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XIII domenica dopo Pentecoste Rito Ambrosiano (Anno C) (18/08/2013)

Ultimo Aggiornamento: 17/08/2013 10:25
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17/08/2013 10:25
 
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Vangelo: Ne 1, 1-4; 2, 1-8.; Rm 15, 25-33; Mt 21, 10-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Mt 21,10-16)
Neemia 1, 1-4; 2, 1-8

Finalmente Il Signore fa sorgere il tempo del ritorno a Gerusalemme. E' come un nuovo esodo che il re Ciro, re dei Persiani, vincitore di Babilonia, nell'anno 539 a.C. propone pubblicando, l'anno seguente: il 538 a.C., l'editto per cui concede di poter tornare nella propria terra di origine e ricostruire il tempio. E' un evento complesso che però non coinvolge tutti gli israeliti poiché molti, avendo accettato la raccomandazione di Geremia che ha sostenuto di integrarsi sul suolo straniero (Geremia 29,4-10 ss.), si sono via via costituiti lavoro e alloggio e si trovano bene anche a Babilonia.

Ritornano perciò in pochi, tra grandi difficoltà. E' il piccolo "resto" del popolo.

Ci sono molte tracce di fatiche e di sofferenze nei documenti che ci sono pervenuti poiché gli abitanti del posto vedono i nuovi venuti come degli intrusi, e che spesso accampano anche grandi pretese. Così il ritorno non è esaltante poiché arrivano in un contesto che nel frattempo si è sviluppato senza di loro. In più, quelli che tornano rivogliono le proprietà dei loro padri, abbandonate non moltissimi decenni prima. Questo dice allora la tensione, la lotta, la miseria e quindi la diffidenza dei primi esuli ritornati.

In un primo periodo si costruisce il tempio, come è possibile.

Del ritorno da Babilonia parlano i due libri di Esdra e Neemia, i due grandi restauratori del nuovo popolo, vissuti in tempi diversi. Diventa difficile capire chiaramente i tempi della loro permanenza poiché non sembra abbiano operato insieme. Esdra si occupa di regolare il culto, i sacrifici del tempio e far osservare la legge; ma egli affronterà anche il problema di una comunità "contaminata da matrimoni con donne straniere" dovendo sempre superare l'ostilità dei vicini, che fanno intervenire il re persiano a fermare i lavori.

Neemia (leggiamo nel testo di oggi) è l'altro restauratore e ricostruttore del nuovo popolo santo che è ritornato a Gerusalemme. E' coppiere del re, chiede il permesso di recarsi a Gerusalemme per ricostruirne le mura e rafforzare le porte. Una città senza mura e senza porte diventa una città giocattolo, in preda ai nemici e ai predoni che vi fanno il bello e brutto tempo. Egli saprà organizzare i lavori, ma dovrà tener testa a diverse iniziative di nemici che vogliono ostacolarlo.

Il re di cui si parla sembra essere Artaserse I nel 445 a.C. (ma esiste anche un Artaserse II, vissuto tra il 404 e il 358 a. C. Sembra che qui si debba collocare Esdra).

L'occasione di servire alla tavola del re, dopo circa quattro mesi dall'incontro con i viaggiatori dalla Giudea, permette a Neemia, per una serie di circostanze, di sviluppare un progetto di ricostruzione, ottenendo l'assenso di tutte le garanzie da parte del sovrano. Chiaramente l'autore biblico fa intravvedere lo sviluppo degli avvenimenti come provvidenziale dono di Dio.

Romani 15, 25-33

Ormai Paolo, terminando questa sua lettera ai Romani, se per un verso si scusa "di una certa audacia" che ha usato "per ricordarvi ciò che già sapete" (15,15), dall'altro verso spiega che lo scritto vuole essere una testimonianza della propria fede e delle scelte fatte con coraggio alla luce del messaggio di Gesù. Insieme esprime una nostalgia struggente di poter arrivare a questa comunità a cui aveva pensato molte volte, ma si è trovato in difficoltà a mantenere la promessa. Ora deve proprio passare da Roma perché andrà ad annunciare la Parola di Gesù in Spagna. Paolo ha scoperto che questo è il suo ruolo. "e mi sono fatto un punto di onore non annunciare il Vangelo dove era già conosciuto il nome di Cristo" (15,20). E' in gioco sensibilità pastorale e ci sono echi di tensioni nelle scelte: crisi, gelosie, perplessità, diffidenze, malintesi e giudizi malevoli, tanto più che Paolo osa entrare nelle culture pagane e, probabilmente, deve adattare di volta in volta, sviluppando itinerari di conversione, sapendo analizzare e comprendere perplessità e nostalgie sempre emergenti in chi, convertendosi, ciascuno si porta dentro. Paolo è una persona profondamente fedele e profondamente libera. E in questo frangente ci lascia scoprire anche le sue paure e i suoi timori su pericoli di malintesi che potrebbero sorgere: infatti deve portare in dono del danaro raccolto con una colletta e ricevere un tal dono rischia di essere considerato una elemosina e quindi uno schiaffo alla propria dignità, tanto più che le offerte vengono alla comunità madre di Gerusalemme da comunità originariamente pagane.

Paolo è preoccupato perché vede il bisogno della comunità di Gerusalemme che si è dissanguata nel soccorrere i poveri e coloro che avevano bisogno, senza risparmiarsi ed ora potrebbero sentirsi offesi da offerte provenienti dall'esterno.

Paolo assicura che questo modo di solidarietà è altamente degno di Gesù e allo stesso modo, chiede solidarietà alla comunità di Roma. In questo caso non si tratta di danaro ma di preghiera. Alla comunità di Roma, che sa impegnata, la solidarietà più alta è che preghino perché il suo gesto non sia equivocato. Anzi è importante che sia accolto e garantito con gioia e non susciti malumore e tensioni. E viene invocata la Trinità al v 30 perché "attraverso il Signore Gesù e attraverso l'amore dello Spirito noi arriviamo nella preghiera al Padre".

E' molto interessante intravedere le fatiche pastorali che anche nelle prime Comunità cristiane sorgono poiché la conversione del cuore suppone poi un allenamento, una verifica attenta ai propri affetti ed una analisi spassionata e liberante dei propri sentimenti di stima, di dignità, di valutazione, di rispetto, di soggezione, e si può continuare in una serie infinita di sfumature che possono rendere spesso irrespirabile anche una comunità cristiana.

Un lavoro di rispetto, di non violenza, di coraggio e di misericordia va maturato soprattutto nel nostro tempo in cui la scarsità di sacerdoti fa emergere, per fortuna, volontari, credenti affidabili, catechisti e catechiste aperti anche a coinvolgimenti pastorali più ampi. Qui veramente deve scattare una grande sorveglianza sulle gelosie e le tensioni. che un tempo, con i sacerdoti erano più contenute, riconoscendo loro dei ruoli insostituibili. Ed ora molti ruoli, non tutti, ma molti possono essere decentrati ai laici.

Matteo 21, 10-16

I testi che leggiamo oggi sono un seguito dell'entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme su un asino nell'ultima settimana di Pasqua: un ingresso, curiosamente organizzato e costruito proprio da Gesù stesso. E' stato un gesto immediatamente colto dalla folla che lo seguiva, venuta dal di fuori per le feste pasquali, disponibile a seguire Gesù, a differenza della gente di Gerusalemme che mantiene un atteggiamento sospettoso e rigido. Si confrontano, in una parola, due realtà di persone: la folla, che lo sta seguendo dal monte degli ulivi, e la gente di Gerusalemme. La folla per le strade si ingrossa sempre più e si esprime con gesti improvvisati e sconcertanti: stende le proprie vesti sulla strada. La gente di Gerusalemme "fu presa da agitazione" (il verbo usato significa: "la gente si scuote come per un terremoto") ed è un verbo che si trova altre tre volte per indicare fatti drammatici e sconvolgenti: i magi a Betlemme, la morte di Gesù e la sua risurrezione.

Tutto si muove attorno ad un interrogativo: "Chi è costui?". La risposta della folla gioca tutte le risposte più strane e le impasta in un miscuglio assurdo: è il profeta ma ha anche proclamato che è figlio di Davide e quindi Messia. Eppure viene da un paese sperduto e da una regione dove sono mescolate fanatismo, ignoranza e paganesimo: "Galilea delle genti" (Is 8,23b; Mt 4,15).

Gesù entra nel tempio e compie due tipi di gesti che disorientano le persone. Gesù vuole purificare il tempio ma vi si svolge una specie di mercato in cui si cambiano le monete pagane in monete sacre e si acquistano animali per il sacrificio. Il tutto si svolge nel cortile detto dei gentili ( o dei pagani), spazio in cui possono spingersi anche i non ebrei, ma era sempre tempio e spesso avvengono abusi "degni di ladroni". Gesù rivendica il vero significato del tempio come "la casa di preghiera" come dice il profeta Isaia (56,7): "La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti". E però Matteo può dare alla Comunità cristiana anche un nuovo significato: cacciare dal tempio le pecore e i buoi destinati al sacrificio può anche voler dire che ormai ci sarà un sacrificio nuovo e unico: quello dell'offerta della morte di Gesù al Padre e tutti i sacrifici degli animali sono aboliti.

L'altro gesto è dato dalla entrata nel tempio di ciechi e gli zoppi "Gesù li guarì" (21,14). In 2 Samuele 5,7-8 un detto, che viene riferito da parte di Davide, esclude che "i ciechi e gli zoppi possano entrare nella casa". E' sorta così l'abitudine di escludere dal tempio ciechi e zoppi e comunque infermi e pagani. Ma ora Gesù apre le porte del tempio a tutti e il tempio restituisce dignità ad ogni persona perché la riconosce come umanità creata e amata da Dio.

I sommi sacerdoti si irritano sia dell'acclamazione di Gesù profeta, sia della guarigione di ciechi e storpi entrati nel tempio e sia delle urla dei bambini che gridano "Gesù, figlio di Davide" e quindi Messia. Gesù risponde alle lamentele irate dei sommi sacerdoti con un brano del Salmo 8,3: "con la bocca di bambini e di lattanti: hai posto una difesa contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli."

Qui i nemici sono i sommi sacerdoti, presi dall'ira, che si oppongono sia all'operato di Gesù e sia al riconoscimento messianico che la folla gli tributa. I bambini invece sono qualificati ad annunciare la misteriosa realtà del Regno (Mt 18,3).
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QUELLO CHE AVETE UDITO, VOI ANNUNCIATELO DAI TETTI (Mt 10,27)
 
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