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Galati cap.1-2 Paolo consulta Pietro, per non correre invano

Ultimo Aggiornamento: 01/09/2013 12:18
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01/09/2013 12:10
 
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Galati 2,1-10:

II rapporto del presente brano con At 15,1-29 pone un arduo problema storico: i due racconti ci riportano lo stesso avvenimento oppure due avvenimenti separati e diversi? Le divergenze sono notevoli: nella lettera ai Calati l'incontro avviene durante la seconda visita di Paolo a Gerusalemme, negli Atti invece durante la terza visita; nella lettera il movente è un'ispirazione, negli Atti Paolo viene inviato dalla chiesa di Antiochia; nella lettera l'incontro sembra svolgersi tra uguali, negli Atti i capi di Gerusalemme sembrano avere autorità su tutta la chiesa; la lettera parla di una colletta, gli Atti non ne fanno parola; finalmente nella lettera non appare nessun documento scritto a conclusione dell’incontro, mentre negli Atti troviamo una lettera ufficiale dei capi della comunità di Gerusalemme ai Gentili. Queste divergenze hanno dato luogo a diverse teorie (cf F.V. Filson, Thè Interpreter's Dictionary of the Bible, 2, p. 711). Se teniamo presente il genere letterario diverso dei due racconti, ricaviamo una linea di orientamento chiara. Paolo ha, nella lettera ai Galati, una prospettiva apologetica e parla con un tono surriscaldato di disputa: è spontaneo che ciò lo porti a trascurare alcuni dettagli e a fare una presentazione parziale secondo la necessità del momento. Il tono letterario degli Atti è più sereno, più oggettivo: è naturale quindi attendersi una esposizione più completa, dettagliata, meglio inquadrata negli avvenimenti della chiesa primitiva. Le due narrazioni sarebbero quindi da riferire allo stesso evento, anche se presentato diversamente; per una ricostruzione storica dell'evento stesso, le indicazioni fornite dagli Atti sono da preferire a quelle fornite dalla lettera ai Galati (cf E. Haen-chen. Die Apostelgeschichte, pp. 587-419).

Si tenga in dovuto conto il fatto che Paolo dice espressamente in Ga.1,18:

In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; 19 degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore.

Non a caso egli aveva avuto questo contatto proprio con l’apostolo che definisce espressamente CEFA, che significa ROCCIA. Questa consultazione con il principale interlocutore della Chiesa nascente durato ben 15 giorni ha permesso a Paolo di verificare se il "suo" Vangelo, ricevuto per via straordinaria, era concorde con quello affidato agli apostoli scelti da Cristo durante la sua missione terrena.

Dopo 14 anni, Paolo, a seguito di una rivelazione del Signore si recò di nuovo dagli apostoli. stabilirono: Ga 2,2 parla di una rivelazione. La decisione può essere stata presa durante una riunione di preghiera, in cui alcuni profeti proclamavano i comandi dello Spirito.(cf At.13,2)

Paolo non trattò la questione quanto mai delicata davanti a tutti in un'assemblea della comunità; se ne occupò in contatti privati e a parte con i capi della comunità stessa.

Il motivo di questo suo agire era tattico: voleva evitare che la questione, dilagando in pubblico, suscitasse scompigli e difficoltà. - per evitare il rischio di correre o di aver corso invano: correre si riferisce manifestamente alle corse agonistiche ed esprime, sotto questa immagine, un impegno di lavoro apostolico faticoso e assillante. Invano: Paolo non ha alcun dubbio sulla autenticità della sua missione e sulla validità del suo vangelo; non ha bisogno sotto questo rispetto di alcuna mediazione umana, fosse pure quella di Pietro. Il problema è piuttosto di ordine pratico. La chiesa è una, unica: questa unità è una esigenza di fondo ed è sentita molto acutamente da Paolo. Ora se il vangelo predicato da lui fra i gentili e la conseguente costituzione di comunità locali portasse ad una rottura con la chiesa di Gerusalemme, l'unità andrebbe praticamente distrutta. Davanti alla possibilità di un risultato cosi contraddittorio. Paolo non esita a qualificare inconcludente, fatto a vuoto, tutto il suo lavoro apostolico presente e passato. Da notare inoltre che non è Pietro a recarsi da Paolo, ma viceversa. C'è quindi nell'atteggiamento di Paolo, determinato da una rivelazione speciale, un riconoscimento implicito di una certa supremazia della chiesa di Gerusalemme e di Pietro in particolare.

falsi fratelli: non significa, come deduciamo con tutta probabilità dal contesto, eretici o qualcosa di simile; il termine si riferisce piuttosto a un comportamento e a una mentalità incompatibili con il cristianesimo genuino. Qual è l'azione che Paolo rimprovera a costoro nel nostro contesto? Più che una intrusione nella comunità, il contesto prossimo e il verbo usato (spiare) suggeriscono che Paolo tentò di trattare le sue questioni direttamente e solo coi notabili, ma che altri si intromisero indebitamente e subdolamente in questi colloqui, provocando delle difficoltà.

Mentre i falsi fratelli volevano trarre Paolo dalla loro, i notabili di cui ha parlato prima e che al v. 9 nominerà esplicitamente, e cioè Pietro, Giacomo, Giovanni, sono d'accordo con Paolo. Il discorso è lasciato sospeso; ma è facile completarlo: da parte dei notabili Paolo riceve una piena approvazione. Probabilmente proprio questa idea determina l'anacoluto: il pensiero di una approvazione implica un qualche confronto tra Paolo e i notabili e una loro preminenza.

10Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.

Paolo intuisce il valore reale e simbolico di questo aiuto a favore della Chiesa madre di Gerusalemme e si dà da fare per accondiscendere all’unica richiesta espressa dalle "colonne" nei suoi confronti. Un gesto semplice ma importante se si vuol considerare la parte richiedente e la parte che si impegna a dare. In questo caso è a Paolo che viene fatta la richiesta e non viceversa.

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