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COME FAR TESORO DEI PROPRI SBAGLI

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2013 18:16
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10/08/2013 09:38
 
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P. Giuseppe Tissot

 L’arte di utilizzare le proprie colpe

secondo S. Francesco di Sales




PARTE PRIMA

 

CAPO I

 

NON MERAVIGLIARSI

DELLE PROPRIE COLPE

 

 

1. - Miserie umane. Finché porteremo noi stessi non porteremo nulla che abbia gran valore.

 

Il non potersi assuefare alla propria miseria è, per l'uomo decaduto, un onore e assieme un tormento. Principe spodestato e rovinato per colpa dei progenitori, egli conserva sempre, in fondo al cuore, il sentimento della nobiltà nativa e dell'innocenza che doveva essere suo retaggio; e per questo, ad ogni caduta stenta a trattenere un grido di sorpresa, come se una grave disgrazia l'avesse colpito.

Sembra Sansone che ha perduta la sua forza, perché una mano traditrice gli ha mozzato la chioma. Alzati! - gli si grida - i Filistei ti sono addosso! Ed egli si leva in piedi, immaginando di terrorizzare come sempre i nemici, inconscio d'aver perduto l'antica forza (1).

Per quanto nobili siano le radici di questo pronto risentimento, i suoi frutti sono troppo funesti per non essere subito pronti a reprimerlo; perché, come vedremo, lo scoraggiamento che è la rovina di tante anime, si apre il passo placidamente attraverso questa specie di smarrimento che segue la caduta. Perciò S. Francesco di Sales ci premunirà subito contro tale pericolo.

Sull'esempio dei più eminenti dottori e illuminati sapienti, il santo Vescovo manifesta sempre una grande compassione verso la fragilità dell'uomo: “O miseria umana, miseria umana! - andava ripetendo - da quante infermità siamo noi circondati!... E che altro possiam far da noi se non dei peccati?” (2). Si sente in queste parole, come in tutti i suoi scritti, che l'altezza della perfezione da lui raggiunta l'aveva messo in grado di spingere uno sguardo più profondo nell'abisso di miseria e d'infermità scavato in noi dal peccato originale.

Egli teneva presente questa cosa con tutte le anime che doveva dirigere e non si stancava di ricordare la triste realtà della nostra condizione decaduta: “Voi mi dite - scriveva a una signora - che vivete fra mille imperfezioni. E' vero, mia buona sorella, ma forse che non vi sforzate anche per farle morire di giorno in giorno? Del resto è pur sempre vero che fin tanto che resteremo sulla terra, in un corpo pesante e corruttibile, ci mancherà sempre qualche cosa” (3).

“Vi lamentate - dice altrove - perché nonostante il desiderio che avete di perfezionarvi e purificarvi nell'amor di Dio, si frammischiano sempre nella vita imperfezioni e difetti. Vi rispondo che non sarà mai possibile rinnegar completamente noi stessi, finché ci troviamo sulla terra. E’ necessario che sopportiam noi stessi fin tanto che a Dio piacerà chiamarci in Cielo; e finché trasciniam noi stessi, non porterem nulla di veramente pregevole... (4). Ed è principio universale che, in questa vita, nessuno sarà così santo, da non andar soggetto a imperfezioni” (5).

 

2. - Senza uno speciale privilegio è impossibile evitare tutti i peccati veniali.

 

Anche la fede ci insegna che le cattive inclinazioni restano in noi, almeno in germe, fino alla morte e che nessuno può, senza un privilegio speciale quale la Chiesa riconosce in Maria Vergine, evitare tutti i peccati veniali, almeno indeliberati. Troppo spesso dimentichiamo in pratica questa duplice verità e gioverà sentire come la sviluppa il nostro Santo col suo linguaggio inimitabile: “Non crediamo di poter vivere senza imperfezioni, finché restiamo su questa terra; perché, superiori o inferiori, tutti siamo uomini e tutti dobbiam quindi essere ben persuasi di questa verità, per non meravigliarci quando ci accorgeremo di andar soggetti a imperfezioni. E’ il divin Maestro che ci ha comandato di ripetere ogni giorno queste parole del "Pater": Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori;e il comando non ammette eccezioni, perché tutti ci troviamo nella necessità di praticarlo” (6).

“L'amor proprio può essere mortificato, ma non ucciso; e di tanto in tanto, secondo l'occasione, getta fuori i suoi polloni, i quali provano che la pianta, sebbene tagliata al piede, non fu però sradicata del tutto... Non c'è da meravigliarsi se ritroviam sempre l'amor proprio, perché esso non se ne va mai... Alle volte fa come la volpe che finge di dormire e poi s'avventa tutto d'un tratto sulle galline; onde è necessario sorvegliarlo costantemente e difendersi dai suoi assalti con pazienza e dolcezza. Se poi qualche volta ci ferisce, basterà disdire quel che ci ha fatto dire e disapprovare quel che ci ha fatto fare, e ne saremo guariti...” (7) guariti, sì, ma solo per un certo tempo, finché non si manifestino nuove infermità, perché, aggiunge il nostro Santo (8), “non ne guariremo mai perfettamente se non in Paradiso” e durante questa vita, per quanto sia la nostra buona volontà, “bisogna rassegnarsi ad appartenere alla natura umana e non all'angelica” (9) e a vivere, secondo l'espressione di un illustre asceta, da spirituali incurabili... (10).

 



 

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10/08/2013 09:39
 
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L’arte di utilizzare le proprie colpe
secondo S. Francesco di Sales



3. - Il progresso nella perfezione è lento e disseminato di cadute.

S. Francesco di Sales inculca la conoscenza pratica delle proprie debolezze specialmente alle anime che muovono i primi passi nella via della perfezione interiore, per il motivo che la loro inesperienza le rende più soggette a scoraggiarsi dopo le cadute, e a subirne le tristi conseguenze. “Turbarsi, scoraggiarsi quando si è caduti in peccato, dice l'autore citato, significa non conoscere se stesso” (11).
Ascoltiamo con quanta finezza e bontà il nostro santo Dottore riprende e istruisce queste anime: “Voi mi dite di risentirvi ancora vivamente delle ingiurie. Ma, figlia mia, che cosa intendete dire con la parola ancora? Ne avete proprio già sconfitti tanti di questi nemici?” (12). “ E’ impossibile che restiate così presto padrona della vostra anima e che riusciate a dominarla al primo tentativo. Accontentatevi di riportare di tanto in tanto qualche piccola vittoria sulla passione, vostra nemica” (13).
“Le imperfezioni ci accompagneranno fino alla tomba. Non si può camminare senza toccar terra, e se da una parte non dobbiamo sederci a terra, per non infangarci, dall'altra, non dobbiamo neppur pretendere di volare, essendo dei pulcini ancora implumi” (14).
“I lampi che guizzano in pieno giorno (Sal 90, 6) son figura delle varie speranze e pretensioni che le anime desiderose di perfezione hanno di giungere subito alla santità. Alle volte vi son di quelle che pretendono addirittura di essere in breve tempo, delle Madri Terese, delle Caterine da Siena o da Genova. Questa è certamente una buona cosa; ma, dite un po', in quanto tempo fate conto di giungere a tal grado di santità? - In tre mesi, se si può. - Fate bene a dire: se si può; perché diversamente potreste benissimo ingannarvi” (15).
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10/08/2013 09:40
 
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4. - Le malattie del cuore, come quelle del corpo, vengono a cavallo e di carriera, e se ne vanno a piedi.

“S. Paolo fu perfettamente convertito e purificato in un solo istante, e così pure S. Caterina da Genova, S. Pelagia e alcune altre anime. Ma questo genere di purificazione è, nell'ordine della grazia, miracoloso e straordinario, come la risurrezione dei morti nell'ordine della natura; sicché non dobbiamo pretenderla. La purificazione ordinaria, sia del corpo che dello spirito, non si compie che a poco a poco, avanzando di grado in grado, con fatica e impiego di tempo.
“Gli Angeli visti in sogno da Giacobbe avevan le ali, eppur non volavano; ma scendevano e salivano per la scala in modo ordinario, di scalino in scalino. L'anima che sale dal peccato alla divozione è simile all'aurora che, avanzando, non fuga le tenebre in un istante, ma a poco a poco. La guarigione che si opera lentamente è, secondo l'aforisma, sempre più sicura, e sia le malattie del cuore che quelle del corpo vengono a cavallo di carriera ma se ne vanno a piedi e con passo lento” (16).
“Bisogna quindi aver pazienza e non pensare di poter guarire in un sol giorno dalle tante cattive abitudini contratte per la nostra poca sollecitudine nel conservar la salute spirituale” (17).
Perciò il Santo conclude che “non dobbiamo stupirci neppure se, a causa della nostra infermità, cadiamo ancora in molti falli” (18).
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10/08/2013 09:40
 
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5. - Per stabilirsi perfettamente in Dio sono necessarie due cose.

Egli voleva. che nessun'anima, per quanto perfetta, si meravigliasse di se stessa dopo una caduta, e alle sue religiose più ferventi ripeteva: “Ma c'è forse da far le meraviglie se qualche volta incespichiamo?” (19).
“La festa della Purificazione non ha ottava. Tutti dobbiam fare questi due propositi di uguale importanza: di rassegnarci a veder crescere cattive erbe nel nostro giardino, e di avere il coraggio di vederle strappare, o meglio, di strapparle noi stessi: poiché sono frutti del nostro amor proprio, il quale non morrà finché saremo vivi noi” (20).
“Vedo le lacrime della povera Suor N... ma mi sembra che tutte le nostre querele procedano unicamente dalla dimenticanza dell'avvertimento dei Santi, i quali ci dicono che ogni giorno dobbiam far conto di dover cominciare da capo il nostro avanzamento nella perfezione. Se pensassimo bene a questo, non ci meraviglieremmo affatto di incontrare in noi delle miserie e dei difetti da correggere” (21).
“Mi domandate come fare a stabilire talmente la vostra anima in Dio, da non poterla più staccare e ritirare. Sono necessarie due cose: morire e salvarsi. Solo dopo questo non vi sarà più separazione e la vostra anima sarà indissolubilmente attaccata e unita a Dio” (22).
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10/08/2013 09:41
 
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6. - I più santi non sono i meno difettosi, ma i più coraggiosi.

Nulla è più consolante di questi consigli, specialmente per quelle anime che desiderano seriamente di piacere a Dio e legarsi a lui senza riserva e coi vincoli più stretti. Facilmente esse si credono meno scusabili degli altri nelle infedeltà che loro sfuggono, ma che sembrano più che sufficienti per cagionar stupore. Non è questo il pensiero dei maestri di spirito: “Le cadute - dice il P. Grou - sovente avvengono per la rapidità della corsa e per l'ardore che trascina e non permette di prendere le debite precauzioni. Le anime timide e troppo circospette, che vogliono sempre guardare dove posano i piedi, che ogni momento si girano e rigirano per evitar passi falsi, che han tanto paura di infangarsi, non progrediscono così speditamente come altre e spesso finiscono coll'essere sorprese dalla morte a metà corsa. Non è vero che i più santi siano coloro che commettono meno mancanze, ma sono invece quelli che hanno più coraggio, più generosità e amore; quelli che si sforzano di più, che non stanno in continua apprensione di inciampare e che, pur d'andar avanti, non han paura di cadere e imbrattarsi un poco, ma soprattutto badano ad avanzare” (23).
S. Giovanni Crisostomo diceva la stessa cosa con altre parole: “Finché un soldato resta nella mischia, nessuno, per quanto rigido o ignorante di cose militari, potrà imputargli a delitto se resta ferito e qualche volta cede un poco; perché solo chi non va a combattere non resta ferito, mentre è facile che resti ferito chi si butta con ardore contro il nemico” (24).
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10/08/2013 09:41
 
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7. - Una caduta, anche grave, non deve recarci meraviglia.

Bisognerà applicare le stesse riflessioni al peccato mortale e dire alle anime colpevoli che non si meraviglino delle cadute che privano della grazia di Dio? S. Francesco di Sales userà con loro lo stesso linguaggio usato con le anime generose, alle quali si è rivolto fin qui? Ascoltiamo: “O mio caro Teotimo, i cieli stupiscono, le loro porte fremono e gli Angeli piangono amaramente sull'abisso di miserie del cuore umano che lascia il più amabile dei beni per attaccarsi a cose tanto spregevoli. Avete mai osservato un piccolo e meraviglioso fenomeno che ognuno conosce, ma di cui non tutti san darsi ragione? Quando si spilla una botte ben piena, il vino non esce, se prima non si fa entrare aria dal di sopra; se invece la botte non è piena, il vino zampilla non appena si apre. In questa vita, per quanto le anime nostre siano ripiene d'amor di Dio, non saranno mai così ricolme da non lasciarne svanire un po' al sopraggiungere della tentazione; ma in Cielo, quando la soavità della divina bellezza occuperà tutto il nostro intelletto e le delizie della sua bontà colmeranno il nostro volere, in modo che nulla rimanga che non sia ricolmo del divino amore, allora nessun oggetto, per quanto attraente, farà versare o perdere una sola goccia del prezioso liquore che è l'amore celeste. E sarà inutile dar aria dal di sopra, ossia cercare di deviare o sorprendere l'intelletto, perché esso sarà irremovibile dal godimento della suprema verità” (25).
Abbiamo inteso: una caduta nel peccato, anche grave, potrebbe recar meraviglia solo in Cielo, dove la cosa è impossibile. Ma quaggiù non c'è da meravigliarsene più di quando si vede un liquido uscir da un vaso aperto.
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10/08/2013 09:41
 
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8. - Dopo una caduta non dobbiamo restar sorpresi, ma subito rialzarci.

Oh, come saremmo più indulgenti coi nostri fratelli se meditassimo bene questi pensieri! Come ci sforzeremmo di imitare l'imperturbabile pazienza di Colui che, prima di investire gli Apostoli del potere di rimettere i peccati, raccomandò loro di perdonare non sette volte, ma settanta volte sette!
Evidentemente però, quest'indulgenza per le nostre e l'altrui mancanze non deve spingersi fino a farcele guardare con occhio indifferente, perché altro è non meravigliarsene e altro non detestarle e non ripararle. Così il contadino, non si stupisce se nel suo campo vede crescere delle erbe cattive, ma è forse per questo meno diligente a strapparle? Quindi dopo aver detto che “se commettete delle mancanze, non dovete meravigliarvi in nessun modo” (26), anche se si trattasse di peccati mortali, e che “se sapessimo bene quel che siamo, anziché stupire di vederci a terra, ci meraviglieremmo del come possiamo star ancora in piedi” (27), S. Francesco di Sales ci raccomanda subito di “non adagiarci o rotolarci nel fango in cui siam caduti”, e aggiunge “che se la tempesta ci sconvolge lo stomaco o dà capogiro, non dobbiamo fermarci nello stupore, ma subito riprendere lena e animarci a far meglio” (28).
“Quando dunque il vostro cuore sbaglierà, rianimatelo dolcemente, umiliandovi davanti a Dio per la vostra miseria, senza però stupirvi della caduta; perché non è il caso di meravigliarsi che l'infermità sia inferma, la debolezza debole e miserabile la miseria. Nondimeno detestate con tutte le forze l'offesa che Dio ha ricevuto da voi e, con coraggio e fiducia nella sua misericordia, rimettetevi sul sentiero della virtù che avevate abbandonato ” (29).
Quest'ultimo tratto insinua abbastanza chiaramente quale salutarissima disposizione debba subentrare allo stupore, dopo la caduta. Ne riparleremo più a lungo nella seconda parte di quest'opera. Adesso, dopo aver stabilito che la vista delle nostre mancanze non deve meravigliarci, dimostreremo che non deve nemmeno turbarci.
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10/08/2013 09:42
 
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CAPO II

NON TURBARSI ALLA VISTA DELLE PROPRIE COLPE


1. - Due segni delle buone e delle cattive tristezze.

“La tristezza che è secondo Dio, dice S. Paolo, produce una penitenza utile per la salvezza; la tristezza del mondo produce invece la morte. La tristezza adunque può essere buona o cattiva, secondo i diversi effetti che produce in noi. Però ne produce più di cattivi che di buoni, poiché i buoni sono due, ossia la misericordia e la penitenza, mentre i cattivi sono sei: il cordoglio, l'accidia, l'ira, la gelosia, l'invidia e l'impazienza. Per questo il Savio dice: la tristezza uccide molti e non porta nessuna utilità, perché accanto a due ruscelli buoni che nascono dalla sua sorgente, si trovano altri sei che sono pessimi” (1).
Perciò il demonio fa tutti gli sforzi per generare nell'anima questa cattiva tristezza; e, per riuscire a scoraggiarla, tenta soprattutto di procurarle turbamenti. Né gli riesce difficile suggerirle dei pretesti: - Non bisogna forse affliggersi per aver offeso la somma Maestà, oltraggiata la Bontà infinita e ferito il cuore del più tenero dei padri? - Sì, risponde S. Francesco di Sales, bisogna certamente rattristarsi, ma con pentimento vero e non già con dolore sconsolato, con sdegno e dispetto. Ora il pentimento vero, come ogni altro sentimento ispirato dallo Spirito buono, è sempre calmo: non in commotione Dominus (2). E appena si manifesta inquietudine e turbamento, è segno che la buona tristezza cede posto alla cattiva.
“ La cattiva tristezza, torna a dire il nostro Santo, perturba l'anima, la fa inquieta, suscita timori esagerati, e rende disgustosa la preghiera, assopisce ed opprime il cervello, priva l'anima della capacità di riflettere bene, di prendere serie risoluzioni e di giudicare rettamente; la scoraggia e la priva dì forze: è insomma come un crudo inverno che spoglia la terra d'ogni bellezza, avvizzisce le piante e assidera gli animali. La tristezza infatti, toglie all'anima ogni dolcezza, ne rattrappisce le facoltà e le riduce quasi all'impotenza” (3).
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10/08/2013 09:42
 
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2. - Indizi di un'anima che si turba dopo le cadute.

Quante anime riconosceranno in questi segni il turbamento da cui si lasciarono assalire dopo certe mancanze, e i danni che ne ricevettero! Si era cominciato con fervore, ci si era messi con slancio alla sequela del Maestro, sulla via del dovere e sull'aspra china del calvario; ma sopraggiunge una caduta, ed ecco apparire il torbido! Tuttavia ci si rialza e il pentimento e l'assoluzione riparan tutto. - Invece no: uno continua ad osservarsi, ad esaminarsi con ansietà e a contare le ferite appena cicatrizzate; le scandaglia quasi con terrore e le inasprisce per volerle medicare con impazienza e dispetto, perché “non v'è nulla che conservi tanto i difetti, come l'inquietudine e la fretta di toglierli” (4). Ed ecco quindi che si rallenta il passo nel cammino della perfezione; non si corre più, ma si cammina con fatica, ci si trascina scontenti di sé e quasi anche di Dio, senza fiducia nell'orazione, senz'altra disposizione che il timore nell'accostarsi ai Sacramenti. E si continua così finché qualche circostanza speciale, come una confessione accuratamente preparata o un ritiro spirituale, non venga a ridare all'anima lo slancio di prima. Ma se dopo questa ripresa, l'anima resta ancora sotto l'impressione del turbamento cagionato da nuove cadute o dal ricordo di quelle passate, alla corsa ripresa succederà un altro rallentamento, e Dio non voglia che a forza di esitazioni e di rallentamenti, si finisca con cadere in un torpore quasi incurabile.
Cos'è dunque, o povere anime, che è venuto a frenare così i vostri sforzi? Correvate a meraviglia: chi vi ha trattenute? (5) vi, chiede l'Apostolo. “Se non vi foste inquietate al primo urto, ma dolcemente, aveste ripreso il cuore tra le mani, non sareste più ricadute una seconda volta”.
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10/08/2013 09:43
 
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3. - Raccomandazione della pazienza alle anime che commettono imperfezioni.

Ed ecco perché l'amabile Santo moltiplica i consigli per comunicare agli altri quella “desiderabilissima pace che fu l'ospite più gradita, più fedele e perpetua del suo cuore” (6); ecco perché raccomanda, senza mai stancarsi, la calma e la pazienza soprattutto con se stessi.
“Non turbatevi per nulla delle vostre imperfezioni” (7). --“Guardatevi bene dalle inquietudini e dalle irrequietezze, perché esse sono il più grande ostacolo al cammino nella perfezione” (8).
“Perché tanti uccelli e altri animali restano presi nella rete se non perché, dopo esservi entrati, si dibattono e si dimenano disordinatamente per uscirne subito? E non è per questo che si intrecciano e si avviluppano maggiormente?... Così, noi, quando cadiamo nella rete delle imperfezioni: non sarà l'inquietudine che ci libererà; essa anzi ci imbroglierà maggiormente” (9).
“Occorre aver pazienza, se tardiamo a progredire nella perfezione, facendo sempre con cuore calmo quello che possiamo per avanzare ” (10).
“Attendiamo dunque con pazienza al nostro avanzamento spirituale, e invece di inquietarci d'aver fatto poco per il passato procuriamo di lavorare con più diligenza in avvenire” (11).
“ Non inquietiamoci, se ci vediamo sempre novizi nella virtù, perché nel monastero della Vita Devota ogni anima deve stimarsi sempre novizia, e tutta la vita è destinata al probandato. Basterebbe che uno si credesse professo anziché novizio, per essere degno di espulsione. Secondo le regole di quest'Ordine, non la solennità, ma l'adempimento dei voti rende professi i novizi. I voti non sono mai adempiuti, finché manca qualcosa alla loro perfetta osservanza, e l'obbligo di servire Dio e di progredire nel suo amore dura sempre fino alla morte.
“Ma, dirà qualcuno, come posso fare a meno di rattristarmi e d'inquietarmi, se per mia colpa ritardo l'avanzamento nella virtù?
“Ho già detto questo nell'Introduzione alla Vita divota, ma ora lo ripeto volentieri, perché non sarà mai detto abbastanza: bisogna piangere le proprie colpe, ma con pentimento profondo, forte, costante, tranquillo, e mai turbolento, inquieto, scoraggiante” (12).
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10/08/2013 09:43
 
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4. - La calma che bisogna conservare nelle cadute.

Come si vede da queste citazioni, e più da quelle che seguiranno, il santo Dottore raccomanda la calma e la pazienza con se stessi, non solo alle anime giuste e innocenti, ma anche e specialmente a quelle che hanno avuto la disgrazia di commettere peccati.
“Se vi sorprende qualche volta l'impazienza, non turbatevi per nulla, ma cercate di ritornare con calma alla dolcezza” (13).
“Voi rimuginate troppo sugli impeti del vostro amor proprio i quali, sebbene frequenti, non saranno mai dannosi se vi contenterete dì dir loro un bel no, senza affatto infastidirvi dell'importunità e senza meravigliarvi del loro numero. Andate avanti con tranquillità, non affaticatevi molto per conseguire il riposo dello spirito, e avrete fatto abbastanza” (14).
“Abbiate pazienza con tutti, ma principalmente con voi stessa, e con questo intendo dire che non dovete turbarvi per le imperfezioni, ma aver sempre il coraggio di rialzarvi. Io mi contento che ricominciate tutti i giorni, e ripeto che non c'è mezzo migliore per avanzare nella vita spirituale, che ricominciar sempre, e non credere mai d'aver fatto abbastanza” (15).
“ Si potrà mortificare la carne finché si vuole, ma non mai così perfettamente da non farla più ribellare; perché la nostra attenzione verrà spesso distolta da distrazioni o altro. Ma bisognerà per questo inquietarsi, turbarsi, affliggersi? Niente affatto” (16).
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10/08/2013 09:43
 
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5. - Affliggersi dei propri difetti con afflizione tranquilla e coraggiosa.

“Non angosciatevi e non turbatevi, se nell'anima scorgete ancora quelle imperfezioni che mi avete raccontate: no, per carità, perché quantunque sia necessario rigettarle e detestarle per correggersene, non bisogna addolorarsene con afflizione angosciosa, ma con afflizione coraggiosa e tranquilla che generi il proposito fermo e calmo di correggersi” (17).
“Quando si tratta di fuggire il male, si faccia con calma, senza turbamento; perché altrimenti, nel fuggire, potremmo cadere e dare al nemico opportunità di ucciderci. Anche la penitenza va fatta con pace, e il gran penitente Ezechia diceva: ecco che la mia grandissima amarezza si muta in pace (Is 28, 17)” (18).
“Solo il peccato deve dispiacervi, ma anche nel far questo dobbiamo mantenerci nella gioia e nella consolazione santa” (19).
“Chi è tutto di Dio, non si contrista mai, se non per l'offesa di Dio; quindi la sua tristezza sì cambia in profonda, ma tranquilla e pacifica umiltà e sommissione, e poi s'innalza verso la divina Bontà con piena fiducia e senza affanno ne dispetto” (20).
“Insomma, non vi affliggete, o almeno non vi turbate più per esservi turbata, non vi irritate per esservi irritata e non vi inquietate per esservi già inquietata a causa di queste passioni importune; ma ripigliate il vostro cuore e riponetelo dolcemente nelle mani di nostro Signore... (21), persuadendo, quanto più potete, il cuore a restar in pace con voi stessa, quantunque siate miserabile” (22).
“Tutte le volte che vi trovate col cuore esasperato cercate di prenderlo delicatamente con la punta delle dita e mai a piene mani, ossia bruscamente... Occorre aver pazienza con se stessa, accarezzare e incoraggiare il proprio cuore; e, quando è molto eccitato, tenerlo a freno come un cavallo, farlo entrare in se stesso e non lasciarlo correre dietro le sue impressioni” (23).
“Abbiate gran cura di non turbarvi dopo aver commesso qualche mancanza, ma umiliatevi prontamente davanti a Dio, con umiltà dolce e amorosa che vi porti a confidare subito nella sua bontà, persuasa che vi aiuterà a correggervi... Quando vi accorgerete di qualche mancanza, domandatene perdono a nostro Signore, con tutta calma, e ditegli che siete ben sicura che continua ad amarvi e perdonarvi. Fatelo sempre, con semplicità e dolcezza” (24).
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10/08/2013 09:44
 
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6. - Gli effetti della falsa umiltà.

Per combattere più efficacemente turbamenti così funesti, S. Francesco di Sales s'affretta a svelare la loro causa ordinaria, per non dire unica: l'amor proprio, la ricerca di se stessi in tutto.
Lo aveva già detto S. Teresa: “Quando è vera umiltà, ancorché l'anima si riconosca cattiva e ne senta pena, tale dispiacere non è per nulla accompagnato da turbamento e da inquietudine, non cagiona né oscurità né aridità, ma consola. Da una parte l'anima s'affligge per l'offesa di Dio, dall'altra si apre a sperarne il perdono; da una parte ha lume sufficiente per confondersi, dall'altra loda Dio che tanto l'ha sopportata. Quando invece c'è solo quella falsa umiltà che proviene dal demonio non si trova luce per veder alcun bene e sembra che Dio metta tutto a ferro e fuoco. E’ questo uno dei più funesti e sottili stratagemmi del demonio ch'io conosca!” (25).
Ecco perché il turbarsi dopo il peccato è un male così comune. “Umiliarsi delle proprie miserie, ha detto un santo sacerdote, è cosa buona, ma pochi la fanno; inquietarsi e indispettirsi è cosa pessima, ma tutti la fanno, perché l'inquietudine e la stizza sono due cose conformi all'amor proprio” (26).
Federico Ozanam aggiunge acutamente: “Vi sono due specie d'orgoglio: quello che è contento di se stesso, ed è il più comune e il meno dannoso, e quello che è scontento di sé, perché s'aspettava molto da se stesso e poi resta deluso. Questa seconda specie è assai fine e dannosa”.
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10/08/2013 09:44
 
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7. - L'inquietudine e il turbamento provengono più che altro dall'orgoglio.

Il nostro Santo combatte tutte le astuzie di quest'orgoglio, che sì cela sotto la maschera dell'umiltà. Combatte quella premura che ha l'anima non tanto di guarire quanto di vedersi già bell'e guarita; quel segreto dispetto per cui non si vuol far pace con la propria coscienza e si trova più comodo abbandonarla come incorreggibile; quelle malinconie in cui uno s'immerge tanto volentieri; quella continua ed esclusiva contemplazione di se stessi e delle proprie colpe; quel bisogno di gemere più davanti agli uomini che davanti a Dio, con la segreta brama di essere compianti e accarezzati. Il santo Dottore mette a nudo ogni cosa e dimostra che “tutto questo smarrimento si fa dietro suggerimento di un certo padre spirituale che si chiama amor proprio” (27).
“Un ottimo esercizio di dolcezza sarebbe quello che ha per oggetto noi stessi, e consiste nel non sdegnarci mai contro di noi, né contro le nostre imperfezioni. Perché, sebbene la ragione voglia che quando commettiamo errori ne proviamo dispiacere e rincrescimento, bisogna però che ci guardiamo dall'averne un dispiacere amaro, dispettoso, affannoso, collerico. Quindi grandemente sbagliano quelli che, essendo andati in collera, si adirano per essersi adirati, si stizziscono per essersi stizziti, si sdegnano per essersi sdegnati. In tal modo tengono il cuore continuamente immerso nell'ira; e quantunque sembri che la seconda collera distrugga la prima, essa invece prepara la via a una nuova collera che entrerà alla prima occasione. Di più tali ire, dispetti e amarezze contro se stessi, tendono alla superbia e non hanno altra radice che l'amor proprio, il quale sì turba e s'inquieta alla vista delle nostre imperfezioni” (28).
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8. - L'esagerata stima di noi stessi è causa di impazienze e di turbamenti.

“Non conviene confondersi con tristezza e inquietudine, perché è la superbia che suggerisce simile confusione: ci rincresce di non essere perfetti, non tanto per motivo d'amor di Dio, quanto per l'amore disordinato che portiamo a noi stessi” (29). - “Ci piace tanto piangere sui nostri difetti, perché ciò accontenta l'amor proprio” (30).
“Spesso perdiamo la tranquillità d'animo e ci lasciamo andare a bizzarrie e instabilità d'umore, unicamente per la grande preoccupazione che abbiamo di noi stessi. Non appena infatti sopravviene qualche contraddizione, o scorgiamo qualche piccolo tratto di immortificazione, o comunque cadiamo in qualche piccolo difetto, subito ci sembra d'avere perduto tutto” (31).
“L'amor proprio è dunque la prima sorgente delle nostre inquietudini; l'altra è la stima che facciamo di noi stessi. Che cosa vuol dire che se ci sorprende qualche imperfezione o peccato, ne restiamo sconcertati, turbati, irrequieti? Senza dubbio, è perché pensiamo di essere qualcosa d'impeccabile, d'intrepido, d'irremovibile, e vedendo poi che in realtà non è così e che diamo delle nasate, ci adiriamo e siamo mesti e scontenti per esserci ingannati sul nostro conto. Se invece sapessimo bene quel che siamo, in luogo di meravigliarci di vederci a terra, ci meraviglieremmo del come possiamo reggerci in piedi. Ecco l'altra sorgente della nostra inquietudine: vogliamo solo delle consolazioni e ci rincresce dover riconoscere e toccar con mano la nostra miseria, il nostro niente e la nostra debolezza” (32).
“Abbiate quindi gran cura di non turbarvi quando cadete in qualche mancanza e di non essere tanto pronta a intenerirvi su voi. stessa, perché questo è effetto della superbia ” (33).
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10/08/2013 09:45
 
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9. - Dopo una caduta, bisogna correggere il proprio cuore con dolcezza e compassione.

Tale è la condotta che il nostro Santo oppone alle sterili agitazioni e sollecitudini generate dall'amor proprio. Sembra ch'egli prenda le difese del cuore che ha mancato, tanto è la compassione che per lui mostra e, invece d'inasprirlo e turbarlo maggiormente, ecco come vuole che sia trattato: “Non tormentate il vostro cuore, quantunque avesse prevaricato, ma riprendetelo dolcemente e riconducetelo sul retto sentiero” (34).
“Mia carissima figlia, quando ci accorgiamo d'aver commesso una mancanza, esaminiamo prima il cuore e chiediamogli se abbia ancora buona volontà di servire il Signore: io credo che egli risponderà di sì e che preferirebbe mille volte la morte anziché allontanarsi da questa risoluzione. Poi chiediamogli: perché, allora, hai fatto un passo falso e ti sei così rallentato? - Esso risponderà: sono stato sorpreso e adesso, non so perché, mi sento così tardo.
O mia cara figlia, come dobbiam essere pronti a perdonargli, dal momento che ha mancato per debolezza e non per slealtà, e come dobbiam correggerlo con dolcezza e tranquillità e non mai contribuire a turbarlo e affliggerlo maggiormente!” (35).
“Disponete fin dal mattino l'anima alla calma e durante il giorno abbiate gran cura di richiamarvela sovente. Se accade qualche atto spiacevole, non vi spaventate e non datevi pena; ma dopo aver riconosciuto il fallo, umiliatevi davanti a Dio e procurate di riacquistar subito la calma. Dite alla vostra anima: Orsù, abbiamo messo un piede in fallo, ma ora rimettiamoci in cammino e stiamo più in guardia. E comportatevi così tutte le volte che cadete...” (36).
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10/08/2013 09:45
 
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10. Esempi di correzione soave e persuasiva.

“Abbiamo dunque dei nostri falli un rincrescimento vero, calmo e sodo. Un giudice castiga più rettamente i colpevoli quando pronunzia le sue sentenze secondo ragione e con mente tranquilla, che non quando le pronunzia sotto l'impeto d'una passione; poiché se giudica con passione, non castigherà i delitti secondo che essi meritano, ma secondo le disposizioni sue personali. Così noi, ci castigheremo assai meglio con un pentimento tranquillo e costante, che non con un pentimento amaro, ansioso e collerico; perché i pentimenti impetuosi non sono concepiti secondo la gravità delle colpe, ma secondo le proprie inclinazioni...
Credetemi, Filotea, come le correzioni d'un padre, fatte con dolcezza e cordialità, valgono assai più per l'emendazione del fanciullo, che non le collere e lo sdegno; così, quando il nostro cuore avrà commesso qualche fallo, se lo riprenderemo con maniere dolci e tranquille, animandolo a correggersi e mostrando più compassione che passione, il dolore che ne concepirà sarà molto più vivo e profondo di un dolore dispettoso, collerico e tempestoso.
Quanto a me, se per esempio avessi gran premura di non cadere nel vizio della vanità, e ciò nonostante vi fossi già caduto, non vorrei riprendere il mio cuore in questa maniera: Miserabile che sei! dopo tante risoluzioni ti lasci trasportare ancora dalla vanità? Muori di vergogna, non alzare più gli occhi al cielo, cieco, sfacciato, traditore e sleale col tuo Dio!... e simili cose. Ma vorrei correggerlo con ragionevolezza e con maniere compassionevoli: Orsù, mio povero cuore, eccoci caduti nella fossa che eravamo tanto risoluti di schivare. Ah, rialziamoci, abbandoniamola per sempre; invochiamo la misericordia di Dio, speriamo in essa che ci aiuterà in avvenire a essere più forti, e mettiamoci sul sentiero dell'umiltà. Coraggio: d'ora innanzi vigileremo di più sopra noi stessi; Dio ci aiuterà e noi faremo profitto. E su questa riprensione, stabilirei un sincero e fermo proposito di non più mancare, prendendo i mezzi convenienti e sentendo anche il consiglio del mio direttore.
Se tuttavia qualcuno vedrà che al suo cuore non basta questa correzione soave, usi anche un rimprovero e una riprensione dura e forte, per eccitarlo a confondersi profondamente; purché dopo averlo con asprezza ripreso e fatto sdegnare, lo conforti, facendo terminare tutto il suo rammarico e sdegno in una dolce e santa fiducia in Dio, a imitazione del grande penitente, che sentendo la sua anima, afflitta, la consolava così: Perché sei mesta, o anima mia, e perché mi conturbi? Spera in Dio, poiché io lo benedirò ancora, come salvezza del mio volto e mio vero Dio” (37).
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10/08/2013 09:46
 
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11.- Evitare il turbamento per rendere più facile la rinunzia al peccato.


E superfluo osservare che in tutti questi avvisi così caritatevoli, non si trova una sola parola che concilii il torpore dell'anima nel peccato. E come si può dormire con un serpe in seno? Come, soprattutto, non rabbrividirà chi è gravemente colpevole, al pensiero che la morte può improvvisamente rendere eterni il rimorso e il castigo? Come non svincolarsi con tutta fretta dalle strette d'un nemico che può ad ogni istante trascinarci in un abisso di disgrazie senza rimedio? E anche trattandosi di peccati veniali, com'è possibile sopportare la vista dell'anima coperta di quelle sozzure che dispiacciono tanto a Dio e carica d'un fardello che la trascina a poco a poco sulla china fatale del peccato mortale?
Ora l'amabile Dottore ci premunisce dal turbamento, precisamente per facilitare il rinnegamento del peccato. Egli sa che con l'agitarsi e l'indispettirsi non si conchiude nulla di buono; da abile medico, egli comprende che, per compiere un'amputazione difficile, conviene accarezzare il malato, anziché trattarlo duramente, e che la riuscita dell'operazione sarà tanto più pronta e sicura, quanto più si farà con posatezza. Ecco perché egli vuole prima di tutto stabilire nell'anima la calma.

12. - Come S. Francesco di Sales mostrava dispiacere pei peccati veniali senza turbarsi per nulla.

Quel che consigliava agli altri, S. Francesco lo praticava egli stesso, e pensiamo che il modo migliore per chiudere questo capitolo sia la citazione di un suo biografo contemporaneo. “Un giorno ebbi la fortuna di parlare con lui di cose spirituali e mi scappò detto che i peccati veniali, per quanto piccoli siano, causano sempre qualche turbamento e inquietudine al cuore. Egli mi corresse subito: -Scusatemi, i peccati veniali, debbono bensì arrecarci dispiacere, ma non mai turbarci o inquietarci. Perché - aggiungeva poi - l'inquietudine è causata dall'amor proprio, il quale s'adira per la pena che trova nell'esercizio della virtù e per la constatazione di essere sempre daccapo a ricominciare; mentre il vero dispiacere dei peccati è un effetto della grazia celeste, la quale c'ispira rincrescimento per aver contristato il divin beneplacito del nostro Creatore.
Ecco quel che egli pensava riguardo al rincrescimento delle colpe giornaliere, ed ecco anche quel che praticava in tante occasioni, chiedendo perdono al Redentore delle sue mancanze, senza però inasprirsi o corrucciarsi minimamente. Anteo, come raccontano i poeti greci, lottando contro Ercole, non cadeva mai a terra, senza poi rialzarsi con maggior forza e vigore di prima. Allo stesso modo il nostro Santo, trovandosi continuamente alle prese colle passioni, se gli accadeva di fare qualche passo falso, si rialzava coraggiosamente e riprendeva con pace e tranquillità la sua impresa, senza mai annoiarsi o disgustarsi” (38).
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10/08/2013 09:47
 
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Capo III

 

NON SCORAGGIARSI

ALLA VISTA DELLE PROPRIE COLPE

 

 

1 - Non bisogna mai disperare, poiché la speranza è quella che salva l'anima dai naufragi della vita.

 

Un pio sacerdote faceva gli esercizi sotto la guida del P. Roothan. A metà corso, l'illustre Gesuita fu improvvisamente chiamato a Roma, dove poco dopo fu eletto Generale 'della Compagnia. Si era già accomiatato dai confratelli e messo per via, quando tornò indietro come sorpreso, entrò nella camera dell'esercitante e gli disse: “Signor abate, dimenticavo di farvi una raccomandazione di somma importanza: Qualunque cosa avvenga, non vi scoraggiate mai, mai!”.

Parole d'oro che bisognerebbe ripetere a tante anime! S. Giovanni Crisostomo non si stancava di insistere: “Non disperate mai! Ve lo ripeterò in tutti i discorsi e in tutte le conversazioni; e se mi ascolterete sarete guarito! - La nostra salvezza ha due mortali nemici: la presunzione, quando si è innocenti, e la disperazione, dopo la caduta: la più terribile è però la disperazione” (1). Difatti, aggiunge S. Paolo, noi siamo stati salvati per la speranza (Rm 8, 24). Questa virtù è come una forte catena che pende dal cielo, per tenervi unite le anime; basta che esse si tengano attaccate perché, a poco a poco, le innalzi ad altezze sublimi e le sottragga alle bufere della vita presente. Ma se l'anima, vinta dall'abbattimento, abbandona quest'àncora di salvezza, tosto cade e precipita nell'abisso del male.

“Il nostro perfido avversario lo sa bene, e quando ci vede angosciati dal sentimento delle nostre colpe, ci si precipita addosso e getta nei cuori pensieri di disperazione più opprimenti del piombo. Se noi li accogliamo, il peso ci trascina, ci sfugge di mano la catena di salvezza e precipitiamo in fondo alla voragine” (2).

 

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10/08/2013 09:47
 
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2 - Doppia tattica del demonio verso le anime.

Purtroppo l'esperienza conferma queste ultime parole! La maggior parte delle colpe non riparate che hanno causato scandali nella Chiesa, e in più quelle che solo gli Angeli di pace conoscono e piangono, furono cagionate dallo scoraggiamento. Senza di esso, con un pentimento fiducioso, niente sarebbe andato perduto. E invece, il demonio della disperazione, dopo una caduta, che spesso non fu che sorpresa, si insinuò nell'anima turbata e, adducendo mille argomenti, l'uno più scoraggiante dell'altro, finì coll'inoculare l'esasperante pensiero di Caino: Il mio peccato è troppo grande e non posso sperare perdono (Gn 6, 13).
Da questo momento, nota S. Paolo, il principe delle tenebre diventa padrone dell'anima; la conduce, la spinge, la precipita dove vuole: operatur in filios diffidentiae (Ef 2, 2), essendo riuscito a comunicarle due delle sue più diaboliche qualità l'allontanamento da Dio, a causa del peccato, e la paura di Dio, a causa dello scoraggiamento. E non crediamo che tale tentazione venga solo dopo le colpe gravi. Lo spirito di menzogna l'usa come arma tanto più terribile, quanto più dissimulata, anche contro l’anima virtuosa, dopo le più leggere cadute; e se proprio non riesce a trascinarla nell'abisso della disperazione, almeno la paralizza sulla via del bene, la disorienta, ne affievolisce le forze e presto la fa decadere dal fervore, per piombarla nella malinconia e nel rilassamento. Tutto diventa pesante, “non si ha più la premura di riparare le cadute e ne risulta una vera e propria tiepidezza...” (3) con conseguenze quasi irreparabili.
Le nostre colpe, e specialmente le più comuni, danno a Satana il destro per ottenere questo risultato e se, come è stato giustamente osservato (4), nella guerra contro la speranza, lo spirito infernale cerca di trasfigurarsi in angelo di luce (2 Cr 11, 14), non gli riesce difficile vincere la partita, contrapponendo alle continue ispirazioni della grazia le numerose nostre infedeltà, ai benefici divini le nostre ingratitudini e ai nostri propositi la mancanza di costanza.- Non è forse giusto, grida l'anima scoraggiata, che Dio si stanchi e faccia seccare la sorgente degli aiuti di cui io abuso? Egli mi abbandona e ne ha tutte le ragioni. E tempo che rinunzi a una impresa che le mie ricadute hanno dimostrato essere superiore alle mie forze. Finora ho avuto troppa presunzione di Dio e dì me stessa. A che serve esaurirmi in sterili sforzi e ritentare tutti i giorni, senza alcun risultato, la conquista impossibile di una santità irraggiungibile? Ormai l'esperienza mi dimostra fino all'evidenza che questi ideali sono inaccessibili alla mia debolezza. A che pro far sempre propositi, quamdiu ponam consilia in anima mea, per sentir poi il dolore di non averli mantenuti durante la giornata, dolorem in corde meo per diem, e dare al nemico motivo di rallegrarsi delle mie cadute, usquequo exaltabitur inimicus meus super me? (Sal 12.2-3).
O anima scoraggiata, non son tanto le vostre colpe che rallegrano il nemico, quanto invece l'abbattimento che ad esse fate seguire e la sfiducia nella divina misericordia in cui vi gettano. “Ecco, dice il Venerabile P. Claudio de la Colombiere, ecco il peggior male che possa incogliere una creatura. Se uno riesce a difendersi da tale disgrazia, può star tranquillo che supererà anche le altre e ne potrà anzi trarre grandi vantaggi. Tutto il male che potete aver fatto è un nulla in confronto a quello che fate mancando di confidenza. Dunque abbiate sempre fiducia: ve lo comando con tutto il potere che mi avete dato sopra di voi. Se mi obbedirete su questo, io vi garantisco la conversione” (5).
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10/08/2013 09:48
 
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4 - Molto opportunamente la Chiesa presenta al nostro secolo scoraggiato il Dottore incoraggiante per eccellenza.

Tali consigli riescono quanto mai opportuni ai nostri giorni. “La nostra è l'epoca degli scoraggiamenti e degli scoraggiati” (6), e questo male oltre a paralizzare tanti caratteri ottimi e bene intenzionati delle sfere politiche e sociali, esercita un'azione ancor più deleteria nelle anime, anche fra quelle che più desiderano piacere a Nostro Signore. Ma fortunatamente la divina Sapienza, dice S. Agostino, possiede il segreto di offrire agli uomini, secondo le diverse circostanze, i rimedi adatti alle loro necessità (7). Essa ha fatto vivere, parlare e scrivere nel secolo XVII, al momento in cui divenivano di moda le esasperanti dottrine giansenistiche, Francesco di Sales, che è il Dottore animatore per eccellenza, e lo ha fatto proclamare Dottore della Chiesa proprio nell'ora più scoraggiata d'uno dei secoli più abbattuti (il secolo XIX). Tutto negli scritti dell'amabile Santo, solleva e rianima; e come S. Bernardo sfidava i suoi uditori a trovare qualcosa di severo nella fisionomia evangelica e tradizionale di Maria SS.ma, così si potrebbe sfidare i lettori di S. Francesco di Sales a scoprire in lui qualcosa che possa permettere anche al più grande peccatore, un solo istante di abbattimento.
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10/08/2013 09:48
 
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5 - Per non cadere nel rilassamento, occorre un coraggio a tutta prova.

Ora, dice l'eminente P. Faber (8), “la più dolce di tutte le più soavi dottrine che S. Francesco di Sales, divinamente ispirato, ci ha insegnato, è quella che riguarda il punto di vista da cui dobbiamo metterci per giudicare bene le nostre colpe”.
Egli innanzitutto, sostiene in modo assoluto che non bisogna mai perdersi di coraggio dopo una caduta, qualunque essa sia. “O cielo! bisognerebbe piuttosto morire che offendere coscientemente e deliberatamente il Signore! Ma se tuttavia cadiamo, è molto meglio perdere tutto il resto che non il coraggio, la speranza e le buone risoluzioni” (9). “Se vi accade di commettere qualche mancanza, umiliatevi e ricominciate. - Ma, direte voi, in tal modo, non vi correggete abbastanza energicamente delle vostre imperfezioni. - Sapete che vi ho detto più volte che dovete amare tanto la pratica della fedeltà verso Dio come quella dell'umiltà: della fedeltà, per rinnovare il proposito di servire la divina Bontà, tutte le volte che lo trasgredite; dell'umiltà, per riconoscere la vostra miseria ed abiezione quando lo violate” (10). - “Servire bene Dio, significa essere caritatevole verso il prossimo, avere la ferma risoluzione di seguire la volontà di Dio, avere l'umile disposizione e semplicità di affidarsi a Dio, rialzarsi tutte le volte che si cade, e sopportare se stessi nelle proprie miserie e gli altri nelle loro imperfezioni” (11). - “La fragilità non è un gran male, purché venga sostenuta da un costante coraggio, ch'io vi scongiuro d'avere” (12).
“Non dovete scoraggiarvi, ma impiegare invece, con dolce fermezza, tutto il tempo e la cura necessaria per guarire l'anima dal male che possa aver ricevuto in questi assalti” (13). - “Le nostre imperfezioni non devono piacerci, ma farci dire col grande Apostolo: O me infelice! chi mi libererà da questo corpo di morte? (Rm 7, 24) Però non devono neppur meravigliarci o scoraggiarci, ma infonderci sommissione, umiltà, diffidenza di noi stessi, e mai scoraggiamento o amarezza di cuore, e tanto meno il dubbio sull'amore che Dio ci porta. Non già che Dio ami le nostre imperfezioni e peccati veniali, ma ama noi, nonostante queste deficienze. Come una madre pur provando dispiacere per la debolezza e infermità del suo bambino, non cessa di amarlo, ma anzi l'ama con più tenerezza e compassione; così Dio, benché gli dispiacciano le nostre imperfezioni e peccati veniali, tuttavia continua ad amarci teneramente. Perciò Davide aveva ragione di dire al Signore: Abbiate, o Signore, pietà di me, perché sono infermo” (14).
“Bisogna, care figlie, essere molto generose... e aver grande coraggio per disprezzare le nostre inclinazioni, umori, bizzarrie e sensibilità, mortificandole costantemente in ogni assalto. Se tuttavia ci scappano delle mancanze, non arrestiamoci, ma ravviviamo il coraggio per poter essere più fedeli alla prossima occasione, facendo un passo in più nella via di Dio e nella rinunzia di noi stessi” (15).
“Per non stancarsi occorre un coraggio a tutta prova con noi stessi, perché resterà sempre qualcosa da fare o da togliere... Avete mai visto coloro che si addestrano al maneggio delle armi? Essi sbagliano sovente. Così pure quelli che imparano a cavalcare; ma non per questo si dan per vinti, perché altro è restar qualche volta sopraffatti e altro esser vinti” (16).
“Il diffidare di voi stessa è cosa buona, finché vi serve di fondamento per confidare in Dio; ma se diventa causa di qualche scoraggiamento, inquietudine, dispiacere o malinconia, vi scongiuro a rigettarla come la peggior tentazione. Non permettete mai al vostro spirito di disputare o replicare in favore dell'inquietudine o abbattimento d'animo cui vi sentite portata... anche se si presenta sotto il pretesto specioso dell'umiltà” (17).
Da tutti questi brani si vede come S. Francesco di Sales combatteva lo scoraggiamento, andando direttamente alle cause. Perché uno si scoraggia? O perché esagera la propria debolezza, o perché misconosce la misericordia di Dio, o, più sovente, per tutt'e due i motivi.
Questo, sia detto di passaggio, è un fenomeno strano, ma purtroppo comune: il peccatore cade perché dimentica la propria debolezza ed esagera la misericordia di Dio. Dopo la caduta, questi due sentimenti rinascono, ma in senso inverso: il riconoscimento della propria debolezza prende proporzioni smisurate e avviluppa l'anima in un manto di tristezza e di confusione opprimente; Dio invece, che un momento prima, venne offeso con tanta audacia perché si presunse del suo perdono, ora appare come un vendicatore inesorabile. L'anima colpevole ha paura di Lui e sente vergogna di se stessa, e se non reagisce alle due funeste tentazioni, finisce col rinunciare vilmente alla lotta, e anziché liberarsi dai lacci del peccato, gli si abbandona ignobilmente in braccio.
Lo scoraggiamento è quella capitolazione della volontà, quella specie di proposito a rovescio che spesso ha per conseguenza l'impenitenza finale.
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10/08/2013 09:49
 
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6. - Il cuore di Dio è sempre largo e pronto al perdono.

Ora il santo Dottore cerca di guarire queste disposizioni generatrici di scoraggiamento, suggerendo altre disposizioni contrarie. All'anima desiderosa di santificarsi, fa comprendere che si mette per un cammino lungo e faticoso, che la sua debolezza è in completa sproporzione con le difficoltà del viaggio; ma nello stesso tempo le insegna che può tutto. in Colui che la fortifica, tanto prima come dopo le cadute, e le mostra un Dio dal cuore largo e sempre pronto al perdono e dal braccio potente per sostenerla.
“La solitudine ha i suoi pericoli e il mondo ha le sue molestie: dappertutto occorre molto coraggio e dappertutto l'aiuto celeste è pronto a soccorrere quelli che han confidenza in Dio e implorano con umiltà e dolcezza la sua paterna assistenza” (18).
“Dovete rinnovare tutti i propositi fatti finora per correggervi; e benché abbiate constatato d'essere ancor impigliata nelle imperfezioni, nonostante le buone risoluzioni, non dovete abbandonar l'impresa, ma fondarla maggiormente sull'assistenza di Dio. Finché vivrete, troverete sempre delle imperfezioni e sempre molto da correggere. E’ perciò necessario che impariate a non stancarvi mai” (19).
“Orsù, state in pace !... Quando ci succede di violare la legge della santa indifferenza o per improvviso impeto dell'amor proprio o per altra passione, prostriamo subito il cuore davanti a Dio e diciamogli con spirito di confidenza e di umiltà: Signore, abbiate misericordia di me, perché son debole (Sal 6, 3). Indi rialziamoci con pace e tranquillità, riannodiamo il filo della santa indifferenza e continuiamo la nostra opera. Non bisogna strappar le corde o buttar addirittura via il liuto perché ci si accorge che è scordato; ma basta prestare orecchio per vedere donde proviene il disaccordo e pian piano tendere o rallentare le corde, secondo che l'arte richiede” (20).
“Vedendo che il monte della perfezione cristiana è altissimo, vi verrà voglia di esclamare: - Ah, mio Dio, come potrò salirlo? Coraggio, Filotea, le api nascenti, quando cominciano a prender forma, si chiamano ninfe, e, così come sono, non potrebbero volare sui fiori dei monti e dei colli vicini, per raccogliere miele; ma a poco a poco, nutrendosi del miele delle api madri, queste piccole ninfe mettono le ali e si rinforzano, in modo che poi volano per tutta la campagna in cerca di altro miele. Così è di noi: siamo nella divozione come api appena nate, né potremmo alzarci, secondo il nostro desiderio, a toccare le cime della perfezione cristiana; ma se cominceremo a concepire desideri e propositi santi, ci spunteranno presto le ali, e potremo sperare di essere un giorno api spirituali e di poter prendere il volo. Intanto però, viviamo del miele degli ammaestramenti lasciatici dagli antichi devoti, e preghiamo Dio a donarci ali di colomba, per poter volare non solamente nel tempo di questa vita, ma anche riposarci nell'eternità della vita futura” (21).
“Non si giunge mai a termine, e conviene sempre ricominciare, e ricominciare di buona voglia. La Scrittura dice che quando l'uomo avrà finito, sarà ancora da capo (Ecli 18, 6). Quel che abbiam già fatto è buona cosa, ma quello che cominceremo sarà migliore; e quando avremo finita questa, ne cominceremo un’altra che sarà ancora migliore, e così sempre, fin quando usciremo da questo mondo, per iniziare la nuova vita che non avrà termine, perché non ci potrà sopraggiungere nient'altro di meglio. Vedete dunque, mia buona Madre, che non c'è motivo di piangere quando l'anima si trova bisognosa; ma invece occorre essere risoluti ad andar sempre avanti senza mai fermarsi e tagliar netto, affondando il coltello, fino alle divisioni dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla (Eb 4, 12)” (22).
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10/08/2013 09:49
 
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7. - Nelle lotte della vita sarà vincitore chi è sempre pronto a combattere.

“E’ sempre vero che per avere la perfezione non basta desiderarla, ma occorre acquistarla col sudor della fronte e a forza di lavoro!... - Ma io sono tanto imperfetto, - dite voi. Sarà verissimo, ma non scoraggiatevi per questo, e non pensate di poter vivere senza imperfezioni, perché sarà impossibile, finché sarete in questa vita. Basta che non amiate le imperfezioni e che non le lasciate vivere nel cuore, ossia che non le commettiate volontariamente e non vogliate perseverare in esse. Fatto questo, state tranquilla e non vi affannate per la perfezione che tanto desiderate: basterà che la raggiungiate in morte. Non restate dunque così timorosa, ma camminate con franchezza nella via di Dio: siete munita dell'arma della fede, e nulla potrà nuocervi” (23).
“Bisogna perciò essere coraggiosa e paziente, o Filotea, in questo lavoro (della purificazione dell'anima). Oh, come fanno pietà quelle anime che, vedendosi soggette a imperfezioni, dopo essersi esercitate per qualche tempo nella perfezione, cominciano a inquietarsi, turbarsi e scoraggiarsi, giungendo persino all'alternativa di lasciar tutto e tornare indietro!... Ma bisogna pure che, per poterci esercitare nell'umiltà, restiamo qualche volta feriti in questa battaglia spirituale! ma non saremo vinti se non quando abbiam perso il coraggio o la vita. Ora le imperfezioni e i peccati veniali non ci possono togliere la vita spirituale, poiché essa si perde solo per il peccato mortale; resta dunque solamente che esse non ci facciano perdere il coraggio. Liberatemi, o Signore, diceva Davide, dalla codardia e dalla pusillanimità. Che felice condizione è, in questa guerra, quella di poter essere sempre vincitori, purché non disertiate il combattimento!” (24).
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10/08/2013 09:49
 
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8. - Una caduta, anche grave, non impedisce il progresso nella divozione.

Bisogna ammettere che, dando questi ammaestramenti, S. Francesco di Sales parlava a persone già più o meno avanzate nella perfezione, e che le colpe di cui scongiurava a non scoraggiarsi erano ordinariamente colpe veniali e imperfezioni. Tuttavia egli non esclude dai suoi soavi incoraggiamenti le anime più colpevoli, e a tutte, anche alle più macchiate di colpe gravi, rivolge le seguenti esortazioni, poggiato sempre sugli stessi motivi: “Nutrite la vostra anima di cordiale confidenza in Dio; e a misura che vi trovate circondata di imperfezioni e miserie, rianimate il vostro coraggio a ben sperare” (25). “Abbiate molta umiltà, perché è la virtù delle virtù, ma umiltà generosa e pacifica” (26).
“Voi preferireste certamente vedervi senza difetti, che non dover constatare d'essere sempre in mezzo a imperfezioni: e piacerebbe anche a me, poiché sarebbe come se fossimo in Paradiso. Ma quell'inquietudine che vi prende per non poter giungere già in questa vita a tal segno di perfezione, vi sospinge ad averne un dispiacere che non è puro per il fatto stesso che vi mette in agitazione. Odiate dunque le vostre imperfezioni in quanto sono imperfezioni; ma amatele in quanto vi fan vedere il vostro nulla e sono spinta all'esercizio e al perfezionamento della virtù e della misericordia di Dio” (27).
“Orsù, dobbiam dire (al nostro cuore, dopo una caduta), orsù, cuor mio, amico mio, in nome di Dio, fatti animo; camminiamo, badando bene a noi stessi e invochiamo il soccorso di Dio (28).
“Alcune cadute in peccato mortale, purché non si abbia intenzione di rimanervi a marcire e non si sia fatta acquiescenza nel male, non impediscono il progresso nella perfezione, la quale, benché si perda peccando mortalmente, si riacquista al primo sincero pentimento, specialmente se non si è rimasti a lungo in disgrazia di Dio... Non è bene perdersi di coraggio, ma conviene guardare con santa umiltà la propria debolezza, accusarla, domandarne perdono e invocare l'aiuto del cielo” (29).
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10/08/2013 09:50
 
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9. - Il tempo, anche lungo, trascorso in peccato, non è motivo sufficiente per scoraggiarsi.

Si considerino bene le prime parole di quest'ultima citazione: Alcune cadute gravi, se non sono accompagnate da “acquiescenza nel male”, ossia se esse non si cambiano in abitudine, oltre a non lasciar traccia di sé, dopo il perdono, non impediscono neppure che l'anima possa subito ricuperare il posto che aveva raggiunto prima nella perfezione. Sarà certamente un tempo d'arresto, un indietreggiamento, ma l'assoluzione o la contrizione perfetta neutralizzeranno ogni perdita e colmeranno ogni lacuna.
Ma, si dirà, se uno “fosse rimasto a lungo nel male” e fosse quasi marcito nel peccato mortale? Ebbene, siccome allora il tempo d'arresto e il regresso è stato più lungo, anche le perdite saranno evidentemente più gravi; ma non mai irreparabili. Col perdono rinasceranno i meriti precedenti, secondo le parole della Sacra Scrittura: in iustitia quam operatus est vivet (Ez 17, 22). Forse, per neutralizzare i cattivi effetti delle abitudini colpevoli contratte in questo tempo funesto, saranno necessari degli sforzi molto generosi; ma se uno accresce la sua fiducia in Dio proporzionatamente alle necessità create dall'essersi “addormentati nel male”, al Signore sarà facile arricchire di nuovo e in un solo istante il povero. Confida dunque in lui e resta al tuo posto (30). Ecco perché il nostro Santo conclude: “Non bisogna mai perdere la fiducia, perché per quanto miserabili siamo, non lo saremo mai tanto quanto Dio è misericordioso con quelli che hanno volontà di amarlo e che in lui han posto la loro speranza” (31).
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10/08/2013 09:50
 
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10. - Il timore ispirato dalla nostra debolezza dev'essere temperato da una fermissima confidenza in Dio.

Questi pensieri risalteranno ancor meglio nella seconda parte del nostro libro, quando il santo Dottore si servirà della vista delle nostre mancanze, per raddoppiarci la confidenza nella misericordia divina. Ma le citazioni e le riflessioni fatte sono sufficienti a precludere la porta alla disperazione in qualsiasi circostanza, e a dimostrare che la paura ispirata dalla conoscenza della propria debolezza, deve essere sempre moderata e dominata da una incrollabile confidenza in Dio. Il Santo insiste particolarmente sulla necessità e sui modo di unire queste due disposizioni: “Bisogna combattere sempre fra il timore e la speranza, in maniera però che la speranza sia sempre più forte, in considerazione dell'onnipotenza di Colui che ci soccorre” (32).
“Fate penitenza, ci dice S. Giovanni Battista, abbassate le montagne dell'orgoglio e riempite le valli della tiepidezza e della pusillanimità. Le valli che il glorioso Precursore vuole che si riempiano, non sono altro che il timore, il quale, quando è troppo grande, porta allo scoraggiamento, a causa delle colpe commesse. Riempite le valli, ossia sappiate riempire i vostri cuori di confidenza e di speranza, perché la salvezza è vicina. La vista delle proprie colpe porta con sé un certo qual orrore, uno spavento e un timore che fiaccano il cuore. Ecco le valli che bisogna riempire per la venuta del Signore” (33).

11. - Chi ricorre a Maria SS.ma non deve mai disperare.

“Santa Taide, rivolgendosi un giorno a S. Pafnuzio, gli diceva: Ah, Padre mio, che cosa devo fare? il ricordo della mia vita miserabile mi spaventa. Era stata una grande peccatrice ed era sempre piena di timori a causa dei peccati commessi. il buon Santo le rispose: Temete, ma sperate. Temete per paura di diventar superba e orgogliosa; ma sperate, per paura di cadere nella disperazione e nello scoraggiamento. Il timore e la speranza non devono mai andar disgiunti, tanto che se il timore non è accompagnato dalla speranza, non sarà più timore, ma disperazione, e la speranza senza il timore è piuttosto presunzione. Occorre dunque riempir le valli scavate dalla conoscenza delle imperfezioni e peccati commessi, con la confidenza unita al timor di Dio” (34).
S. Francesco di Sales, come se anche dopo morte abbia voluto continuare la guerra contro la disperazione, ha strappato al demonio stesso, una confessione piena di incoraggiamento per le anime colpevoli. Un giovane del Chiablese, da cinque anni posseduto dallo spirito maligno, fu condotto alla tomba del santo Vescovo di Ginevra, mentre era in corso il processo di Beatificazione. La liberazione si fece attendere diversi giorni, durante i quali Mons. Carlo Augusto di Sales e la veneranda Madre de Chaugy, fecero subire al disgraziato alcuni interrogatori presso la tomba del Santo. In una di queste circostanze, riferisce un testimone oculare (35), siccome il demonio raddoppiava le grida, e con crescente furore e confusione ripeteva: “Ah, ma perché devo uscire?”, la Madre de Chaugy esclamò: “O santa Madre di Dio, pregate per noi! Maria, Madre di Gesù, veniteci in aiuto!”. A tali parole lo spirito infernale intensificò ancora i suoi urli spaventosi e gridò: “Maria! Maria!... Ah, io non ho una Maria... Non proferir più questo nome, perché mi fa tremare. Ah, se io avessi una Maria come l'avete voi, io non sarei più quel che sono!... Ma io non ho una Maria!”.
Tutti piangevano. “Ah, riprese il demonio, se io avessi un sol momento dei tanti che voi perdete, sì, un solo istante e una Maria, io non sarei più demonio!”.
Ebbene! noi che viviamo (36) abbiamo il momento presente per tornare a Dio, e abbiamo Maria che ce ne ottiene la grazia: chi dunque, può ancora disperare?
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10/08/2013 13:55
 
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Parte seconda

 

CAPO I

 

UTILIZZARE

LE PROPRIE COLPE PER UMILIARSI

RICONOSCENDO LA PROPRIA ABIEZIONE

 

 

1. - Dio ci permette di trarre il bene dal male.

 

Il non scoraggiarci e non meravigliarci dopo le cadute sono disposizioni indispensabili e, nello stesso tempo, molto salutari; tuttavia non formano che la parte negativa dell'arte di utilizzare le proprie colpe. E quindi tempo di passare a considerare la parte positiva, per imparare, alla scuola di S. Francesco di Sales, come i nostri peccati, senza perdere la loro laidezza e malizia, possono riuscire, se vogliamo, di nostro profitto spirituale.

Evidentemente questo profitto non verrà dai peccati in se stessi, ma dalla misericordia di Dio e dalla grazia di Gesù Cristo, che sa volere le nostre iniquità ai fini della sua bontà, e le nostre debolezze alla salute della nostra anima. Il letame non è altro che materia corrotta e putrida, e tuttavia, osserva S. Bernardo, il contadino e il giardiniere se ne servono per far produrre alla terra frutti più belli e abbondanti. Allo stesso modo, Dio si serve delle nostre colpe, per far produrre alla nostra anima numerosi frutti di virtù (1).

Questo frutto sarà il più abbondante se da una parte perseguiteremo le nostre colpe con odio vivo e guerra implacabile, e dall'altra avremo più fede e ci associeremo più attivamente ai disegni di Dio che le ha permesse in vista del nostro bene.

Dobbiamo, entrare nei piani della Redenzione, quali ce li presenta la Chiesa, combattere Satana con le sue stesse armi, ritorcendogli contro le sue astuzie e trovando un rimedio nelle stesse ferite che ci infligge (2).

Così sperimenteremo felicemente in noi quello che diceva S. Giovanni Crisostomo: “Spesso anche il diavolo ci riesce di grande utilità: basta che sappiamo farlo servire a nostro vantaggio. Il guadagno sarà incalcolabile” (3).

Questo guadagno viene indicato da S. Agostino in tre parole: Tutto contribuisce al bene di chi ama il Signore dice egli riportando le parole di S. Paolo; si, tutto, anche le cadute, omnia, imo ipsi lapsus in peccata, perché l'uomo può rialzarsi da esse più umile, più prudente e più fervoroso: nam ex casu humiliores, cautiores et ferventiores resurgunt” (4). Ed è pure il pensiero di S. Francesco di Sales: “Care imperfezioni, esclama egli, quelle che ci fanno riconoscere la nostra miseria e ci esercitano nell'umiltà, nel disprezzo di noi stessi, nella pazienza e nella vigilanza” (5).

 

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10/08/2013 13:55
 
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2. - Valersi dei peccati per progredire nell'umiltà.

Sull'esempio di S. Agostino e del santo Vescovo di Ginevra, parliamo prima del primo di questi vantaggi, l'umiltà.
“Piaccia allo Spirito Santo ispirarmi quel che ho da dirvi, Signora, e, se vi piace, figlia mia carissima. Per vivere costantemente nella devozione basta fissare delle forti ed eccellenti massime nel proprio spirito.
“E la prima che io desidero nel vostro è quella dì S. Paolo: tutto contribuisce al bene di coloro che amano Dio (Rm 8, 28). Dal momento infatti che Dio può e sa ricavare il bene dal male, perché non lo farà con quelli che si sono dati a lui senza alcuna riserva? Sì, anche i peccati (dai quali Iddio ci guardi!) vengono ridotti dalla Provvidenza al bene di quelli che l'amano. Davide sarebbe mai stato compreso da tanta umiltà, se non avesse peccato?” (6).
“Dovete odiare i vostri difetti con odio tranquillo e calmo, e non con odio torbido e dispettoso; bisogna anche sopportare pazientemente la loro vista, sì da poterne trarre il profitto di un santo abbassamento di noi stessi. Diversamente, le vostre imperfezioni che voi guardate con occhio sottile, vi turberanno ancor più sottilmente e resteranno, poiché non vi è nulla che conservi tanto i nostri difetti come l'inquietudine e la fretta di toglierli” (7).
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10/08/2013 13:56
 
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3. - L'umiltà è fondamento di tutte le virtù, come l'orgoglio è principio di tutti i peccati.

Se esiste un tormento per i cuori santamente ambiziosi della propria perfezione, è certamente quello di sentire la grande necessità dell'umiltà e assieme le difficoltà per averla. Da una parte questa virtù “tanto necessaria all'uomo, come base e fondamento di tutte le virtù” (8), “è la madre, la radice, la nutrice, e il centro di tutti gli altri beni” (9), e dall'altra, quando già sembra che dovrebbe germogliare e fiorire quasi spontaneamente nel terreno corrotto del nostro fondo miserabile, vi trova invece meglio radicato di essa, l'orgoglio che è principio di ogni peccato (10) e che è continuamente pronto a soffocarla.
Nulla può esprimere la forza, l'astuzia di questo demonio della superbia, né la scaltrezza e la varietà delle sue arti. Vero serpente che nasce assieme a noi, ma cresce più in fretta di noi, esso vorrebbe avvolgere tra le sue spire e infettare col suo veleno tanto le azioni più sante come quelle indifferenti, tanto i più segreti pensieri come le migliori intenzioni. “Si nutre sovente delle nostre stesse virtù e cerca d'impinguarsi facendo servire a proprio vantaggio i doni più belli di Dio”(11). Se alle volte sembra assopirsi, non lo fa che per avvolgere con più agio l'anima tra le sue spire; e se si mostra o si lascia colpire, lo fa per trionfare con gli stessi colpi che gli diamo. Insomma, conclude S. Francesco di Sales, “l'orgoglio è un male così comune tra gli uomini, che mai abbastanza si predicherà e si inculcherà la necessità di perseverare nella pratica della santissima e amabilissima virtù dell'umiltà” (12).
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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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