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IL CASTELLO INTERIORE (s.Teresa d'Avila)

Ultimo Aggiornamento: 02/08/2013 15:02
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02/08/2013 14:56
 
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QUARTE MANSIONI
CAPITOLO 1
Parla della differenza che esiste fra gioie e dolcezza dell’orazione, e diletti spirituali, e dice quanto sia stata felice di comprendere che l’immaginazione è cosa diversa dall’intelletto. È utile per chi è soggetto a frequenti distrazioni durante l’orazione.
1. Per cominciare a parlare delle quarte mansioni è necessario fare quello che ho fatto, cioè raccomandarmi allo Spirito santo e supplicarlo di parlare al mio posto, d’ora in avanti, per dire qualcosa delle mansioni che restano, in modo che lo comprendiate. Ormai sono cose soprannaturali, di cui è molto difficile dare una spiegazione, a meno che non lo faccia Sua Maestà stesso, come ha fatto per un altro mio libro dove scrissi – circa quattordici anni fa – quello che fino allora ne avevo compreso. Anche se ora mi sembra di avere un po’ più di luce su queste grazie che il Signore concede ad alcune anime, saper esporle è un’altra cosa. Lo faccia Sua Maestà, se può risultarne qualche utilità, altrimenti sia come non detto.
2. Poiché queste mansioni sono già più vicine al luogo dove sta il Re, la loro bellezza è grande, e ci sono cose talmente delicate da vedere e da intendere che l’intelletto ha un bell’ingegnarsi a cercare termini adatti per dirne almeno qualcosa con tanta esattezza da non farle restare sempre molto oscure per coloro che non ne hanno esperienza! Chi ha tale esperienza, però, mi capirà benissimo, specialmente se la sua esperienza è grande. Si potrà forse credere che, per giungere a queste mansioni, occorra aver vissuto molto nelle altre, e anche se ordinariamente è vero che bisogna esser passati per quella precedente, non è una regola assoluta, come avrete già sentito più volte. Infatti, il Signore concede i suoi doni quando vuole, come vuole e a chi vuole, essendo beni che appartengono a lui, ed egli, lo sappiamo, non fa torto a nessuno.
3. In queste mansioni entrano raramente le bestie velenose e, se entrano, non nuocciono, anzi avvantaggiano le anime. Io ritengo preferibile che entrino e scatenino la guerra in questo stato di orazione, perché il demonio, se non ci fossero tentazioni, potrebbe ingannare, intromettendosi nei diletti provenienti da Dio, e arrecar molto maggior danno di quando esse ci sono: egli limiterebbe il merito dell’anima – non foss’altro allontanando da essa le occasioni di merito – e lasciandola in un rapimento intenso. Quando esso è continuo, non lo ritengo sicuro perché mi sembra impossibile che lo Spirito del Signore, in questa vita, stia in noi sempre nello stesso modo.
4. Parlando ora di ciò che ho promesso che avrei detto qui, cioè della differenza fra le gioie che si provano nell’orazione e i diletti spirituali, mi sembra che si possano chiamare gioie quelle contentezze che noi ci procuriamo con la nostra meditazione e con le preghiere rivolte a nostro Signore. Esse procedono dalla nostra natura, anche se c’è sempre il concorso di Dio, il che è da sottintendere in tutto quello che dirò, perché noi non possiamo nulla senza di lui. Nascono dunque dalle stesse opere virtuose che compiamo e, poiché ci appaiono un frutto del nostro lavoro, a ragione ci rallegriamo di esserci occupate in esse. Ma, se ci riflettiamo, vedremo che ci procurano le stesse gioie molte cose terrene: come una grande fortuna che improvvisamente tocchi a qualcuno, o il vedere all’improvviso una persona che amiamo molto, o l’esito felice di un affare importante o di un’altra cosa di gran peso, che ci merita l’approvazione di tutti, o il vedere ritornare vivo un marito, un fratello o un figlio che si credeva morto. Ho visto versare lacrime per una grande gioia e, qualche volta, è accaduto anche a me. Ebbene, credo che allo stesso modo in cui queste gioie sono naturali, lo siano quelle che ci danno le cose di Dio, solo che queste sono di più alta qualità, anche se le altre non hanno niente di cattivo. In conclusione, partono dalla nostra natura e finiscono in Dio. I diletti spirituali, invece, cominciano da Dio e si fanno sentire dalla nostra natura, che gode di essi quanto delle gioie di cui ho parlato e anche di più. Oh, Gesù, come vorrei saper chiarire questo! Credo, infatti, di comprendere che c’è una grande differenza, ma non ho la capacità di riuscire a spiegarmi. Lo faccia il Signore!
5. Ricordo in questo momento un versetto che recitiamo a Prima, alla fine dell’ultimo salmo, che termina così: Perché hai dilatato il mio cuore. Chi ha grande esperienza non ha bisogno d’altro per cogliere la differenza che passa tra gioie e diletti, ma per chi non ne ha, ci vuole qualche spiegazione in più. Le gioie di cui ho parlato non dilatano il cuore, anzi ordinariamente sembrano stringerlo un po’, senza peraltro diminuire affatto la gioia di vedere che Dio ne è il movente. Allora sgorgano certe lacrime angosciose che sembrano provenire in qualche modo dalle passioni dell’anima – altrimenti forse mi spiegherei meglio – e di ciò che procede dai sensi e dalla nostra natura, perché sono molto ignorante. Ripeto, mi saprei spiegare se, avendone fatto esperienza, ne avessi anche chiara conoscenza. Il sapere e la dottrina sono assai utili in ogni cosa.
6. L’esperienza da me avuta di questo stato, cioè di questi doni e gioie nella meditazione, è che, se cominciavo a piangere sulla passione, non potevo più cessare fino a che non rimanevo esausta; lo stesso, se piangevo per i miei peccati. Era, questa, una grande grazia del Signore. Non voglio ora esaminare se siano migliori gli uni o gli altri, ma vorrei solo saper spiegare in che cosa differiscano. Talvolta, a suscitare queste lacrime e questi desideri concorre la disposizione in cui ci troviamo, ma alla dine, come ho detto, ciò malgrado, vanno a terminare in Dio. E sono da stimare molto se si ha l’umiltà di capire che non per questo si è migliori. Infatti, non si può sapere se siano tutti effetti dell’amore divino. In tal caso sarebbero un dono di Dio. Per lo più, questi sentimenti di devozione sono propri delle anime che stanno nelle mansioni precedenti, dove attendono di continuo a lavorare d’intelligenza, occupate come sono a discorrere con l’intelletto e a meditare; e fanno bene, non avendo ricevuto di più. Tuttavia farebbero meglio ad occuparsi un po’ in opere e in lodi di Dio, a rallegrarsi della sua bontà, della sua divina perfezione, a desiderare il suo onore e la sua gloria, e ciò quanto più convenientemente fosse loro possibile, perché serve a stimolare molto la volontà. Inoltre, se il Signore concede loro queste riflessioni, si guardino bene dal trascurarle per voler finire la meditazione abituale.
7. Siccome mi sono dilungata molto altrove a parlare di ciò, qui non ne dirò di più. Solo desidero avvertirvi che, per fare grandi progressi in questo cammino e salire alle mansioni alle quali aspiriamo, il nodo della questione non sta nel pensare molto, ma nell’amare molto; pertanto, fate ciò che può incitarvi maggiormente ad amare. Forse non sappiamo che cosa sia amare, e non me ne meraviglierei molto, perché non consiste nel maggior piacere spirituale, ma nella maggiore determinazione di cercar di accontentare Dio in tutto, di fare ogni sforzo possibile per non offenderlo, di pregarlo per il trionfo costante dell’onore e della gloria di suo Figlio e per l’incremento della Chiesa cattolica. Questi sono i segni dell’amore, e non pensate che la questione sia di non pensare ad altro e che tutto vada perduto, se vi accada di distrarvi per un momento.
8. Mi sono trovata anch’io, a causa di questo turbamento del pensiero, in grave angustia, qualche volta; solo da poco più di quattro anni sono giunta a capire, in virtù dell’esperienza, che il pensiero (o l’immaginazione, per meglio intendersi) non è l’intelletto. Ne ho anche parlato con una persona dotta e mi ha detto che è così, dandomi motivo di non poca soddisfazione. Infatti mi riusciva difficile spiegarmi, essendo l’intelletto una delle potenze dell’anima, come a volte fosse così instabile, mentre il pensiero vola talmente in fretta che solo Dio può fermarlo, e quando lo fa, ci pare d’essere quasi staccati dal nostro corpo. Mi pareva che, da un lato, le potenze dell’anima fossero occupate in Dio e stessero raccolte in lui, mentre dall’altro il pensiero vagasse disordinatamente: ne restavo sbigottita.
9. Oh, Signore, prendete in considerazione tutto quel che soffriamo a causa della nostra ignoranza! Il male proviene dal fatto che, immaginando che tutta la nostra scienza debba consistere nel pensare a voi, non osiamo interrogare i dotti né comprendiamo cosa ci sia da chiedere. Così, poiché non ci capiamo, soffriamo terribili tribolazioni, ritenendo che sia grave peccato ciò che non è cattivo, ma buono. Ecco da dove procedono le afflizioni di molte persone che praticano l’orazione e il lamentarsi delle sofferenze interiori, per lo meno di gran parte di quelle che non sono istruite; da qui le malinconie, la perdita della salute e perfino l’abbandono totale di ogni pratica, perché non si pensa che c’è in noi un mondo interiore; allo stesso modo, come non possiamo trattenere il movimento del cielo, che continua nella sua corsa vertiginosa, così non possiamo frenare il nostro pensiero. Inoltre, includiamo in esso tutte le potenze dell’anima e ci sembra di essere perdute e di usare assai male il tempo che passiamo alla presenza di Dio. Può darsi che l’anima se ne stia tutta unita a lui nelle mansioni più vicine, mentre il pensiero, trattenuto nei dintorni del castello, soffra e lotti con una quantità di bestie feroci e velenose, acquistando meriti per questo patimento. Per questo motivo, non dobbiamo restarne turbati né dobbiamo lasciare l’orazione, che è ciò a cui aspira il demonio. Per la maggior parte, tutte le inquietudini e i travagli derivano dal fatto di non conoscere noi stessi.
10. Mentre scrivo queste cose, vado considerando ciò che accade nella mia testa a causa del gran rumore di cui ho parlato all’inizio, che mi ha fatto sembrare quasi impossibile l’esecuzione dell’ordine di scrivere. Sembra proprio che vi siano parecchi grossi fiumi che poi precipitano in cascate, una quantità di uccelli e di cicalecci, e non nelle orecchie, ma nella sommità della testa, dove si dice che risieda la parte superiore dell’anima. Vi ho pensato a lungo perché mi sembrava che il grande movimento dello spirito fosse un’ascensione veloce verso l’alto. Piaccia a Dio che io ricordi nelle mansioni seguenti di illustrarne la causa, perché non è il momento. Non mi meraviglierei che il Signore abbia voluto mandarmi questo mal di testa affinché la comprenda meglio, in quanto tutto questo schiamazzo che è in essa non mi impedisce l’orazione né di continuare a scrivere, essendo l’anima tutta intera nel suo riposo, nel suo amore, nei suoi desideri e nella sua chiara conoscenza.
11. Ma se la parte superiore dell’anima risiede nella sommità della testa, come mai non resta disturbata? Io non lo so, ma so che quanto dico è la verità. Si soffre dei rumori quando l’orazione non è accompagnata da sospensione, mentre durante la sospensione non si avverte alcuna sofferenza. Sarebbe un gran danno se per questo fastidio dovessi abbandonare l’orazione! Così pure non è bene turbarsi quanto ai pensieri. Non bisogna badarci, perché, se li ispira il demonio, con questa disposizione verso Dio avranno termine; e se provengono, come spesso avviene, dalla miserevole condizione lasciata in noi, con molti altri guai, dal peccato di Adamo, cerchiamo di aver pazienza e sopportiamoli per amor di Dio. Siamo anche soggette a mangiare e a dormire, senza poterlo evitare, il che è un grande tormento.
12. Riconosciamo la nostra miseria e aspiriamo ad andare dove nessuno ci disprezza: questo, come ricordo di avere sentito qualche volta, è ciò che dice la sposa del Cantico dei Cantici; e, in verità, non trovo in tutta la vita occasione per applicare meglio tali parole perché, qualunque forma di disprezzo e di sofferenza possa aversi in essa, non mi pare che uguagli queste battaglie interiori. Qualsiasi turbamento e qualsiasi lotta può essere tollerabile se si riesce a trovar pace nella propria mansione – come ho già detto –, ma aspirare alla pace dopo mille pene che si incontrano nel mondo, vedere che il Signore stesso ci offre tale riposo e sentire che l’ostacolo sta in noi stesse, non può non essere molto penoso e quasi intollerabile. Pertanto, Signore, portateci dove queste miserie non ci disprezzino, perché a volte sembra proprio che esse si prendano gioco dell’anima. Anche in questa vita il Signore può liberarla da ciò, ma solo quando è giunta all’ultima mansione, come, a Dio piacendo. Dirò.
13. Forse tali miserie non daranno a tutti tanta pena né tanta lotta come l’hanno data a me nel corso di molti anni, a causa della mia indegnità, al punto che sembrava che io stessa volessi vendicarmi di me. Ma, avendone io tanto sofferto, penso che forse potrebbe essere così anche per voi, e non faccio che parlarvene ogni momento, per veder di riuscire, una volta o l’altra, a spiegarvi come sia un fatto inevitabile, e pertanto non dobbiate inquietarvene né affliggervene: lasciamo perdere questa spatola rumorosa di mulino e maciniamo la nostra farina, facendo operare la nostra volontà e il nostro intelletto.
14. C’è maggiore o minore intensità in questo disturbo, a seconda della salute e dei tempi. Si rassegni a sopportarlo la povera anima, anche se di ciò non ha alcuna colpa, perché ne avremo altre di colpe a causa delle quali è giusto dar prova di pazienza. E siccome né ciò che leggiamo né quello che ci consigliano è sufficiente, per noi che abbiamo scarsa istruzione, a non farci dare importanza a questi pensieri, non mi sembra tempo perduto tutto quello che impiego a spiegarlo meglio e a consolarvi a questo riguardo. Tuttavia, fin quando il Signore non voglia illuminarci, questo serve a poco. È necessario, comunque – e il Signore lo vuole –, che ricorriamo ai mezzi adatti per conoscerci e per non attribuire all’anima la colpa di ciò che è opera della debole immaginazione, della natura e del demonio.
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Stretta è la porta e angusta la Via che conduce alla Vita (Mt 7,14)
 
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