Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.
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GRANDI PAPI della storia

Ultimo Aggiornamento: 18/10/2014 18:09
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26/03/2014 18:20
 
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URBANO II
Un grido per unire i cristiani verso Gerusalemme

Urbano II proclama la prima crociata (1095).

La vita e l’opera di Oddone (Eudes) che, eletto papa il 12 marzo 1088 adottò il nome di Urbano, sembra ben ritratta nel Martirologio Romano: «A Roma presso san Pietro, beato Urbano II, papa, che difese la libertà della Chiesa dall’assalto dei poteri secolari, combatté la simonia e la corruzione del clero e nel Concilio di Clermont esortò i soldati cristiani a liberare, segnati con la croce, i fratelli oppressi e il Sepolcro del Signore».
Oddone studiò alla scuola di san Bruno, fondatore dei Certosini (1032-1101) e poi si fece monaco a Cluny: il più importante moto monastico di riforma nel Medioevo ebbe inizio proprio a Cluny, di pari passo con la riforma gregoriana. Fu proprio papa Gregorio VII a nominarlo cardinale e ad inviarlo come legato in Germania. Fino a quando i cardinali riformatori elessero al soglio pontificio proprio Oddone.
Nei primi tempi, Urbano II si dimostrò indulgente con vescovi e prìncipi. Una volta consolidata la sua carica, invece, combatté l’ingerenza dei laici nelle questioni ecclesiastiche. Se dividiamo il pontificato in due periodi, nel primo papa Urbano si mosse con diplomatica circospezione in una situazione non ancora del tutto favorevole alla riforma; nel secondo, considerando il tempo maturo, affrontò con maggiore sicurezza e decisione le circostanze, fino a proclamare per primo il fatto per il quale è storicamente noto: la prima crociata (1095-1099).
Monaco cluniacense e seguace della riforma gregoriana, Urbano nel sinodo di Melfi (1089) rinnovò la legislazione gregoriana contro il matrimonio dei chierici, la simonia e le investiture laicali. Ma non mancò di usare diplomazia: per esempio, per il suo legato in Germania stabilì criteri di azione più moderati e più aperti al mondo laico. Leggiamo nelGrande dizionario illustrato dei Papi: «Il suo senso realistico e il suo atteggiamento conciliante gli consentirono di ottenere successi in Italia e anche in altri Paesi europei».
Conviene ricordare che i Normanni dell’Italia meridionale e della Sicilia erano i suoi più stretti alleati: giunse a concedere a Ruggero I, conte di Sicilia (1072-1101), poteri di controllo corrispondenti a quelli dei legati sulla Chiesa dell’isola (nasceva così la cosiddetta “monarchia sicula”). Ruggero era virtualmente un legato papale in Sicilia.
Nel 1095 la posizione di Urbano era divenuta più sicura: iniziava la seconda fase del suo pontificato, con una “trionfale serie di sinodi”. In particolare ricordiamo il celebre sinodo di Clermont (1095): da una parte Urbano inventò e decretò la cosiddetta “tregua di Dio” (la sospensione delle ostilità, soprattutto per seppellire i morti, nei giorni stabiliti dalla Chiesa); in secondo luogo, il 27 novembre 1095 lanciò un solenne appello per la prima crociata (1095-1099), esortando i cristiani a liberare Gerusalemme dal dominio musulmano. Ecco cosa accadde, dalla Breve storia della Chiesa di August Franzen: «Papa Urbano II (1088-1099) indirizzò, nel 1095, nei sinodi di Piacenza e di Clermont, un appassionato appello alla cristianità latina, che risvegliò enormi energie. La grande idea religiosa, superando ogni confine nazionale, unì insieme tutti i popoli dell’Occidente cristiano, che si allearono per venire in aiuto dei cristiani orientali e per strappare all’islam il Paese dove Cristo aveva vissuto e aveva diffuso il suo messaggio di salvezza. Con un grido ardente, Deus vult (Dio lo vuole), il Papa trascinò con sé i cristiani e si mise egli stesso a capo del movimento». L’inizio della crociata, che costituì il successo più memorabile di Urbano, fu il frutto più prezioso di una politica di riavvicinamento con Bisanzio: egli cercava l’unità dei cristiani.
Concludendo, conviene ricordare come si trattasse di un pontefice devotissimo alla Madonna: approvò e diffuse il Piccolo Ufficio della Beata Vergine, l’uso di recitare l’Ave Maria al mattino e alla sera e la dedicazione del sabato alla Madonna. Inoltre, durante il suo pontificato fu sviluppata la centralizzazione del governo della Chiesa, furono riorganizzate le finanze papali, venne ristrutturata la curia (l’espressione “curia romana” compare per la prima volta in un documento del 1089) sul modello di quella della corte reale o imperiale, fu data maggiore importanza al collegio dei cardinali.
Urbano morì due settimane dopo la presa di Gerusalemme da parte dei crociati (15 luglio 1099); beatificato da Leone XIII nel 1881, la sua festa si celebra il 29 luglio.


[Modificato da Credente 16/04/2014 18:49]
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28/03/2014 15:35
 
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CALLISTO II
L'imperatore, Worms e la fine di una «lunga lotta»

di Eugenio Russomanno

«Da secoli sulla cattedra di san Pietro aveva seduto papa alcuno che fosse e sentisse di essere così avventurato come Callisto: e merito ne aveva la sua prudenza del pari che la sua energia. La Città obbedì riverente all’autore della pace; si acquietarono le lotte dei partiti e, finché egli visse, per le rovine di Roma non suonarono più grida di battaglia. In questo bel periodo di pace, il pontefice poté perfino pensare al bene della Città». Così lo storico tedesco Gregorovius tesse l’elogio di Callisto II.
Guido, di nobilissime origini e parentele, nel 1088 arcivescovo di Vienne (Francia), fu incoronato papa il 9 febbraio 1119 con il nome di Callisto II. Sia papa Callisto che l’imperatore Enrico V (1106-1125) erano pronti a giungere ad un accordo fra Chiesa e Stato sulla questione delle investiture: i tempi erano ormai maturi per la ripresa dei negoziati e per giungere ad un compromesso. Il 23 settembre 1122 si giunse infatti al celebre concordato di Worms.
Si cercò di risolvere il problema delle investiture con una duplice investitura: al re sarebbe spettata l’investitura temporale, al Papa l’investitura spirituale. Il sovrano concedeva l’investitura temporale con la trasmissione di beni e diritti secolari (le cosiddette regalie, di natura temporale), simboleggiata dalla consegna dello scettro. Il Papa e la Chiesa potevano esercitare la libera consacrazione: l’investitura spirituale con il diritto di elezione canonico, che restò di pura competenza del clero. Il concordato precisava inoltre che al re era data la possibilità di conferire l’investitura temporale solo dopo l’elezione canonica e l’investitura spirituale, con l’anello e il pastorale.
Enrico rinunciò a nome suo e dei suoi successori all’investitura di vescovi e abati con anello e pastorale e garantì alla Chiesa elezioni canoniche e libere consacrazioni. Callisto concesse al re o imperatore di essere presente alle elezioni dei principi della Chiesa per le sedi che si trovavano all’interno del regno e di investirli delle regalie. 
Il concordato di Worms pose fine a quella lunga «lotta per le investiture» che aveva avuto nel re tedesco Enrico IV (1056-1106) e in papa Gregorio VII (1073-1085) i due grandi protagonisti. «Callisto aveva assicurato la libertà della Chiesa nella questione centrale dell’investitura», scrive lo storico John Kelly.
Callisto fu così contento del compromesso di Worms che ne fece affrescare le sale del palazzo del Laterano. Nel marzo del 1123 proprio il Laterano fu protagonista di un grande concilio ecumenico (il primo concilio Lateranense) che ratificò solennemente il concordato: il Papa, infaticabile ma misurato propugnatore della riforma, prevalse sulle obiezioni dei gregoriani intransigenti argomentando che le concessioni fatte dovevano venir tollerate per amore della pace, non accettate come principio.
L’Archivum Secretum Apostolicum Vaticanum conserva una pergamena al caso nostro. Infatti, il concordato raggiunto fra le due massime autorità della Chiesa e dell’Impero trovava esplicita e circostanziata sanzione dai due documenti che si scambiarono, in quella circostanza, Callisto II ed Enrico V: l’imperatore consegnava al Papa il documento attestante il patto raggiunto e la stessa cosa faceva il pontefice nei riguardi dell’imperatore. Sfortunatamente è andato perduto il documento consegnato ad Enrico V da papa Callisto II, mentre è conservato all’Archivio Vaticano quello che l’imperatore scambiò con il pontefice, detto anche Privilegium Calixtinum.
Concludo con le parole di Giovanni Paolo II ai partecipanti ad un pellegrinaggio promosso dalla Association Calixte II di Besançon: «Il vecchio arcivescovo di Vienne sul Rodano fu un negoziatore abile e paziente. In un periodo di profonde dispute tra pastori e sovrani, Callisto II fece tutto il possibile per ottenere delle garanzie di indipendenza a favore della Chiesa. Il Concordato di Worms ne fu il risultato decisivo, che in molti altri settori riuscì a ristabilire la pace. Per dare ancora maggior peso ai provvedimenti già presi, Callisto II convocò il primo Concilio Lateranense. Si adoperò quindi per unire i suoi fratelli nell’episcopato per la tutela dei diritti della Chiesa e, d’altro canto, per delle riforme disciplinari che si presentavano allora necessarie».


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28/03/2014 15:37
 
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ALESSANDRO III
Un uomo tenace in difesa della Chiesa

di Eugenio Russomanno

Un’ottima introduzione alla figura e al pontificato di papa Alessandro III (1159-1181) sono le parole dello storico August Franzen: «Quando l’imperatore Federico I Barbarossa volle ripristinare l’idea della supremazia del potere imperiale, scoppiò una nuova lotta fra imperiumsacerdotium. I diritti del papato furono difesi dal tenace pontefice Alessandro III (1159-1181) e la lotta si trascinò accanitamente per ben vent’anni: dalla dieta di Besançon, del 1157, fino alla pace di Venezia del 1177. Quattro antipapi imperiali, guerre e spargimento di sangue caratterizzarono questo infelice conflitto, che causò molti lutti alla cristianità. Si arrivò, finalmente, alla pace e l’imperatore fu liberato dalla scomunica che Alessandro gli aveva inflitto fin dal 1160».
Orlando (Rolando) Bandinelli nacque a Siena verso il 1100. Fu un illustre professore di diritto a Bologna: come maestro di diritto canonico e poi di teologia e come studioso di Abelardo, Bandinelli influenzò in modo notevole le dottrine giuridiche del tempo. I principali frutti del suo lavoro di questo periodo furono compendiati in due opere: lo Stroma e leSententiae; come ricorda Marco Falorni, la parola “transustanziazione”, destinata in seguito a notevole fortuna nelle dottrine eucaristiche, si trova per la prima volta in queste opere.
Cardinale diacono nel 1150, cardinale presbitero nel 1151, cancelliere nel 1153 ed infine consigliere di papa Adriano IV, nella dieta di Besanç0n (1157) ebbe il primo scontro con Federico I Barbarossa. Morto Adriano IV, la maggioranza dei cardinali elesse papa Rolando Bandinelli (7 settembre 1159), che prese il nome di Alessandro III. Il Barbarossa colse l’occasione di un dissidio interno alla Chiesa per appoggiare un antipapa, Vittore IV. Vittore scomunicò Alessandro, Alessandro scomunicò Vittore e anatematizzò il Barbarossa. Gli episcopati e gli ordini monastici si riunirono a Tolosa alla presenza di Enrico II d’Inghilterra e di Luigi VII di Francia e si dichiararono a favore di Alessandro. Iniziava così una nuova lotta tra Impero e Chiesa, che avrebbe visto il succedersi tra l’altro di ben quattro antipapi: Vittore IV, Pasquale III, Callisto III, Innocenzo III.
Nel dicembre 1167 fu costituita la Lega Lombarda, per combattere lo strapotere di Federico Barbarossa: papa Alessandro la appoggiò «per l’onore e la libertà dell’Italia e la dignità della Chiesa». Una città appena fondata fu denominata in suo onore Alessandria. Federico fu sconfitto dalla Lega Lombarda nella battaglia di Legnano il 29 maggio 1176: iniziarono così le trattative tra Chiesa e Stato che si conclusero con la pace di Venezia (24 luglio 1177), con la quale l’imperatore si impegnava a riconoscere Alessandro come legittimo papa in cambio del ritiro della scomunica.
Alessandro III dal 5 al 19 marzo 1179 presiedette l’importante III Concilio Lateranense: ora nelle votazioni papali occorreva la maggioranza dei due terzi dei cardinali, come accade ancora oggi; si promuovevano le università; si esortavano le cattedrali a organizzare scuole; si davano disposizioni per la persecuzione degli eretici.
Nel Grande dizionario illustrato dei Papi, John Kelly scrive: «Alessandro, primo fra i papi, fu un grande legislatore e molte delle sue deliberazioni furono incorporate nei codici posteriori del diritto canonico. Si mantenne fedele alla tradizione riformista: uno dei suoi provvedimenti più caratteristici fu l’effettiva abolizione del diritto di avere ecclesiae propriae... Personalmente aveva una chiara visione di ciò che sarebbe stato necessario realizzare, ma preferiva adattarsi a soluzioni pacifiche finché non ledessero gli interessi sostanziali della Chiesa... Bisogna riconoscergli il merito di aver impedito a Federico di ridurre la Chiesa a una condizione di assoluta dipendenza».
Giovanni Paolo II si rivolge ai pellegrini di Alessandria il 14 novembre 1981, nell’ottavo centenario della morte del grande Papa, morto a Civita Castellana (Viterbo) il 30 agosto 1181, con le seguenti parole: «I pellegrini di Alessandria sono venuti a Roma per celebrare con particolare solennità un avvenimento di natura e di portata ecclesiale. L’ottavo centenario della morte di Alessandro III, il Papa in cui onore fu costruita la città avendo accettato di presiedere alla celebre Lega Lombarda contro l’imperatore Federico Barbarossa, ci fa riandare con la memoria ad un periodo assai difficile e complicato della storia della Chiesa. Il cardinale Rolando Bandinelli di Siena, dotto teologo ed insigne giurista, divenuto pontefice il 7 settembre 1159, ebbe una ben pesante croce da portare: il suo lungo pontificato fu contrassegnato dalle continue lotte contro l’imperatore per salvaguardare i diritti della Chiesa, dallo scisma che perdurò con la successione di ben quattro antipapi, dalla corruzione che serpeggiava in ogni luogo, dalle frequenti guerre che spargevano miserie, crudeltà, persecuzioni. Ma alla fine l’imperatore si sottomise ad Alessandro III, si fece pace nella Chiesa e il Papa, tornato definitivamente a Roma ebbe modo di convocarvi il Concilio Lateranense III, l’undicesimo Concilio Ecumenico. Questo periodo di storia turbinoso e drammatico, ormai così lontano, ci insegna tuttavia ad essere sempre ed ovunque portatori di pace».


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28/03/2014 15:38
 
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INNOCENZO III
L'animo di un Papa che ha visto lontano

di Eugenio Russomanno

L’evoluzione della Chiesa medioevale iniziata con Gregorio VII portò il papato con Innocenzo III al culmine della sua potenza. Il capo supremo e riconosciuto della cristianità occidentale non fu più l’imperatore, ma il papa. «Papa grande e influente, il suo pontificato fu il periodo più splendido del papato medievale», ha scritto lo storico John Kelly. 
Lotario di Segni nacque nel 1160. Compiuti gli studi di teologia e di diritto canonico a Parigi e a Bologna, fu accolto dallo zio Clemente III (1187-1191) nel collegio cardinalizio. L’energico trentasettenne Lotario fu consacrato papa con il nome di Innocenzo il 22 febbraio 1198, festa della Cattedra di San Pietro. Leggiamo nel Grande dizionario illustrato dei Papi di John Kelly: «Uomo molto adatto al governo, Innocenzo univa eccezionali doti intellettuali e forza di carattere alla determinazione, alla flessibilità, a una rara abilità nel trattare con gli uomini e anche alla bontà». Aveva un alto concetto della propria posizione di vicario di Cristo - titolo che fece entrare nell’uso comune - «a metà strada fra l’uomo e Dio, al di sotto di Dio ma al di sopra dell’uomo», al quale era stato affidato «il governo non solo della Chiesa universale ma di tutto il mondo». La sua figura ci risulta ancora più chiara nella Breve storia della Chiesa di August Franzen: «Innocenzo III era un uomo profondamente religioso, ricco di grande pietà interiore, dedito a una severa ascesi che, nonostante il suo chiaro destino di dominatore e di imperatore, restò sempre e soprattutto un sacerdote e un pastore. Come vicarius Christi egli svolse il suo ministero operando responsabilmente dinanzi a Dio. Da lui in poi questo titolo di vicarius Christi fu assunto da tutti i papi per caratterizzare il loro altissimo ministero... Di figura piccola e leggiadra, ma cagionevole di salute, Innocenzo III seppe unire mirabilmente la sua vasta dottrina con i doni di una eccezionale forza spirituale, di un acume, di una prudenza e di una moderazione straordinari. Soprattutto però egli possedeva una concezione altamente spirituale del ministero del papato universale. Ben lontano dall’essere un fanatico ecclesiastico o un puro papa politico, egli mostrò un grande animo aperto a tutti i problemi della sua epoca, in ogni campo: culturale, politico, sociale e religioso».
Effettivamente Innocenzo dovette affrontare tanti problemi del suo mondo e del suo tempo: la questione della supremazia di Roma nella Chiesa (Giovanni XXIII nell’omelia della Festa dei Santi Pietro e Paolo del 28 giugno 1982 riporta il «geniale commento di Innocenzo III», il quale afferma il primato di Roma, quae primatum et principatum super universum speculum obtinebat et obtinet), il controllo degli Stati pontifici contro il disegno svevo di annettere all’impero l’Italia meridionale, la crisi in Germania tra i due candidati rivali Filippo di Svevia e Ottone di Brunswick (crisi risolta con la celebre lettera decretale Venerabilem del 1202), la costante lotta tra Francia e Inghilterra.
Ma più di tutto Innocenzo ebbe a cuore l’iniziativa di una crociata, la riforma della Chiesa e la lotta contro l’eresia. La quarta crociata (1202-1204) nelle intenzioni del Papa aveva l’obiettivo di riunire la Chiesa d’Occidente e la Chiesa d’Oriente: a tale scopo Innocenzo si tenne in contatto con l’imperatore d’Oriente Alessio III Angelo (1195-1203). La crociata intanto deviava il suo percorso da Gerusalemme verso Costantinopoli: il Papa era contrario. Ma, dopo la presa di Costantinopoli (12 aprile 1204), Innocenzo prese atto del fatto sperando che la fondazione di un patriarcato latino a Bisanzio favorisse la riunificazione delle due Chiese.
La sua riforma della Chiesa proseguiva l’opera di Gregorio VII: semplificazione del lavoro della curia, maggiore equilibrio fra l’amministrazione episcopale e quella papale, le cosiddette causae maiores diventavano di esclusiva pertinenza della curia di Roma, obbligo per i vescovi di visitare Roma ogni quattro anni, opportune riforme delle autorità amministrative, del monachesimo e del clero curarono il mantenimento dell’ordine... Ebbe infine un’apertura lungimirante verso i movimenti pauperistici sorti all’interno della Chiesa: Innocenzo si interessò agli umiliati della Lombardia, fondò l’associazione dei “poveri cattolici”, soprattutto accolse benignamente Francesco d’Assisi quando questi nel 1209-1210 si recò a Roma per chiedere la conferma papale alla sua prima piccola comunità di amici in Cristo («Gli ordini mendicanti diventarono presto i più forti baluardi della Chiesa», scrive Franzen).
La lotta contro l’eresia fu condotta energicamente, dichiarandola «alto tradimento contro Dio». Quando il suo legato Pietro di Castelnau dell’ordine cistercense fu assassinato dagli eretici nel 1208, egli indisse la crociata del 1209: una crociata che si concluse con massacri e devastazioni che gettano un’ombra sulla seconda metà del suo pontificato, anche se il fatto non può essere imputato direttamente al Papa, ma al fanatismo del legato pontificio Arnaldo Amalric e del conte Simone di Montfort.
La vetta del suo pontificato fu la convocazione del IV Concilio Lateranense, apertosi nel novembre del 1215 con circa 500 vescovi e 800 abati. I suoi settanta decreti includevano tra l’altro la definizione della dottrina eucaristica della transustanziazione, la condanna di tutte le eresie, il divieto di fondazione di nuovi ordini religiosi; in particolare, le disposizioni sulla confessione e la comunione pasquale ebbero durata permanente.
Morì a Perugia il 16 luglio 1216. Fu sepolto lì, ma poi Leone XIII fece trasferire i suoi resti in Laterano. Concludo con un particolare: è stato il primo Papa ad usare uno stemma personale, tradizione rinnovata fino ad oggi.


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29/03/2014 16:45
 
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ONORIO III L'abbraccio agli ordini mendicanti



di Eugenio Russomanno





Il romano Cencio Savelli - «mite e amante della pace», come lo descrive lo storico John Kelly - fu eletto papa con il nome di Onorio il 18 luglio 1216. Il fatto più importante del suo pontificato è la quinta crociata, bandita dal predecessore Innocenzo III nel IV Concilio Lateranense. Onorio si mosse come mediatore politico per organizzare una larga partecipazione alla crociata da parte delle nazioni europee. In particolare, caldeggiò l’intervento di Federico re di Germania, del quale era stato tutore: anche per questo motivo lo incoronò imperatore nella basilica di San Pietro il 22 novembre 1220.
Ma Federico sembrava sordo ai richiami del Papa: più volte il Papa lo cercò e altrettante volte il nuovo imperatore rimandò la sua partecipazione alla crociata.
In verità un altro obiettivo stava a cuore all’imperatore Federico, un obiettivo che contrastava con la politica papale e con le promesse fatte a Innocenzo III: l’unione tra il regno di Sicilia (l’Italia meridionale) e l’impero, in modo da ristabilire il potere imperiale in Italia. Ma come era già accaduto con Innocenzo III si trattava di un progetto non gradito né al Papa né alla Chiesa: «Che cosa induceva Innocenzo III (quindi anche Onorio III, ndr) ad attribuire tanta importanza alla politica dell’imperatore tedesco in Italia meridionale? Il problema non era di ordine puramente territoriale, ma riguardava la Chiesa intera e perciò aveva importanza universale. L’unione della Sicilia al regno tedesco avrebbe trasformato il Papa in un vescovo subordinato dell’impero e Innocenzo (anche Onorio, ndr) avrebbe così perduto quel potere di fronte all’impero universale che gli veniva proprio dall’essere indipendente... Innocenzo riteneva invece che il papato avrebbe potuto adempiere la sua missione universale solo se l’indipendenza e la sovranità della Chiesa gli avessero lasciato la necessaria libertà d’azione», scrive lo storico August Franzen.
Infine, anche per la sostanziale mancata partecipazione di Federico II imperatore (1220-1250), la quinta crociata (1217-1221) si concluse con un fallimento.
Onorio non si occupò solo della quinta crociata: promosse le imprese missionarie nei paesi baltici, intraprese una crociata contro i Mori in Spagna, intensificò quella iniziata da Innocenzo III contro gli albigesi, fece in modo da far pubblicare ordinanze che stabilivano pene severe per gli eretici.
Inoltre, il 22 dicembre 1216 con la bolla Religiosam vitam approvò l’ordine domenicano, il 29 dicembre 1223 con la bolla Solet annuere approvò la regola definitiva dei francescani (dopo aver riconosciuto su richiesta di san Francesco la solennità del Perdono di Assisi), il 30 gennaio 1226 con la bolla Ut vivendi normam approvò la regola dei carmelitani, promosse infine la fondazione e lo sviluppo di movimenti laici.
Abile amministratore, Onorio III collaborò attivamente alla compilazione del Liber censuum, un censimento delle istituzioni spirituali e secolari della Santa Sede e pubblicò la cosiddetta Compilatio quinta (ricordiamo la Compilatioterza di Innocenzo III), una raccolta delle sue lettere decretali che inviò a tutte le università: è considerata il primo libro ufficiale di diritto canonico.


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29/03/2014 16:48
 
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GREGORIO IX
L'amico di san Francesco e la "triste legge"

di Eugenio Russomanno

Ugo o Ugolino, nipote di Innocenzo III, figlio di un conte di Segni, nasce ad Anagni intorno al 1155 e viene eletto alla cattedra di Pietro il 19 marzo 1227 con il nome di Gregorio IX: questo monaco camaldolese, al contrario del suo mite predecessore «aveva un carattere autoritario, inflessibile, eccezionalmente energico, ma insieme profondamente religioso», come riporta lo storico John Kelly. Usò la sua autorità - Gregorio IX continua la posizione teocratica di Innocenzo III - contro le pretese egemoniche, pericolose per la libertas Ecclesiae, dell’imperatore Federico II (1220-1250). Usò la sua religiosità mantenendo frequenti contatti amichevoli con i movimenti spirituali contemporanei (fu molto amico di san Domenico e soprattutto di san Francesco): conobbe direttamente alcuni dei santi da lui stesso canonizzati; a Gregorio IX si devono i processi di canonizzazione di Francesco d’Assisi (1228), di Antonio di Padova (1232), di Domenico di Guzman (1234), di Elisabetta d’Ungheria (1235).
Nel 1140 il monaco camaldolese Graziano, magister a Bologna, aveva raccolto le norme di diritto canonico della Chiesa: la sua opera costituì il nucleo fondamentale del Corpus Juris Canonici, che fino al 1918 rimase testo fondamentale del diritto canonico. Nel Medioevo Gregorio avrebbe aggiunto una sua raccolta, il Liber extra decretum (1234), prima raccolta completa e autorevole delle decretali papali, compilata dal canonista spagnolo Raimondo da Penafort e divenuta fonte principale del diritto canonico fino a Pio X e Benedetto XV.
Occorre aprire una parentesi importante: quella relativa alla triste storia dell’Inquisizione. Essa fu organizzata in verità sotto Innocenzo III: la repressione degli eretici e l’inquisizione (dal latino inquisitio, inchiesta), vale a dire l’istituzione ecclesiastica incaricata di ricercare (inquirere) e punire gli eretici nasce sotto Innocenzo III, ma forse la prima effettiva legge inquisitoriale la abbiamo proprio sotto il pontificato di Gregorio. Infatti nel 1224 era stata promulgata, da parte di Gregorio IX e dell’imperatore Federico II, una legge inquisitoriale per la Lombardia. «Ebbe così inizio uno dei più tristi capitoli della storia della Chiesa. Non furono posti limiti alle pratiche inumane dei brutali giustizieri. Molto sangue innocente fu versato e quest’eccesso di atrocità e di sofferenze ricadde sull’umanità. Quando poi questa tremenda istituzione fu posta anche al servizio della folle credenza nella stregoneria, si toccò veramente il livello più basso. Ciechi fanatici, che credevano di agire in nome di Gesù, del Signore misericordioso del discorso della montagna e della buona notizia della redenzione, causarono a una povera umanità un’infinita somma di sofferenze. Che fatti orribili come questi siano stati possibili possiamo constatarlo con profonda vergogna, ma ci è del tutto impossibile tentare di comprenderlo», scrive lo storico August Franzen.
Ma buona parte del pontificato di Gregorio IX fu occupata dallo scontro con l’imperatore Federico II: nella grande lotta tra regnum e sacerdotium, tra l’imperatore Federico II e papa Gregorio IX con i successivi pontefici, il problema fondamentale era quello di decidere a quale delle due potenze spettasse la supremazia. Il 29 settembre 1227 Gregorio scomunicò Federico perché il giovane imperatore aveva ripreso la tradizionale politica sveva in Sicilia con l’intenzione di occupare l’Italia meridionale: il fatto costituiva un grave pericolo per la libertas Ecclesiae. Dal 1227 al 1230 i rapporti tra Stato e Chiesa furono determinati da una continua tensione, fino a quando si giunse finalmente a una riconciliazione con il trattato di San Germano del 1230. Federico s’impegnava a non violare il patrimonio di San Pietro e Gregorio ritirò la sentenza di scomunica.
Ma nel 1238 il conflitto tra Papa e imperatore divampò di nuovo: divenne evidente al Papa che l’imperatore era totalmente orientato alla sovranità sull’intera Italia, non escludendo neppure Roma, profilandosi il pericolo di un accerchiamento dello Stato pontificio. Gregorio rinnovò la sua scomunica (1239). Lo scontro si fece violento: l’imperatore veniva identificato con l’Anticristo dalla curia romana mentre il Papa fu considerato da Federico II come il traditore di Cristo, la rovina della Chiesa. Mentre l’imperatore invadeva lo stato pontificio accerchiando Roma, il Papa convocava un concilio universale. Esso non ebbe luogo perché l’anziano pontefice, quasi centenario, morì il 22 agosto 1241.


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29/03/2014 16:49
 
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CELESTINO V
Un eremita a Roma

di Eugenio Russomanno

Dopo ben ventisette mesi di trono papale vacante, il 5 luglio 1294 il conclave si riunì di nuovo: il cardinale Latino Malabranca disse che un pio eremita aveva profetizzato il castigo divino se i cardinali non avessero subito eletto il pontefice, rivelando che il pio eremita era il celebre Pietro da Morrone. I cardinali votarono e votarono proprio Pietro da Morrone.
Costui aveva allora ottantacinque anni: era nato nel 1209 o nel 1210 nella contea del Molise, undicesimo figlio di due semplici contadini chiamati Angelerio e Maria. Ben presto il giovane Pietro decise di dedicarsi alla vita eremitica: ordinato sacerdote a Roma, visse per diversi anni in una grotta sul monte Morrone, vicino Sulmona, e poi sulle alture della Maiella. Ma questo eremita aveva una personalità affascinante: molti decisero di seguirlo, formando il primo nucleo di una nuova congregazione, gli Eremiti di San Damiano, i cosiddetti Celestini. I religiosi di Pietro da Morrone moltiplicarono i monasteri e incorporarono abbazie in decadenza. Nel 1284 sotto la direzione di Pietro si contavano 36 monasteri popolati da circa 600 monaci. Tenne sulla Maiella il primo capitolo generale dei suoi frati, che riconosceva come legge la Regola di san Benedetto. La sua fama di asceta, di guaritore miracoloso e di riformatore monastico varcò i confini degli Abruzzi.
«Vari fattori contribuirono alla sorprendente scelta dei cardinali: la stanchezza per la situazione di stasi in cui si trovavano, la speranza che una mossa audace potesse rinnovare il papato, il sogno duecentesco di un “papa angelico” che avrebbe inaugurato l’era dello Spirito», scrive lo storico John Kelly.
Una commissione di prelati e notai fu mandata sulle montagne della Maiella per chiedere al Morrone se voleva accettare. I legati trovarono in una spelonca un vecchio di oltre ottanta anni, pallido, emaciato dai digiuni, vestito di ruvido panno e calzato di pelli d’asino. Egli accettò con estrema riluttanza: a cavallo di un asino, fu scortato da Carlo II e da suo figlio Carlo Martello all’Aquila, dove il 29 agosto fu consacrato con il nome di Celestino V nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio. Per questo, ogni anno il 28 e 29 agosto all’Aquila si rinnova il rito solenne della Perdonanza Celestiniana, l’indulgenza plenaria perpetua che Celestino V, la sera stessa della sua incoronazione a pontefice, concesse a tutti i fedeli di Cristo: quanti confessati e sinceramente pentiti, dai vespri del 28 agosto fino ai vespri del 29 agosto, festa di San Giovanni Battista, avessero visitato devotamente la basilica di Collemaggio, avrebbero ricevuto contemporaneamente la remissione dei peccati e l’assoluzione della pena (alla Perdonanza è stato anche intitolato un Premio internazionale, assegnato nella prima edizione a Giovanni Paolo II). 
Succube di Carlo II, ingenuo e incompetente, così privo di cultura che nel concistoro bisognava usare l’italiano invece del latino, Celestino V fece precipitare nella confusione l’amministrazione ordinaria della Chiesa. Ben presto si dileguarono le speranze riposte in lui, ignaro di latino, digiuno di scienze teologiche e giuridiche, privo di esperienza politica e diplomatica, impigliato ogni giorno di più nelle reti che ambiziosi prìncipi e astuti legulei gli tendevano. 
La sua è stata definita dal Muratori come «una pericolosa semplicità». La letteratura italiana si è interessata a papa Celestino V: Jacopone da Todi con una nota lauda e forse anche Dante Alighieri quando, nel III canto dell’Inferno, scrive: «Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto / vidi e conobbi l’ombra di colui / che fece per viltade il gran rifiuto».
Pietro consultò il cardinale Benedetto Caetani (il futuro Bonifacio VIII) sulla possibilità di una rinuncia volontaria alla Cattedra di Pietro. Dopo la rassicurazione del cardinale Caetani, Celestino fece redigere un’esposizione dei motivi della sua abdicazione: il 13 dicembre 1294 davanti all’intero concistoro lesse la formula di rinuncia: «Ego Caelestinus Papa Quintus motus ex legittimis causis, idest causa humilitatis, et melioris vitae, et coscientiae illesae, debilitate corporis, defectu scientiae, et malignitate Plebis, infirmitate personae, et ut praeteritae consolationis possim reparare quietem; sponte, ac libere cedo Papatui, et expresse renuncio loco, et Dignitati, oneri, et honori, et do plenam, et liberam ex nunc sacro caetui Cardinalium facultatem eligendi, et providendi duntaxat Canonice universali Ecclesiae de Pastore». 
Quindi depose le insegne papali e ritornò ad essere “il monaco Pietro”: «L’abdicazione non fu né una viltà né un atto di eroismo; fu il semplice compimento dello stretto dovere che incombe a chiunque ha assunto un ufficio sproporzionato alle proprie forze. Il dovere morale di restare al suo posto non poteva obbligare perché in contrasto con l’interesse più imperioso del bene comune» (Casti).
Morì il 19 maggio 1296. Il suo corpo riposa nella basilica di Santa Maria di Collemaggio. Santo, la sua festa si celebra il 19 maggio.


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31/03/2014 16:50
 
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BONIFACIO VIII La spada e il fiordaliso



di Eugenio Russomanno





Benedetto Caetani, nato intorno al 1235 ad Anagni, fu eletto papa con il nome di Bonifacio VIII il 24 dicembre 1294.
Una volta eletto revocò la maggior parte dei privilegi incautamente concessi da Celestino, destituì i funzionari curiali imposti dal re angioino Carlo II e trasferì la sua corte da Napoli a Roma. Il raggio d’azione di questo Papa è il mondo intero: egli aveva una concezione del pontefice come arbitro universale. Però il tentativo di Bonifacio di rivendicare al papato la suprema guida del mondo apparve, in un contesto politico interamente mutato, un anacronismo. In particolare, è da ricordare il suo rapporto difficile con Filippo IV di Francia. «Quando Bonifacio volle far valere di fronte a Filippo IV il Bello, re di Francia, che seguiva un proprio disegno di dominio mondiale, la supremazia spirituale e politica e affermò nella bolla Unam Sanctam (1302) che l’obbedienza al Papa era assolutamente necessaria alla salvezza, richiamandosi in questo alla “teoria delle due spade”..., si giunse a una lotta aperta che ebbe gravissime conseguenze», scrive lo storico August Franzen.
Pubblicando la bolla Unam Sanctam, Bonifacio esponeva una concezione assolutistica, niente affatto nuova rispetto ad alcuni suoi predecessori, della supremazia del potere spirituale su quello temporale. Nella sua formula conclusiva affermava che ogni creatura doveva essere sottomessa, per la propria salvezza, al Pontefice romano. Nascevano così le premesse per il celebre episodio passato alla storia come lo “schiaffo di Anagni”. Bonifacio si trovava ad Anagni, città papale, e lì preparava la bolla Super Petri solio con cui scomunicava Filippo. Filippo, per tutta risposta, inviò in quella città (7 settembre 1303) il suo consigliere Guglielmo di Nogaret, Sciarra, capo della famiglia Colonna avversa al papa, con una banda di mercenari: preso d’assalto il palazzo papale fu imposta a Bonifacio la revoca della scomunica e l’abdicazione. Di fronte al rifiuto del Papa, questi fu fatto prigioniero e rinchiuso nel castello papale di Anagni, con l’intenzione di portarlo in Francia per farlo giudicare da un concilio. In questo contesto ci fu lo schiaffo di Anagni: si trattò in vero non tanto di uno schiaffo materialmente dato, quanto di uno schiaffo morale, di un oltraggio fatto alla figura del Vicario di Cristo. Improvvisamente la città insorse: Bonifacio fu liberato e i suoi assalitori vennero espulsi. L’episodio viene ricordato da Dante, che pure avversava la politica ecclesiastica di Bonifacio VIII, come un’offesa rivolta a Cristo stesso: 

Perché men paia il mal futuro e ‘l fatto,
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
e nel vicario suo Cristo esser catto. 

Veggiolo un’altra volta esser deriso; 
veggio rinovellar l’aceto e ‘l fiele,
e tra vivi ladroni esser anciso.


(Purgatorio XX, 85-90)

Con Bonifacio VIII, pertanto, ebbe definitivamente termine la supremazia universale di cui il papato aveva goduto nel Medioevo. Bonifacio morì in Vaticano il 12 ottobre 1303.
È stato anche il Papa del primo Anno Santo: proclamò il 1300 anno giubilare con indulgenza plenaria per i pellegrini che avessero visitato le tombe degli apostoli. Come fa notare lo storico John Kelly, se in politica ebbe scarso successo, Bonifacio diede un contributo notevole nel campo del diritto pubblicando nel 1298 il Liber sextus, come seguito dei cinque volumi del Liber extra (1234) di Gregorio IX; tale volume costituiva la terza parte del Corpus Juris Canonici - fino al 1918 rimase il testo fondamentale del diritto canonico - e testimonia il notevole acume giuridico di Bonifacio. Inoltre riordinò il sistema amministrativo curiale, fece compilare un catalogo della biblioteca papale e riorganizzò gli archivi vaticani. Con la bolla Super cathedram (1301) limitò notevolmente i diritti concessi dai predecessori agli ordini mendicanti, attenuando così gli attriti con il clero secolare. Protettore della cultura, fondò a Roma nel 1303 una università e si occupò anche di artisti come Giotto e Arnolfo di Cambio. Ma il giudizio vero «per cogliere l’aspetto più caratteristico dell’opera di questo Pontefice» lo ha espresso Paolo VI il 1° settembre 1966, nella sosta ad Anagni “Città Papale”: «La lezione di Bonifacio VIII è il senso dell’appartenenza alla Chiesa... Dio non ci ha lasciato camminare come pecore senza guida, ma ha incaricato qualcuno di organizzare il suo Corpo Mistico».


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31/03/2014 16:51
 
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CLEMENTE V Una nuova dimora ad Avignone



di Eugenio Russomanno





Il 5 giugno 1305, dopo undici mesi di discussioni e manovre, il Collegio cardinalizio elesse al soglio pontificio Bertrando de Got, arcivescovo di Bordeaux. La caratteristica principale del papato di Bertrando, eletto con il nome di Clemente V, fu la sua eccessiva sudditanza nei confronti del re Filippo IV di Francia (1285-1314). Una sudditanza testimoniata dai due fatti per i quali il pontificato di Clemente V è passato alla storia: il trasferimento della sede papale ad Avignone (1309) e la soppressione dell’Ordine dei Cavalieri Templari (1312).
Il re francese teneva costantemente sotto controllo il Papa: ad esempio, quando questi nominò dieci cardinali nel dicembre del 1305, nove di essi, tra cui quattro nipoti, erano francesi; ulteriori nomine nel 1310 e nel 1312 rafforzarono il potere francese sul Sacro Collegio.
Riguardo ad Avignone, in verità Clemente V era seriamente intenzionato a trasferirsi a Roma, ma alla fine cedette alle pressioni di Filippo e nel marzo del 1309 si stabilì con la curia ad Avignone, inaugurando i 70 anni di “cattività avignonese” del papato. Ma occorre precisare che Avignone non apparteneva alla corona di Francia ma a un vassallo papale, il re angioino di Napoli; inoltre, nelle reali intenzioni del Papa la sua residenza in quella città aveva un carattere provvisorio.
La condizione di dipendenza di Clemente divenne “penosamente” evidente quando Filippo si servì di lui per vendicarsi di Bonifacio VIII: il re fece continuamente pressione perché Clemente condannasse il Papa defunto. Scrive lo storico John Kelly: «Il prezzo che Clemente dovette pagare fu umiliante: la riabilitazione dei cardinali Colonna e il pieno risarcimento della loro famiglia, l’annullamento di tutti gli atti di Bonifacio nocivi agli interessi della Francia, l’assoluzione di Guglielmo di Nogaret, ministro del re che aveva guidato l’assalto a Bonifacio ad Anagni, l’emanazione della bolla Rex Gloriae che lodava Filippo per lo zelo manifestato nell’azione svolta contro il Papa defunto e la canonizzazione di Celestino V».
Ugualmente umiliante fu la collaborazione di papa Clemente con il re francese nella soppressione dell’Ordine dei Cavalieri Templari. Questi, tornati dalla Terra Santa, erano divenuti grandi banchieri e proprietari di enormi ricchezze: Filippo molto probabilmente e molto semplicemente desiderava entrarne in possesso, e il 13 ottobre 1307 fece arrestare tutti i templari di Francia. La volontà di Clemente cedette di nuovo, anche a motivo di varie minacce: durante il Concilio Universale - considerato il XV - di Vienne (dall’ottobre 1311 al maggio 1312), il 22 marzo 1312 il Papa si decise a sciogliere l’Ordine dei Templari con l’ordinanza Vox clamantis. Clemente stabilì che le proprietà francesi dei Templari fossero assegnate agli Ospitalieri (i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme), ma praticamente ne fece bottino Filippo.
Nel 1313 Clemente V pubblicò la celebre bolla Pastoralis cura in cui, superando persino le idee teocratiche di Bonifacio VIII, affermava con forza la superiorità del papato sull’impero. Cercò di comporre l’antica disputa tra i francescani e gli spirituali sulla natura della povertà evangelica con un equilibrato giudizio nella bolla Exivi de Paradiso. Esperto giurista, promulgò nel 1314 la raccolta delle decretali sue e dei suoi predecessori conosciuta comeClementine. Morì il 20 aprile 1314.


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31/03/2014 16:52
 
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MARTINO V
La «felicità del suo tempo»

di Eugenio Russomanno

L’epigrafe della tomba di papa Martino V testimonia che questo Papa fu «la felicità dei suoi tempi». Forse occorre una premessa storica, per comprendere la portata del pontificato di Martino V: Oddone Colonna, nato a Gennazzano nel 1368, eletto il giorno 11 novembre 1417, morto a Roma il 20 febbraio 1431 e sepolto in Laterano.
Mi riferisco al cosiddetto Scisma d’Occidente (1378-1417) e al successivo Concilio di Costanza (1414-1418). Lo scisma scoppiò dopo la morte di Gregorio XI (1370-1378). Questi, turbato dalle gravi minacce profetiche di Caterina da Siena e di Brigida di Svezia e spinto anche dalle condizioni caotiche in cui versava lo stato pontificio, aveva fatto ritorno a Roma, nel 1377. Ora, per una serie di complesse circostanze storiche, in Occidente si ebbero contemporaneamente e tragicamente due papi: Urbano VI e Clemente VII. La Chiesa si trovò ad avere contemporaneamente due papi! Il turbamento provocato dalla duplice elezione fu tanto grande e generale che già i contemporanei manifestarono di fronte a questo evento singolare profondo smarrimento. Perfino grandi figure di santi si schierarono a favore dell’uno o dell’altro pontefice. Ad esempio, Caterina da Siena parteggiava per Urbano VI e Vincenzo Ferreri per Clemente VII. Lo scisma durò quaranta anni, dal 1378 al 1417. Tanto Urbano VI quanto Clemente VII istituirono le loro rispettive curie ed ebbero, alla loro morte, i rispettivi successori. Scrive lo storico August Franzen: «Le conseguenze dello scisma furono terribili. L’intera cristianità si divise in due campi ostili, in due obbedienze l’una contro l’altra armata e, poiché ogni pontefice scomunicò i seguaci del suo avversario e nessuno fu escluso da questa condanna, tutta la cristianità si trovò di fatto scomunicata. Lo scisma si allargò a tutti i paesi, divise diocesi e parrocchie, originò discordie e lotte… con gravissime conseguenze per la Chiesa, che in quel tempo dovette sopportare una delle crisi di governo più difficili della sua intera esistenza storica». In seguito al concilio di Pisa del 25 marzo 1409 si ebbero addirittura e disgraziatamente ben tre papi contemporaneamente!
L’università di Parigi, nel 1394, indicò tre vie per superare lo scisma. La via cessionis (volontaria abdicazione), la via compromissi (sottomissione dei papi a un tribunale arbitrale) e la via concilii (decisione affidata a un concilio ecumenico).
Si fece strada la terza via e nacque così il cosiddetto “conciliarismo”. Il concilio di Costanza (1414-1418) avrebbe finalmente risolto la questione della successione alla cattedra di Pietro in quel momento storico ed è per questo definito “il concilio dell’unità”: esso fu convocato per porre fine al grande scisma e per riformare la chiesa, deponendo i tre papi di allora (Giovanni XXIII, Benedetto XIII e Gregorio XII).
Si doveva trovare un uomo che fosse gradito a tutti i membri del concilio e potesse ottenere un riconoscimento generale. Questa volta le cose andarono bene. «Che l’accordo fosse raggiunto nel conclave solo tre giorni dopo, in una disposizione d’animo di altissima religiosità, mentre all’esterno si svolgeva la processione, apparve già ai contemporanei come un miracolo dello Spirito Santo. L’11 novembre 1417 fu eletto papa il cardinale Oddone Colonna, che scelse il nome del santo del giorno e perciò si chiamò Martino V. La sua elezione fu salutata con gioia indescrivibile, non solo dal concilio, ma da tutto l’Occidente. Lo scisma, protrattosi per ben quarant’anni, era ormai terminato e si era finalmente ricostituita l’unità del corpo di Cristo. La Chiesa aveva di nuovo il suo capo supremo: un Papa riconosciuto da tutti e legittimamente eletto», scrive Franzen: Martino V, «la felicità dei suoi tempi».
Il 22 aprile 1418 chiuse il concilio di Costanza e intraprese il lungo viaggio che avrebbe riportato a Roma la sede papale: il 28 settembre 1420 entrò in Roma. Immediatamente dopo la sua elezione si dedicò alla riorganizzazione dello Stato pontificio: ristabilì il prestigio e l’autorità papale, riassestò le finanze dello stato pontificio e intraprese un vasto programma di ricostruzione delle chiese e degli edifici pubblici caduti in rovina, avvalendosi anche dell’opera di eminenti artisti. Martino aumentò il prestigio del papato in Europa inviando numerose ambasciate in missioni di pace, soprattutto in Inghilterra e in Francia, ancora impegnate nella guerra dei cento anni (1337-1453). Mantenne buoni rapporti anche con Costantinopoli. Papa Martino dimostrò una insolita moderazione nei confronti degli ebrei, condannando la predicazione violenta contro di loro e proibendo il battesimo forzato dei bambini ebrei. Nel 1427 ricevette il riformatore francescano Bernardino da Siena (1380-1444) e approvò il culto del Santissimo Nome di Gesù da lui propagato.


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01/04/2014 19:08
 
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PIO II
E un poeta laureato diventò Papa

Enea Silvio Piccolomini nacque il 18 ottobre 1405 a Corsignano, che poi da lui sarebbe stato chiamato Pienza, presso Siena. Il giovane Enea trascorse la fanciullezza facendo il contadino, poi per otto anni si dedicò allo studio della cultura umanistica diventando uno dei più celebri umanisti del tempo. Fino all’età di 40 anni condusse una vita dissoluta, simile a quella di altri umanisti del suo tempo.
Quando il re Federico III di Germania (1440-1493) ebbe modo di conoscerlo e di ammirare il suo singolare talento letterario, lo incoronò poeta laureatus e lo invitò a passare al suo servizio. Enea accettò e divenne intimo amico del cancelliere del re, Gaspare Schlick. Una grave malattia e una profonda conversione lo fecero avvicinare in modo vero alla Chiesa: il 4 marzo 1446 fu ordinato presbitero, nel 1447 fu nominato vescovo prima di Trieste e poi di Siena, nel 1456 ascese al cardinalato; a questo periodo appartiene la sua importante Historia rerum Friderici III imperatoris.
Fu eletto Papa il 19 agosto 1458 e scelse il nome di Pio ricordando il pius Aeneas di Virgilio.
Il nuovo Papa fece dell’organizzazione di una crociata il suo obiettivo predominante: aveva esortato per anni alla resistenza contro l’avanzata turca in Europa. Convocò un congresso di sovrani cristiani a Mantova il 1° giugno 1459. Ma quando il congresso, dopo molti ritardi, infine si riunì, le proposte del Papa per la raccolta di truppe e denaro incontrarono subito molte opposizioni. La desiderata crociata non ebbe luogo.
Pio II ravvisò un declino dell’influenza papale in Europa, dovuto soprattutto a suo avviso all’aumentato prestigio dei concili: egli allora pubblicò la bolla Execrabilis (18 gennaio 1460) in cui condannava la possibilità di ogni appello contro il Papa a un qualunque futuro concilio. Nell’anno successivo canonizzò santa Caterina da Siena.
Scrive lo storico John Kelly: «Tutte queste difficoltà, come pure gli inderogabili impegni connessi alla crociata, impedirono a Pio - consapevole più di ogni altro del malcontento diffuso in tutta l’Europa contro la curia - di portare a termine il programma di riforma sia generale che della curia, al quale si era dedicato fin dal primo momento del suo pontificato... La crociata era sempre al centro della sua attenzione e negli anni 1460-1461, abbandonato dai principi europei, egli preparò la sua straordinaria Lettera al sultano Maometto II: questa conteneva una dettagliata confutazione del Corano, una esposizione della fede cristiana e infine un appello a Maometto perché abbandonasse la fede islamica, si facesse battezzare e accettasse la corona dell’impero d’Oriente. La lettera non ottenne alcun risultato, ma è utile per far luce sul mondo interiore e sulle aspirazioni idealistiche del Papa».
In fondo, Pio II aveva cercato di intraprendere un’opera energica di riforma: per volontà sua, Niccolò Cusano presentò un ampio programma per una riforma generale dell’intera Chiesa e Pio II aveva già progettato la bolla d’attuazione. Ma gli fu rinfacciato il suo passato. Per tutta risposta, Pio II nella sua Bolla di ritrattazione (1463) riconobbe onestamente i suoi precedenti errori e pregò: «Aeneam rejicite, Pium recipite».
Morì ad Ancona il 15 agosto 1464. Le sue brillanti doti, l’esperienza straordinaria e il suo talento letterario lo rendono uno tra i Papi più notevoli del Rinascimento. La sua conversione morale fu profonda e duratura, la sua concezione di un’Europa cristiana unita fu del tutto originale e fonte di rinnovamento.


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01/04/2014 19:09
 
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SISTO IV
L'uomo che ha aperto una nuova era

Francesco della Rovere nacque il 21 luglio 1414 a Celle, presso Savona; fu educato dai francescani ed entrò presto nel loro Ordine fino a diventarne Generale il 19 maggio 1464. Fu promosso Cardinale il 18 settembre 1467, fu eletto Papa il 9 agosto 1471 con il nome di Sisto IV e morì a Roma il 12 agosto 1484.
Colmò il suo Ordine di privilegi, con la bolla Mare Magnum del 1476, e canonizzò nel 1482 il grande teologo francescano Bonaventura da Bagnoregio. Con Sisto IV si riaprì la triste piaga del nepotismo, già presente nella storia del papato medievale. Addirittura, secondo lo storico John Kelly, «inaugurò una serie di pontefici che secolarizzarono sistematicamente il papato». 
Poco dopo l’elezione, per esempio, non tenendo in alcun conto il giuramento elettorale, creò cardinali due suoi nipoti: Giuliano della Rovere, che più tardi sarebbe diventato papa Giulio II, e il francescano Pietro Riario. Molti altri parenti furono arricchiti e promossi in misura mai conosciuta fino a quel momento: la maggior parte dei trentaquattro cardinali da lui nominati - sei dei quali scelti tra i suoi nipoti - erano persone di poco valore. E da questi parenti Sisto IV fu pure coinvolto in pericolosi intrighi politici (la congiura dei Pazzi contro la famiglia Medici nel 1478, le guerre con Firenze, Napoli e Venezia).
Anche se ha lasciato al suo successore un enorme deficit, osserva Kelly: «Uno dei lati più positivi del suo pontificato fu la munificenza con cui fondò e ripristinò utili istituzioni e protesse le lettere e le arti. Trasformò Roma da città medioevale in città rinascimentale, aprendo nuove strade e allargando e pavimentando quelle vecchie, costruendo il ponte Sisto, erigendo chiese (come Santa Maria del Popolo, dove fu sepolta la sua famiglia, Santa Maria della Pace, la Cappella Sistina) e restaurando l’ospedale di Santo Spirito. Chiamò a Roma i più grandi pittori e scultori, dette impulso alla musica ecclesiastica fondando anche il coro della Cappella Sistina, istituì l’Archivio Vaticano e fu il secondo fondatore della Biblioteca Vaticana. La sua tomba nelle grotte vaticane è un capolavoro in bronzo di Antonio del Pollaiolo».
Sisto IV fu uomo di carattere schietto, di personale bontà e religiosità, noto per la sua viva devozione mariana. Celebrò l’anno santo del 1475 e sostenne il culto della Vergine. Il suo ricordo è particolarmente legato all’intuizione che ebbe della svolta culturale del suo tempo. Per questo promosse gli studi, protesse umanisti, scienziati, artisti. Donò al popolo di Roma il primo nucleo delle opere d’arte che dettero inizio ai Musei capitolini. Fu inoltre uomo di carità e di imprese sociali. Costruì il ponte Sisto e trasformò il piano regolatore di Roma, dandole un volto più moderno, da città medievale a città rinascimentale. 
Come ha scritto Giovanni Paolo II: «È da apprezzare l’intuizione che Sisto IV ebbe del rivolgimento culturale della sua epoca. Egli si accorse che una nuova era si affacciava sull’orizzonte culturale europeo e comprese che l’umanesimo avrebbe interpellato profondamente la Chiesa. Perciò fu lungimirante nell’impegnare mezzi e persone affinché la sede romana fosse singolarmente aperta agli studiosi, agli storici, ai letterati, agli artisti, riconoscendo che attraverso questa via si sarebbe potuto instaurare un dialogo con un mondo profondamente rinnovato. Perciò il pontificato di Sisto IV si può considerare un momento significativo del disegno divino che guida la Chiesa nel compimento della sua missione».


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01/04/2014 19:17
 
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ALESSANDRO VI
L'Anno Santo di un peccatore

Rodrigo de Borja y Borja (in italiano Borgia) nasce nel 1431 in una località presso Valencia. Occupò molte cariche ecclesiastiche fino a quando, nel 1457, divenne cancelliere della Santa Sede, carica redditizia che continuò a occupare sotto i successivi quattro papi.
Conduceva intanto una vita apertamente licenziosa. Nel conclave di agosto del 1492 fu eletto Papa, ricorrendo anche a mezzi non propriamente leciti (era riuscito ad attirare alla sua causa numerosi cardinali con la corruzione e promesse di ricche promozioni).
«Esperto amministratore, Alessandro iniziò il pontificato in modo promettente ristabilendo l’ordine in Roma, attuando la giustizia con fermezza, assicurando inoltre la riforma della curia in un serio tentativo di unificare tutte le forze per combattere il pericolo turco. Ma presto divenne evidente che non solo era dominato dalla brama di ricchezze e dalla depravazione morale, ma che la sua maggiore passione era l’arricchimento dei suoi parenti», scrive lo storico John Kelly.
Nel 1495 iniziò una lunga controversia con il predicatore e riformatore Girolamo Savonarola (1452-1498): dopo averlo scomunicato, il Papa lo fece interrogare sotto tortura e giustiziare, nel maggio del 1498. Lo scontro fra Alessandro VI e Girolamo Savonarola è sommamente indicativo per dimostrare l’esistenza di due condizioni di vita religiosa assolutamente diverse e, al tempo stesso, rivela che la “santa Chiesa” poteva aspirare a essere veramente tale anche quando la Santa Sede era occupata da un Papa tutt’altro che santo. 
Nonostante la dissolutezza personale, Alessandro celebrò l’Anno Santo del 1500 con solennità. Ebbe un discreto interesse per le necessità della Chiesa - si occupò della riforma dei monasteri, degli ordini religiosi e delle missioni nel Nuovo Mondo - e un genuino amore per l’arte: restaurò Castel Sant’Angelo, abbellì il Vaticano facendo decorare dal Pinturicchio gli appartamenti dei Borgia e convinse Michelangelo a disegnare i progetti per la ricostruzione di San Pietro. Morì a Roma nel 1503.


Fermo restando che il giudizio finale su qualsiasi uomo, spetta unicamente al Signore, ad un papa di questo genere,  potrebbe essere applicato quello che dice il Signore stesso in forma profetica:

Luca 12,42 Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo?
43 Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro.
44 In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
45 Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi,
46 il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli.


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05/04/2014 19:02
 
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GIULIO II
L'abbraccio agli artisti

Giuliano della Rovere nasce il 5 dicembre 1443 a Albissola presso Savona, da una povera famiglia. Per interessamento dello zio Francesco (il futuro papa Sisto IV) fu educato dai francescani di Perugia diventando poi anche lui frate francescano. Fu eletto Papa con il nome di Giulio II il 1° novembre 1503: scelto all’unanimità in un conclave durato un giorno.
Come osserva lo storico John Kelly, Giulio II, uomo energico, deciso e fiero, non cedette alla tentazione di arricchire la propria famiglia e lottò - spesso egli stesso al comando delle truppe armato di tutto punto - per creare un papato forte e indipendente in una Italia libera dalla dominazione straniera. Il suo pontificato fu dominato da imprese politiche e belliche. Erasmo derise il suo ardore militare nell’Elogio della follia (1509) e lo storico fiorentino Guicciardini osservò che non vi era nulla di sacerdotale in lui eccetto l’abito e il nome. 
Il 3 maggio 1512 aprì il V Concilio Lateranense (XVIII concilio universale, 1512-1517) e nelle cinque sessioni tenute prima della sua morte si occupò soprattutto di condannare il concilio scismatico di Pisa (1511-1512) e la Prammatica Sanzione di Bourges.
Il più grande merito di Giulio II fu quello di aver protetto e incoraggiato grandi artisti, in particolare Michelangelo, Raffaello e Bramante. Bramante ideò per lui la nuova costruzione di San Pietro (1506), Michelangelo dipinse la volta della Cappella Sistina, Raffaello gli affreschi nelle stanze vaticane. La sua epoca segnò evidentemente il culmine dell’arte rinascimentale.
Morì in Vaticano il 21 febbraio 1513 e fu pianto come colui che aveva liberato l’Italia dalla dominazione straniera: è stato considerato tra i promotori della sua unificazione.
Riporto alcuni brani della bella omelia che il cardinale Angelo Sodano ha pronunciato durante la concelebrazione eucaristica in occasione delle celebrazioni per il quinto centenario dell’elezione di papa Giulio II, il 30 novembre 2003 nella cattedrale della Madonna Assunta in Savona: «Per me poi, vivendo in Vaticano, la figura di Giulio II è divenuta familiare. In molti luoghi mi è dato di imbattermi nello stemma dei Della Rovere, e non termino mai di ammirare la magnanimità e la genialità di questo figlio della vostra terra. Qualcuno ha scritto che, giungendo al Pontificato, egli volle assumere il nome di Giulio, per la grande ammirazione che nutriva verso l’Imperatore Giulio Cesare. Qualsiasi sia il fondamento di tale interpretazione, è certo che egli amava pensare in grande e voleva che la Chiesa di Roma risplendesse di fronte al mondo, anche per la sua bellezza esteriore. 
Come si fa, in realtà, a non pensare a lui, contemplando la grandiosità dell’attuale Basilica di San Pietro, da lui voluta? Come si fa a dimenticare l’istituzione nel 1506 della Guardia Svizzera, con la sua caratteristica divisa che ancor oggi ammiriamo? ...Certo, Giulio II fu una delle figure più tipiche del Rinascimento italiano ed i suoi dieci anni di Pontificato furono pieni di grandi iniziative, anche a difesa del territorio. Il grido “Fuori i barbari”, che gli viene attribuito, forse non fu mai da lui pronunciato, ma certo corrisponde al suo impegno di difesa della penisola da intromissioni straniere. Giulio II si sentiva anche un sovrano temporale chiamato a difendere il suo popolo. Non per nulla volle che nel suo sepolcro funebre fosse scolpito il celebre Mosè, l’immagine del grande condottiero del popolo eletto. Certo, i metodi di governo di allora oggi sono di difficile comprensione. Non per nulla dopo di lui sorsero dei pontefici che iniziarono a sottolineare maggiormente la missione spirituale del Papa... Pur con questi limiti, Giulio II si rivelò una personalità eccezionale nel panorama geopolitico del suo tempo. Né va dimenticata la sua visione mondiale dei problemi della Chiesa. In America Latina lo si ricorda con gratitudine come il Papa che si preoccupò dell’evangelizzazione di quelle terre, scoperte pochi anni prima da Cristoforo Colombo. Basti pensare all’erezione della prima diocesi in America Latina a Santo Domingo, con una Bolla firmata da Giulio II nel 1511: è stata la prima diocesi del Nuovo Mondo. 
Per la riforma interna della Chiesa, Giulio II volle poi convocare nel 1512 un Concilio Ecumenico, il Concilio Lateranense V. Fu, quindi, pur con la visione propria del tempo, un Papa che cercò di servire la Chiesa e di sacrificarsi per essa, fino a quando, all’età di 72 anni, il Signore venne a chiamarlo a sé. Sul letto di morte, si dice che abbia pronunciato queste parole: “Quando sarò davanti a Nostro Signore, metterò sul piatto della bilancia gli affreschi della Cappella Sistina per compensare i miei peccati”. Penso però che sul piatto della bilancia, egli abbia potuto mettere molte altre iniziative apostoliche e soprattutto il suo grande amore alla Santa Chiesa di Cristo».


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05/04/2014 19:03
 
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LEONE X
La spaccatura di Lutero

Il conclave del marzo 1513 elesse rapidamente il giovane cardinale Giovanni dei Medici, secondo figlio di Lorenzo il Magnifico, nato a Firenze il giorno 11 dicembre 1475.
Il contenuto e la sostanza del pontificato di Leone X, vero principe rinascimentale, consisteva nella sua natura politica: si trattava di mantenere l’Italia e Roma libere dalla dominazione straniera e di estendere il potere della famiglia dei Medici oltre Firenze.
Uno dei fatti principali del pontificato fu certamente l’abolizione della Prammatica Sanzione di Bourges: emanata il 7 luglio 1438 dal re di Francia Carlo VII, stabiliva una convocazione periodica dei concili (ogni 10 anni), impegnativi anche per il Papa: essa riduceva al minimo il diritto di appello a Roma, praticamente sanzionando l’autonomia della Chiesa nazionale francese di fronte a Roma. Il papato poté ottenerne l’abolizione nel 1516, in conseguenza del concordato stipulato da Leone X e Francesco I.
Nel 1517 Leone X, venuto a conoscenza che alcuni cardinali malcontenti del suo governo tramavano di avvelenarlo, fece giustiziare il loro capo (Alfonso Petrucci) e mise in prigione gli altri congiurati; reintegrò poi il Sacro Collegio con la nomina di trentuno nuovi cardinali.
Nel suo giuramento elettorale Leone aveva promesso di portare avanti il V Concilio Lateranense (1512-1517): una promessa che fece sperare coloro che aspiravano alla realizzazione di riforme nella Chiesa. Sotto Leone X i due monaci camaldolesi Paolo Giustiniani e Vincenzo Quirini presentarono il programma di riforma più radicale e completo che fosse stato mai ideato fino ad allora; in particolare, l’ottava sessione del Concilio ratificò una definizione dogmatica dell’individualità personale dell’anima umana. Lo stesso Concilio avrebbe poi ratificato anche l’abolizione della Prammatica Sanzione. Il 16 marzo 1517, Leone X chiuse il concilio dopo aver indetto una crociata contro i Turchi. 
Per concludere, il fatto storicamente più importante di questo pontificato: «Quando all’inizio del 1518 giunse a Roma un compendio delle tesi del monaco agostiniano Martin Lutero, Leone ordinò al generale dell’ordine agostiniano di farlo tacere», scrive lo storico John Kelly. «Pubblicò la bolla Exsurge Domine (15 giugno 1520) che condannava 41 proposizioni del monaco tedesco. Il 3 gennaio 1521, avendo Lutero pubblicamente bruciato la bolla, venne scomunicato con la Decet Romanum pontificem». La separazione era ormai avvenuta.


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05/04/2014 19:05
 
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ADRIANO VI
Due anni di aspirazioni

Adriano Florensz Dedal nacque a Utrecht il 2 marzo 1459, figlio di un falegname specializzato in costruzioni navali e della pia donna Geltrude. Il padre morì molto presto e Geltrude mandò il figlio presso i Fratelli della Vita comune: qui imparò quel senso religioso e quella alta concezione della vita rimasti in seguito costanti fondamentali del suo agire.
Terminato il primo ciclo di studi presso i Fratelli, Adriano entrò nell’università di Lovanio nel 1476, dove studiò per due anni Filosofia e per dieci Teologia e Diritto canonico; a seguire un interessante periodo di successo accademico come professore.
Nel 1507 l’imperatore Massimiliano I lo nominò tutore del nipote Carlo, il futuro Carlo V. Nel 1517 fu creato cardinale di Utrecht per espressa richiesta di Carlo a papa Leone X. La fiducia che l’imperatore Carlo V aveva riposto in lui e la sua reputazione di alta moralità contribuirono alla sua elezione a Papa. 
Adriano VI ritenne che i suoi compiti principali fossero due: prima di tutto quello di combattere la riforma protestante, rinnovando l’amministrazione della curia papale; in secondo luogo, quello di convogliare le forze dell’Europa cristiana contro i Turchi. Adriano espose questo programma nel suo primo concistoro, che ebbe luogo il 1° settembre 1522.
Per quanto riguarda il primo punto, «i cardinali furono sconcertati dalla sua riluttanza a distribuire lucrosi benefici nel modo tradizionale e anche dalla sua decisa volontà di purificare la curia secolarizzata: invece di collaborare con lui ostacolarono ogni suo tentativo di introdurre miglioramenti; in tal modo egli rimase sempre più isolato e in contatto solo con pochi intimi spagnoli o fiamminghi», precisa lo storico John Kelly. Mentre August Franzen annota: «Adriano VI vide fallire i suoi seri tentativi di riforma a causa di tale contesto... Già alla dieta di Norimberga del 1522-23, Adriano VI riconobbe con franchezza le colpe della curia e promise di iniziare con la massima energia la riforma della Chiesa»; nella dieta di Norimberga il Papa, facendosi rappresentare da Francesco Chieregati, ammise francamente che la prima responsabile dei disordini scoppiati nella Chiesa era la curia stessa (impressionante confessione di colpa della curia giustamente definita il primo passo verso la Controriforma).
Un altro fattore contribuì ad infoltire la schiera dei nemici del nuovo Papa: il suo atteggiamento verso gli artisti e letterati e, in genere, verso quel mondo di cultura e di gusto così in auge sotto il predecessore: Adriano, nella sua propensione per lo studio appartato e la meditazione, nella sua alta pietà individuale, nella sua incomprensione dell’arte e della poesia, rappresentava, per i contemporanei, il contrasto più netto col mecenatismo e lo splendore del pontificato mediceo.
Per quanto riguarda la questione turca, i suoi tentativi di mobilitare un fronte europeo contro i Turchi furono infirmati da grossolani errori diplomatici e infine fallirono.
Il pontificato di Adriano VI è stato un pontificato pieno di ottime aspirazioni ma troppo breve per metterle in atto. Morì nel 1523 e fu sepolto in Santa Maria dell’Anima dove gli fu fatto erigere un sontuoso monumento funebre.


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07/04/2014 16:42
 
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CLEMENTE VII
La minaccia al re

Giulio dei Medici nacque a Firenze il 26 maggio 1479, poco dopo l’assassinio del padre, e venne allevato dallo zio Lorenzo il Magnifico. Nel 1513 Leone X lo nominò arcivescovo di Firenze e cardinale: Giulio fu praticamente il responsabile di buona parte della politica di Leone. Poi sotto Adriano VI contribuì alla stipulazione di una alleanza difensiva tra la Santa Sede e l’Impero di Carlo V (1519-1556).
Ne compone un ritratto lo storico John Kelly: «La sua elezione fu accolta con grande gioia, ma ben presto divenne evidente che egli, eccellente come comandante in seconda, non aveva il carattere e l’abilità necessari per occupare la massima carica in un momento di crisi. Colto, pieno di esperienza e buon lavoratore, ma anche poco risoluto e facile allo scoraggiamento, era di corte vedute e limitato nei suoi interessi. Incapace di penetrare a fondo la rivoluzione spirituale in atto in quegli anni della Chiesa, si comportò come un qualunque principe italiano, o piuttosto come un Medici».
Coinvolto nella lotta tra Carlo V e Francesco I di Francia (1515-1547) per il dominio sull’Italia, Clemente si adoperò per instaurare la pace tra le potenze cristiane prendendo come pretesto la necessità di creare le condizioni favorevoli per affrontare il pericolo turco. Ma i rapporti del papa con Carlo V e Francesco I non furono né chiari né univoci: ora si alleava con l’uno ora con l’altro. Forse il suo obiettivo principale non consisteva nelle alleanze politiche ma semplicemente nella difesa del territorio e degli interessi dello Stato Pontificio e della Chiesa. Per esempio, secondo il Franzen, «il suo scopo principale fu portare a compimento l’opera dei predecessori e, poiché il raggiungimento di questo fine gli sembrò minacciato soprattutto dalla monarchia universale asburgica, che comprendeva anche il regno di Sicilia e di Napoli e il regno d’Italia del nord, cercò l’amicizia della Francia». Ma è altrettanto doveroso ricordare che, tra i fatti storici accaduti nel corso del suo pontificato (ad esempio, la nascita della Lega di Cognac e il sacco di Roma del 1527), durante il suo pontificato ha avuto luogo l’ultima incoronazione imperiale eseguita da un papa: a riconciliazione avvenuta tra la Santa Sede e l’Impero, il 24 febbraio 1530 papa Clemente VII incorona imperatore Carlo a Bologna.
Una certa attenzione dobbiamo dare all’episodio del divorzio tra Enrico VIII e Caterina d’Aragona, episodio che si sarebbe concluso con lo scisma della Chiesa d’Inghilterra. Nel 1531 Clemente VII proibì al parlamento inglese e a tutti gli altri organi di governo, sotto pena di scomunica, il matrimonio del re o di dichiararlo nullo. Nel 1533 l’arcivescovo di Canterbury unì segretamente in matrimonio Enrico con Anna Bolena e successivamente dichiarò nullo il matrimonio con Caterina. Nello stesso anno papa Clemente minacciò il re di scomunica se non avesse lasciato Anna e ripreso con sé Caterina. Nel 1535 Enrico e Anna furono scomunicati dal papa. Con il successivo “Atto di Supremazia” si consumava in modo definitivo la rottura con il papato.
Sull’opportunità o meno della convocazione di un Concilio Universale da parte di Clemente VII (convocazione che non avvenne) gli storici non sono concordi. Secondo alcuni l’incapacità di Clemente di comprendere le urgenze del momento è dimostrata proprio dal suo rifiuto di convocare un Concilio Universale che sarebbe stato ancora in grado di dare l’avvio ad una azione costruttiva, ad una riforma della Chiesa. Secondo altri papa Clemente faceva bene a temere un Concilio Ecumenico. Gli stati dell’Impero avevano fatto comprendere fin troppo chiaramente che cosa intendessero con la nota espressione di un «libero concilio cristiano in terra tedesca»: che esso doveva essere libero dal papa, cui sarebbe stata tolta ogni influenza. I Padri conciliari dovevano essere precedentemente dispensati dal loro giuramento verso il pontefice. Insomma, le preoccupazioni del papa da questo punto di vista non erano affatto ingiustificate. 
Da vero Medici e quindi come vero mecenate, Clemente protesse letterati, tra cui lo storico Francesco Guicciardini, e il teorico politico Niccolò Machiavelli, e artisti come il Cellini, Raffaello e Michelangelo, al quale ultimo commissionò, poco prima di morire, il Giudizio Universale della Cappella Sistina.


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07/04/2014 16:43
 
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PAOLO III
L'inizio della Riforma cattolica

Alessandro Farnese nacque a Canino (Viterbo) nel 1468 da una famosa famiglia di condottieri di ventura e ricevette una buona educazione umanistica a Roma e a Firenze.
Prima di salire al soglio pontificio, occupò un gran numero di vescovadi e di benefici, coltivò da buon rinascimentale interessi artistici e filosofici, condusse a termine importanti missioni diplomatiche.
Nel 1519 ricevette l’ordinazione sacerdotale e divenne un membro del partito riformatore della curia. Alla morte di Clemente VII era il più anziano dei cardinali (settantasette anni), decano del sacro collegio, rispettato per la sua esperienza e la sua accortezza: fu così eletto all’unanimità dopo un conclave durato appena due giorni. L’elezione di Paolo III fu dovuta anche alla sua indipendenza rispetto alle due potenze che allora si contendevano il predominio, Francia e Impero. I rapporti con gli altri stati europei e italiani furono in funzione della politica generale di pacificazione e neutralità e dell’indirizzo di riforma e di reazione contro il protestantesimo impresso al pontificato.
«Autentico papa rinascimentale, Paolo favorì artisti, scrittori e studiosi. Restaurò l’università di Roma, arricchì la biblioteca vaticana e si valse dei talenti di pittori e architetti, in particolare di Michelangelo, al quale commissionò il completamento del “giudizio universale” della cappella Sistina e la direzione dei lavori per la nuova basilica di S. Pietro. Il palazzo Farnese, di cui iniziò la costruzione, testimonia quanto fosse orgoglioso della propria famiglia» scrive John Kelly nel Grande Dizionario dei Papi; ma lo “sfrenato nepotismo” di Paolo III non testimonia certo a suo favore.
Egli cominciò la sua opera là dove più era necessaria: la riforma del sacro collegio. Chiamò a far parte del supremo senato della chiesa un gruppo di propugnatori della riforma, tra cui gli eccellenti cardinali Gasparo Contarini, John Fisher, Giacomo Simonetta, Giampietro Carafa (futuro papa Paolo IV), Jacopo Sadoleto, Reginaldo Pole, Marcello Cervini (futuro papa Marcello II), Giovanni Morone e altri. Istituì una commissione di riforma (1536) che nel 1537 presentò promemoria sulla reale situazione della chiesa: il Consilium de emendanda ecclesia, che in seguito servì come modello per il concilio di Trento
E’ stato considerato “il primo papa della riforma cattolica”: non si sa quanto ciò sia storicamente esatto, ma senza dubbio Paolo comprese la necessità di rispondere positivamente alla sfida del protestantesimo e fece i primi passi per incoraggiare il rinnovamento all’interno della chiesa stessa; per questi motivi nel suo programma mise al primo posto un concilio universale e la riforma.
Per quanto riguarda il concilio, «Quando, il 13 dicembre 1545, solo 31 Padri conciliari aventi diritto di voto ne celebrarono l’apertura, sotto la guida dei legati nominati dal papa, Giovanni Del Monte, Marcello Cervini e Reginald Pole, nessuno poté prevedere che aveva allora inizio il più grande avvenimento di tutta la cattolicità moderna» (August Franzen). Lo svolgimento del concilio viene suddiviso dagli storici in tre periodi. Il primo periodo (1545-1548) si svolse durante il pontificato di Paolo III.
Paolo III incoraggiò le riforme degli ordini religiosi e lo sviluppo di nuove congregazioni: i teatini, i barnabiti, i somaschi e le orsoline. Inoltre, con la bolla Regimini militantis ecclesiae del 27 settembre 1540 approvò la neonata Compagnia di Gesù di Ignazio di Loyola. A Paolo III spetta la fondazione di un organismo centrale per la lotta contro l’eresia: la congregazione della inquisizione romana (Sanctum Officium), con la bolla Licet ab initio del 1542, che segna l’inizio della Controriforma.
Il 17 dicembre 1538 Paolo III scomunicò Enrico VIII – la precedente sentenza di Clemente VII era stata sospesa – e colpì l’Inghilterra di interdetto, ma non riuscì a convincere le potenze continentali a imporre sanzioni; l’unico risultato fu che l’Inghilterra si staccò ancora di più da Roma.


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07/04/2014 16:45
 
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PAOLO IV
Luci e ombre del papato rinascimentale

Gian Pietro Carafa nacque a Sant’Angelo a Scala, nei pressi di Benevento, nel 1476 e morì a Roma nel 1559. Inquisitore, divenne papa nel 1555. Intransigente fautore della Controriforma, ampliò i poteri dell’Inquisizione e nel 1559 pubblicò il primo Indice dei libri proibiti (elenco delle pubblicazioni ritenute contrarie alla dottrina cattolica). Rigido anche verso gli ebrei, impose l’istituzione dei ghetti a Roma e nello Stato Pontificio.

Gian Pietro, che apparteneva ad una famiglia di baroni napoletani, fu educato a Roma, dove acquisì la conoscenza della lingua greca e della lingua ebraica. Fece carriera nella Chiesa in modo molto rapido, sia per le sue qualità che per l’autorità della sua famiglia.
Nel 1254 insieme a Gaetano da Thiene (1480-1547) fondò l’Ordine Teatino: si trattava di ritornare alla povertà nella Chiesa, di ripristinare il modo di vivere apostolico e riformare la Chiesa di quel tempo.
Nel 1536 fu nominato cardinale e nel 1549 divenne arcivescovo di Napoli, per diventare poi dal 1553 decano del sacro collegio. Quando fu eletto il 23 maggio 1555 aveva settantanove anni, era ammirato ed era temuto: sotto il governo di Paolo IV, che sembrò voler soffocare ogni forma di gioia serena, il gioioso Filippo Neri, tanto ricco dihumour, ebbe a soffrire per un certo tempo; Ignazio di Loyola si era scontrato duramente con il cardinale Carafa e, quando questi divenne papa, cominciò per lui un tempo difficile. Il Franzen ricorda che, dinanzi a Paolo IV, Ignazio tremava.

«L’elezione di Paolo fu salutata con gioia dai partigiani della Riforma, ma le loro speranze non si realizzarono. Autocratico e passionale, ancora legato a un concetto medioevale della supremazia del Papa, egli abbandonò la neutralità dei suoi predecessori» scrive John Kelly. 
Il papato del Rinascimento «stava ormai perdendo sempre più di vista il compito universale cui era chiamato e, seguendo gli interessi particolari del suo stato pontificio, faceva mostra di una meschina politica territoriale, analoga a quella di un qualsiasi altro staterello … Nepotismo e politica familiare ebbero a lungo, in questo periodo storico, una parte inquietante … Sotto questa cattiva stella operarono ancora Paolo III (1534-1549) e il fanatico papa riformista Paolo IV (1555-1559), che con la loro politica ecclesiastica contro l’imperatore favorirono non poco il diffondersi della riforma luterana», scrive August Franzen.

Nel campo della Riforma “l’ascetico e ostinato papa” si impegnò molto: tutta la sua opera, prima e dopo la sua elezione a pontefice, si concentrò nella lotta contro l’eresia e nella riforma della Chiesa. La ripresa del Concilio di Trento, che era stato interrotto il 28 aprile 1552, non fu da lui presa in considerazione. Egli, acerrimo nemico del protestantesimo, si riteneva in grado di portare a termine le riforme necessarie anche da solo. Nel 1556 istituì una speciale commissione che secondo i suoi piani doveva essere un vero e proprio concilio papale.

Si dedicò molto anche al potenziamento dell’Inquisizione romana: ne ampliò la giurisdizione e ne pose a capo Michele Ghislieri, futuro papa Pio V. Ma la sua passione per l’ortodossia era eccessiva: fece imprigionare per eresia a Castel Sant’Angelo un prelato irreprensibile come il cardinale Giovanni Morone e tolse al cardinale Reginaldo Pole la sua carica di legato in Inghilterra, deferendolo all’Inquisizione.
Per quanto riguarda il rapporto con gli ebrei, egli sospettava che questa favorissero in certo modo il protestantesimo. Così ordinò il rogo del Talmud nel 1553 e nel 1555 con la bolla Cum nimis absurdum impose l’istituzione dei ghetti.

Il suo pontificato non realizzò il rinnovamento della Chiesa del tempo, ma certamente fece qualche passo in avanti:egli scelse attentamente i cardinali, impose l’obbligo di residenza dei vescovi, escluse dai monasteri i chierici regolari, fece punire i monaci che abbandonavano le abbazie, nominò una commissione per la riforma del messale e del breviario romano, promosse la dignità delle funzioni sacre a Roma, represse l’immoralità pubblica e la violenza. Ma la durezza dei suoi metodi e la sua intolleranza ne fecero una persona impopolare. Alla sua morte l’odio del popolo verso di lui e la sua famiglia esplose: la folla in rivolta distrusse la casa dell’Inquisizione liberando i prigionieri; la statua di Paolo eretta sul Campidoglio fu abbattuta e mutilata.


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09/04/2014 18:09
 
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PIO V
Il vincitore di Lepanto

Con il Concilio di Trento (1545-1563) «il nuovo incremento della vita cattolica apparve come uno dei più stupendi fenomeni della storia della Chiesa. La rassegnazione che sembrava aver colpito il popolo cattolico, come un esercito ormai vinto e in piena ritirata, cedette lentamente il passo a un rinnovato spirito combattivo e a una coscienza che andò man mano acquistando sempre più il senso della sua vera missione. Le ferite dolorose inferte nel periodo della grande apostasia nel corpo della cristianità pian piano rimarginarono e chi era rimasto fedele all’antica fede si rallegrò per il nuovo corso della vita religiosa. La Chiesa entrò nell’epoca della “riforma cattolica” (Hubert Jedin) come un tempo di autocoscienza, da parte della chiesa, dell’ideale di vita cattolico grazie a un ampio rinnovamento interiore». Queste parole di August Franzen bene ci introducono al nostro santo papa Pio V, che è stato considerato «il grande pontefice della riforma tridentina».

Antonio Ghislieri, «unico piemontese ad essere stato elevato al soglio di Pietro in duemila anni di cristianesimo» ricorda Fabio Arduino, nacque da una povera famiglia rurale il 17 gennaio 1504 a Bosco Marengo, presso Alessandria, esercitò fin da giovane il mestiere di pecoraio e ben presto si fece domenicano con il nome di fra' Michele. Ha scritto Giovanni Paolo II nel suo “Messaggio in occasione delle celebrazioni giubilari promosse per il V centenario della nascita di San Pio V”: «La ricorrenza del V centenario della sua nascita sia motivo di benedizione per tutta la Chiesa e, in maniera speciale, per l’amata Diocesi di Alessandria, come pure per la Comunità ecclesiale del Piemonte». Il suo ottimo lavoro al servizio della Chiesa attirò l’attenzione del cardinale Gian Pietro Carafa, il quale, divenuto papa Paolo IV, lo nominò prima vescovo (1556), poi cardinale nel 1557 (quando venne chiamato a far parte del Collegio cardinalizio era conosciuto come il Cardinale Alessandrino) ed infine Inquisitore Generale di tutta la Cristianità.

Il conclave che elesse Pio V durò diciannove giorni; il novello papa deve la sua elezione (7 gennaio 1566) al cardinale di Milano Carlo Borromeo (1538-1584). Secondo Fabio Arduino, il giorno dell’incoronazione, anziché far gettare monete al popolo come consuetudine, Pio V preferì soccorrere a domicilio molti bisognosi della città di Roma; anche da papa continuò a vestire il bianco saio domenicano, a riposare sopra un pagliericcio, a cibarsi di legumi e di frutta, dedicando l’intera sua giornata alla messa in pratica della regola benedettina ora et labora. «Continuando il suo sobrio stile di vita dette una impostazione molto severa alla sua corte… e con vari decreti tentò di porre rimedio ai peggiori mali dell’epoca: i contemporanei ebbero l’impressione che volesse addirittura trasformare la città in una specie di monastero» scrive John Kelly. Il suo motto da Pontefice era quello di «camminare nella verità». Si oppose nettamente al nepotismo, proibì l’alienazione di possedimenti appartenenti allo stato pontificio, fece rispettare l’obbligo di residenza ai chierici, eseguì una sistematica indagine tra gli ordini religiosi, nominò i cardinali con grande attenzione, nominò una commissione per l’esame delle nomine episcopali. In armonia con le decisioni emerse dal Concilio Tridentino, Pio V pubblicò un Catechismus Romanus (1566), una nuova edizione delBreviarum Romanum (1568) e un nuovo Missale Romanum (1570). Istituì una commissione speciale per la revisione della Vulgata. Fondò nel 1571 la Congregazione dell’Indice.

Continua il Kelly: «Adoperò ogni mezzo per promuovere le riforme tridentine in Italia cominciando egli stesso a visitare personalmente le basiliche romane; organizzò anche una commissione per visitare sistematicamente le parrocchie e costituì inoltre molti visitatori apostolici inviandoli in tutto lo stato pontificio e a Napoli. Provvide infine a far pervenire i decreti del concilio di Trento in tutto il mondo». Nell’ottobre del 1576 condannò settantanove tesi di Michele Baio (1513-1589), il precursore fiammingo del giansenismo e nello stesso annoproclamò Dottore della Chiesa il grande pensatore domenicano Tommaso d’Aquino (1225-1274), obbligando le università allo studio della Summa Theologica e facendo stampare nel 1570 un’edizione completa e accurata di tutte le opere teologiche del santo Dottore. Purtroppo gli interventi di Pio V in campo internazionale non ebbero successo, mancando di «realismo politico». Ne è un esempio eloquente il fatto che il 25 febbraio 1570 egli scomunicasse e deponesse la regina Elisabetta I (questa fu l’ultima volta che un Papa emise una sentenza di tal genere contro un monarca regnante): si trattò di un «inefficace anacronismo», che non fece che peggiorare la situazione dei sudditi inglesi cattolici.

«L’impresa più ambiziosa e meglio riuscita di Pio V fu la costituzione di una lega santa (sotto il supremo comando di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale dell’imperatore Carlo V) con Venezia e la Spagna per la lotta contro i Turchi: la flotta navale della lega affrontò quella turca nel golfo di Corinto il 7 ottobre 1571 e le inflisse a Lepanto un'importante sconfitta. Attribuendo la vittoria all’intercessione della B. V. Maria, il papa dichiarò il 7 ottobre festa di nostra Signora della vittoria - più tardi trasformata da Gregorio XIII nella festa del Rosario -», racconta John Kelly. La battaglia, che cambiò il corso della storia, durò dal mezzogiorno alle cinque del pomeriggio; Fabio Arduino ricorda che, alla stessa ora, Pio V, preso da altri impegni, improvvisamente si affacciò alla finestra, rimase alcuni istanti «in estasi» con lo sguardo rivolto ad Oriente ed infine esclamò: «Non occupiamoci più di affari. Andiamo a ringraziare Dio perché la flotta veneziana ha riportato vittoria».

Morì il 1° maggio 1572 e il corpo riposa nella basilica di Santa Maria Maggiore in Roma. Pio V è stato veramente un grande Papa, proclamato santo dalla Chiesa, «un gigante della santità» lo ha definito il Cardinale Angelo Sodano che ha operato in sintonia con altri grandi santi del tempo come san Carlo Borromeo a Milano e san Filippo Neri a Roma; un grande Papa riformatore, la cui opera, che avrebbe poi dato frutti per molti decenni, diede una caratteristica impronta tridentina sulla intera Chiesa. La sua festa ricorre il 30 aprile.


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09/04/2014 18:10
 
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SISTO V
"Il papa di ferro"

Figlio di un contadino, Felice Peretti nacque a Grottammare, nelle Marche, il 13 dicembre 1520. Entrò nell’Ordine Francescano e dopo una brillante carriera studentesca fu ordinato sacerdote nel 1547. Grande predicatore, fu condotto a Roma, dove divenne famoso per la bellezza delle sue prediche quaresimali. Fu poi nominato inquisitore di Venezia, vicario generale dei francescani, vescovo di S. Agata dei Goti (presso Caserta), cardinale.

Eletto papa il 24 aprile 1585, fu soprannominato, giustamente, "il papa di ferro". Infatti, «Sisto, vero uomo di governo, autoritario, deciso e inflessibile, cominciò subito a riportare l’ordine nello stato pontificio usando energiche misure repressive. Si occupò in seguito delle riforme economiche e finanziarie. Provvide a fissare i prezzi dei viveri, prosciugare le paludi, incoraggiare l’agricoltura e la manifattura della lana e della seta, migliorando in tal modo le condizioni dei suoi sudditi; riuscì a riempire in questo modo quasi spettacolare le casse papali lasciate vuote da Gregorio XIII. … Sisto accumulò in Castel Sant’Angelo, nonostante le ingenti spese per i lavori pubblici, più di quattro milioni di scudi, per la massima parte in oro; ciò lo rese uno dei più ricchi principi d’Europa e gli assicurò un’indipendenza finanziaria senza precedenti», scrive John Kelly.

Il prestigio di Sisto deriva soprattutto dalla sua solida riorganizzazione dell’amministrazione centrale della Chiesa: con la costituzione Postquam verus fissò a settanta il numero massimo dei cardinali, che non è stato mai superato fino all’epoca di papa Giovanni XXIII; dette una nuova struttura alla segreteria di stato, con la creazione di quindici congregazioni cardinalizie permanenti (questo sistema è rimasto inalterato fino al Concilio Vaticano II). Sisto inoltre è stato un fedele prosecutore dei decreti e dello spirito del Concilio di Trento; in particolare, in conformità alle deliberazioni del Concilio Tridentino, fece istituire una commissione per la revisione della Vulgata. A questo proposito, il 24 giugno 1985, il beato papa Giovanni Paolo II, in occasione del simposio internazionale su “La traduzione Vulgata della Bibbia dalle origini ai nostri giorni” celebrato a Grottammare, in occasione del IV centenario dell’elevazione a sommo pontefice di papa Sisto V, illustre figlio della terra marchigiana, ha scritto: «Il papa Sisto V informò la sua attività pastorale affinché "la parola del Signore si diffondesse e fosse glorificata", attività pastorale nella quale si distinse come geloso custode del “depositum fidei” e come infaticabile propagatore del messaggio di salvezza. Infatti all’indomani della sua ascesa alla cattedra di Pietro si diede fervida premura di adempiere le direttive del Concilio di Trento, riguardanti la revisione della versione biblica di San Girolamo: "Vulgata editio quam emendatissime imprimatur" (Enchiridion Biblicum, n.63). …; e rimase il testo ufficiale per la Chiesa latina fino all’emanazione della costituzione apostolica Scripturarum Thesaurus, con la quale ho avuto la gioia di promulgare, nel 1979, l’edizione tipica della versione detta neo-Vulgata».
Sisto aveva scarsa simpatia per i gesuiti, fu invece generoso con i francescani, dichiarando Dottore della Chiesa il loro teologo viterbese San Bonaventura. Nel campo internazionale, non ebbe molta fortuna: sostanzialmente cercò di mantenere una politica di equilibrio fra le potenze cattoliche. Fuori d’Europa promosse il lavoro dei missionari in Giappone, in Cina, nelle Filippine e nell’America Latina.

Fu un grande patrono dell’architettura e delle scienze nello spirito del rinnovamento cattolico: Roma divenne una splendida città barocca, fu rinnovata la struttura urbanistica, fu ricostruito il palazzo del Laterano, fu completata la basilica di San Pietro, fu costruita una nuova e più spaziosa biblioteca Vaticana e fu fondata la tipografia Vaticana. Morì a Roma il 27 agosto 1590


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16/04/2014 18:35
 
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PAOLO V
La riforma della Chiesa e lo scontro con Venezia

 

Camillo Borghese nacque a Roma il 17 settembre 1552. Nel 1596 venne nominato cardinale e nel 1603 vicario di Roma e inquisitore; aveva cinquantadue anni quando fu eletto Papa: la sua elezione - una soluzione di compromesso tra gruppi rivali - fu una sorpresa per tutti. 
Innanzitutto gli stava molto a cuore la riforma della Chiesa: rinnovò con fermezza (19 ottobre 1605) l’obbligo di residenza dei vescovi, pubblicò (20 giugno 1614) ilRituale Romanum riveduto, rese più ordinata la disciplina degli ordini religiosi; approvò (24 febbraio 1612) la congregazione dell’oratorio fondata da Filippo Neri e l’oratorio francese di Pierre de Bérulle (10 maggio 1613); canonizzò (1 novembre 1610) Carlo Borromeo (1538-1584) e Francesca Romana (1384-1440) e beatificò Ignazio di Loyola (1491-1556), Francesco Saverio (1506-1552), Filippo Neri (1515-1595) e Teresa d’Avila (1515-1582). Incoraggiò il lavoro delle missioni, approvando (27 giugno 1615) l’uso della lingua locale nella liturgia in Cina.
Vietò (5 marzo 1616) la lettura delle opere di Galileo Galilei (1564-1642) perché insegnava la teoria copernicana del sistema solare e attraverso la congregazione dell’Indice proibì anche la lettura del trattato di Copernico «fino a che non fosse stato corretto».

In politica estera il motivo dominante della sua azione fu la ricerca della neutralità tra Francia e Spagna. Però il suo alto concetto della supremazia del Papa, probabilmente storicamente ormai superato, lo portò allo scontro con la repubblica di Venezia. La Serenissima aveva proibito l’erezione di nuove chiese e l’acquisto di nuove terre da parte della Chiesa senza il permesso dello Stato, perciò stava portando in giudizio due sacerdoti davanti al tribunale secolare. Paolo protestò e, poiché la repubblica manteneva le sue posizioni, scomunicò il suo senato e lanciò un interdetto sulla città (17 aprile 1606).

Venezia dichiarò invalido l’interdetto e la maggior parte del clero locale lo ignorò, mentre coloro che lo osservavano - in particolare i Gesuiti - furono espulsi. Seguì “una vivace guerra di libelli” tra il teologo servita fra Paolo Sarpi (1552-1623), che sosteneva Venezia, e i cardinali Bellarmino (1542-1621) e Baronio (1538-1607) che sostenevano il Papa. Alla fine si giunse ad un accordo e la città fu assolta dalle censure ecclesiastiche ma, scrive John Kelly: «Questo incidente fu una vera sconfitta morale per Paolo perché, anche se il clero imprigionato venne rimesso in libertà, egli non riuscì però a ottenere piena soddisfazione dalla repubblica e tanto meno la sua sottomissione nella questione di principio. I gesuiti rimasero banditi dal territorio veneziano e per di più gli interdetti avevano dimostrato di non avere alcun peso».

Questa esperienza lo indusse a maggiore moderazione in politica estera: Paolo fu più cauto nel difendere le posizioni che la Chiesa aveva conservato e recuperare quelle perdute. La sua attività politica ottenne successi in America (furono stabilite allora le missioni dei Gesuiti nel Paraguay), in India, in Cina, in Africa (con la conversione del negus d'Abissinia). 
Per quanto riguarda Roma, Paolo mostrò grande interesse per il restauro della città: fece completare la navata centrale, la facciata e il portico di San Pietro (affidò a Carlo Maderno la radicale modifica del progetto michelangiolesco della Basilica di San Pietro, modificandone la pianta e iscrivendo nel timpano, al centro del nuovo amplissimo frontone, un gigantesco «Paulus V Burghesius» (il testo completo dell'iscrizione recita «In honorem principis aposto(olorum) Paulus V Burghesius romanus ponte(ifex) max(imus) an(no) MDCXII pont(ificati) VII»). Fece restaurare l’acquedotto di Traiano chiamandolo “acqua Paola”, con il quale alimentò numerose fontane sparse in tutta la città. Fece riordinare i fondi archivistici della Biblioteca Apostolica Vaticana - le fonti giuridiche dell'attività della Curia romana - costituendo il primo nucleo dell'Archivio Segreto Vaticano. Fu generoso nel provvedere alle necessità dei parenti. Il cardinale Scipione, suo nipote, fece costruire la magnifica villa Borghese. 

Paolo morì a Roma per un attacco cardiaco il 28 gennaio 1621. La sua tomba si trova nella cappella Paolina della Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma.


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16/04/2014 18:37
 
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URBANO VIII
La consacrazione della Basilica di San Pietro

Una lagnanza del cardinale Roberto Bellarmino ci introduce allo stato della Chiesa di quel tempo: «Mi pare che, avendosi a creare un vicario di Dio, non si procuri di eleggere persona che sappia la volontà di Dio, cioè sia versata nelle Scritture Sante, ma solo che sappia la volontà di Giustiniano e di simili autori. Si va cercando un principe temporale, non un santo vescovo, che si occupi davvero della salute delle anime». 

In un tale contesto dovette muoversi accortamente Maffeo Barberini, eletto papa nel 1623 con il nome di Urbano VIII. Nacque a Firenze nel 1568 da una ricca famiglia di commercianti e ben presto intraprese la carriera ecclesiastica, con ottimi risultati. Così lo descrive il Grande Dizionario Illustrato dei Papi: «Di carattere autoritario, profondamente consapevole della responsabilità della sua alta carica (era un sostenitore convinto della suprema autorità della Chiesa), Urbano si occupò personalmente degli affari della chiesa e raramente li discusse con i cardinali. … Da esperto conoscitore della letteratura e proprietario di una splendida biblioteca, compose e pubblicò versi latini ben costruiti (soprannominato perciò ape attica, dall’ape presente nello stemma di famiglia), … Fu un imprudente nepotista: diede la porpora cardinalizia a un fratello e a due nipoti, favorendo anche altri fratelli e arricchendo tutti i familiari in modo talmente esagerato che da vecchio, in preda ai rimorsi, consultò alcuni teologi riguardo all’uso che aveva fatto delle rendite papali».

Dal punto di vista politico, nella sua azione, che coincise con la Guerra dei Trent’anni (1618-1648), il papa si sforzò di mantenere una posizione neutrale tra i contendenti, consapevole che il suo ruolo di padre comune della Cristianità lo impegnava a intervenire per il ristabilimento della pace. Di fatto e nei fatti, però, espresse tutta la sua simpatia per la Francia, mentre per quanto riguarda l’Italia, riuscì ad annettere allo Stato pontificio il Ducato di Urbino (1631). 

Dal punto di vista religioso, modellò la sua azione secondo i decreti tridentini e mise in atto molte e importanti iniziative: impose ai cardinali (ai quali diede titolo di “eminenza”) e ai vescovi l’obbligo di residenza, riformò il clero regolare e secolare e i seminari, potenziò l’Inquisizione, partecipò personalmente alla revisione del breviario (1631), nel 1625 stabilì e poi confermò nel 1634 le procedure canoniche per le beatificazioni e le canonizzazioni (nell’Anno Giubilare del 1625 si ebbero la canonizzazione di Andrea Avellino e le beatificazioni di Giacomo della Marca, Francesco Borgia, Elisabetta del Portogallo, Felice da Cantalice), diede stesura finale alla bolla In coena Domini che veniva letta il Giovedì Santo, diede grande sostegno alle missioni, in particolare inviando missionari nell’Estremo Oriente, approvò nuovi ordini religiosi; sotto il suo pontificato Giovanni Bollando iniziò la monumentale opera dei Bollandisti, gli Acta Sanctorum.

Da Urbano VIII e dal Sanctum Officium, Galileo Galilei (1564-1642) fu condannato per la seconda volta e costretto, il 22 giugno 1633, ad abiurare le sue convinzioni scientifiche. Nella bolla In eminenti(1642) venne censurato lo Augustinus di Cornelio Giansenio (1585-1638) e condannato così il giansenismo.
Per quanto riguarda Roma, città del papa, Urbano fu uomo amante del fasto (siamo in epoca barocca) e ottimo mecenate, per cui sotto il suo pontificato la città fu abbellita di importanti opere: per esempio, egli il 18 novembre 1626 consacrò la nuova Basilica di San Pietro, si preoccupò della sicurezza della città e dello stato pontificio, costruì Castelfranco a nord di Roma, fortificò il porto di Civitavecchia, rinforzò Castel Sant’Angelo, scelse come residenza estiva del papa Castel Gandolfo.
Morì a Roma il 29 luglio del 1644.

 

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16/04/2014 18:39
 
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BENEDETTO XIV
Alle prese con l'Illuminismo

Quando il 19 febbraio 1740 iniziò il nuovo conclave che seguì alla morte di Papa Clemente XII, il cardinale Prospero Lambertini, arcivescovo di Bologna, a qualche cardinale che gli chiedeva un parere sul nuovo pontefice da eleggere, rispose: «Volete un santo? Eleggete Gotti. Volete un politico? Eleggete Aldobrandini. Volete un asino? Eleggete me».
Poco prima di morire, il 3 maggio 1758 nel Palazzo del Quirinale, il cardinale Lambertini, il Nostro Papa Benedetto XIV, pronunciò queste parole: «Io ora cado nel silenzio e nella dimenticanza, l’unico posto che mi spetta».
Questi due fatti ci introducono nella personalità di papa Benedetto XIV, il papa più importante del XVIII secolo, uno dei migliori e più saggi successori di San Pietro.

Prospero Lorenzo Lambertini nacque a Bologna il 31 marzo 1675. Dotato di capacità eccezionali, eccellente per ingegno e applicazione nello studio, perfettamente edotto nel campo giuridico, percorse una rapida e brillante carriera nella curia. Benedetto XIII gli conferì la porpora cardinalizia (1728) e successivamente Clemente XII gli affidò l’arcidiocesi di Bologna (1731). Scrive Antonio Borrelli: «Nella natìa Bologna, il cardinale Lambertini seppe essere uomo pio e zelante; pur essendo un abile prelato della Curia Romana, volle a tutti i costi inserire la semplicità nel suo fecondo apostolato…Era un pastore che si muoveva nella sua vasta diocesi, s’informava delle condizioni della povera gente, emanò ordinanze per alleviarne le pene; istituì una commissione di ecclesiastici perché facesse opera di misericordia visitando e consolando gli ammalati, specialmente i più poveri. Nel suo quasi decennale episcopato bolognese, si adoperò in ogni modo per elevare il livello spirituale e materiale del suo popolo… Molti studiosi lo hanno definito “un cardinale Roncalli (Giovanni XXIII) del Settecento”». Tra il 1734 e il 1738, dirigendo gli uffici addetti al processo delle canonizzazioni, scrisse su un trattato - De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione - oggi considerato come un’opera indispensabile in questo campo.

Nel conclave del 1740 durato sei mesi - il più lungo conclave dei tempi moderni - fu eletto proprio il cardinale Lambertini. John Kelly ne descrive perfettamente il temperamento quando lo dice «conciliante per natura e per convinzione». La sua “politica della pace” è chiara in una frase pronunciata all’indirizzo di un cardinale francese: «La spada non sta bene in mano a chi, benché indegnamente, è vicario di Gesù Cristo». Con questo spirito concluse, in politica estera, i concordati con la Sardegna, Napoli, Spagna, Austria, Portogallo; si mostrò ugualmente conciliante con i sovrani protestanti, nell’interesse dei loro sudditi cattolici. Nel campo della politica interna, Benedetto fece di tutto per migliorare le condizioni del popolo e il livello economico dello Stato Pontificio, riducendo le tasse e incoraggiando l’agricoltura e la libertà di commercio, riducendo inoltre drasticamente lo stanziamento per l’esercito pontificio.

Nel campo ecclesiastico, «quello che più stava a cuore» - parole di Kelly - ad un Papa che mostrava di saper distinguere tra sovranità spirituale e sovranità temporale, la sua legislazione ebbe ampio respiro: inculcò ai vescovi il loro dovere di residenza, della formazione del clero e delle visite pastorali; istituì speciali commissioni che dovevano collaborare alla scelta di vescovi degni. Era sua intenzione riportare la liturgia alla sua purezza: nel 1741 nominò una commissione per la riforma del breviario, alla quale successivamente si sarebbe dedicato lui stesso. Fra il 1748 e il 1754 ridusse il numero delle festività in Italia. Nel 1741 chiese ai vescovi portoghesi del Sudamerica un trattamento più umano per gli Indiani. Con la bolla Ex quo singulari (11 luglio 1742) soppresse i riti cinesi favoriti dai missionari gesuiti e con la bolla Omnium sollicitudinum (12 settembre 1744) estese il divieto ai riti malabarici indiani.
Apro una parentesi. L’aggettivo “malabarico” è aggettivo di significato non solito né comune. Di cosa si tratta? Secondo il vocabolario Treccani, ci si riferisce al Malabàr, regione costiera dell’India, nel Deccan sud-occidentale. In particolare, per “riti malabarici” sono state così chiamate (impropriamente, perché non esclusive del Malabàr) alcune forme di accomodamento a riti, costumi e idee locali (onoranze agli antenati, cerimonie nuziali, modi di designare Dio, distintivi di casta, ecc.) adottate dal secolo XVII in India (come anche in Cina, nei cosiddetti “riti cinesi”) dai missionari gesuiti allo scopo di facilitare la penetrazione missionaria, ma avversate da missionari di altri ordini e causa di gravi contrasti con la Curia Romana. Chiudo la parentesi.

Nel 1750 indisse il Giubileo, durante il quale riuscì ad arrestare il degrado del Colosseo, usato da tempo come cava per l’estrazione di pietre per costruzioni, e vi fece erigere una grande croce in memoria delle migliaia di martiri cristiani uccisi; con semplicità disarmante amava, durante il Giubileo, assecondarsi alle file dei pellegrini in processione davanti alla Porta Santa. Il 18 maggio del 1751 rinnovò la condanna della Massoneria pronunciata da Clemente XII e il 13 marzo del 1752 condannò gli scritti dell’Illuminismo (per esempio, l’Esprit des lois di Montesquieu). La pubblicazione di una edizione migliorata dell’Indice (1758) preceduta da una Costituzione (1753) che prescriveva criteri più giusti e più scientifici per scegliere i libri da includere dimostra la sua caratteristica moderazione, il suo carattere conciliante. Tra gli altri meriti, la diffusione con san Leonardo della devozione alla Via Crucis e il riconoscimento e l’approvazione di due nuove importanti congregazioni religiose: i Passionisti di san Paolo della Croce e i Redentoristi di san Alfonso Maria de Liguori. Fu però molto prudente con i Gesuiti.

Scrive John Kelly nel Grande Dizionario dei Papi: «Socievole e spiritoso, con una ironia che rasentava il sarcasmo e una franchezza talvolta dannosa,Benedetto non trascurò mai gli interessi scientifici. Esperto di storia ecclesiastica, fondò non soltanto accademie per dibattiti letterari ma anche cattedre di matematica superiore, chimica e chirurgia. La sua grande comprensione per gli altri gli procurò il rispetto dei protestanti e persino dei philosophes francesi: Voltaire gli dedicò la sua tragediaMahomet, provocando l’imbarazzo dei circoli cattolici più tradizionali».

In un’epoca quanto mai difficile per la Chiesa, a Papa Benedetto non sfuggiva il fatto che con l’assolutismo dei sovrani si affermava sempre più il principio della religione di Stato, mentre con il diffondersi dell’Illuminismo il cristianesimo rischiava una crisi di esistenza in un mondo sempre più laico e ateo. Per questo egli, durante i suoi diciotto anni di pontificato, volle e seppe apprezzare i bisogni dell’epoca e stimare i tentativi che si adoperavano per rinnovare i rapporti tra la Chiesa e la società: egli - quasi profeticamente - prevedeva i cambiamenti imminenti della modernità, guardando realisticamente al dovere della Chiesa di impegnarsi per vivere certamente secondo tradizione ma con uno sguardo nuovo le incombenti novità. 
Papa Benedetto XIV è stato veramente uomo di chiesa e veramente uomo moderno.


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16/04/2014 18:42
 
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BENEDETTO XIV
Alle prese con l'Illuminismo

Quando il 19 febbraio 1740 iniziò il nuovo conclave che seguì alla morte di Papa Clemente XII, il cardinale Prospero Lambertini, arcivescovo di Bologna, a qualche cardinale che gli chiedeva un parere sul nuovo pontefice da eleggere, rispose: «Volete un santo? Eleggete Gotti. Volete un politico? Eleggete Aldobrandini. Volete un asino? Eleggete me».
Poco prima di morire, il 3 maggio 1758 nel Palazzo del Quirinale, il cardinale Lambertini, il Nostro Papa Benedetto XIV, pronunciò queste parole: «Io ora cado nel silenzio e nella dimenticanza, l’unico posto che mi spetta».
Questi due fatti ci introducono nella personalità di papa Benedetto XIV, il papa più importante del XVIII secolo, uno dei migliori e più saggi successori di San Pietro.

Prospero Lorenzo Lambertini nacque a Bologna il 31 marzo 1675. Dotato di capacità eccezionali, eccellente per ingegno e applicazione nello studio, perfettamente edotto nel campo giuridico, percorse una rapida e brillante carriera nella curia. Benedetto XIII gli conferì la porpora cardinalizia (1728) e successivamente Clemente XII gli affidò l’arcidiocesi di Bologna (1731). Scrive Antonio Borrelli: «Nella natìa Bologna, il cardinale Lambertini seppe essere uomo pio e zelante; pur essendo un abile prelato della Curia Romana, volle a tutti i costi inserire la semplicità nel suo fecondo apostolato…Era un pastore che si muoveva nella sua vasta diocesi, s’informava delle condizioni della povera gente, emanò ordinanze per alleviarne le pene; istituì una commissione di ecclesiastici perché facesse opera di misericordia visitando e consolando gli ammalati, specialmente i più poveri. Nel suo quasi decennale episcopato bolognese, si adoperò in ogni modo per elevare il livello spirituale e materiale del suo popolo… Molti studiosi lo hanno definito “un cardinale Roncalli (Giovanni XXIII) del Settecento”». Tra il 1734 e il 1738, dirigendo gli uffici addetti al processo delle canonizzazioni, scrisse su un trattato - De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione - oggi considerato come un’opera indispensabile in questo campo.

Nel conclave del 1740 durato sei mesi - il più lungo conclave dei tempi moderni - fu eletto proprio il cardinale Lambertini. John Kelly ne descrive perfettamente il temperamento quando lo dice «conciliante per natura e per convinzione». La sua “politica della pace” è chiara in una frase pronunciata all’indirizzo di un cardinale francese: «La spada non sta bene in mano a chi, benché indegnamente, è vicario di Gesù Cristo». Con questo spirito concluse, in politica estera, i concordati con la Sardegna, Napoli, Spagna, Austria, Portogallo; si mostrò ugualmente conciliante con i sovrani protestanti, nell’interesse dei loro sudditi cattolici. Nel campo della politica interna, Benedetto fece di tutto per migliorare le condizioni del popolo e il livello economico dello Stato Pontificio, riducendo le tasse e incoraggiando l’agricoltura e la libertà di commercio, riducendo inoltre drasticamente lo stanziamento per l’esercito pontificio.

Nel campo ecclesiastico, «quello che più stava a cuore» - parole di Kelly - ad un Papa che mostrava di saper distinguere tra sovranità spirituale e sovranità temporale, la sua legislazione ebbe ampio respiro: inculcò ai vescovi il loro dovere di residenza, della formazione del clero e delle visite pastorali; istituì speciali commissioni che dovevano collaborare alla scelta di vescovi degni. Era sua intenzione riportare la liturgia alla sua purezza: nel 1741 nominò una commissione per la riforma del breviario, alla quale successivamente si sarebbe dedicato lui stesso. Fra il 1748 e il 1754 ridusse il numero delle festività in Italia. Nel 1741 chiese ai vescovi portoghesi del Sudamerica un trattamento più umano per gli Indiani. Con la bolla Ex quo singulari (11 luglio 1742) soppresse i riti cinesi favoriti dai missionari gesuiti e con la bolla Omnium sollicitudinum (12 settembre 1744) estese il divieto ai riti malabarici indiani.
Apro una parentesi. L’aggettivo “malabarico” è aggettivo di significato non solito né comune. Di cosa si tratta? Secondo il vocabolario Treccani, ci si riferisce al Malabàr, regione costiera dell’India, nel Deccan sud-occidentale. In particolare, per “riti malabarici” sono state così chiamate (impropriamente, perché non esclusive del Malabàr) alcune forme di accomodamento a riti, costumi e idee locali (onoranze agli antenati, cerimonie nuziali, modi di designare Dio, distintivi di casta, ecc.) adottate dal secolo XVII in India (come anche in Cina, nei cosiddetti “riti cinesi”) dai missionari gesuiti allo scopo di facilitare la penetrazione missionaria, ma avversate da missionari di altri ordini e causa di gravi contrasti con la Curia Romana. Chiudo la parentesi.

Nel 1750 indisse il Giubileo, durante il quale riuscì ad arrestare il degrado del Colosseo, usato da tempo come cava per l’estrazione di pietre per costruzioni, e vi fece erigere una grande croce in memoria delle migliaia di martiri cristiani uccisi; con semplicità disarmante amava, durante il Giubileo, assecondarsi alle file dei pellegrini in processione davanti alla Porta Santa. Il 18 maggio del 1751 rinnovò la condanna della Massoneria pronunciata da Clemente XII e il 13 marzo del 1752 condannò gli scritti dell’Illuminismo (per esempio, l’Esprit des lois di Montesquieu). La pubblicazione di una edizione migliorata dell’Indice (1758) preceduta da una Costituzione (1753) che prescriveva criteri più giusti e più scientifici per scegliere i libri da includere dimostra la sua caratteristica moderazione, il suo carattere conciliante. Tra gli altri meriti, la diffusione con san Leonardo della devozione alla Via Crucis e il riconoscimento e l’approvazione di due nuove importanti congregazioni religiose: i Passionisti di san Paolo della Croce e i Redentoristi di san Alfonso Maria de Liguori. Fu però molto prudente con i Gesuiti.

Scrive John Kelly nel Grande Dizionario dei Papi: «Socievole e spiritoso, con una ironia che rasentava il sarcasmo e una franchezza talvolta dannosa,Benedetto non trascurò mai gli interessi scientifici. Esperto di storia ecclesiastica, fondò non soltanto accademie per dibattiti letterari ma anche cattedre di matematica superiore, chimica e chirurgia. La sua grande comprensione per gli altri gli procurò il rispetto dei protestanti e persino dei philosophes francesi: Voltaire gli dedicò la sua tragediaMahomet, provocando l’imbarazzo dei circoli cattolici più tradizionali».

In un’epoca quanto mai difficile per la Chiesa, a Papa Benedetto non sfuggiva il fatto che con l’assolutismo dei sovrani si affermava sempre più il principio della religione di Stato, mentre con il diffondersi dell’Illuminismo il cristianesimo rischiava una crisi di esistenza in un mondo sempre più laico e ateo. Per questo egli, durante i suoi diciotto anni di pontificato, volle e seppe apprezzare i bisogni dell’epoca e stimare i tentativi che si adoperavano per rinnovare i rapporti tra la Chiesa e la società: egli - quasi profeticamente - prevedeva i cambiamenti imminenti della modernità, guardando realisticamente al dovere della Chiesa di impegnarsi per vivere certamente secondo tradizione ma con uno sguardo nuovo le incombenti novità. 
Papa Benedetto XIV è stato veramente uomo di chiesa e veramente uomo moderno.


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PIO VI
Prigioniero della Rivoluzione Francese

«Pio era molto amante dello sfarzo e del cerimonioso protocollo; fece rinascere il nepotismo, assegnando ai parenti generose pensioni e costruendo per il nipote Luigi il palazzo Braschi. Desiderando di essere ricordato come patrono delle arti, impiegò ingenti somme per costruire splendidi edifici come la sacrestia di S. Pietro e il museo Pio-Clementino e per migliorare la rete stradale. Queste spese eccessive, oltre al suo audace ma infruttuoso tentativo di prosciugare le paludi Pontine, provocarono il dissesto del tesoro papale. Egli cedette inoltre ai nipoti la proprietà assoluta di gran parte dei territori bonificati».
Queste parole di John Kelly dicono molto su Papa Pio VI, ma di sicuro non dicono tutta la verità sul Papa che ha dovuto affrontare i fatti della Rivoluzione Francese.

Gian Angelo Braschi nacque a Cesena il 25 dicembre 1717. Conseguì il titolo di dottore in giurisprudenza nel 1735. Intraprese la carriera ecclesiastica, fino a quando nel 1753 fu scelto da Benedetto XIV come segretario privato per la sua abilità diplomatica. Clemente XIV nel 1773 lo nominò cardinale. Un difficile conclave durato 134 giorni durante gli anni 1774-1775 lo elesse Papa; egli prese il nome di Pio VI.
Per quanto riguarda la politica estera, le grandi potenze erano in generale ben disposte verso di lui e il suo pontificato. Occorre però ricordare il caso austriaco. Qui, nella cattolica Austria, l’imperatore Giuseppe II(1780-1790), il figlio “illuminato” di Maria Teresa, influenzato dal febronianismo (dottrina che limitava il ruolo del Papa ad una carica onorifica e prevedeva che a capo della Chiesa ci fosse un concilio universale) e dall’illuminismo, si servì del suo sistema di assoluta supremazia dello Stato sulla Chiesa per instaurare il cosiddetto «giuseppinismo»: completa tolleranza religiosa, limitazione dell’intervento papale alla sfera spirituale, subordinazione della Chiesa allo Stato sotto ogni aspetto, così da attuare riforme dispotiche, avvalersi dei diritti di giurisdizione ecclesiastici e sopprimere, in modo graduale, i monasteri e le altre fondazioni ecclesiastiche. Neppure un viaggio di Pio VI a Vienna (1782) riuscì a smuovere l’imperatore; ciò a dimostrazione del fatto che la reputazione del papato era scesa di nuovo, come altre volte nella storia, a un livello piuttosto basso.

«Con la rivoluzione francese iniziò un capitolo molto più infausto», annota John Kelly. All’inizio Pio VI non prese provvedimenti contro la «Costituzione civile del clero» (12 luglio 1790). Ma quando ai sacerdoti fu richiesto un giuramento di fedeltà al regime, il papa condannò come scismatica la Costituzione, dichiarò sacrileghe le ordinazioni dei nuovi vescovi di stato, sospese i preti e i prelati che avevano prestato il giuramento civile e condannò la «Dichiarazione dei diritti dell’uomo». Le relazioni diplomatiche furono interrotte e la chiesa francese fu profondamente divisa.
Nel 1796 Napoleone Bonaparte occupò Milano, ma papa Pio VI continuava a respingere le richieste francesi riguardo al ritiro della condanna pronunciata contro la Costituzione e la Rivoluzione. Quando Napoleone invase gli stati pontifici, papa Pio VI dovette accettare dure condizioni di pace: un sostanzioso tributo di guerra, la consegna di preziosi manoscritti e opere d’arte e la cessione di vasti territori dei suoi stati (pace di Tolentino, 19 febbraio 1797).
Quando il generale francese Duphot fu ucciso in una sommossa a Roma, il Direttorio ordinò una nuova occupazione degli stati pontifici. Il 15 febbraio 1798 il generale Berthier entrò in Roma, proclamò la repubblica romana e, deposto il pontefice (considerato come un capo di stato), lo costrinse a ritirarsi in Toscana; per vari mesi il Papa visse nella Certosa di Firenze. Per evitare qualsiasi tentativo di liberazione venne trasferito da Firenze, attraverso Torino e le Alpi, a Briançon e poi a Valence. Pio VI morì prigioniero nella cittadella di Valence il 29 agosto 1799. 

Ha scritto Giovanni Paolo II: «Gli ultimi mesi di Pio VI furono la sua via crucis. A più di ottant'anni, gravemente colpito dalla malattia, fu strappato alla sede di Pietro. A Firenze poté ancora beneficiare per qualche tempo di una relativa libertà che gli permise di esercitare la sua responsabilità di Pastore universale. Fu poi costretto ad attraversare le Alpi lungo sentieri innevati. Giunse a Briançon e quindi a Valence, dove la morte pose termine al suo viaggio terreno, lasciando credere ad alcuni che era giunta la fine per la Chiesa e il Papato. È bene ricordare qui le parole di Cristo a Pietro, che corrispondono all'esperienza vissuta da Papa Pio VI in quell'anno 1799: «Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21, 18).
Pio VI accettò la prova con serenità e nella preghiera, e, al momento della sua morte, perdonò i suoi nemici, suscitando così la loro ammirazione. Tuttavia, alle sue sofferenze fisiche si aggiunse un tormento morale riguardo alla situazione ecclesiale. Nonostante l'agitazione che regnava a quel tempo in Francia, ricevette numerose e commoventi testimonianze di rispetto, di compassione e di comunione nella fede da parte della gente semplice, lungo il cammino, a Briançon, a Grenoble e a Valence. Per quanto umiliato, il «padre comune dei fedeli», come lo chiamava il poeta Paul Claudel, era riconosciuto e venerato dai figli e dalle figlie della Chiesa. Questa accoglienza semplice e sollecita, in quelle circostanze drammatiche, è una consolazione per tutti». 


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16/04/2014 18:47
 
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PIO VII
Il papa prigioniero di Napoleone

Il conclave che seguì alla morte di Pio VI elesse «come candidato di compromesso» Luigi Barnaba Chiaramonti. Riunito nel 1799 sotto la protezione della corona asburgica, fu possibile grazie agli sforzi di monsignor Ettore Consalvi, segratario del conclave, che riuscì a riunire a Venezia 35 cardinali.
Nato a Cesena il 14 aprile 1742, in una nobile famiglia, Luigi Chiaramonti entrò ben presto nell’ordine benedettino. Percorse una brillante carriera ecclesiastica fino a diventare cardinale nel 1785, per nomina di Pio VI. «Molto aperto alle idee moderne, mentre era vescovo di Imola si dimostrò una guida coraggiosa in tempi di travagliati mutamenti politici; nel Natale del 1797 (quando l'Italia era sotto il dominio francese, ndr) sconcertò i conservatori, dichiarando in un sermone che non vi era necessariamente contraddizione fra cristianesimo e democrazia», si legge nel Grande Dizionario Illustrato dei Papi.
Eletto Papa, non potè fare il suo ingresso a Roma fino al 3 luglio 1800, dopo che austriaci e napoletani riuscirono a cacciare i francesi. Una volta preso possesso dei territori pontifici, Pio VII persuase i suoi liberatori a ritirarsi dallo stato della Chiesa e poi, grazie ai meriti dell’ottimo segretario di Stato Consalvi, riprese ad amministrarlo. Per quanto riguarda la Francia, tanto lui che il suo segretario miravano a trovare un accordo con il governo rivoluzionario: aderendo ad alcune proposte di Napoleone Bonaparte, allora primo console, conclusero con lui un concordato che ripristinava il cattolicesimo in Francia, riconoscendo che era la religione della maggior parte dei cittadini francesi. La Chiesa dovette fare molte concessioni, ma il concordato procurava notevoli vantaggi.

Nel settembre del 1803, dopo la seconda discesa di Napoleone in Italia, Pio VII stipulò un concordato anche con la neonata Repubblica Italiana. Nel 1804, «contro il parere della curia», andò a Parigi per presenziare all’incoronazione imperiale di Napoleone. Ma dopo l’auto-incoronazione del generale corso come imperatore dei Francesi, i rapporti si fecero difficili.
Il 10 giugno 1809, in seguito alla seconda occupazione di Roma da parte delle truppe napoleoniche, Pio scomunicò tutti i «depredatori del patrimonio di Pietro», senza però nominare esplicitamente Napoleone.
Fu così che si venne all’arresto del Papa (5 luglio 1809). Racconta Claudio Ceresa sulle pagine dell’Osservatore Romano che il generale Radet, di fronte a Pio VII accennò con imbarazzo al suo compito: arrestare il successore di Pietro, e «chiese poi al Pontefice, da parte dell’imperatore, di rinunziare alla sovranità temporale della città di Roma e dello Stato romano (…) Pio VII prese lo spunto dalle parole del suo interlocutore, che aveva ricordato il giuramento di obbedienza da lui prestato al sovrano, e lo invitò a considerare in quale modo e con quale fedeltà il Vicario di Cristo era impegnato a sostenere i diritti della Santa Sede». Pio VII fu portato prigioniero a Savona: secondo Jean Leflon, uno dei più importanti studiosi del pontificato di Pio VII, nel viaggio verso Savona appare quella «dolce tristezza e il naturale sorriso» di Pio VII «che durante la sua prigionia caratterizzerà il suo consueto atteggiamento». Nel tragitto «da tragicommedia» che si svolge tra l’Italia e la Francia, Pio VII fu accompagnato e consolato da «dimostrazioni di rispetto e di simpatia che gli tributano popolazioni silenziose e costernate». In particolare, papa Benedetto XVI, nella visita a Savona e Genova del maggio 2008, ha ricordato «l’amore e il coraggio con cui i savonesi sostennero il Papa nella sua residenza coatta»

Per questo, Napoleone volle che Pio venisse trasferito a Fontainebleau. Come nota Lorenzo Cappelletti su 30Giorni, lo scopo era quello di fiaccarne la resistenza (il Papa fu sul punto di morire durante il percorso), ma sembra anche che sia stato motivato dalla volontà di impedire il sostegno dei fedeli a Pio VII, che negli anni savonesi non è mai mancato. 
Il Papa stanco e malato fu costretto a firmare (25 gennaio 1813) il concordato di Fontainebleau in cui faceva ampie concessioni, compresa la rinuncia agli stati pontifici. Ma ben presto avrebbe ritrattato la sua firma.
Il 7 giugno del 1815, dopo la definitiva sconfitta di Napoleone e l'inizio del congresso di Vienna, Pio poté tornare definitivamente in Vaticano, accolto dalla stima di molti. «La quinquennale prigionia di Pio VII (ma si potrebbe estendere l’affermazione all’intero suo pontificato) sconta, non solo a livello divulgativo, un deficit di conoscenza anche fra gli stessi cattolici, dovuto alla prevalente attenzione riservata nel bene e nel male alla figura di Napoleone», scrive Cappelletti. Pio VII, ritornato a Roma, non partecipò alla damnatio memoriae del suo antico persecutore. «Così come al momento della cattura di Pio VII, “nessuna protesta si fece sentire, non una sola voce protettrice discese dai troni cattolici in favore di questo illustre carcerato”, altrettanto avvenne al momento dell’esilio di Napoleone, salvo appunto la misericordia di quello che era stato suo prigioniero» come ricorda Cappelletti. La madre del Bonaparte in una lettera del 27 maggio 1818 al segretario di Stato vaticano scriveva: «La sola consolazione che mi sia concessa è quella di sapere che il Santissimo Padre dimentica il passato per ricordare solo l’affetto che dimostra per tutti i miei. Noi non troviamo appoggio ed asilo se non nel governo pontificio, e la nostra riconoscenza è grande come il beneficio che riceviamo».

John Kelly racconta così il suo rientro a Roma: «Uno dei suoi primi atti fu di reintegrare il Consalvi, che nel congresso di Vienna (1814-1815) negoziò la restituzione alla Santa Sede di quasi tutti i suoi domini temporali (…) Pio VII rifiutò di aderire alla Santa Alleanza del 1815 perché ciò avrebbe comportato la sottoscrizione di un manifesto religioso insieme a scismatici e eretici. Il Consalvi intanto dette inizio a una seconda ricostruzione dello Stato pontificio, ma i suoi tentativi di innestare riforme amministrative, giudiziarie e finanziarie ispirate al modello liberale francese sull’antiquato sistema papale, esasperarono tanto i reazionari quanto i progressisti. Intanto Pio, sempre con l’appoggio del Consalvi, cominciò a riorganizzare la Chiesa, dovunque dissestata per i recenti conflitti. Le modificazioni territoriali effettuate dal congresso di Vienna e il clima più favorevole gli consentirono di concludere concordati».

Ma i principali interessi di Pio erano di carattere spirituale e religioso piuttosto che amministrativo e politico. In particolare, nonostante l’opposizione delle varie potenze, ricostituì la Compagnia di Gesù in tutto il mondo, con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum del 30 luglio 1814. Egli si considerava il protettore della purezza della dottrina e come tale condannò le società bibliche protestanti, l’indifferentismo incoraggiato dall’illuminismo e la massoneria.
Papa Pio VII si sforzò realmente di adattare il papato al mondo moderno e quando morì (20 luglio 1823) esso godeva di un rispetto impensabile al momento della sua assunzione al pontificato.

 

[Modificato da Credente 16/04/2014 18:48]
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PIO IX
La nascita del papato moderno

Giovanni Maria Mastai Ferretti nacque a Senigallia il 13 maggio 1792. Dopo una brillante carriera ecclesiastica, interrotta da periodi di malattia dovuti ad improvvisi attacchi epilettici, nel 1840 fu nominato cardinale e nel 1846 il conclave lo elesse Papa, stimandolo un progressista moderato e rifiutando così il reazionario Luigi Lambruschini, considerato più conservatore.Il suo pontificato (1846-1878) è stato uno dei più lunghi della storia della Chiesa: furono decenni particolarmente densi di avvenimenti che videro la nascita dello Stato italiano e la fine del potere temporale del Papa. Il 3 settembre 2000 è stato beatificato da Giovanni Paolo II.
Pio IX fu accolto inizialmente con favore, poiché era ritenuto uno spirito liberale e favorevole al sentimento nazionalista che si stava diffondendo in Europa. Quando, il 14 marzo 1848, egli diede allo Stato Pontificio una Costituzione e concesse un parlamento con due camere elettive, il suo gesto fu accompagnato da entusiasmo e da manifestazioni di gioia.
Ma quando il primo ministro pontificio, il conte Pellegrino Rossi (1787-1848), fu assassinato nel novembre 1848 da radicali rivoluzionari, e il Papa fu costretto a fuggire a Gaeta per la rivoluzione scoppiata a Roma (il 9 febbraio 1849 fu proclamata la cosiddetta Repubblica Romana), Pio IX mutò completamente indirizzo: con l’aiuto di truppe francesi riconquistò Roma e lo Stato Pontificio e ristabilì l’antico regime.

Ma il moto nazionale di unificazione, alla cui testa si era posto il re Vittorio Emanuele II (1820-1878), era ormai inarrestabile. Il primo ministro del Piemonte Camillo Cavour (1810-1861) guidò il movimento. Nel 1859 lo Stato Pontificio perse la Romagna e, dopo la sconfitta subita nei pressi di Castelfidardo (18 settembre 1860), le truppe pontificie furono costrette ad abbandonare anche l’Umbria e le Marche. Nel marzo del 1861 Vittorio Emanuele si fece proclamare, a Torino, re d’Italia. Roma e il Lazio restavano al Papa. 
Ma il 20 settembre 1870 la stessa Roma fu occupata da forze italiane e in ottobre prese a far parte del neonato Stato italiano. «Ebbe così termine, dopo un’esistenza millenaria, lo Stato Pontificio», nota August Franzen.
Pio IX si ritirò in Vaticano. Vittorio Emanuele stabilì la sua residenza a Roma, insediandosi al Quirinale. Le proteste e le scomuniche del Papa verso gli invasori furono ignorate. Il nuovo governo concesse al Pontefice, con la cosiddetta Legge delle Guarentigie (13 maggio 1871), una rendita annua, come indennizzo, e assicurò a Pio IX la libertà e il pieno esercizio di tutte le sue funzioni spirituali, riconoscendogli al tempo stesso l’inviolabilità della sua persona e i diritti sovrani. Il Papa respinse queste offerte per non riconoscere il nuovo Regno d’Italia e non cessò mai di protestare, considerandosi sempre «prigioniero del Vaticano». Anzi, con una serie di decreti si affermò il principio del Non expedit («non conviene»), che vietava ai cattolici italiani di partecipare alle elezioni politiche. Questi provvedimenti generarono vivi dibattiti all’interno del mondo cattolico tra coloro che li interpretavano in modo restrittivo e quelli che ritenevano necessario fare ciò che non era espressamente vietato: partecipare alla vita del Paese attraverso l’impegno sociale e la politica nelle amministrazioni comunali.

Pio IX canonizzò un gran numero di beati e santi. L’8 dicembre 1870 proclamò San Giuseppe Patrono della Chiesa universale e il 16 giugno 1875 consacrò il mondo cattolico al Sacro Cuore di Gesù. Ma, secondo John Kelly, tre eventi risaltano per una particolare importanza: «Il primo fu la definizione (l’8 dicembre 1854) del dogma dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, la sua immunità dal peccato originale. Il secondo fu la pubblicazione (8 dicembre 1864), dopo ripetute condanne delle dottrine errate e appelli a un ritorno all’insegnamento di San Tommaso d’Aquino, dell’enciclica Quanta cura, alla quale era unito il Sillabo che denunciava "i principali errori dei nostri tempi". Il terzo fu la convocazione del Concilio Vaticano I (XX Concilio ecumenico, 1869-1870)».

L’8 dicembre 1854 Pio IX eleva a dogma l’antica fede secondo la quale Maria era stata concepita senza il peccato originale: «È una dottrina rivelata di Dio, che Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia e un favore singolari di Dio in considerazione dei meriti di Gesù Cristo, è stata preservata da ogni macchia di peccato originale. Non era il fatto in sé ad apparire nuovo, ma il modo della proclamazione», nota Franzen. In questo caso, infatti, non si trattò di una decisione espressa dal Concilio, bensì di una definizione pronunciata ex cathedra, dal Papa stesso, che rimise in discussione il problema se e fino a qual punto il Pontefice da solo, senza l’espressione del Concilio, potesse decidere e proclamare verità infallibili di fede.

Dieci anni più tardi, il giorno 8 dicembre 1864, Pio IX con la sua enciclicaQuanta cura trasmise a tutti i vescovi un Sillabo: un compendio di ottanta fra i principali errori del suo tempo, che dovevano essere condannati dal punto di vista cattolico. Questi errori riguardavano le dottrine del panteismo, del naturalismo e del razionalismo, ma anche quelle del socialismo e del comunismo e opinioni erronee sui rapporti fra Chiesa e Stato, sulla natura del matrimonio cristiano, sulla necessità o non-necessità dello Stato della Chiesa. 

Infine due giorni prima della pubblicazione del Sillabo, il 6 dicembre 1864, per la prima volta Pio IX faceva capire di avere concepito l’idea di volere convocare un Concilio ecumenico. Dopo una fase preparatoria, all’inizio tenuta segreta, il Papa in occasione del diciottesimo centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo (1867), dinanzi a più di cinquecento vescovi annunciò il suo disegno di indire il Concilio. Il quale sarebbe stato aperto il giorno 8 dicembre 1869, a Roma. Nella costituzione Pastor aeternus (18 luglio 1870) si dichiarava che le definizioni del Papa su questioni di fede e di morale, formulate ex cathedra, sono infallibili di per sé e non per il consenso della Chiesa, portando così a termine uno sviluppo dottrinale durato secoli, eliminando ogni interpretazione conciliaristica della missione del papato.

Pio IX morì il 7 febbraio 1878. La festa si celebra il 7 febbraio. L’opera di questo grande Papa è ben riassunta nel giudizio di August Franzen e di John Kelly. Il primo nota che «il pontificato di Pio IX fu tanto ricco di eventi storici quanto caratterizzato da profondi turbamenti. Nella misura stessa in cui diminuì la potenza politica del papato all’esterno, crebbe la sua statura morale all’interno della Chiesa. La definizione dell’infallibilità e la dichiarazione del primato papale coincisero cronologicamente con la conquista di Roma e il tramonto dello Stato Pontificio». Oltre a questo John Kelly ha notato che «egli aveva effettivamente creato il papato moderno, spogliato - cosa che lui non cessò mai di deplorare - del suo potere temporale, ma in compenso più forte per una maggiore autorità spirituale. Il suo pontificato fu testimone di vigorosa rigenerazione spirituale, sia nel clero che nella massa dei fedeli; ciò si può attribuire direttamente ai suoi continui sforzi di rendere più profonda la vita religiosa, ma anche al suo proposito di essere soprattutto un sacerdote e un pastore di anime, offrendo un luminoso esempio al suo gregge».


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