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III domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore Rito Ambrosiano (Anno C) (15/09/2013)

Ultimo Aggiornamento: 14/09/2013 13:43
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14/09/2013 13:43
 
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Vangelo: Is 43, 24c – 44,1-3; Eb 11, 39 - 12, 4; Gv 5, 25-36
Isaia 43, 24c - 44, 3

Il popolo d'Israele (siamo nel sec VI a. C.) è angosciato della deportazione in Babilonia che ha distrutto ogni speranza ed ha messo in crisi ogni possibilità di riscatto. "Il Signore ci ha abbandonato. Il Signore si è dimenticato di noi. Il Signore non mantiene più la sua speranza e non ascolta più il pianto dei poveri e degli schiavi. Eppure aveva promesso un regno eterno a Davide (2 Sam 7), aveva annunciato l'inespugnabilità di Gerusalemme (Is 7,6; 37,6)". Così pensano i credenti d'Israele, verificando la loro situazione dolorosa.

Dio si affaccia nel conflitto, garantendo attraverso il salmista: "Forse il Signore ci respingerà per sempre, non sarà mai più benevolo con noi? È forse cessato per sempre il suo amore, è finita la sua promessa per sempre? Può Dio aver dimenticato la pietà, aver chiuso nell'ira la sua misericordia?" (77,8-10).

Sorge un profeta tra i deportati a Babilonia e le sue parole sono inserite nel libro di Isaia. "Non ho rotto i miei legami con voi, non ho mutato i miei sentimenti". E' Israele che si è allontanata. E i padri, qui, nella memoria, sono ricordati in una lunga processione di infedeltà Tuttavia il Signore vuole rassicurare. "Ora ascolta." E le immagini si sviluppano come per una rigenerazione nuova in cui il Signore garantisce. Fin dal tuo nascere (dal seno materno) il Signore continua ad essere presente. Nel cammino ti sostiene e ti aiuta a crescere. Ti rende agevole la fatica con l'acqua e lo Spirito. In ebraico e nella traduzione italiana viene usato lo stesso verbo per l'acqua e lo Spirito: "Verserò". Ma acqua e Spirito sono anche gli elementi della creazione: la fertilità e la vita. E saranno i doni della nuova creazione che la Chiesa eredita nel battesimo e che permetteranno a ciascuno di mantenere l'alleanza con la Chiesa autentica di Gesù, il suo nuovo popolo che continua e sviluppa le promesse del Signore nella storia.

C'è una sottile critica al culto e alla sua indispensabilità. Quello che il Signore attende sono la fedeltà e la coerenza. Il solo culto non ha costituito una linea di fedeltà. Anzi, prima dell'esilio, quando ancora esisteva la struttura del tempio, la religiosità ufficiale e gli "intermediari" (sacerdoti del tempio) offrivano il culto, persistente, obbligante, fastoso e non certo richiesto. Ma hanno reso incapace il popolo di capire ed hanno "stancato Dio". Nel periodo dell'esilio, ormai senza tempio, il popolo d'Israele non si è preoccupato di mantenere o di sostituire i riti che compiva prima e il Signore non glielo ha chiesto. Il Signore ricupera dalla sua fedeltà e dalla sua memoria la garanzia per Israele e lo chiama con un vezzeggiativo: "Iesurun" (diletto, che probabilmente significa "essere retto, fedele").

Ebrei. 11, 39 - 12,4

La" lettera agli ebrei" sorge in un contesto di grande disagio e di incomprensione dei fatti della storia per i cristiani e quindi ciò che avviene non corrisponde alle promesse di Dio, o almeno così sembra.

E' crollata la struttura del popolo d'Israele negli anni 70 d.C. con la vittoria dei Romani, dispersi i sopravvissuti dopo la distruzione di Gerusalemme. Alcuni di questi si sono fatti cristiani, ma continuano a trovare difficoltà perché sono considerarti, dai propri fratelli d'Israele, traditori.

Così sono perseguitati. Poco prima (al cap. 10, 32-35), in questa stessa lettera, si parla della fatica che debbono sopportare i cristiani nella loro comunità civile. "Richiamate alla memoria quei primi giorni: dopo aver ricevuto la luce di Cristo, avete dovuto sopportare una lotta grande e penosa, ora esposti pubblicamente a insulti e persecuzioni, ora facendovi solidali con coloro che venivano trattati in questo modo. Infatti avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di essere derubati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e duraturi. Non abbandonate dunque la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa".

Passando il tempo, sembra anzi che la situazione stia peggiorando, si dice nella lettera.

E tuttavia, ricorda l'autore biblico, abbiamo alle spalle l'esperienza dei grandi testimoni della fede, e ne fa un elenco, (ca.11,1-38), tutti i testimoni ("la moltitudine 12,1) dell'Antica Alleanza". Di questi i cristiani conservano il ricordo grato della loro fedeltà al Signore.

La vita è come una gara sportiva: una corsa in cui siamo chiamati a correre, tenendo fisso lo sguardo sulla meta. Lo ha fatto Gesù e la sua meta fu l'amore di Dio che passava attraverso la croce: "Di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce" (12,2). Siamo invitati anche noi a fare le scelte di coerenza, di amore al Padre ed ai fratelli. Una certa vecchia spiritualità ci faceva pensare più a sofferenze cercate o a penitenze corporali. Il Signore ci chiede di essere testimoni nell'oggi, nella fatica e nella coerenza quotidiana di vita e di lavoro, per amore e con amore, anche a rischio. Ogni giorno scopriamo che il disegno di Dio non corrisponde "al tutto e subito" ma al cammino, o alla corsa faticosa, legata al tempo, a Lui e non al miracolismo, non alle soluzione fantastiche. Ognuno con la sua competenza, il suo compito, il suo cammino, cercando di non caricarsi di pesi inutili, troverà la sua fatica e la sua strada. E dalla intelligenza particolare e dalle competenze trae energia e soluzioni da mettere in gioco, con amore per il proprio prossimo, come Gesù ha utilizzato la sua forza nel guarire, la sua parola per consolare e la sua intelligenza per illuminare.

Gv 05,25-36

Nel Vangelo di Giovanni, con il cap. 5, si inizia una nuova sezione (capp 5-12) in cui si sviluppa insieme ricerca e polemica su chi è Gesù. Praticamente si sviluppa un processo in cui Gesù, sempre nel linguaggio di Giovanni, manifesta il suo essere e irrigidisce gli interlocutori.

Gesù è a Gerusalemme per la "festa". Non si dice quale. E le feste fondamentali d'Israele sono tre: la Pasqua (ma sarebbe stata nominata), la festa di Pentecoste (o della mietitura) e la festa delle Capanne che Giovanni avrebbe citato più avanti (7,2). Siamo perciò, probabilmente, a Pentecoste, quando gli ebrei celebrano il dono della legge a Mosè e al popolo. Il cap 5 inizia con la guarigione di uno sconosciuto, paralitico, che Gesù ha voluto incontrare e guarire "alla piscina, chiamata in ebraico Betzada, presso le porte delle pecore" (5,2). Aveva una paralisi che lo teneva nel letto, incapace di camminare da 38 anni (nel Deuteronomio 38 anni sono praticamente la conclusione della vita (2,14) e quindi a un uomo in procinto di morire senza speranza 5,5). Questo tale viene visto in giro, in giorno di sabato, con un lettino/ branda/ giaciglio sulle spalle. E suscita scandalo, ribellione e addirittura raccapriccio portare un peso: è la violazione pubblica del riposo. I Giudei fanno una piccola inchiesta e chiedono chi sia veramente il responsabile di questa guarigione e quindi di questa grave disobbedienza sul sabato.

Scoprono che è Gesù l'autore sia del miracolo che del comando di prendere il proprio giaciglio e di tornare a casa. Così "i giudei cominciarono a perseguitare Gesù perché faceva tali cose di sabato" (5,16).

I testi che leggiamo oggi riportano solo un brano di tutta la discussione che Giovanni registra: è una polemica durissima contro i dirigenti che perseguitano Gesù ed il suo operato.

Gesù però si spiega. Egli svolge la stessa attività di Dio e ne incarna la sua volontà ed il suo disegno. Non esistono altri criteri di moralità. E il suo proposito è invitare alla pienezza della vita coloro che sono assoggettati alla morte. E' fondamentale capire che Il successo o la sconfitta dell'uomo dipendono dalla sua condotta verso gli altri. E' il disegno di Dio che Gesù sta vivendo in pienezza (5,25-30). Gesù opera come il Padre.

C'è, in sottofondo, il rapporto di Mosè con Dio che gli interlocutori avvertono essere l'unico valido e garantito. Gesù osa porsi in una relazione con Dio più profonda e non certo come rivale.

Gesù riceve tutto da Dio come un figlio riceve tutto dal padre e impara ad operare come suo padre (qui c'è l'esperienza con Giuseppe, visto che Gesù è chiamato il "figlio del carpentiere").

Ciò che irrigidisce il dialogo è questo legame stretto ed unico con Dio che gli è Padre in modo singolare. Non è difficile immaginare che cosa queste discussioni possano suscitare tra i Giudei diffidenti, agguerriti e cultori della teologia ebraica. Si sente anche che il resoconto di Giovanni è lo sviluppo di una riflessione per le sue prime comunità cristiane e per una loro fede matura, L'opera del Padre è quella di dare la vita: i farisei credono nella risurrezione alla fine dei tempi?

Bene, e qui Gesù garantisce la propria adesione alla loro fede e aggiunge che il Figlio compie le stesse opere di vita. Dio farà risorgere e Gesù ha salvato dalla morte un paralitico (da ricordare i 38 anni della sua malattia). Va poi riletto il tutto alla luce della Risurrezione di Gesù stesso.

Resta il problema delle garanzie: "Tu dici di essere e di fare ma chi testimonia per te?"

Il testo di Deut 19,15 stabilisce che nessuno può essere giudicato colpevole sulla parola di un solo testimone. Perciò Gesù parla della testimonianza: accetta il loro bisogno di garanzie e si rende conto che qui si gioca il destino di ogni persona e il significato profondo che solo Lui può svelare da parte del Padre. Siamo davanti ad una rivelazione più grande di quella del Sinai.

Perciò Gesù garantisce con quattro testimonianze:
- la testimonianza di Giovanni (vv 33-35),
- "le opere che il Padre mi ha dato da compiere" (5,36),
- il richiamo delle coscienze (vv 37-38)
- le Sacre Scritture (vv 39-40).

Oggi abbiamo letto il significato delle due prime testimonianze: sono le sue opere, segno di liberazione ed è la testimonianza di Giovanni il Battista. Gesù sottolinea che anche la testimonianza di Giovanni, che essi "solo per un momento" hanno accettato, ha valore, pur essendo solo un uomo. La sua è luce di una lampada "che arde e risplende; e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce" (v 35).

Il messaggio che ci giunge, però, è la novità delle opere: "le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato".

Sono garanzia per portare la vita, aperte ad ogni uomo o donna, dono di fedeltà come Gesù è fedele testimone di Dio.

Coloro che seguono Gesù debbono accogliere lo stesso progetto e costruire un cammino sulla stessa fiducia, nel mondo quotidiano in cui vivono.
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