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LA NOTTE OSCURA (s.Giovanni della Croce)

Ultimo Aggiornamento: 02/08/2013 17:42
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02/08/2013 17:35
 
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CAPITOLO 9
Ove si dice come questa notte, pur gettando lo spirito nelle tenebre, lo illumini e gli infonda luce.
1. Ora non ci resta che mostrare come questa gioiosa notte, se produce tenebre nello spirito, è solo per illuminarlo su tutte le cose; se lo umilia e lo priva di ogni bene, lo fa solo per elevarlo ed esaltarlo; se lo rende povero e spoglio d’ogni possesso e attaccamento umano, lo fa solo perché sia divinamente preparato a godere e gustare le cose soprannaturali e naturali, in perfetta libertà di spirito. Difatti, come gli elementi per entrare a far parte di tutti i composti e gli esseri della natura devono essere privi di ogni colore, odore e sapore al fine di adattarsi a tutti i sapori, gli odori e i colori, così dev’essere lo spirito. Occorre che sia semplice, puro e spoglio di tutti i possibili affetti naturali, sia attuali che abituali, per poter comunicare in totale libertà di spirito con la Sapienza divina, nella quale gusta tutti i sapori di tutte le cose, in modo eminente, grazie alla sua purezza. Senza questa purificazione non potrà sentire né gustare in alcun modo il sapore di questa abbondanza di delizie spirituali. Basta un affetto o un oggetto particolare al quale sia attaccato, attualmente o abitualmente, perché lo spirito non senta, non gusti e non partecipi al delicato sapore dello spirito d’amore, che contiene in grado eminente tutti i sapori.
2. I figli d’Israele, soltanto perché avevano conservato un unico affetto e ricordo della carne e del cibo d’Egitto (Es 16,3), non potevano gustare il delicato pane degli angeli nel deserto, che era la manna e che, come dice la sacra Scrittura, si adattava al gusto di chi lo inghiottiva e si trasformava in ciò che ognuno desiderava (Sap 16,21). Così è dello spirito: esso non può riuscire a gustare le delizie dello spirito di libertà, come vuole la volontà, se è ancora attaccato a qualche affetto attuale o abituale o si sofferma su qualche conoscenza particolare o su qualsiasi altra percezione. Questo perché gli affetti, i sentimenti e le percezioni dello spirito perfetto, essendo divini, sono di un genere talmente diverso da quello naturale e talmente eminente che, per possederli attualmente e abitualmente, occorre necessariamente espellere e distruggere abitualmente e attualmente gli altri; due contrari, infatti, non possono esistere contemporaneamente nello stesso soggetto. Perciò è opportuno, anzi necessario, che la notte oscura della contemplazione prima distrugga e faccia sparire le imperfezioni dell’anima, perché possa raggiungere tali altezze, e poi la introduca nelle tenebre, nell’aridità, nelle angustie e nel vuoto. Difatti la luce che l’anima deve ricevere è un’altissima luce divina che supera qualsiasi luce naturale e non è compresa naturalmente da alcuna intelligenza.
3. Per poter arrivare a unirsi con essa e divenire divino nello stato di perfezione, l’intelletto deve, come prima operazione, aver purificato e ridotto a nulla la sua luce naturale; solo così potrà entrare nelle tenebre attraverso questa oscura contemplazione. È opportuno che resti in queste tenebre il tempo necessario per espellere e ridurre a nulla l’abitudine, da tempo contratta, di comprendere a modo proprio e mettere, invece, al suo posto la rivelazione e la luce di Dio. Poiché la facoltà di comprendere che aveva precedentemente era una facoltà naturale, ne consegue che le tenebre che ora soffre sono profonde, orribili e molto dolorose. E poiché sono avvertite nelle profondità della sostanza dello spirito, sembrano tenebre sostanziali. L’amore che sarà comunicato all’anima nell’unione d’amore è divino, quindi è molto spirituale, delicato e interiore; supera ogni affetto e sentimento naturale e imperfetto della volontà, come pure tutti i suoi appetiti. Questo è il motivo per cui, se la volontà deve arrivare a sentire e a gustare tramite l’unione d’amore questa gioia divina così sublime, che naturalmente non è in suo potere, occorre che venga prima purificata e spogliata di tutti i suoi affetti e attaccamenti. È necessario, altresì, che resti nell’aridità e nell’angoscia tutto il tempo necessario perché scompaiano i suoi affetti naturali verso le cose divine e umane. Una volta purificata, spogliata e completamente liberata nel fuoco di questa contemplazione divina da ogni genere di demoni, come avvenne quando il cuore del pesce da Tobia fu posto sulla brace degli incensi (Tb 6,17), avrà una disposizione pura e semplice, e il suo palato sarà purificato e sano per apprezzare gli elevati e insoliti tocchi dell’amore divino, in cui si vedrà divinamente trasformata. Ormai, come dicevo prima, sono stati eliminati tutti gli ostacoli attuali e abituali presenti nell’anima.
4. Affinché l’anima divenga idonea all’unione divina, verso cui cammina mentre attraversa la notte oscura, occorre che sia colma d’una certa splendidezza densa di gloria per comunicare con Dio, splendidezza che racchiude in sé innumerevoli beni e abbondanti delizie, e che l’anima non può possedere naturalmente, data la sua natura debole e impura, come dice Isaia: Orecchio non ha sentito, occhio non ha visto, né è entrato in cuore umano ciò che è apparso… (Is 64,3). Occorre, dunque, prima d’ogni cosa, che l’anima sia nel vuoto e nella povertà di spirito, purificata da ogni attaccamento, conforto e percezione naturale di cose divine e umane. Una volta svuotata di tutto, è veramente povera di spirito e spoglia dell’uomo vecchio; può finalmente vivere quella nuova e beata vita che si raggiunge attraverso questa notte oscura e che è lo stato dell’unione con Dio.
5. Inoltre l’anima deve giungere ad avere una sensazione e una conoscenza divina molto alta e gustosa di tutte le cose divine e umane. La sua non sarà né una sensazione volgare né una conoscenza naturale, ma guarderà quelle cose con occhi tanto diversi da prima, quando diverso è lo spirito rispetto ai sensi e il divino rispetto all’umano. Lo spirito deve purificarsi e liberarsi dai mezzi volgari e naturali di comprensione; occorre farlo passare attraverso angustie e amarezze in questa contemplazione purificatrice. Quanto alla memoria, essa dovrà allontanarsi da ogni nozione piacevole e serena; dovrà nutrire un sentimento molto intimo e una disposizione che la renderanno estranea a tutto e l’allontaneranno da ogni cosa. Solo allora le apparirà che tutto quaggiù è completamente diverso da come l’immaginava in passato. Questa notte, dunque, toglie lo spirito dal suo modo abituale e comune di conoscere la realtà, per sostituire ad esso sentimenti divini; è talmente elevato e lontano da ogni modo umano di agire, che sembra essere fuori di sé, con grande angustia. Altre volte si chiede se quello che prova sia incantesimo o intontimento e si meraviglia di ciò che vede e sente, quasi si trattasse di cose insolite e strane, mentre sono le stesse di cui si occupava abitualmente in altri tempi. Tutto ciò è dovuto al fatto che l’anima si sta allontanando ed estraniando dal comune modo di sentire le cose e di conoscerle. Tale modo di conoscere è stato ridotto a nulla ed è divenuto divino. In questa situazione, l’anima sembra appartenere più all’altra vita che alla presente.
6. L’anima sopporta tutte queste dolorose purificazioni dello spirito al fine di essere rigenerata alla vita nuova dello spirito per mezzo di questo influsso divino. È in queste doglie che essa arriva a generare lo spirito di salvezza, secondo quanto dice il profeta Isaia: Davanti a te, Signore, abbiamo concepito, abbiamo avuto dolori di partoriente…, abbiamo generato lo spirito di salvezza (cfr. Is 26,17-18). Inoltre, per mezzo di questa notte contemplativa l’anima si prepara alla tranquillità e alla pace interiore che è così profonda e piena di delizie che, come afferma la Chiesa, sorpassa ogni intelligenza (Fil 4,7). È opportuno che l’anima sacrifichi completamente la sua pace anteriore, la quale, essendo carica d’imperfezioni, non era pace vera. All’anima che si vedeva piena di abbondanze spirituali sembrava vera questa pace, perché conforme al suo gusto; pensava, cioè, che fosse pace, anzi pace due volte, avendo conquistato la pace dei sensi e dello spirito. Ma essendo ancora imperfetta questa pace, occorre che l’anima ne venga prima purificata, liberata e separata. Questo è quanto provava ed esprimeva piangendo Geremia nella citazione riportata sopra per descrivere le prove di questa terribile notte: Sono rimasto lontano dalla pace, ho dimenticato il benessere (Lam 3,17).
7. Si tratta di una purificazione molto dolorosa per l’anima a causa di numerosi timori, delle immaginazioni e delle lotte che l’anima prova dentro di sé. La visione e sensazione delle proprie miserie fa credere all’anima che sia perduta e che siano altresì perduti per sempre tutti i suoi beni. Di conseguenza si lascia andare a un dolore e a gemiti così profondi da scoppiare in forti grida e strida spirituali, che a volte le sfuggono dalle labbra e si sciolgono in lacrime quando ne ha la forza e il coraggio, sebbene goda raramente di questo sollievo. Davide, che aveva sperimentato questa prova, la descrive molto bene in un salmo: Afflitto e sfinito all’estremo, ruggisco per il fremito del mio cuore (Sal 37,9). Questo ruggito è segno di grande dolore, perché a volte, per l’improvviso e vivo ricordo delle sue miserie, l’anima avverte i suoi affetti talmente avviluppati dal dolore e dalla tristezza che non so come esprimerlo. A tale scopo sarà meglio prendere in prestito le parole di Giobbe, che aveva fatto un’esperienza del genere: I miei ruggiti sgorgano come acqua (Gb 3,24). Difatti, come l’acqua a volte produce tale inondazione da sommergere tutto, così questo ruggito doloroso dell’anima talvolta cresce tanto da inondarla e penetrarla interamente. Tutti i suoi affetti e le sue forze più profonde sono prese da angosce e dolori spirituali tali che è impossibile descrivere.
8. Tali sono gli effetti prodotti nell’anima da questa notte che nasconde la speranza di rivedere la luce del giorno. Sempre a questo proposito il profeta Giobbe afferma: Di notte mi sento trafiggere le ossa, e i dolori che mi rodono non mi danno riposo (Gb 30,17). Per ossa, qui, s’intende la volontà che è trafitta da questi dolori che non danno tregua e non cessano di lacerare l’anima, perché i dubbi e i timori che la tormentano non conoscono sosta né riposo.
9. Questa lotta e questo combattimento sono tremendi, perché la pace che si aspetta dev’essere molto profonda; anche il dolore spirituale è intimo e sottile, perché anche l’amore che si dovrà raggiungere dev’essere molto elevato e puro. Quanto più perfetta e accurata dev’essere e risultare l’opera, tanto più intimo, accurato e puro dev’essere l’impegno; un edificio è tanto più solido quanto più stabili sono le sue fondamenta. Per questo dice Giobbe: Ora mi consumo… e le mie viscere ribollono senza posa (Gb 30,16 e 27). Poiché l’anima è chiamata a possedere e godere nello stato di perfezione, verso il quale cammina attraverso questa notte purificatrice, innumerevoli beni di doni e di virtù, a livello sia di sostanza che di potenze, deve anzitutto vedersi e sentirsi privata in generale di tutti questi beni. Deve sentirsi vuota e povera di ogni bene, tanto da credere d’esserne così lontana da non riuscire mai a raggiungerlo e che tutto il bene sia finito per lei. Questo è quanto dà a intendere Geremia in un passo già citato: Ho dimenticato il benessere (Lam 3,17).
10. In questa situazione sorge una difficoltà da risolvere. Si tratta di sapere perché questa luce di contemplazione, pur molto soave e dolce per l’anima tanto da non trovare nulla di più desiderabile – ho detto, infatti, che per suo tramite l’anima deve unirsi e raggiungere tutti quei beni nello stato di perfezione che ricerca –, con i suoi assalti all’inizio le procuri effetti dolorosi e strani come quelli che ho descritto.
11. Si può facilmente rispondere a questo dubbio ripetendo ciò che in parte ho già spiegato, e cioè che tutto ciò non è dovuto alla contemplazione o infusione divina, che di per sé non può dare dolore ma piuttosto grande dolcezza e piacere, come dirò in seguito. La causa di queste sofferenze sta nella debolezza e nell’imperfezione in cui si trova in quel momento l’anima, come pure nelle sue disposizioni interiori contrarie a ricevere tali favori. Questo spiega perché quando l’anima riceve questa luce divina necessariamente prova le sofferenze di cui si è parlato.
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