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CARATTERISTICHE PER UNA BUONA TRADUZIONE BIBLICA

Ultimo Aggiornamento: 04/08/2013 21:48
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04/08/2013 21:33
 
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Ma ora è necessario delineare le principali caratteristiche di una buona traduzione.
La prima è indubbiamente quella della fedeltà: si intende la fedeltà al testo originale, sia esso ebraico o greco. Questa nota è da considerare come la prima in senso assoluto. Infatti se manca la fedeltà al testo biblico criticamente ricostruito - fin dove è possibile ricostruirlo - ogni traduzione slitta fatalmente verso la parafrasi, verso l’interpretazione. Tuttavia - è doveroso dichiararlo esplicitamente -una fedeltà assoluta non è possibile per molteplici e svariate ragioni. Basti accennare a una: i mondi culturali sottesi a due lingue diverse, soprattutto se esse sono distanziate di secoli nel tempo, sono assai diversi ed è molto difficile che ad un’area semantica del primo mondo corrisponda esattamente un’area semantica della lingua moderna.
Sotto il profilo della fedeltà al testo originario la presente revisione ha fatto passi da gigante: lo hanno riconosciuto esplicitamente i revisori che, per ultimi, hanno fatto alcune verifiche estremamente minute.

La traduzione della Bibbia come ministero nella Chiesa


Ogni comunità che riconosce e venera la Bibbia come segno manifestativo della presenza di Dio, affida più o meno esplicitamente a qualcuno dei suoi il compito di rendere il messaggio biblico in termini leggibili e comprensibili. Una comunità di fede, infatti, non può vivere e tanto meno alimentare la sua fede senza un costante riferimento alla parola di Dio scritta.
Ma di questa parola scritta è bene cogliere subito la vera natura. Per dirla con un’espressione di K. Barth, la Bibbia è "segno del segno della Parola di Dio". In altri termini: è segno scritto di quel segno orale che fu la predicazione profetica e apostolica, la quale a sua volta fu segno dell’evento storico-salvifico di Dio che ha parlato al suo popolo: all’antico popolo di Israele per mezzo dei profeti, e, nella pienezza dei tempi, per mezzo del Figlio al mondo intero.
Ma come è possibile descrivere l'esperienza del tradurre intesa non come affare personale o privato, bensì come esperienza ecclesiale-comunitaria?
E tradurre la Bibbia per noi è stata anzitutto un'esperienza religiosa autentica, un continuo e metodico accesso a quel mistero che abbiamo appena descritto. Anche se le discussioni vertevano necessariamente spesso su questioni altamente specializzate, non mancava mai tuttavia la nostra attenzione ai risvolti esegetici e alle implicanze teologiche delle pagine bibliche sottoposte ad analisi. In questo modo possiamo dire con estrema sincerità che il nostro lavoro, giorno dopo giorno, assumeva sempre più le sembianze di un approccio discreto, ma metodico, a quel "roveto ardente" che per ogni credente oggi è riconoscibile nella Bibbia (vedi Es 3,1-10).
Per noi tradurre la Bibbia con un mandato particolare e per una precisa comunità, è stato anche l'esercizio di un vero e proprio ministero: un servizio alla comunità cristiana pellegrina in Italia. Abbiamo così risposto alle indicazioni recentemente offerteci dai vescovi italiani in una Nota pastorale che porta il titolo La Bibbia nella vita della Chiesa: "In modo particolare la Nota si rivolge a quanti nella Chiesa sono posti al servizio della Parola, perché prendano sempre più viva coscienza e rafforzino capacità e coraggio per realizzare un compito tanto valido e impegnativo: introdurre tutto il popolo di Dio alla ricchezza inesauribile di verità e di vita della Sacra Scrittura... Insieme alla preparazione delle persone, bisogna attendere alla elaborazione di strumenti e sussidi opportuni per un’efficace incontro con la Bibbia. Il punto di partenza è lo stesso testo sacro, espresso in una buona traduzione" (nn. 4 e 38).
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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