grande Leonardo Eulero(1707-1783), definito “il matematico più prolifico della storia”: siamo nell’età della nascente miscredenza, degli atei materialisti francesi, alla d’Holbach e alla Diderot. Eulero, invece, è un fervente protestante che ogni sera raduna la famiglia per leggere insieme brani della Bibbia. Leggiamo un aneddoto curioso su di lui: “Invitato dalla grande Caterina a visitare la sua corte,Diderot consacrava i suoi ozi a convertire i cortigiani all’ateismo; avvertita, l’imperatrice incaricò Eulero di mettere la museruola al frivolo filosofo. Era una missione facile, perché parlare di matematica a Diderot, era come parlargli cinese…Diderot fu avvertito che un matematico d’ingegno possedeva una dimostrazione algebrica dell’esistenza di Dio e che l’avrebbe esposta davanti a tutta la corte, se avesse desiderato ascoltarla; Diderot accettò con piacere…Eulero si avanzò verso Diderot e gli disse gravemente e con un tono di perfetta convinzione: ‘Signore, a+b alla n, fratto n, uguale a x: dunque Dio esiste: rispondete‘. Questo discorso aveva l’aria di essere sensato agli orecchi di Diderot. Umiliato dalle pazze risate che accolsero il suo silenzio imbarazzato, il povero filosofo domandò a Caterina il permesso di tornare in Francia…”. Sappiamo che Eulero si era limitato a fare un po’ di commedia, in quell’occasione, ma anche che in seguito provò a fornire “due solenni dimostrazioni dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima”[7]. Non interessa qui sapere quanto quelle dimostrazioni siano veramente efficaci, quanto notare che anche Eulero non trasse dai suoi studi matematici motivi per la miscredenza, al contrario!

Anche il grande matematico italiano Paolo Ruffini, cattolico fervente, scriveva pochi anni dopo Eulero, nel 1806, una dimostrazione matematica dell’esistenza dell’anima, mentre il matematico napoletano Vincenzo Flauti cercò di dimostrare Dio per via matematica nella sua“Teoria dei miracoli”. Imitato in questo tentativo ardito da George Boole (1818-1864), pioniere della logica matematica, nel suo “Leggi del pensiero” e da uno dei più grandi geni della matematica e della logica di tutti i tempi, Kurt Gödel (1906-1978), il quale tra gli anni ’40 e gli anni ’70 del Novecento, intento com’era “ricondurre il mondo ad unità razionale”, scrisse pagine fitte di formule tese a dimostrare l’esistenza di un Dio non solo come Ente Razionale ma con gli attributi del Dio cristiano[8]. Gödel era filosoficamente un realista, credeva cioè nella matematica come scoperta (“le leggi della natura sono a priori”, non una “creazione umana”); criticava fortemente lo “spirito dei tempi” suoi, improntato al materialismo ed al meccanicismo; da battista luterano qual’era, e da matematico, professava la fede in un Dio trascendente, “nel solco di Leibnitz più che di Spinoza”; sosteneva l’irriducibilità della mente al cervello, dei processi psichici a spiegazioni solamente meccaniche, e affermava che “il cervello è un calcolatore connesso a uno spirito” individuale ed immortale; riteneva“confutabile” l’idea che il cervello umano “sia venuto nel modo darwiniano”, per cause puramente meccaniche e casuali e rifletteva sul fatto che il mondo, dal momento che “ha avuto un inizio e molto probabilmente avrà una fine nel nulla”, non si giustifica da se stesso[9].

Si potrebbe continuare a lungo, nella lista dei grandi matematici credenti, citando Carl Friedrich Gauss (1777-1855) considerato da molti “il principe dei matematici”, che fu un uomo dalla natura profondamente religiosa, abituato a leggere il Nuovo Testamento in lingua greca, convinto che “il mondo sarebbe un non senso, l’intera creazione una assurdità, senza immortalità” dell’anima e senza Dio[10]; il cecoslovacco Bernad Bolzano (1781-1848), sacerdote cattolico, che diede importanti contributi alla matematica, anticipando alcune idee di Cantor; il norvegese Niels Henrik Abel (1802-1829), figlio e nipote di ecclesiastici protestanti; il tedesco Karl Theodor Wilhelm Weierstrass (1815-1897), un matematico tedesco, spesso chiamato “padre dell’analisi moderna”, di cui portano il nome teoremi, teorie e oggetti matematici, figlio di un protestante convertito al cattolicesimo e cattolico anch’egli (tanto da insegnare in varie scuole cattoliche)[11]; il tedesco Bernhard Riemann (1826-1866), considerato uno dei massimi matematici di sempre, anch’egli figlio di un pastore protestante, che fu sempre spirito “religiosissimo” e devoto[12]. Oppure potremmo citare il grande Georg Cantor (1845-1918), figlio di padre luterano e di madre cattolica, grande appassionato di filosofia e teologia medievale, così simpatizzante per la Chiesa cattolica da desiderare il consenso alla autorità cattolica romana riguardo alle sue speculazioni sui numeri infiniti (speculazioni che confinavano, diciamo così, con la metafisica e la teologia).

Da: Francesco Agnoli, Scienziati dunque credenti, Cantagalli, Siena, 2012

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21/03/2014 19:52
 
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Il veto del grande matematico Hilbert: 
perché l’Universo non è sempre esistito

di Giorgio Masiero*
*fisico

 David Hilbert, è stato uno dei maggiori matematici di tutti i tempi.
Lo commemoro illustrando una sua tesi, squisitamente “finitista” secondo la sua concezione della matematica ed interdisciplinare com’era la sua visione epistemica. La tesi riguarda un’ampia categoria di strutture (gli insiemi cantoriani) ed ha un corollario con ricadute in fisica ed in filosofia: 
un intervallo infinito di tempo passato è una contraddizione. Ne consegue che il tempo ha avuto un inizio, ed il mondo con esso: si ritrova così per via logico-matematica il risultato cui erano arrivati Agostino ed i filosofi del Kalam per via metafisica e cui perviene la fisica moderna nella teoria standard del Big Bang e con il teorema di Borde, Guth e Vilenkin (BGV, 2003) nelle speculazioni cosmologiche quanto-gravitazionali.

Prima di enunciare il “veto di Hilbert”, devo analizzare il concetto di “infinito”, perché la parola può essere usata in tre significati distinti che conviene esplicitare. In una prima accezione, infinito significa senza restrizioni. L’attribuzione non è data in positivo attraverso l’assegnazione di una qualità, ma negando limiti ad una qualità. Così si dice che un tale ha una pazienza infinita, a significare che ha una pazienza senza limiti; che Dio è bontà infinita, ecc. Questo tipo di accezione non appartiene alla matematica, perché non è operativa. C’è poi un secondo significato d’infinito, quello d’un processo indefinito che non arriva mai alla conclusione. Hilbert sulla scia di Aristotele lo chiama infinito potenziale. Un esempio è dato dall’operazione di dimezzare un segmento: è chiaro che, dopo averlo dimezzato una volta, posso dimezzare la metà; e poi dimezzare la metà della metà; ecc. Questa procedura di suddivisione può procedere in teoria quanto si vuole. Essa è genuinamente matematica perché è operativa, tanto che un teorema prevede (come risulterà evidente a tutti i lettori) che più si avanza nella procedura, più la lunghezza del risultato si avvicina a zero. Un altro infinito potenziale è la serie numerica 1 – 1/3 + 1/5 – 1/7 +…, dove si procede indefinitamente in operazioni alterne di addizioni e sottrazioni dei reciproci dei numeri dispari. La procedura è matematica perché è operabile, tanto che un teorema di analisi prevede (e ciò risulterà forse sorprendente a qualche lettore) che più si avanza nella procedura più la somma parziale si avvicina a π/4. (Tra parentesi: queste procedure matematiche indefinite non sono eseguibili da un computer, perché un software deve contenere un numero finito di istruzioni! Per quanto sia veloce il suo processore e grande la sua memoria, una macchina non potrà mai eseguire tutte le operazioni d’un infinito potenziale. Così, a differenza della mente umana, nessuna macchina potrà mai predire il risultato π/4 della serie a segni alterni che ho scritto sopra.)

La terza accezione d’infinito è l’infinito attuale. Con ciò s’intende un “insieme cantoriano”, ossia una collezione contenente un numero di elementi superiore ad ogni numero dato. L’alfabeto inglese è un insieme di 26 lettere, pertanto non è un insieme cantoriano; né lo è l’insieme dei granelli di sabbia del mare (come Archimede dimostrò al tiranno di Siracusa), né l’insieme delle particelle dell’Universo, il cui numero non supera 1080, il numero di Eddington. Invece l’insieme dei numeri naturali (che in matematica si indica con N) è un insieme cantoriano, perché contiene un numero di elementi maggiore di qualsiasi numero prefissato. Si può dire che N ha un numero infinito di elementi, dove in questo caso infinito va inteso nell’accezione d’infinito attualerealizzato. Nella matematica – che è un dominio fuori dallo spazio e dal tempo – esistono molti insiemi cantoriani, anzi il loro numero è un infinito attuale! Oltre ad N, altri insiemi cantoriani sono: Z (l’insieme dei numeri interi), Q (l’insieme dei numeri razionali), R (l’insieme dei numeri reali), C (l’insieme dei numeri complessi), un segmento o la retta o il piano o lo spazio intesi come insiemi di punti, l’insieme di tutte le curve, ecc., ecc.

Il problema che Hilbert si pose fu: nel mondo reale possono esistere insiemi cantoriani? Ovvero: una struttura aggregata fisica può contenere un infinito attuale di elementi? Per gli atomisti greci la risposta era positiva, ed un infinito attuale reale sarebbe il mondo stesso, che immaginavano composto d’infiniti atomi. Nel “De rerum natura” il poeta latinoLucrezio, adepto di Leucippo e Democrito, canta: “Gli atomi delle cose che hanno figure simili tra loro sono infiniti. […] E in verità, dato che l’intero spazio è infinito fuori dalle mura di questo mondo, l’animo cerca di comprendere cosa ci sia più oltre, fin dove la mente voglia protendere il suo sguardo, fin dove il libero slancio dell’animo da sé si avanzi a volo. In primo luogo, per noi da ogni punto verso qualunque parte, da entrambi i lati, sopra e sotto, per il tutto non c’è confine: come ho mostrato, e la cosa stessa di per sé a gran voce lo proclama, la natura dello spazio senza fondo riluce. In nessun modo quindi si deve credere verosimile che, mentre per ogni verso si schiude vuoto lo spazio infinito e gli atomi volteggiano in numero infinito e in somma sterminata, in molti modi, stimolati da moto eterno, soltanto questa terra e questo cielo siano stati creati, e niente facciano là fuori quei tanti corpi di materia”. Dunque, anche i mondi sono infiniti per i filosofi atomisti, precursori del multiverso delle stringhe! Né c’è via logica di scampo per chi, non credendo in un Logos creatore ma nel caso, deve giustificare l’ordine del “nostro” cosmo: “Ammettono vari mondi coloro i quali non stabilirono una sapienza ordinatrice come causa del mondo, ma il caso” (Tommaso, “Summa Theologiae”).

La poesia però è “poìesis” (in greco, fabbricazione), non è matematica (dal greco “màthema”,conoscenza). La risposta alla domanda se una struttura aggregata reale possa contenere un infinito attuale di elementi, trovata per via logica da Hilbert fu “no”: non possono esistere insiemi cantoriani fisici. Nelle parole di Hilbert il veto suona: “Abbiamo dimostrato così che nella realtà non si trova l’infinito in nessun luogo, qualsiasi sia l’osservazione o l’esperienza che facciamo. […] Il nostro principale risultato è che l’infinito attuale non può esistere nel mondo reale, è unillusione” (D. Hilbert, On the infinite, in “Philosophy of Mathematics” – 1964. Edited by Paul Benacerraf and Hilary Putnam. Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall). Hilbert stabilì così l’esistenza d’un limite per il numero delle particelle dell’Universo, che Eddington s’incaricò di calcolare.

Ebbene, contro il veto di Hilbert andrebbe un mondo che esistesse da sempre, perché in tal caso il tempo fisico conterrebbe infinite unità di Planck: se ne deduce che gli anni passati dall’inizio del tempo ad oggi sono un numero finito e che il mondo ha avuto un inizio. Se poi la sua età sia di 13 miliardi e mezzo di anni (secondo la teoria del Big Bang) o maggiore (come prevedono teorie non standard per le quali comunque vale il teorema BGV d’incompletezza del passato), questo è un problema della cosmologia scientifica. È notevole rilevare che già Aristotele, nella sua “Fisica”, era arrivato duemiladuecento anni prima, sempre per via logica, allo stesso risultato generale, senza trarne però l’applicazione alla necessaria origine del mondo. A margine segnalo che il veto di Hilbert non vale per un infinito tempo futuro: in questo caso, infatti, l’infinito sarebbe potenziale, non attuale. Nulla ci può dire la matematica sulla fine del mondo!


[Modificato da Credente 21/03/2014 19:54]
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25/04/2015 21:19
 
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Il prof. Enrico Bombieri, medaglia Fields:
«la matematica rinforza la certezza di Dio»

Enrico BombieriQualcuno farà fatica a crederci, ma il più importante matematico italiano non lo conosce nessuno. O, almeno, nessuno al di fuori del mondo scientifico. Il suo nome è Enrico Bombieri, l’unico italiano ad aver vinto la medaglia Fields, che corrisponde al Nobel dei matematici. Insegna presso l’università di Princeton, negli Stati Uniti.

L’ottimo Francesco Agnoli ha recentemente intervistato il prestigioso matematico, il quale ha riflettuto a lungo sul rapporto tra scienza e metafisica, spiegando: «Per me la matematica è un modello della verità sia pure un modello assai ristretto da chiare regole di consistenza, che ci dice che una Verità assoluta (con la V maiuscola) deve esistere anche se non possiamo comprenderla». E ancora: «Cercare di giustificare l’esistenza di Dio con la matematica mi rammenta la storia che si racconta di sant’Agostino ancor che, passeggiando in riva al mare meditando sul mistero della Trinità, vide un fanciullo con un piccolo cucchiaio con il quale raccoglieva l’acqua del mare e la versava con cura nel suo secchiello. Sant’Agostino chiese: ‘Bimbo, cosa stai facendo?’ e il fanciullo rispose: ‘Sto contando quanta acqua c’è nel mare’. ‘Ma questo e impossibile!’, replicò sant’Agostino. E il fanciullo: ‘Comprendere il mistero della Trinità è più difficile’. La matematica, che è la scienza della verità logica,certamente ci aiuta a comprendere le cose ed è naturale per un matematico che crede in Dio, qualunque sia la sua denominazione, di riconciliare il concetto dell’esistenza di Dio con la sia pure limitata verità che proviene dalla matematica».

«Per me», ha proseguito il prof. Bombieri, «è sufficiente il Metastasio, quando dice: ‘Ovunque il guardo giro, immenso Dio ti vedo’. Guardare l’universo, nel nostro piccolo, nel grande al limite dell’incomprensibile, e anche nell’astratto della matematica, mi basta per giustificare Dio». D’altra parte, «il Big Bang dell’astrofisica moderna non solo ci fa pensare alla creazione biblica, ci dice anche che il tempo è stato creato insieme all’universo, un concetto che risale alla metafisica di sant’Agostino. La matematica è essenziale per dare consistenza a tutto questo, ma da sola non basta per dire che questa visione dell’origine dell’universo stellato di Kant sia esatta al 100 per cento».

Il celebre matematico ha anche voluto ricordare il suo maestro, il grande matematico Ennio De Giorgi«Alcuni poveri che De Giorgi cercava di aiutare con assiduità, avevano imparato i suoi orari e si facevano trovare quando arrivava in piazza dei Cavalieri ai piedi della scalinata che porta all’ingresso della Scuola Normale. Lui aveva sempre qualcosa da dare loro, senza farlo mai pesare, senza avere mai un gesto di insofferenza o, ancora meno, di fastidio. E io rimanevo colpito da questi slanci di generosità e mi sembrava che davvero la bontà di Dio si manifestasse in lui in modo sublime»«Pascal e De Giorgi», ha proseguito Bombieri, «avevano compreso che Dio non è solo un Dio platonico, astratto, geometrico, aritmetico, o semplicemente creatore di un universo lasciato a se stesso. Essi avevano la visione di un Dio che è più difficile da comprendere, un Dio che è fatto non solo di potenza ma anche di amore infinito. Solamente così diventa possibile, con umiltà, accettare il concetto cristiano della Redenzione».

L’intervista è complessivamente molto bella e vale la pena leggerla integralmente, noi abbiamo preso soltanto alcune citazioni. Interessante, ad esempio, il commento del prof. Bombieri ai versi di Dante, poeta da lui molto amato («Dante è un profondo conoscitore dell’animo umano e ci presenta come il mondo della natura, il mondo delle forze che guidano la vita umana, e il mondo trascendente che appartiene a Dio, sono intrecciati tra loro», ha detto), così come la riflessione sul bene e sul male e sulla loro esistenza nel mondo matematico. C’è anche spazio ad un commento al discorso di Benedetto XVI sulla matematica dell’aprile 2006. Bombieri ha detto: «La consistenza matematica del nostro universo è certamente una ragione per vedere il Dio creatore dell’universo, come ben espresso dal papa Benedetto XVI nel suo discorso. Tuttavia, c’è qualcosa di più. La matematica astratta, in quanto coerente scienza della verità logica, ci rinforza nella certezza della verità assoluta che è Dio. Dio è Creatore, Amore infinito, e Verità infinita».

Il piccolo divulgatore scientifico creato dal mondo mediatico, Piergiorgio Odifreddi, si lagnava nel suo libro “Perché Dio non esiste”(Aliberti 2010) scrivendo«Carlo Rubbia mi pare che sia cattolico. Enrico Bombieri, medaglia Fields, è cattolico e va a messa» (p. 122). La profondità delle riflessioni del vincitore italiano della medaglia Fields, apprezzata anche in questa intervista, è certamente il motivo per cui il frivolo mondo mediatico preferisce purtroppo dare spazio soltanto a pseudo-intellettuali, armati di tesi superficiali e banali provocazioni. Questa intervista è stata una apprezzatissima eccezione.


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06/06/2015 17:45
 
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Il mistero dell’equilibrio delle forze in natura:
considerazioni di un matematico

scontro stelle 
 
di Paolo Di Sia*
*docente di Matematica presso Libera Università di Bolzano e l’Università di Verona

 

La fisica non affronta direttamente problemi come la lotta tra il bene e il male, ma spiega l’antagonismo nella natura tra forze diverse che si contrappongono. Consideriamo ad esempio la dinamica di una stella; la gravità propria, dovuta al fatto che la stella ha una massa, tende a schiacciarla, mentre la pressione termica e la radiazione elettromagnetica cercano di farla esplodere. C’è quindi una sorta di “lotta”, di “antagonismo” tra forze diverse che cercano di prevalere una sull’altra.

In generale nell’universo si riscontra questa lotta, questo antagonismo; se non ci fosse pertanto un equilibrio “quasi perfetto”, tutti i sistemi sarebbero in breve tempo sopraffatti da una delle forze in gioco. Si parla di “equilibrio quasi perfetto” e non “perfetto”, poiché di fatto in tempi lunghi una delle forze prevale. Ecco allora che le stelle hanno una vita, nascono, vivono e muoiono, che anche l’universo (da quello che le conoscenze scientifiche attuali affermano) ha un suo percorso, una sua durata, e dovrebbe implodere così come è esploso all’inizio, con il big-bang.

Sembra tuttavia esserci un “mistero” in questa “sospensione della morte” apparentemente accidentale. Si tratta infatti di una “stabilità durevole”, ma non eterna, che permette all’universo di “rimandare la sua morte”, ossia lo stato in cui l’energia non sarà più degradabile. Il fisico teorico e matematico britannicoFreeman Dyson, premio Wolf per la fisica nel 1981, a tal proposito si è espresso in questi termini: “Poiché l’universo ha imboccato il piano inclinato che irreversibilmente porta alla morte, allo stato in cui l’energia non è più degradabile, perché mai ci mette tanto tempo a morire?” ( F. Dyson, Energy in the Universe, Scientific American, N. 225(3), pp. 50-59 (1971)).

Troviamo nell’universo e nelle leggi fisico-matematiche che lo governano molti esempi di questa “sospensione”:
1) la “sospensione dimensionale”, relativa alla crescita primordiale dell’universo: questa crescita ha permesso all’universo di non collassare subito sotto la spinta della propria gravità, ma di avere una vita molto lunga;
2) la “sospensione dovuta alla rotazione”: essa rende stabili galassie e sistemi planetari, poiché la forza centrifuga che ci spinge verso l’esterno bilancia l’attrazione gravitazionale che cerca di aggregare gli oggetti o parti di essi;
3) la “sospensione nucleare”: le stelle consumano il combustibile nucleare in modo molto graduale, e questo permette loro di vivere a lungo, di non collassare velocemente.

Non è chiaro e ancora non debitamente spiegato il perché di questa “lentezza”, di questo equilibrio quasi perfetto tra forze antagoniste. La scienza offre una strada interessante alla ricerca della verità e di Dio da parte dell’uomo, cosa che avviene dall’inizio dei tempi. Solo conoscendo il mondo nei suoi diversi aspetti (riduzionista e olistico, fisico-matematico e non materialistico) si potrà giungere a capire noi stessi e il senso dell’universo in cui viviamo.

Il fisico teorico Richard Feynman, premio Nobel per la fisica nel 1965, ha scritto: “Siamo soliti, per descrivere il mondo, parlare di gerarchie, o di livelli….. Quale estremità è più prossima a Dio, se mi è consentito di impiegare una metafora di carattere religioso? La bellezza e la speranza, o le leggi fondamentali della fisica? Io credo che la risposta giusta sia questa: dobbiamo tener presenti tutte le interconnessioni strutturali della cosa” (R. Feynman, The Character of Physical Law, Modern Library, 192 pp. (1994))

 


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28/12/2015 22:23
 
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Dio e la Matematica


Il linguaggio della scienza moderna è la matematica. Se nel tentativo di descrivere il mondo, la religione, la sapienza più antica dell’uomo, ha usato il linguaggio dei “simboli”, e il pensiero filosofico nato nella cultura greca si è espresso tramite “concetti”, la scienza moderna, il cui inizio si fa corrispondere alle intuizioni di Galileo Galileo, parla con il linguaggio della matematica, che per un curioso scherzo dell’Universo, è una sintesi tra “simboli” e “concetti”.

 

dio matematico

 




L’introduzione del linguaggio matematico nella ricerca del significato della realtà, ha spinto molti filosofi e matematici ad ipotizzare che ci troviamo a vivere in un “Universo Matematico”, nel quale tutte le strutture che esistono matematicamente esistono anche fisicamente.


Ciò solleva una questione di grande interesse: ma Dio ha la mente di un matematico?


Sin dai tempi più antichi, ha suscitato sempre una grande meraviglia l’esistenza della “Sezione Aurea”, o anche detta “Proporzione Divina”, espressione coniata da Frà Luca Pacioli, frate e matematico del XV secolo, con la quale si esprime un rapporto proporzionale esistente in natura e sulla quale sembrano essere modellate tutte le cose.


Dalla geometria all’architettura, dalla pittura alla musica, fino alla natura del creato possiamo osservare come tale rappresentazione corrisponda ad un rapporto che è stato definito pari a 1,618 (numero d’oro).


La Proporzione Divina viene intesa come chiave universale per penetrare i segreti della bellezza ma anche della natura ed al centro è collocato l’uomo, misura di ogni cosa.


L’uomo vitruviano acquistò popolarità grazie al disegno che ne fece Leonardo Da Vinci che fu amico di Frà Luca Pacioli, nel quale l’uomo è rappresentato come sospeso tra un quadrato ed un cerchio, volendo indicare che è possibile riscontrare la “Proporzione Divina” anche nel corpo umano.


Infatti, se moltiplichiamo per 1,618 la distanza che in una persona adulta e proporzionata, va dai piedi all’ombelico, otteniamo la sua statura. Così la distanza dal gomito alla mano, moltiplicata per 1,618, dà la lunghezza totale del braccio.


La distanza che va dal ginocchio all’anca, moltiplicata per il numero d’oro, dà la lunghezza della gamba, dall’anca al malleolo. Anche nella mano i rapporti tra le falangi delle dita medio e anulare sono aurei, così il volto umano è tutto scomponibile in una griglia i cui rettangoli hanno i lati in rapporto aureo.


Ma il corpo umano non l’unica realtà naturale ad essere sviluppata sulla base della Proporzione Divina. Cosa hanno in comune una galassia, l’accrescimento biologico di alcune specie animali, la spaziatura tra le foglie lungo uno stelo e la disposizione dei petali e dei semi di girasole? Tutti questi presentano schemi riconducibili a quello della sezione aurea e alla “spirale logaritmica” detta anche “spirale aurea”.



Infine, numerose opere architettoniche, di un passato più o meno remoto, presentano proporzioni riconducibili alla Sezione Aurea. Nei megaliti di Stonehenge, le superfici dei due cerchi concentrici di pietre stanno tra loro nel rapporto di 1,6; la piramide egizia di Cheope ha una base di 230 metri ed una altezza di 145: il rapporto base/altezza corrisponde a 1,58 molto vicino a 1,6; anche nella progettazione della Cattedrale di Notre Dame a Parigi e del Palazzo dell’ONU a New York sono state utilizzate le proporzioni del rettangolo aureo.


 


Filosofia e Matematica


Molti pensatori si sono chiesti se la matematica è un sistema che la mente dell’uomo ha inventato, o se invece sia di origine cosmica, una sorta di sapere divino che portiamo dentro di noi. Il primo a riflettere sull’origine divina della matematica è stato il pensatore greco del VI secolo a.C. Pitagora, autore del famoso teorema che tutti abbiamo studiato a scuola.


Secondo il filosofo di Samo, mediante i Numeri, è possibile spiegare ogni cosa: dal mondo che ci circonda al moto degli astri, al succedersi delle stagioni, dalle armonie della Musica al ciclo della vegetazione. Per Pitagora il Numero è tutto, è l’elemento di cui tutte le cose sono costituite.


Ma rispondere alla domanda se la matematica sia una invenzione umana o una scoperta di qualcosa che esiste di per sé in natura non è una cosa semplice. Nel corso dei secoli, numerosi filosofi, matematici, fisici e psicologi hanno tentato di dare una risposta a questo dubbio amletico: invenzione o scoperta? Il neurobiologo Jean Pierre Changeux (1936) si interroga sulla questione: “Come può uno stato fisico, interno al nostro cervello, rappresentare un altro stato fisico esterno ad esso?”. Bella domanda!


Kurt Gödel, un famoso logico e matematico, era talmente convinto del fatto che la matematica fosse intessuta nella struttura della realtà, da formulare una dimostrazione matematica di Dio!


Nel suo libro “La prova matematica dell’esistenza di Dio”, il matematico si cimenta in una dimostrazione logica dell’esistenza di Dio: impresa che oggi potrà anche sembrare anacronistica, ma che si situa nella scia di una tradizione millenaria.


[Disponibile di IBS]


Ugualmente convinto della “oggettività matematica” del reale è l’astronomo del MIT, Max Tegmark che afferma: “Se crediamo che esista una realtà indipendente esterna alla nostra osservazione, allora si deve credere in quella ipotesi che io chiamo “Universo Matematico”. Il nostro universo non è soltanto descritto dalla matematica: è la matematica”. (La mente di Dio, Paul Davies).


Per citare uno scienziato più vicino ai nostri giorni, è interessante l’opinione di Michio Kaku, fisico e noto divulgatore scientifico, secondo il quale Dio potrebbe in effetti essere un matematico: “La mente di Dio crea la musica cosmica, cioè le vibrazioni delle stringhe che compongono lo spazio a undici dimensioni. Questa è la mente di Dio”. Poetico!




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15/02/2016 08:01
 
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EINSTEIN E LA PROVA RAZIONALE DELL’ESISTENZA DI DIO (onde gravitazionali e dintorni)


Posted: 13 Feb 2016 03:13 AM PST




Ha fatto scalpore la notizia della rilevazione delle onde gravitazionali. E’ stata giustamente enfatizzata da tutti i media del mondo come una svolta epocale.


Tutti hanno ripetuto che tale rilevazione ci fornisce finalmente la conferma sperimentale di quanto Albert Einstein aveva ipotizzato cento anni fa nella sua teoria della relatività generale.


Ora si aprono orizzonti inediti per la scienza, ma solo gli addetti ai lavori possono intuire alcuni scenari futuri della ricerca: il grande pubblico e i media non sono in grado di capire tutta la portata scientifica di questo avvenimento.


Invece il “caso Einstein” può e deve essere compreso in tutte le sue implicazioni e non si può ridurre alla sola narrazione banale e celebrativa della genialità di questo straordinario scienziato.


E’ stato lui stesso, infatti, ad accompagnare le sue teorie – che hanno rivoluzionato la scienza – con considerazioni che riguardano tutti noi come esseri umani nel mistero dell’universo e finalmente la nostra mente alla ricerca di Dio. Lo si può affermare – come vedremo – proprio sulla base di quanto Einstein stesso ha scritto.


Anzitutto va detto che Einstein era essenzialmente un fisico teorico. Mentre il fisico sperimentale costruisce (appunto) esperimenti con sofisticate tecnologie, per appurare dei fenomeni, il fisico teorico, partendo da ipotesi, arriva, attraverso delle equazioni matematiche, ad enunciare delle leggi fisiche non ancora verificate sperimentalmente.


Per questo i famosi studi sulla relatività di Einstein hanno previsto una serie di fenomeni e di realtà fisiche la cui effettiva esistenza è stata constatata solo negli anni successivi.


L’ultima clamorosa conferma è appunto di questi giorni. Ma molte altre cose intuite per via teorica da Einstein erano già state dimostrate effettivamente esistenti nella realtà. E questo ha rivoluzionato la fisica, ma anche la nostra stessa vita quotidiana.


Tuttavia c’è un aspetto che sfugge in tutta questa vicenda.


IL “MIRACOLO”


I media in questi giorni non gli danno alcuna attenzione, considerandolo scontato, ma era invece ritenuto da Einstein assolutamente sorprendente: il fatto cioè che la mente umana, tramite equazioni matematiche, sia in grado di ipotizzare l’esistenza di fenomeni fisici mai visti e il fatto che la realtà fisica dell’universo mostri di essere stata “costruita” proprio così, con perfetta (e altissima) razionalità matematica.


La matematica è una costruzione della mente umana. Com’è possibile che un’equazione astratta costruita dalla nostra intelligenza si ritrovi poi esattamente riprodotta nelle leggi fisiche vigenti nelle più remote regioni dell’universo?


Il cosmo non è stato prodotto da nessun essere umano e tuttavia è governato proprio da quella stessa ferrea razionalità matematica che la nostra mente elabora in astratto.


Tutto questo è un autentico “miracolo”: è il più colossale e clamoroso miracolo che si trovi costantemente sotto i nostri occhi e a cui non facciamo alcun caso. A chiamarlo così – “miracolo” – è stato proprio Einstein che ne era immensamente stupefatto.


Nella famosa lettera a Solovine, Einstein scriveva:


Lei trova strano che io consideri la comprensibilità della natura (per quanto siamo autorizzati a parlare di comprensibilità), come un miracolo (Wunder) o un eterno mistero (ewiges Geheimnis). Ebbene, ciò che ci dovremmo aspettare, a priori, è proprio un mondo caotico del tutto inaccessibile al pensiero. Ci si potrebbe (di più, ci si dovrebbe) aspettare che il mondo sia governato da leggi soltanto nella misura in cui interveniamo con la nostra intelligenza ordinatrice: sarebbe” aggiungeva Einstein “un ordine simile a quello  alfabetico, del dizionario, laddove il tipo d’ordine creato ad esempio dalla teoria della gravitazione di Newton ha tutt’altro carattere. Anche se gli assiomi della teoria sono  imposti dall’uomo, il successo di una tale costruzione presuppone un alto grado  d’ordine del mondo oggettivo, e cioè un qualcosa che, a priori, non si è per nulla autorizzati ad attendersi. È  questo il ‘miracolo’ che vieppiù si rafforza con lo sviluppo delle nostre conoscenze. È qui che si trova il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, felici solo perché hanno la coscienza di avere, con pieno successo, spogliato il mondo non solo degli dèi (entgöttert), ma anche dei miracoli (entwundert)”.


In perfetta consonanza con Einstein, un altro Premio Nobel per la Fisica, Antony Hewish, astronomo, ha affermato:“Dall’osservazione scientifica arriva un messaggio molto chiaro. E il messaggio è questo: l’universo è stato prodotto da un essere intelligente”.


E’ questo che autorizza a parlare di certezza razionale dell’esistenza di Dio.


EINSTEIN E DIO


Il più importante filosofo dell’ateismo, Anthony Flew, che proprio grazie ad Einstein ha di recente rinnegato l’enorme mole del suo lavoro precedente, proclamando di avere oggi raggiunto la certezza razionale dell’esistenza di Dio, ha scritto: “Einstein credeva chiaramente in una fonte trascendente della razionalità del mondo, che definì variamente: ‘mente superiore’, ‘spirito superiore illimitabile’, ‘forza ragionante superiore’ e ‘forza misteriosa che muove le costellazioni’ ”.


E’ la conferma di quanto la Chiesa ha affermato nel Concilio Vaticano I: l’uomo con la semplice intelligenza può arrivare alla certezza dell’esistenza di Dio.


Poi la fede cristiana è altra cosa: è la Rivelazione dell’incarnazione del Figlio di Dio, Gesù. Ma alla certezza razionale dell’esistenza di Dio si può arrivare con la semplice ragione. Infatti c’è arrivata la più alta mente dell’antichità – Aristotele – e la più alta mente della modernità: Einstein.


Ecco un altro suo pensiero:


“E’ certo che alla base di ogni lavoro scientifico qualificato troviamo il convincimento, simile al sentimento religioso, della razionalità e intelligibilità del mondo (…). Tale fermo convincimento, legato al sentimento profondo dell’esistenza di una mente superiore che si manifesta nel mondo dell’esperienza, costituisce per me l’idea di Dio”.


Diceva ancora:


“Chiunque sia seriamente coinvolto nella ricerca scientifica, si convince che le leggi della natura manifestino l’esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell’uomo e davanti al quale noi, con i nostri modesti poteri, ci dobbiamo sentire umili”.


E ancora:


“La mia religiosità consiste in un’umile ammirazione dello spirito infinitamente superiore che rivela se stesso nei lievi dettagli che siamo in grado di percepire con le nostre fragili e deboli menti. Questa convinzione profondamente emozionante della presenza di un potere ragionante superiore, rivelato nell’universo incomprensibile, costituisce la mia idea di Dio”.


E’ evidente che Einstein non possa essere considerato ateo o spinoziano, cioè panteista. Lui stesso lo smentì esplicitamente:


Non sono ateo e non credo di potermi definire panteista. Siamo nella stessa posizione di un bambino che entra in un’enorme biblioteca piena di libri in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Non si sa come. Non si comprendono le lingue in cui sono scritti. Il bambino sospetta vagamente un ordine misterioso nella collocazione dei libri, ma non sa quale sia. Questo, mi pare, è l’atteggiamento anche del più intelligente degli esseri umani nei confronti di Dio”.


Da questo si comprende la sua posizione di scienziato: “Voglio sapere come Dio ha costruito questo mondo (…). Voglio conoscere i suoi pensieri”.


Una posizione opposta a quella di certi divulgatori mediatici di oggi, tuttora aderenti all’ottocentesca ideologia positivista e quindi allergici alla parola “Dio”.


Uno scienziato libero da pregiudizi ideologici non può che arrivare alle conclusioni razionali di Einstein.


Il caso Einstein spiega perché un altro grande scienziato, profondamente cattolico, Louis Pasteur, fondatore della microbiologia, poteva dire: “poca scienza allontana da Dio, ma molta scienza riconduce a Lui”.


 


Antonio Socci





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L’intelligibilità dell’universo e l’esistenza di Dio



osservare universo«Se l’intero universo materiale può essere descritto dalla matematica, deve esistere una logica immateriale più vasta dell’universo materiale […]. Convinzioni di questo tipo sembrano implicare che Dio sia un matematico». Queste le parole che si leggono nel libro “Perché il mondo è matematico?” (Laterza 1992, pag. 69), scritto da uno dei principali matematici e cosmologi inglesi, John David Barrow, docente di Matematica all’Università di Cambridge.


La citazione contiene la risposta del perché molti scienziati aderiscano esistenzialmente al deismo, cioè l’affermazione positiva all’esistenza di un dio, di un creatore, deducibile dallo studio scientifico dell’universo. Posizione lontana dal cristianesimo, al quale si approda sempre tramite un incontro personale e mai per un ragionamento o uno studio scientifico, ma sulla quale vale comunque la pena riflettere poiché offre notevoli spunti anche a chi ha avuto il dono della fede. Argomenti a favore, i deisti ne hanno tanti, dal fine-tuning alla teleologia (teleonomia) dell’evoluzione biologica e cosmologica.


Un altro argomento è proprio quello dell‘intelligibilità dell’universo. Cosa vuol dire? Lasciamolo spiegare al filosofo Roger Trigg, professore emerito di Filosofia presso l’Università di Warwick: «Quando si prende parte alla ricerca scientifica, si studia un mondo che si assume ordinato. Si dà per scontato che esistano delle regolarità da osservare. Di certo, se non fosse possibile scoprire l’ordine, non potremmo fare della scienza. E’ solo questione di caso? Secondo me no, l’ordine che la scienza scopre nella natura riflette in qualche modo la mente del creatore dietro le cose. In altre parole, l’ordine ha una base religiosa. In qualche modo, Dio, ha creato un mondo che ci mostra qualcosa della sua mente e della sua razionalità». La cosa più affascinante, è che tale ordine naturale si esprime in forma matematica, un linguaggio che l’uomo è capace di leggere e codificare e che rende l’universo, per l’appunto, comprensibile, intelligibile alla ragione umana. «Una risposta potrebbe essere che noi», ha concluso il filosofo inglese,«in quanto creature fatte a immagine di Dio, riflettiamo, seppur in modo assolutamente attenuato, la razionalità del Dio che creò il mondo; la razionalità che noi possediamo rifletterebbe quindi in qualche modo la ragione incorporata nello schema stesso delle cose» (R. Trigg, in R. Stannard,La scienza e i miracoli, Tea 1998, p. 230,231).


Questa corrispondenza tra l’uomo e il linguaggio con cui è scritta la natura è un’altra incredibile e fortuita coincidenza? C’è chi risponde di sì, chiudendo preventivamente l’uso della ragione, come ha fatto il matematico Bertrand Russell o il suo collega John Allen Paulos. C’è chi invece risponde di no, lasciandosi provocare dalla sfida all’intelligenza che la realtà fisica offre all’uomo: «Per quanto mi riguarda», ha riflettuto ad esempioOwen Gingerich, professore emerito di Astronomia e Storia della scienza presso l’Università di Harvard. «piuttosto che credere che tutto ciò che ci circonda sia semplicemente un non senso, o una sorta di macabro scherzo, preferisco pensare che l’universo sia stato creato intenzionalmente e per un determinato scopo da un Dio amorevole» (O. Gingerich, Cercando Dio nell’Universo, Lindau 2007, p. 101).


La ricerca scientifica è possibile perché noi comprendiamo la realtà naturale, dalle particelle subatomiche ai processi avvenuti nell’universo appena nato. E’ un regalo all’uomo, «qualcosa di “non dovuto”, una circostanza che sembra gratuitamente offrirsi a noi come una eccedenza, quasi un “lusso” concesso all’essere umano», ha commentato Marco Bersanelli, ordinario di Astrofisica all’Università statale di Milano. «E’ tutt’altro che scontato che la natura sia così ben descritta da un particolare linguaggio, quello della matematica, il quale si dimostra straordinariamente efficace per la formulazione delle leggi fisiche. E’ un fatto sorprendente che la realtà si lasci conoscere, cioè che l’impresa scientifica nel suo complesso sia possibile» (M. Bersanelli, Solo lo stupore conosce, Bur 2003, p. 212). «Il fatto che il mondo sia comprensibile è davvero un miracolo», ha scritto il celebre fisico Albert Einstein«E’ questione di convinzione che la natura, quale risulta percepibile dai nostri cinque sensi, abbia il carattere di un cruciverba ben congegnato. I successi ottenuti finora dalla scienza danno, in verità, un certo sostegno a questa convinzione. La cosa più incomprensibile dell’universo è il fatto che esso sia comprensibile» (A. Einstein, Pensieri degli anni difficili, Boringhieri 1974, p.36-42).


Ma i “miracoli”, in realtà, sono due: non solo l’affascinante ordine e la razionalità della realtà, elemento impossibile se all’origine vi fosse solamente il caso o il caos, ma che tale ordine sia scritto con lo stesso linguaggio scientifico usato dall’uomo, che con un tale ordine può in qualche modo stabilire un rapporto. Proprio di questo “doppio mriacolo” parla infatti anche il premio Nobel per la fisica, Eugene Paul Wigner«E’ difficile evitare l’impressione di trovarci qui di fronte a un miracolo, o al doppio miracolo dell’esistenza delle leggi di natura e della capacità della mente umana di divinarle. Il fatto miracoloso che il linguaggio della matematica sia appropriato per la formulazione delle leggi della fisica è un regalo meraviglioso che noi non comprendiamo né meritiamo» (E.P. Wigner, The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Science, in “Communications in Pure and Applied Mathematics”, vol.13, 1960, pp.1-14).


E’ dalla riflessione sul perché la scienza è in grado di essere efficace che si può giungere all’ipotesi di Dio, come ricordato anche da Benedetto XVI. Lo afferma ad esempio Antonio Marino, ordinario di Analisi matema­tica all’Università di Pisa: «La matematica ci costringe ad alzare lo sguardo […]. Perché è possibile organizzare parti della nostra conoscenza in formule logiche senza le quali gli oggetti stessi non sono nemmeno concepibili? Direi che in questo universo logico sembra di scorgere un aspetto del Logos che pervade il creato, qualcosa dell’intelligenza del linguaggio, del Verbo: quell’ar­monia logica che si scopre nello studio di un problema e conduce poi essa stessa a fare nuove congetture e nuove scoperte». Molto sintetico è stato Alexander Markovich Polyakov, docente presso l’Università di Princeton e forse il principale fisico russo vivente: «Noi sappiamo che la natura è descritta nel migliore dei modi matematici perché è Dio che l’ha creata» (A.M. Polyakov, Probing the Forces of the Universe Fortune, vol.114, number 8, 1986, p.57).


Anche agli uomini più profondamente impegnati e noti nel campo scientifico non è risparmiata la scelta se limitarsi a descrivere i particolari del mondo che la scienza aiuta a decifrare o andare oltre, aprire la ragione lasciandosi stupire dal fatto che possiamo decifrare la realtà fisica e che questo è un “miracolo”, ovvero un segno che rimanda inevitabilmente ad Altro, ad un oggetto ultimo. A Colui che è l’autore. Come ben sintetizzato dall’astrofisico Marco Bersanelli«D’altra parte la realtà fisica ci appare anche irraggiungibile nella sua consistenza ultima. Si ha l’impressione che il livello ultimo del reale sia sempre oltre ciò che la ragione può definire e comprendere. C’è sempre una “terra incognita”, un livello inarrivabile. La realtà è allo stesso tempo accessibile e inarrivabile. In questo senso la ricerca scientifica mette in luce la natura della realtà come“mistero”. Come se ogni nostra conoscenza o conquista rimandasse inesorabilmente a un oggetto ultimo e nascosto» (M. Bersanelli, Solo lo stupore conosce, Bur 2003, p. 7).


La redazione



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14/06/2016 17:42
 
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«Sono un matematico, vi spiego perché ho scelto l’assioma di Cristo»



Dio e l'ipercuboIl prof. Francesco Malaspina è docente di Geometria algebrica presso il dipartimento di Scienze Matematiche del Politecnico di Torino, qui sotto presenta in esclusiva per i lettori di UCCR il suo recente libro, intitolato Dio e l’ipercubo. Itinerario matematico del cristianesimo (Effatà Editrice 2016). L’autore si è anche reso disponibile a presentare pubblicamente il suo lavoro nelle città di Genova o Milano, per inviti e proposte è possibile contattarlo all’email: francesco.malaspina@polito.it.
 

di Francesco Malaspina*
*docente di Geometria algebrica presso il Politecnico di Torino

 

La vita è più bella se si hanno grandi passioni. Mi è capitato di appassionarmi nello stesso periodo, intorno al 1999, sia alla matematica che al cristianesimo, e da allora ho cercato dei collegamenti.

Ecco cosa mi spinge a scrivere questo libretto: lo scopo non è quello di tentare una qualche spericolata dimostrazione dell’esistenza di Dio. Non èneppure cercare di persuadere il lettore di quanto sia ragionevole il Cristianesimo presentando argomenti e spiegazioni matematiche. Ancor menotroverete un trattato di numerologia, che racconti il significato dei numeri nel testo biblico. Per quanto riguarda la ragionevolezza della fede cristiana il mio parere è che, sia l’ipotesi che Dio non esista, sia quella che Gesù di Nazaret sia realmente risorto, possano stare in piedi e abbiano una loro logica.

In questi venti secoli il Cristianesimo è passato più volte sotto il setaccio della ragione e ne è uscito indenne; sotto diversi punti di vista tutti questi attacchi hanno semmai rafforzato il pensiero cristiano e oggi molti scienziati possono dirsi credenti senza dover rinunciare alla razionalità. Ad ogni modo, anche la via della non esistenza di Dio è percorribile senza inciampo né contraddizione e ha una sua logica. Si tratta insomma di due assiomi, evidentemente in contrasto tra loro, ma entrambi plausibili. Esattamente come accade con il quinto postulato di Euclide che non è deducibile dagli altri quattro; tuttavia si possono costruire teorie matematiche valide sia considerandolo (geometria euclidea) sia non considerandolo (geometria non euclidea).

Io ho scelto l’assioma della Resurrezione di Cristo non per esserci arrivato con un ragionamento logico ma per averLo incontrato nei più poveri tra i poveri e per aver conosciuto tante persone che assumendolo, hanno poi dimostrato teoremi eleganti ed interessanti. Non cercherò dunque di smontare l’altro assioma, ma partirò dall’ipotesi che le fonti bibliche sgorghino da un’autentica Rivelazione per raccontare alcuni concetti del pensiero cristiano evocati (ma solo per analogia) da alcune nozioni matematiche. Vorrei partire dal presupposto che la matematica sia soprattuttoarte e bellezza. Così come tante arti hanno cercato di descrivere e raccontare il mistero cristiano (la bellezza della pittura, della poesia e della musica infatti hanno spesso nei secoli richiamato la bellezza della fede in Cristo), allo stesso modo possono farlo gli oggetti matematiciprotagonisti di questa storia.

La matematica è sì il linguaggio della natura, della scienza e della tecnologia, ma possiede anche un fortissimo valore evocativo ed è su questo che vorrei puntare. La matematica è bellezza, poesia, fantasia e allora, coraggio, lasciamola parlare un po’ di Cristo! Presenterò dunque alcuni oggetti elementari della matematica moderna e farò loro raccontare qualcosa del Cristianesimo. Sulla mia tavolozza ci sono insiemi, relazioni di equipotenza, spazi metrici, funzioni continue e varietà topologiche, e la tela è il mondo astratto delle idee e dei collegamenti tra di esse. Ilmestiere del matematico consiste soprattutto nel trovare legami tra oggetti apparentemente lontani e modellizzare in qualche modo la realtà che osserva. Qui vorrei collegare le due grandi passioni della mia vita, e avere un pretesto per parlare dell’amore di Cristo attraverso la matematica e viceversa. Non proporrò una particolare ermeneutica delle fonti bibliche ma racconterò semplicemente alcuni concetti basilari e condivisi del Cristianesimo attraverso alcune metafore e un linguaggio matematici. Per fare questo introdurrò alcune nozioni che generalmente non sono trattate nelle scuole superiori ma nel primo biennio di un corso di laurea in matematica o fisica.

La struttura del testo si sviluppa attraverso il dualismo generale-particolare o meglio globalelocale. Tutti e tre i capitoli iniziano in un preciso luogo geografico: Nazareth in Galilea, Elea nel Cilento e Calcutta in India. Si dipanano, poi, lungo discorsi di carattere più generale e astratto, sia presentando alcuni brani biblici, che illustrando teorie matematiche. Infine ritornano a esempi più concreti quando vengono proposti i parallelismi e le analogie. Anche nello stile spesso colloquiale si è voluto rispettare questo dualismo con scelte semantiche che hanno privilegiato termini di uso corrente per descrivere concetti astratti o di carattere biblico. Nel primo capitolo, dedicato al tema dell’Incarnazione, si affronta la teoria di Cantor sugli insiemi di cardinalità infinita. Nel secondo si accenna al Regno di Dio e alla fine dei tempi, si considerano insiemi in cui esiste una nozione di distanza tra i suoi elementi e si definiscono le funzioni continue in questo contesto. Nel terzo, infine, si parla di topologia nel senso più astratto e generale fino ad arrivare a introdurre le varietà topologiche. Qui si fa riferimento al tema centrale, ovvero un Dio-amore che trascende la nostra comprensione ma si rende tuttavia parzialmente intuibile attraverso i gesti concreti di carità verso i più piccoli e bisognosi.

Trasversalmente, i tre capitoli sono attraversati dalle tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Un Dio che crea ogni cosa, eterno e infinitamente altrove, si fa prossimo, si fa bimbo in un grotta e falegname a Nazareth. Un Dio trascendente che si identifica concretamente con i piccoli e i bisognosi. Questo dualismo globale-locale è reso con grande forza della matematica. Il Cristianesimo non è un susseguirsi di idee collegate tra di loro, ma un incontro concreto con una Persona viva. D’altro canto, anche la matematica si impara soltanto immergendosi in essa, parlandone a lungo e facendo esercizi. Lo scopo di questo libretto è quello di accennare a un possibile itinerario molto parziale e incompleto, sotto l’ombrellino di carta della splendida signora che è la matematica. All’inizio e alla fine di tale itinerario troverete la prefazione scritta dal noto matematico Antonio Ambrosetti e la Postfazione di Ferruccio Ceragioli docente di teologia fondamentale e rettore del seminario maggiore di Torino.

San Paolo esorta i Tessalonicesi, e attraverso di loro ogni Cristiano, a pregare incessantemente. Io, per mestiere, passo molto tempo immerso nella matematica e l’unica possibilità di seguire l’imperativo paolino è chiedere agli oggetti astratti che utilizzo abitualmente di parlare di Cristo. E’ quasi un’esigenza il pensare a questi collegamenti.


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28/06/2016 12:00
 
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Quando l’ateo Florenskij si convertì al cristianesimo grazie alla matematica



Pavel Florenskij è considerato oggi uno dei teologi che più profondamente ha penetrato il mistero della Santissima Trinità. A ciò arrivò attraverso una particolare conversione personale: inizialmente ateo e geniale matematico, si avvicinò al cristianesimo attraverso la matematica.


L’Osservatore romano riporta che l’oggetto degli studi matematici non sono i numeri in sé ma i loro rapporti.
Ma quali possono essere i rapporti tra cose senza vita?
I rapporti veri esistono solo tra persone e, se vogliono essere rapporti eternamente validi, anche queste persone devono essere eterne, e eterne sono solo le tre persone divine comprese nel Dio unico. Lo scienziato e filosofo russo disse: «In tutto ciò che incontriamo osserviamo delle contraddizioni irrisolvibili. Per risolvere questi problemi non abbiamo altra possibilità che la seguente: scegliere ciò che ci offre la Santissima Trinità oppure la morte nella pazzia». Uno studio sulla sua biografia è anche riportato nel sito Internet DISF – Documentazione interdisclipinare tra scienza e fede.


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28/06/2016 12:04
 
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Maria Gaetana Agnesi,
la più celebre matematica voleva diventare monaca

Maria gaetana agnesiL’errata percezione che molti hanno della condizione della donna nella Chiesa cattolica è negata dall’esistenza di tante illustri pensatrici, protagoniste della storia e testimoni della fede cattolica, come Ildegarda di Bingen, Giovanna d’Arco, Caterina da Siena, Teresa d’Avila ecc. Una di queste è la protagonista dell’articolo che segue.

Maria Gaetana Agnesi, nata a Milano il 16 maggio 1718 come terza dei ventuno figli di Pietro Agnesi Mariani e Anna Fortunata Brivio, era destinata a lasciare un segno. Sin da piccola mostrò di possedere straordinaria intelligenza e particolare propensione per le lingue straniere. Il padre Pietro, professore di Matematica all’Università di Bologna, aveva deciso, come da tradizione, di far istruire il primo figlio maschio, e allo stesso modo riconobbe e incoraggiò le doti della terzogenita, provvedendo alla sua istruzione con illustri precettori. Questa saggia decisione plasmò la mente di Maria Gaetana, che divenne una delle menti più illustri del suo tempo.

Passata dagli studi di lingue ed eloquenza a quelli, ancor più difficili, di filosofia e matematica, l’Agnesi divenne una dei matematici più grandi mai vissuti sino ad allora, tanto da ricevere benedizioni da Papa Benedetto XIV (pontefice magnanimo e lungimirante stimato persino dagli Illuministi, Voltaire in particolare), doni da Maria Teresa d’Austria e un sonetto da Goldoni. La Curva Agnesi che i matematici conoscono? Nasce da lei. Già studiata da Pierre de Fermat nel 1666 e Guido Grandi nel 1703, Maria Gaetana la perfezionò nel 1748. Non le diede il proprio nome, ma la chiamò “versiera”, venendo letta dall’inglese John Colson come Adversiera e tradotta con Witch, “strega”. Così, per questa errata interpretazione, la Curva Agnesi, altresì chiamata Versiera, è conosciuta dagli anglosassoni come Witch of Agnesi, la Strega di Agnesi.

L’Agnesi seguì la carriera che le indicava il padre, e che in effetti dava e avrebbe dato frutti abbondanti, eppure, in cuor suo, faceva tutto ciò solo per obbedire al genitore. Il suo reale desiderio era farsi monaca. Acconsentì alla visione del genitore solo dopo aver ottenuto, in cambio, di non dover partecipare a tutta quella vita mondana che la reclamava (Casa Agnesi era un salotto culturale prestigiosissimo di quel tempo) e di poterandare in Chiesa tutte le volte che voleva (altra Casa che la reclamava, ma questa sì gradita al suo cuore). Nel 1750 il padre si ammalò e lei lo sostituì alla cattedra bolognese.

Nel 1752, dopo quasi tre anni, alla morte di Pietro, Benedetto XIV le offrì di ricoprire ufficialmente la cattedra, accettando la richiesta nata dall’Università stessa. L’Agnesi aveva 34 anni, ed era un’occasione unica per una carriera prestigiosa. Irripetibile, per una donna. Un’occasione così l’ebbe anche la fisica e filosofa Laura Bassi, sempre grazie a Papa Lambertini. Maria Gaetana però rifiutò: essendo morto il padre, non era più tenuta a obbedirgli. Si ritirò completamente dalla vita pubblica per dedicarsi a opere di carità come la cura dei poveri e dei malati, agli studi privati compreso quello delle Sacre Scritture, e all’istruzione di fratelli, sorelle e domestici di casa. Maria Gaetana rese Casa Agnesi un rifugio per le inferme, lei stessadivenne serva e infermiera: aprì un piccolo ospedale, andò a vivere con le malate e, per far fronte alle spese, dopo aver venduto tutti i suoi averi, si rivolse a conoscenti, autorità e Opere Pie.

Finché, grazie a una donazione del principe don Antonio Tolomeo Trivulzi, istituì a Milano il Pio Albergo Trivulzio, di cui divenne la direttrice. Ormai aveva abbandonato gli studi scientifici per dedicarsi, in questa sua seconda vita, a quelli religiosi. Pur senza titoli accademici, era una vera e propria teologa, e il cardinale Giuseppe Pozzobonelli addirittura si rivolse a lei per un consulto. Chi invece voleva da lei pareri scientifici data la sua preparazione eccelsa, incontrava un netto rifiuto: Maria Gaetana aveva le sue “serie occupazioni”. Morì il 9 gennaio 1799 in odore di santità, “giovinetta e ottuagenaria”, continuando a lavorare per povere e inferme al Trivulzio. A Montevecchia, nella Villa Agnesi Arbertoni dove visse, dal 1895 la ricorda una lapide commemorativa, che dà «lustro al nome di lei, all’Italia e gloria cristiana».

Una personalità straordinaria, un’esistenza trascorsa sul filo doppio della fede e della scienza, due vite in una, l’Agnesi matematica eccelsa e la Maria Gaetana santa donna dalle opere buone, segno dei tempi così incredibilmente attuale e così straordinariamente anticipatore, ponte tra epoche diverse, e porta aperta su una prospettiva, quella della fede cristiana, che non smette mai d’avere tanto da dirci.


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04/07/2016 16:45
 
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Il matematico John Lennox:
«più amo la scienza e più credo in Dio»

Un’altra conferenza pubblica di grande interesse per John Lennox, professore di matematica presso l’Università di Oxford e autore dell’eccellente “Fede e Scienza” (Armenia 2009).

«I new atheist»ha spiegato il matematico, «vogliono farci credere che non siamo altro che una raccolta casuale di molecole, il prodotto finale di un processo senza guida. Questo, se è vero, pregiudicherebbela razionalità cui abbiamo bisogno per studiare la scienza. Se il cervello fosse in realtà il risultato di un processo non guidato, allora non c’è ragione di credere nella sua capacità di dirci la verità». Il ragionamento di Lennox non è molto lontano da quello realizzato acutamente qualche tempo fa dal prof.Giorgio Masiero e prof. Michele Forastiere in ambito strettamente biologico, quando hanno argomentato l’estrema improbabilità che il darwinismo possa spiegare l’origine dell’ Homo Sapiens (questa visione non c’entra nulla con il creazionismo!). E, se si crede che possa farlo, o risulta irrazionale credere che l’uomo potrà un giorno trovare una giustificazione scientifica al naturalismo, o si cade in un’insanabile contraddizione logica.

Come si può, infatti, credere nella affidabilità del nostro cervello se si è convinti di essere poco più che scimmioni addomesticati, un agglomerato casuale di molecole, un “nient’altro che” come amano descriverci i devoti riduzionisti. Tra noi e gli scimpanzé, ci ricordano i detrattori di Dio e del genere umano, ci sono il 99% di geni in comune (il 90% invece con il corallo, ma questo Telmo Pievani non lo dice mai, chissà perché). Non esiste la morale: è un’illusione. Non esiste il libero arbitrio: è un’illusione. Non esiste la coscienza: è un epifenomeno del cervello. Non esistono il bene e il male: tutto è relativo, tutto è un’illusione. Non esiste Dio: è tutta una proiezione mentale spiegabile scientificamente, non siamo voluti da nessuno, dobbiamo batterci per sopravvivere e poi sparire nel nulla da cui siamo venuti. Propagandare tutte queste convinzioni è lamissione dei laicisti, un invito indiretto al suicidio collettivo. Chi oserebbe mai prestare fiducia alla sua ragione? Chi continuerebbe a vivere in questa “valle di lacrime” dove tutti gli affetti vengono tranciati dall’inevitabile e puntuale scorrere del tempo e tutto quel che si costruisce faticosamente viene spazzato via dall’inesorabile passare dei giorni? Se ci fosse davvero qualcuno convinto del “credo” laicista, egli potrebbe soltanto essere un masochista.

Riprendendo le parole di Lennox, egli ha anche spiegato: «per me la bellezza delle leggi scientifiche non fa che rafforzare la mia fede in modo intelligente, la forza creativa del divino nel mio posto di lavoro. Più capisco la scienza, più credo in Dio a causa della meraviglia per la raffinata ampiezza e l’integrità della sua creazione. Lungi dall’essere in contrasto con la scienza, la fede cristiana rende effettivamente perfetto il senso scientifico». Lo studio dell’ordine razionale dell’universo come aiuto e conferma alla fede cristiana. «Ma i miei più grandi motivi per credere in Dio», ha continuato il matematico di Oxford, «sono, sul lato oggettivo, la risurrezione di Gesù e, dal lato soggettivo, la mia esperienza personale di Lui e ciò che scaturisce dalla fiducia in Lui giorno per giorno negli ultimi 60 anni».

Entrando nello specifico di questa meraviglia che sorge nell’uomo grazie al progresso scientifico, Lennox ha usato l’analogia di alcune lettere disegnate su una spiaggia di sabbia: «La risposta immediata è quella di riconoscere il lavoro di un agente intelligente. Quanto è più probabile, quindi, un creatore intelligente dietro il DNA umano, il colossale database biologico che contiene non meno di 3,5 miliardi di “lettere”?».  Non a caso il responsabile del sequenziamento del genoma umano, il genetista Francis Collins, si è convertito proprio dopo il risultato raggiunto, affermando«Ero sbalordito dall’eleganza del codice genetico umano. Mi resi conto di aver optato per una cecità volontaria e di essere caduto vittima di arroganza, avendo evitato di prendere seriamente in considerazione che Dio potesse rappresentare una possibilità reale». Oggi ritiene che «le lettere del DNA umano siano il linguaggio di Dio».


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06/05/2017 19:56
 
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L’esperienza mistica di Bertrand Russell



Bertrand RussellRidurre il pensiero del celebre Bertrand Russell alla sciocchezza della teiera celeste è un’umiliazione per lo stesso filosofo gallese. Attraverso tale provocazione Russell pensava di dimostrare che l’onere della prova sull’esistenza di Dio spetta a chi afferma la sua esistenza e non, invece, allo scettico. Altrimenti, sosteneva, bisognerebbe dimostrare anche l’inesistenza di una teiera celeste in rivoluzione attorno al Sole su un’orbita ellittica e troppo piccola per essere rivelata dal più potente dei nostri telescopi.


Vissuto in epoca positivista Russell parlava evidentemente di dimostrazione scientifica ignorando che nemmeno nella scienza (e nella matematica, che è il linguaggio con cui si esprime) è vero solo ciò che è dimostrato. In secondo luogo è evidente che se l’esistenza di Dio si potesse provare attraverso il metodo scientifico, allora Dio sarebbe necessariamente parte della Sua creazione, come la teiera, e dunque non potrebbe più esserne il Creatore ultimo. Inoltre, è arduo pensare che l’ipotesi dell’esistenza di una teiera celeste stia su un piano di parità con l’ipotesi della sua inesistenza, così come nessuno si sente in dovere di confutare le milioni di cose improbabili che una fantasia fertile può concepire. L’importante non è se Dio sia confutabile o no (e non lo è), ma se Dio sia probabile o no, ed è molto più probabile che l’ordine, la regolarità e la bellezza del cosmo rispondano ad una Causa prima, rispetto all’esistenza di un topino fatato o della teiera in orbita. Non a caso nessuno crede davvero alla teiera o è ad essa agnostico, mentre tanti credono a Dio o sono agnostici rispetto ad esso, riconoscendone comunque una plausibilità.


Infine, se a questo punto come obiezione si postulasse l’esistenza di un unicorno rosa anch’esso al di fuori del tempo e dello spazio, dunque non indagabile dalla scienza (che non può indagare ciò che è meta-fisico), e creatore onnipotente di quel che esiste, si starebbe semplicemente teorizzando ancora una volta Dio, anche se usando un altro nome e dandogli una forma precisa. L’obiezione cadrebbe nel vuoto, sarebbe ridondante.  L’obiezione della teiera, in ogni caso, non vale per i cristiani i quali non credono al dio di Albert Einstein e dei deisti ma al Dio rivelato da Gesù Cristo: «Dio nessuno l’ha mai visto. Proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). Tra noi e Dio c’è di mezzo il testimone eccezionale chiamato Gesù.


Avendo sbagliato analogia, Russell non ha affatto mostrato a chi spetta l’onere della prova, dilemma risolto dall’argomento del consenso comune. Ovvero, è sull’accusa e non sulla difesa che grava l’onere della prova, come dicono i giuristi: la negazione dell’esistenza di Dio è un fenomeno recente e sostenuto da poche persone rispetto alla mole degli uomini credenti che si sono succeduti sulla Terra; non sono loro a doversi giustificare ma è il non credente che deve trovare motivi per negare una realtà che contrassegna tutti gli uomini di tutti i tempi. Come affermava Alexis de Tocqueville“l’irreligione è un accidente, solo la religione è lo stato permanente dell’umanità”. Si potrebbe anche dire: è “l’eccezione” che va giustificata, non la “normalità/consuetudine”. Oltretutto, c’è un’altra cosa da sottolineare e lo ha fatto il filosofo Umberto Eco dicendo: «La psicologia dell’ateo mi sfugge perché kantianamente non vedo come si possa non credere in Dio, e ritenere che non se ne possa provare l’esistenza, e poi credere fermamente all’inesistenza di Dio, ritenendo di poterla provare» (“In cosa crede chi non crede”, Liberal 1996, p. 23).


Torniamo però a Bertrand Russell, sottolineando un recente articolo sul “Guardian” dove per l’appunto si specifica che la sua scrittura sulle tematiche etice e religiose mancava dell’originalità e della raffinatezza rispetto alla sua opera filosofica sulla matematica. Nonostante fosse un uomo molto intelligente supportò l’eugenetica di Francis Galton e sostenne diversi luoghi comuni contro le religioni, oggi ripresi dagli anticlericali di professione. Tuttavia nella sua autobiografia ha rivelato di tanto in tanto un rapporto più complesso e ambivalente alla religione. In particolare descrivendo un episodio del 1901, quando assistette la moglie del suo collega di Cambridge, Alfred Whitehead, sofferente di problemi di cuore. Tale esperienza causò a Russell una sorta di visione spirituale«Il terreno sembrava cedere sotto di me e mi sono trovato in un’altra regione», ha scritto. «Nel giro di cinque minuti sono passato attraverso a diverse riflessioni come il fatto che la solitudine dell’anima umana è insopportabile; nulla può penetrarla tranne la più alta intensità del tipo di amore che gli insegnanti religiosi hanno predicato».


Tale visione (indimostrabile come vera ma a cui lui credette immediatamente nonostante la sua stessa obiezione della teiera, giusto per sottolineare) fu così potente che lui divenne «una persona completamente diversa». Anche se questa «intuizione mistica» è poi sbiadita di fronte ad una vecchia «abitudine di analisi», i suoi effetti -ha scritto-, «sono rimasti sempre con me, modificando il mio atteggiamento durante la prima guerra, il mio interesse nei bambini, la mia indifferenza per disgrazie minori e un certo tono emotivo in tutti i miei rapporti umani». L’aver vissuto imbevuto di un’atmosfera iper-positivista non lo ha purtroppo aiutato a far emergere le sue significative intuizioni.


 



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09/09/2017 17:34
 
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01/07/2018 22:20
 
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«Da quando mi sono esposto, come matematico cattolico,
ho scoperto che…»


 
di Francesco Malaspina*
*docente di Geometria algebrica presso il Politecnico di Torino

 

Da quando mi sono esposto (per esempio con questo articolo) come matematico credente mi è capitato di confrontarmi con diversi scienziati sul tema scienza-fede. Sono rimasto davvero colpito dal grande rispetto verso il mio credere che ho riscontrato anche da parte dei colleghi più apertamente lontani dal pensiero cristiano o anticlericali dichiarati.

Mi sembra che esso non sia semplicemente dovuto alla tendenza al “politicamente corretto” o alla cordialità e stima reciproca tra scienziati ma ci siaqualcosa di più profondo. Ho l’impressione che si stia andando verso un superamento del secolare conflitto tra scienza e fede, come d’altro canto è stato osservato diffusamente.

Da un lato, è poco sostenibile la tesi secondo la quale non sia conciliabile la razionalità di un ricercatore con la fede cristiana. In effetti continuano ad esserci scienziati di tutti livelli e di tutte le discipline che sono profondamente credenti. Non vivono due vite separate, la loro fede coinvolge tutta la loro persona. Non si può parlare davvero di fede se essa non coinvolge tutto quello che abbiamo: mente e cuore. Insomma, le persone valgono più delle idee ed è possibile conciliare scienza e fede semplicemente perché ci sono tante persone che concretamente, nella loro vita di tutti giorni, lo fanno in modo ragionevole.

Dall’altro lato, i cristiani hanno abbandonato la pretesa di poter dedurre verità scientifiche dal testo biblico. Naturalmente ci sono eccezioni, soprattutto negli Stati uniti, ma si tratta di tentativi fantasiosi e folcloristici.

Generalmente si ha anche la percezione che si tratti di due sfere separate, ma non necessariamente inconciliabili. Anzi possono aiutarsi vicendevolmente. Si ritiene che la scienza sia aperta mentre la fede cristiana sia cristallizzata. Ci sono dei dogmi: o ci credi o non ci credi, fine della storia. Ovviamente, anche nella scienza ci sono dei paletti, dei punti fermi, ma poi si tratta di mettere molte “certezze” in discussione e di esplorare nuove strade con fantasia e grande libertà. In realtà nel cristianesimo crediamo che tutto sia rivelato pienamente in Cristo ma noi, di questa rivelazione misteriosa, capiamo davvero poco. Si tratta di un mistero talmente immenso che si riesce soltanto a scalfirne la superficie.

Inoltre, sappiamo che nella vita spirituale non si può stare fermi. Bisogna ri-innamorarsi continuamente, mettere in discussione e riscegliere. Il dubbio alimenta la fede e una sana aridità spirituale può portare ad aderire con rinnovato slancio a quell’infinito che ci viene incontro. Ecco che il metodo scientifico, applicato alla vita spirituale, può essere efficace anche nel preservarci dal pericolo del fondamentalismo. Ci può dare quella capacità di saper accogliere anche pensieri molto lontani dal nostro, come è sottolineato diffusamente dalla teologia moderna, in particolare nei documenti del Concilio Vaticano II.

Vediamo che anche la fede può essere di aiuto alla scienza. Gli scienziati sono profondamente sedotti dall’oggetto della loro ricerca. Seguono con passione la scia di bellezza accecante e artistica della scienza nel loro percorso investigativo. Questa visione è largamente diffusa e questo metodo, che può apparire frivolo, si rileva tremendamente efficace a livello di risultati. Ecco allora che per un credente c’è la possibilità di alimentare questa bellezza indicibile contemplando, proprio nel senso di far diventare preghiera, gli strumenti scientifici adoperati. Ovviamente si tratta soltanto di uno dei metodi possibili, ed un non credente ne può trovare di altrettanto validi. L’aiuto tra scienza e fede può ad ogni modo essere davvero vicendevole.

Insomma, non si può ancora affermare che tale superamento sia pienamente compiuto ma, da varie angolazioni o punti di osservazione, le testimonianze che ho raccolto tra chi si occupa di scienza, spingono decisamente in questa direzione.


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29/11/2018 22:54
 
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Il matematico Quarteroni:
«l’Universo è controllato da un grande Regolarizzatore»

L’America’s Cup del 2003 e del 2007 è stata vinta dallo scafo di Alinghi grazie al matematico Alfio Quarteroni, che lo ha realizzato conducendo il progetto fluidinamico. Il suo campo di indagine è l’applicazione a eventi reali delle equazioni matematiche, insegna Analisi numerica presso il Politecnico di Milano e l’École Polytechnique Federale de Lausanne (EPFL). È membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei e ha ricevuto numerosi premi da varie associazioni internazionali di matematica (SIAM, ICIAM) e centri di ricerca (NASA, ICASE). Ha ricoperto importanti incarichi presso il CRS4 di Cagliari e ha insegnato all’Università Cattolica di Brescia e all’Università del Minnesota. Autore di circa duecento pubblicazioni su riviste internazionali, è stato uno dei pochi matematici italiani ad aver partecipato in qualità di relatore a un International Congress of Mathematicians.

Intervistato dall’Osservatore Romano ha dichiarato: «Galileo, come Keplero, Newton e Cartesio, furono sostenitori dell’idea che il mondo fisico fosse stato dotato da Dio di una struttura matematica. Per chi ha fede il Dio creatore non può esimersi dall’essere anche un matematico. Il più grande di tutti, naturalmente. Perché ha risolto il più complesso problema inverso che mai sia stato posto: determinare le condizioni iniziali giuste (al tempo zero, quello della creazione) affinché il sistema dinamico dell’evoluzione dell’universo arrivasse a oggi a possedere questa meravigliosa grandezza».

E lui, che opinione scientifica si è fatto di Dio? 
«Non sono mai riuscito a farmi “una ragione” incontrovertibile dell’esistenza di Dio. Tuttavia io Dio lo “sento”, non solo perché il sistema dinamico dell’universo non degenera nonostante le sue innumerevoli componenti siano talmente non lineari dal doversi ineluttabilmente piegare (sui tempi lunghi) a instabilità e degenerazioni irreversibili, se seguissero solo le leggi della matematica e della fisica, e non fossero invece controllate a distanza da un “grande Regolarizzatore”».

Grande Regolarizzatore o Spirito immensamente superiore, come lo chiamava Albert Einstein («chiunque sia veramente impegnato nel lavoro scientifico si convince che le leggi della natura manifestano l’esistenza di uno Spirito immensamente superiore a quello dell’uomo, e di fronte al quale noi, con le nostre modeste facoltà, dobbiamo essere umili»(H. Dukas and B. Hoffmann Albert Einstein: the Humane side, Princeton 1989, p. 32), insomma l’universo appare progettato da una mente matematico-razionale e non certo basato sul caos o sulla casualità cosmica, come qualche militante scientista vorrebbe far credere. Un importante matematico della Normale di Pisa, Antonio Ambrosetti (autore di La matematica e l’esistenza di Dio,Lindau 2009) ebbe a dire: «Negli ultimi anni in televisione è stato dato troppo spazio a personaggi come Odifreddi che hanno portato avanti la tesi dell’incompatibiltà tra fede e scienza con argomentazioni logico-filosofiche che, comunque, hanno poco a che fare con la matematica. Diceva Ennio De Giorgi: “All’inizio e alla fine, abbiamo il mistero. La matematica ci avvicina al mistero, ma nel mistero non riesce a penetrare”. La matematica mi fa intuire la presenza di Dio» (da Avvenire 11/12/08).


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13/07/2019 22:59
 
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Dio e il multiverso: considerazioni di un matematico



MultiversoCon questo articolo diamo avvio alla collaborazione con il prof. Paolo Di Sia, docente di Matematica e Didattica presso l’Università di Verona, autore di più di 150 pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali, reviewer di vari journals internazionali e membro di 5 società scientifiche (tra cui la American Nano Society)


 
di Paolo Di Sia*
*docente di Matematica presso l’Università di Verona

 

La cosmologia moderna ha motivo di ritenere che l’universo in cui viviamo possa essere uno di un numero (forse) infinito di universi, che formano il cosiddetto “multiverso”. La comprensione emergente della scienza del multiverso, costituito da migliaia di miliardi di miliardi di galassie, sembrerebbe spiegabile secondo molti studiosi in termini naturalistici, senza cioè la necessità di considerare forze soprannaturali per spiegare la sua origine e la sua esistenza in atto.

Assieme ad altre ipotesi, come gli universi spontanei, l’auto-creazione, particolari ipotesi quantomeccaniche, il multiverso è stato anche definito “l’ultimo dio dell’ateo” e utilizzato da atei e materialisti come un modo per evitare argomenti che potrebbero essere presi a favore dell’esistenza di Dio, come l’inizio dell’universo, il “cosmological argument”, il “fine tuning argument”. Il multiverso è una delle idee più interessanti e controversedella scienza attuale, con notevoli implicazioni cosmologiche, filosofiche e teologiche.

Gli sviluppi scientifici colgono i problemi fondamentali, le idee attuali sull’origine dell’universo e, direttamente o indirettamente, le nozioni di Dio che emergono da queste analisi. Lavorano in questo settore credenti, agnostici, atei; la scienza illumina le menti curiose e promuove le comprensioni empiriche. Non si conoscono metodi scientifici definitivi con cui l’uomo sia in grado di determinare ciò che in ultima analisi può essere definito “vero”; il meglio che si può fare è rendere sempre migliori le osservazioni e sempre più accurati i modelli che descrivono la realtà.

Tematiche cosmologiche significative, come il Big bang, vengono spesso prese come prova a favore o contraria ad un Dio creatore. Molte persone, come Georges Edouard Lemaître (1894-1966), presbitero, fisico e astronomo belga, hanno scelto di credere in Dio, nonostante il fatto che la presenza di Dio sia considerata da molti tutt’altro che evidente, sebbene secondo altri Dio deve avere le Sue ragioni per “nascondersi da noi” . Anche quando un modello supera un test che avrebbe potuto falsificarlo, ciò non significa che il modello sia stato definitivamente dimostrato e che non possa un giorno essere sostituito da un modello migliore.

Alexander Vilenkin, professore di fisica e direttore dell’istituto di cosmologia alla Tufts University nel Massachusetts, ha lavorato per 25 anni nel campo della cosmologia e ritiene che tutte le prove attualmente disponibili sembrano condurre al fatto che l’universo abbia avuto un inizio. Questo non depone a favore dei naturalisti filosofici e degli atei, poichè, come anche Stephen Hawking ha ammesso, “a molte persone non piace l’idea che il tempo abbia avuto un inizio, probabilmente perché sa di intervento divino” (Stephen W. Hawking, “Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo”, Bur 2011). Sul “fine tuning argument” il fisico Andrei Linde ha detto che “abbiamo molte coincidenze davvero strane, e tutte queste coincidenze sono tali da rendere possibile la vita”, aggiungendo che la teoria del multiverso risulta essere una possibilità molto interessante per rispondere alla domanda circa il fine tuning che permette la vita sulla terra (A. D. Linde, R. Brandenberger, Inflation and Quantum Cosmology, Academic Press Inc, 1990).

Non vi sono attualmente prove scientifiche che prevedano un multiverso, ne’ in generale una realtà che si estende infinitamente nel passato. Tuttavia molti naturalisti filosofici hanno salutato il multiverso come elemento che ci dispensa dalla dipendenza da Dio. Si tratta, dicono altri, di una “strana posizione di sicurezza” per coloro che costantemente criticano i credenti in Dio di “aver fede” in qualcosa che non ha prove tangibili. Arvin Borde, Alan Guth, e Alexander Vilenkin hanno dimostrato che ogni universo, che in media si è espanso per tutta la sua storia, non può essere infinito nel passato, ma deve avere un confine passato spazio-temporale (Borde, A. H. Guth, A. Vilenkin, “Inflationary space-times are incomplete in past directions”, Phys. Rev. Lett. 90, 151301, 2003). Nel 2012 Vilenkin ha dimostrato anche che i modelli che non soddisfano questa condizione non riescono comunque per altri motivi ad evitare un inizio dell’universo. Quindi, anche se il nostro universo fosse una piccolissima parte di un multiverso, quest’ultimo dovrebbe avere un inizio.

John Carson Lennox, professore di matematica presso l’Università di Oxford, matematico irlandese, filosofo della scienza e apologeta cristiano, ha riassunto questa situazione affermando che “è piuttosto ironico che nel XVI secolo ci siano state molte resistenze ai progressi della scienza, perché sembravano minacciare la fede in Dio, e altrettanto dicasi nel XX secolo per le idee scientifiche riguardanti un inizio dell’universo, perché minacciano di aumentare la plausibilità della fede in Dio”.

fonte UCCR


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13/07/2019 23:07
 
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Il matematico Aczel:
«l’attacco dei Neoatei è scientificamente sbagliato»

Amir AczelQualche mese fa abbiamo pubblicato una breve recensione dell’ultimo libro del celebre matematico Amir D. Aczel. La casa editrice Raffaello Cortina ci ha comunicato che lo ha appena tradotto in italiano ed è disponibile per l’acquisto con il titolo: “Perché la scienza non nega Dio” (Raffaele Cortina 2015).
 
 
di Amir D. Aczel*
*divulgatore scientifico e docente di Matematica presso la Bentley University

da Avvenire, 11/02/15
 
 

Eulero, il prolifico matematico svizzero del XVIII secolo, e uno dei più grandi di ogni tempo, era anche un uomo profondamente religioso. Era pure membro dell’Accademia Reale delle Scienze a San Pietroburgo, in Russia; un giorno, giunse in visita all’accademia un celebre ateo, l’illuminista francese Denis Diderot, a quanto pare con la missione di convertire alla miscredenza i membri di quell’associazione!

A Eulero venne detto del visitatore, e gli fu riferito che Diderot non sapeva di matematica. Così, lo sorprese in un dibattito pubblico, domandandogli: «Signore, a più b alla potenza n diviso n uguale x; quindi, Dio esiste! Risponda!». Diderot, che non ci aveva capito nulla, non riuscì ad aprire bocca. Nella stanza scoppiò una fragorosa risata e l’umiliato miscredente si ritirò. Il giorno dopo, fece i bagagli e se ne tornò in Francia.

La storiella, probabilmente, è apocrifa; ma ciò che stanno facendo oggi i Neoatei è all’incirca la stessa cosa. Senza uno straccio di evidenza dalla loro parte, dichiarano: «La scienza prova che non c’è nessun Dio! Rispondi!»; e un pubblico che usualmente non è avvezzo alle sfumature e ai tecnicismi della scienza rimane sconcertato e confuso, e di conseguenza vulnerabile alle presuntuose dichiarazioni dei Neoatei. Parlando di matematica, fisica, cosmologia, biologia, genetica, studio del cervello e scienze cognitive, evoluzione e così via, quanda si tratta di determinare se Dio esista o no, la scienza presenta rigorosi limiti. Dal punto di vista matematico, è stato dimostrato che ci sono “fatti” entro qualsiasi struttura della matematica che rimarranno per sempre fuori dalla nostra comprensione, oltre la nostra conoscenza, al di là della nostra portata.

In fisica e cosmologia, poi, nonostante tutti i nostri sforzi per spiegare i valori delle costanti naturali ricorrendo a ogni sorta di teorie, siamo a tutt’oggi incapaci di spiegare anche concettualmente proprietà semplici delle costanti fisiche necessarie affinché nell’universo ci sia la vita. Questo è un grave difetto della scienza, poiché, quando vengono elaborati dei modelli dell’universo, la speranza sarebbe che questi ultimi conducessero a una comprensione, sotto forma di predizione, dei valori dei parametri delle teorie via via presentate. Dunque, le nostre teorie fisiche ci hanno deluso, in questo compito.  Alcuni valori delle costanti nella meccanica quantistica, nella teoria quantistica di campo e nella teoria della relatività sono stati sì previsti, ma la maggior parte delle proprietà fisiche chiave della natura – le masse delle particelle elementari che formano l’universo e l’intensità delle interazioni delle quattro forze dell’universo fisico – restano al di là della nostra spiegazione. Perché la costante di struttura fine – che governa ogni interazione elettromagnetica nell’universo – è pari a circa 1/137? Nessuno ha mai avuto nemmeno una minima idea del perché abbia proprio quel valore. E lo stesso si può dire per parecchie altre costanti chiave della natura.

Dinanzi a tali limitazioni, fisici e cosmologi sono stati costretti a fare marcia indietro dal loro obiettivo di raggiungere una piena comprensione della natura; qualcuno, semmai, ha optato per una spiegazione non elegante e non scientifica: il principio antropico. Tale espediente teorico consiste nell’alzare le mani al cielo e dire: «Beh, se le costanti della natura non fossero quelle che sono, noi non saremmo qui». Ovviamente, ciò lascia la maggior parte dei ricercatori con un profondo senso di insoddisfazione. Einstein avrebbe verosimilmente malvisto questo principio: l’obiettivo di tutta la sua esistenza è stato quello di svelare le leggi della natura e avanzare teorie che spiegassero perché le costanti sono quelle che sono sulla base delle teorie stesse, e usare le teorie per predire come queste costanti dovrebbero essere. Invece, siamo rimasti con un deludente pugno di mosche.

Pertanto, manchiamo di una profonda comprensione dei meccanismi dell’universo. Certo, ci sono cose che sappiamo, e la scienza ci ha davvero fornito grandi verità. Ma ignoriamo che cosa abbia causato il Big Bang. Non sappiamo come le molecole della vita siano scaturite la prima volta sulla superficie del nostro pianeta. Ignoriamo come siano emerse le cellule più avanzate della vita, ingredienti necessari per l’evoluzione di organismi complessi come noi. E non conosciamo le origini dell’intelligenza, dell’autocoscienza, del pensiero simbolico e della nostra consapevolezza. Manchiamo della conoscenza di base per i più importanti e più resistenti misteri della creazione. E anche se potessimo in qualche modo ottenere tutta la conoscenza sull’universo, probabilmente non potremmo andare oltre – scrutare dietro le strutture che la scienza rivela, in modo da poter capire come l’universo è stato “fatto”. Questi limiti intrinseci nella natura stessa della scienza, anzi, della conoscenza, rendono improbabile che riusciremo mai a risolvere lo stesso problema di Dio. In ogni caso, non lo abbiamo ancora risolto. E pur con tutta la forza, la complessità e la profondità della scienza di oggi, non siamo in grado di respingere scientificamente l’ipotesi di una qualche forma di creazione dall’esterno.

I Neoatei amano porre la domanda: «Se Dio ha creato l’universo, chi ha creato Dio?». Si tratta di una bella domanda; obiettivamente, non conosciamo la risposta. Ma solo perché a questa domanda non si può dare risposta, non significa che formularla dimostri in qualche modo che Dio non esiste. Indica semplicemente che l’esistenza di Dio e di ciò che, eventualmente, avrebbe “creato Dio” si trova al di fuori del novero delle domande alle quali scienza e matematica possono rispondere. Noi non comprendiamo appieno di che cosa sia fatto lo spazio, quali siano gli elementi dello spazio fisico e come siano collegati fra loro. Non conosciamo il livello di infinito della retta dei numeri reali e se il continuo della matematica abbia le proprietà dello spazio fisico. Ignoriamo come sono stati creati lo spazio e il tempo. Non sappiamo, addirittura, cosa sia davvero il tempo. Non sappiamo che cosa abbia causato il Big Bang. E non sappiamo chi o che cosa abbia creato Dio. Ciò che sappiamo è che l’universo non è spuntato fuori dal vuoto per conto suo: qualcosa ha preceduto il Big Bang, e quel “qualcosa” è irraggiungibile dalla nostra scienza; e potrebbe rimanere tale per sempre.

Sappiamo che per qualche strano e misterioso meccanismo tutte le costanti della natura si sono rivelate modulate esattamente come occorrevaaffinché la vita emergesse: le alternative a un controllo divino che abbia definito queste condizioni incredibilmente improbabili non sono più probabilidell’esistenza di Dio.

La linea di attacco finale di Richard Dawkins contro la religione consiste nell’argomento che un’ampia maggioranza degli scienziati più eminenti non sia religiosa. Questo tipo di dichiarazione è, però, ingannevole. A svariate persone dalla mente indipendente e a non pochi intellettuali non garbano i precetti e i rituali delle religioni organizzate. Ed è certamente vero che le religioni sono istituzioni legate alla tradizione, istituzioni che hanno frequentemente osteggiato il cambiamento, sia sociale sia scientifico. Ma ciò non significa che parecchi scienziati non vedano nella natura e oltre essa una forza a noi ignota e inconoscibile; quella forza può ispirarci un senso di umiltà e di stupore, e può anche far sì che ci rendiamo conto che non sappiamo tutto e che potremmo persino non apprendere mai alcune importanti verità sull’universo


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13/07/2019 23:12
 
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Lafforgue, medaglia Fields :
«la matematica è antirelativista, contempla Dio»

Quest’anno, ha ricordato Francesco Agnoli su “Il Foglio”, al Meeting di Rimini è stata esposta una mostra dedicata aJérôme Lejeune, il genetista francese scopritore del nesso tra sindrome di Down e trisomia 21 e che perse il premio Nobel per la sua battaglia in difesa della vita nascente. Per chi volesse, a questo link è possibile visionare il bellissimo video dell’incontro tenutosi durante la kermesse riminese

Agnoli ha anche ricordato che tre anni fa partecipò al “Meeting” di Comunione e Liberazione anche il celebre matematico francese Laurent Lafforgue, professore all’Institut des hautes études scientifiques, membro dell’Académie des sciences, vincitore della massima onorificenza nel campo matematico, la Medaglia Fields (2002) . Ha contributo in modo determinante nel campo della teoria dei numeri e della geometria algebrica, dimostrando parte delle cosiddette congetture di Langlands. Da qui si può scaricare il testo della sua relazione in quell’occasione.

In un’intervista per Ilsussidiario.net, sempre nel 2009. parlando dell’inizio della matematica con i greci e della sua espansione nel mondo moderno, Lafforgue ha spiegato: «Perché ciò accadesse bisognava considerare importante la materia. E ciò sembra profondamente legato al cristianesimo. Questa mia è un’ipotesi; ma penso che il disprezzo della materia non sia cristiano. Una cosa che noto con i miei colleghi matematici e fisici è che io sono più materialista di loro. C’è una doppia tentazione: da una parte rifiutare la materia, cioè la tentazione idealista; all’opposto, c’è la tentazione di buttare la scienza moderna fondata sull’interpretazione matematica dell’universo. Da un certo punto di vista sarebbe tutto più semplice se il mondo fosse solo una struttura matematica, o se la matematica non avesse nulla a che vedere con il mondo fisico. La realtà è che la materia è sottomessa a leggi matematiche ma non si riduce a queste leggi. E questo è un mistero. In sé la relazione della matematica col mondo fisico resta un mistero. La matematica è una tradizione, come la Chiesa; implica una trasmissione vivente e quindi si pratica in seno a una comunità».

Solo 5 giorni prima di questa intervista, a Parigi, presso la Biblioteca nazionale di Francia, il 23 ottobre 2009, ha partecipato ad un incontro sul tema “Simone Weil e la matematica”, citando la frase della filosofa francese, “La matematica è la prova che tutto obbedisce a Dio”, ha aggiunto: «la matematica e la scienza sono studio e contemplazione dell’obbedienza a Dio da parte delle entità matematiche e della materia». Lo scienziato, ha detto in un’altra occasione, non può essere relativista, ma «la vocazione del soggetto che conosce non solo è cercare la verità, servirla e conoscerla esteriormente. La vocazione è ricevere la verità e parteciparne, così come la vocazione umana è ricevere la vita divina. Per la sua oscurità e la sua profondità misteriose, a causa della sua mescolanza di fatti crudi e di bellezza, la verità conoscibile ha in effetti qualche cosa che evoca davvero la profondità insondabile caratteristica dell’essere divino. Per la sua oscurità e la sua profondità misteriose, a causa della sua mistura di saperi che riguardano i fatti e di tensione verso la bellezza dell’intelligibile, la conoscenza ha essa stessa qualche cosa che evoca la profondità insondabile di Dio. Grazie alla sua sottomissione ai fatti, la verità conoscibile possiede un legame con Colui che discende nelle profondità dell’Essere terrestre, con il Verbo fatto carne. Grazie alla sua sottomissione ai saperi specifici, la conoscenza possiede un legame con il Verbo incarnato».

Agnoli ha acutamente sottolineato che in un’epoca di relativismo come la nostra, benché si abbia quasi ripugnanza per “la verità”, come se essa fosse limite ed imposizione, non se ne può fare a meno per fare vera ricerca. La fede nell’esistenza della verità -definita “il fondamento di ciò che è”-, è dunque essenziale alla vita intellettiva di ogni uomo che vuole conoscere, e la Verità diventa accessibile a chi si dona e si inchina ad essa. La Verità si dona a chi è disposto a donarsi a lei, il cristianesimo -d’altra parte- è iniziato proprio così: un Uomo eccezionale ha preso iniziativa verso altri uomini, ma soltanto coloro che Lo stavano attendendo davvero Lo hanno riconosciuto.

fonte UCCR


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13/07/2019 23:18
 
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«Anche per me, matematico,
la grande sfida è l’umiltà evangelica»

matematica vangelo 
 
di Francesco Malaspina*
*docente di Geometria algebrica presso il Politecnico di Torino

 

Il matematico non può che essere profondamente umile. Uscito dal liceo avevo certamente la percezione di conoscere parecchia matematica. Ora, dopo diciannove anni passati a studiarla intensamente mi pare davvero di saperne molto meno di allora. La sua bellezza e la sua vastità mi hanno riempito di meraviglia e stupore e hanno saputo dissolvere quei confini che credevo di intravedere.

Noi che la investighiamo possiamo solo sperare di scalfire l’immensità della matematica proprio come nessun teologo potrà mai penetrare completamente il Mistero di Cristo. Il kerigma del Cristo Risorto è un mistero talmente immenso che non finiremo mai di cercare di comprenderlo. Inoltre la fede non è qualcosa di acquisito una volta per tutte, non si vive di rendita. La fede va alimentata continuamente proprio come la ricerca scientifica ha bisogno di uno studio costante. Lo studioso di qualunque scienza non può che essere profondamente umile e fare proprio il motto di Socrate: “So di non sapere”.

La povertà non è intesa solo come non attaccamento a beni materiali ma anche alle nostre conoscenze o alle sicurezze che pensiamo di aver acquisito con la nostra esperienza: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza». (Lc 10,21). Qui Gesù esulta perché alcune cose riguardanti il regno di Dio sono rese accessibili alle persone semplici e piccole e incomprensibili a coloro che si sentono dotti e saggi. Evidentemente non si sta dicendo che la conoscenza sia una cosa negativa ma chi è troppo attaccato ad essa e chi non ha l’umiltà di sentirsi piccolo finisce per essere chiuso a nuovi messaggi. Inoltre il Vangelo si identifica spesso con i poveri e i piccoli sicché chi è zavorrato dalle ricchezze («è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli», Mc 10,25) o dalla sapienza ingombrante («se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli», Mt 18,3) non può essere in piena sintonia con esso.

Un giovane e brillante ingegnere, avendo scelto la vita religiosa, era entrato nei Piccoli fratelli di Gesù. Si tratta della congregazione fondata da Renè Voillame nel 1933 seguendo la regola ed il messaggio di Charles de Foucauld. I piccoli fratelli non vogliono essere pastori ma imitare la vita nascosta e ordinaria di Gesù a Nazareth quindi condividere nelle periferie del mondo, nel cuore delle masse, la condizione sociale della gente semplice. Il nostro ingegnere dopo la formazione aveva cominciato a lavorare come scaricatore di porto. La madre era andata dai superiore dicendo: “Ha studiato tanto! Vi prego fategli fare qualcosa in modo che possa utilizzare i suoi studi per qualche opera di bene”. Ci sembra una richiesta ragionevole. E’ in linea con il nostro desiderio di efficienza e anche nel Vangelo troviamo l’esortazione ad utilizzare al meglio i nostri talenti. Si tratta di una di quelle tensioni laceranti del Vangelo. Un’altra ad essa collegata è quella tra il nascondimento («non sappia la tua destra ciò che fa la tua sinistra», Mt 6,3) e la testimonianza («non si accende una lampada per metterla sotto il moggio», Mt 5,15).

Dunque, da un lato l’uso dei propri talenti e la testimonianza mettendo in evidenza le proprie opere, dall’altro il nascondimento sia delle proprie abilità che del buon operare. Si tratta di due poli entrambi positivi ed evangelici e il discernimento tra di essi non è affatto semplice. Gesù nella sua vita presente li ha vissuti entrambi: ha vissuto tre anni di vita pubblica ed è stato a Nazareth per trent’anni vivendo pienamente la vita dei suoi compaesani, lavorando nella bottega di Giuseppe immerso nella vita di quel piccolo villaggio della Galilea di 2000 anni fa. Era il Dio creatore del cielo e della terra ma nessuno dei suoi vicini, se non Maria, avrebbe potuto sospettarlo. Ha scelto questo nascondimento, dando così straordinaria dignità alla nostra vita feriale, senza preoccuparsi di sprecare i suoi, evidentemente immensi, talenti. In quest’ottica la singolare scelta del nostro brillante ingegnere non appare più uno spreco. Il Vangelo ci esorta sia ad utilizzare al meglio i nostri talenti che a nasconderli. Non ci viene data una soluzione a questa tensione ma appare chiaro che l’efficienza non è più il bene supremo ma la cosa fondamentale è il dono di sé.

L’umiltà è dunque una virtù piuttosto centrale nella spiritualità cristiana e lo è altrettanto nella ricerca scientifica. Bisogna diffidare dagli scienziati che pensano di aver trovato tutte le risposte e si sentono grandi. Ecco una frase di Ennio de Giorgi, uno dei più influenti matematici del XX secolo: «Certamente neanche le più grandi scoperte di questo secolo, le più ardite teorie fisico-matematiche, la relatività generale, il Big Bang, il principio di indeterminazione, gli spazi a infinite dimensioni di Hilbert e Banach, i teoremi di Gödel, danno una risposta alle domande fondamentali riguardanti il mondo, Dio, l’uomo».

 fonte UCCR


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