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SALITA DEL MONTE (S.Giovanni della Croce)

Ultimo Aggiornamento: 01/08/2013 19:19
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01/08/2013 18:51
 
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CAPITOLO 2
Ove si comincia a parlare della seconda parte o causa della notte, che è la fede. Con due argomenti si prova che questa è più oscura della prima e della terza
1. Ora è il momento di trattare della seconda parte di questa notte, cioè della fede. Questa è, come ho detto, il meraviglioso mezzo per arrivare al fine che è Dio, che, a sua volta, costituisce per l’anima la terza causa o parte di questa notte. La fede, infatti, in quanto mezzo, può essere paragonata alla mezzanotte. Si può allora dire che per l’anima questa parte della notte è più oscura della prima e, in un certo senso, della terza. La prima, infatti, cioè la notte dei sensi, è paragonata alla prima parte della notte, quando scompaiono dalla vista tutti gli oggetti materiali, senza però che la luce scompaia del tutto, come accade invece a mezzanotte. La terza parte, che corrisponde all’aurora, quando ormai si è prossimi alla luce del giorno, non è così oscura come la mezzanotte, perché precede immediatamente l’irradiazione e lo splendore della luce diurna ed è paragonata a Dio. Infatti, da un punto di vista naturale, è pur vero che Dio per l’anima è come una notte oscura quanto la fede. Tuttavia, allorché l’anima ha attraversato queste tre parti naturali della notte, Dio comincia a illuminarla soprannaturalmente con i raggi della sua luce. È l’inizio dell’unione perfetta che si realizza al termine della terza notte, ragion per cui si può dire che questa sia meno oscura delle altre.
2. La notte della fede è ancora più oscura della prima, perché, mentre questa riguarda la parte inferiore, cioè i sensi dell’uomo, e per conseguenza è più esterna, quella della fede riguarda la parte superiore o razionale dell’uomo. Questa è, quindi, più interiore e più oscura, perché priva l’anima della luce della ragione o, per meglio dire, l’acceca. A buon diritto, perciò, è paragonata alla mezzanotte, che è la parte culminante e più buia della notte.
3. Ora devo provare come questa seconda parte, cioè la fede, sia una notte per lo spirito, come la prima lo è per i sensi. Parlerò, poi, degli ostacoli che la fede incontra e come l’anima debba disporsi attivamente per entrare in essa. Del suo aspetto passivo, cioè di quanto Dio faccia per introdurla in questa notte, senza il concorso dell’anima, tratterò a suo luogo, cioè nel libro terzo.
CAPITOLO 3
Ove si dimostra con argomenti, autorità e figure della sacra Scrittura come la fede sia una notte oscura per l’anima.
1. I teologi affermano che la fede è un abito certo e oscuro dell’anima. È abito oscuro perché induce a credere verità rivelate da Dio stesso, che sono al di sopra di ogni luce naturale e superano oltre misura ogni umana comprensione. Ne consegue che la luce eccessiva della fede è per l’anima profonda oscurità, perché il più assorbe e vince il meno, come la luce del sole eclissa qualsiasi altra luce, al punto che questa scompare quando quella risplende vincendo la nostra potenza visiva. In tal modo questa rimane piuttosto accecata e priva della vista, perché la luce che riceve è sproporzionata ed eccessiva. Allo stesso modo la luce della fede, per sua natura ha come oggetto solo la scienza naturale. Tuttavia l’anima è in grado di accogliere quella soprannaturale, qualora il Signore voglia elevarla a tale ordine.
2. Ne consegue che l’intelletto, di per sé, può conoscere solo per via naturale, cioè solo ciò che raggiunge attraverso i sensi. Ma a tale scopo esso ha bisogno dei fantasmi e delle immagini offertigli dagli oggetti realmente presenti o che a loro somigliano. Senza questa mediazione non vi è conoscenza alcuna, perché, come dicono i filosofi, ab obiecto et potentia paritur notitia, cioè ogni cognizione umana nasce con il concorso dell’oggetto presente e delle potenze. Per esempio, se a uno dicessero che in una certa isola esiste un animale che egli non ha mai visto e non gli indicano qualche somiglianza di quell’animale con un altro da lui conosciuto, sebbene s’insista a parlargliene, non ne avrà un’idea più chiara di prima. Con un esempio ancor più chiaro si potrà capire meglio. Se a un cieco nato, che non ha mai visto alcun colore, si volesse descrivergli il bianco o il giallo, per quanto si insista, egli non se ne potrà mai fare un’idea, perché non ha mai visto quei colori né qualcosa di simile; gliene rimarrà solo il nome, che ha potuto sentire con l’udito, ma non la forma e la figura, che non ha mai visto.
3. Lo stesso è della fede per l’anima: essa ci propone cose che non abbiamo mai visto né compreso sia in se stesse che in altre cose simili a loro, perché non esistono. Di tale fede, quindi, non possiamo farci un’idea attraverso la nostra scienza naturale, perché ciò che ci propone non è proporzionato a nessuna potenza sensitiva. Noi lo apprendiamo solo per sentito dire, credendo ciò che la fede c’insegna, sottomettendo ad essa e mettendo da parte la nostra luce naturale. Difatti san Paolo afferma: Fides ex auditu: La fede dipende dall’udire la predicazione (Rm 10,17), quasi a voler dire che la fede non è una scienza che si ottiene tramite i sensi, ma è solo assenso dell’anima a ciò che essa percepisce attraverso l’udito.
4. La fede, inoltre, supera di molto quanto ci possono far capire i precedenti esempi. Infatti non solo non offre conoscenze e scienza, ma, come ho detto, oscura e priva l’anima di qualsiasi altra conoscenza e scienza, perché si possa ben calcolare la sua funzione in questa parte della notte. Le altre scienze, infatti, si acquistano con la luce dell’intelletto, senza la quale, invece, si acquista la luce della fede; quando, anziché rinnegare la ragione, la si adopera, la fede viene meno. Per questo Isaia dice: Si non credideritis, non intelligetis, cioè: Se non crederete, non comprenderete (Is 7,9). È, dunque, chiaro che la fede è notte oscura per l’anima, e solo così la illumina; quanto più l’ottenebra, tanto più luce le comunica, perché, accecandola, le dà luce, come dice Isaia: Perché, se non crederete, non comprenderete, cioè non avrete luce. Per questo motivo, la fede è raffigurata da quella nube che divideva i figli d’Israele dagli egiziani, al momento di entrare nel Mar Rosso. Di essa la sacra Scrittura dice che erat nubes tenebrosa et illuminans noctem (Es 14,20), per significare che quella nube era tenebrosa e illuminava la notte.
5. Stupisce che quella nube, pur essendo tenebrosa, illuminasse la notte. Questo perché la fede, che è nube oscura per l’anima – che a sua volta è notte, perché in presenza della fede rimane priva e cieca della sua luce naturale –, con le sue tenebre rischiara e dà luce alle tenebre dell’anima. Del resto è opportuno che il discepolo, cioè l’anima, sia simile al maestro, cioè alla fede. L’uomo immerso nelle tenebre non può essere giustamente illuminato che da alte tenebre, come ci insegna Davide, quando afferma: Dies diei eructat verbum et nox nocti indicat scientiam, cioè: Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia (Sal 18,3). In termini più chiari ciò vuol dire: il giorno, che è Dio nella sua beatitudine, ove è come il giorno per gli angeli e i santi che a loro volta sono giorno per i riflessi divini, pronuncia e comunica la Parola, il suo Figlio, perché lo conoscano e lo godano. La notte, che è la fede nella Chiesa militante, dov’è ancora notte, comunica la scienza alla Chiesa, quindi a ogni anima, che è notte, perché non gode della chiara sapienza beatifica, come pure della sua luce naturale a motivo della fede in essa presente.
6. Da ciò dobbiamo concludere che la fede, essendo notte oscura, dà luce all’anima, che vive al buio, perché si realizzi ciò che Davide dice a questo proposito: Nox illuminatio mea in deliciis meis, cioè: La notte è chiara come il giorno nelle mie delizie (Sal 138,11). Il che equivale a dire: nelle gioie della mia pura contemplazione e unione con Dio, la notte della fede sarà la mia guida. Con ciò egli fa capire chiaramente che l’anima deve tenersi nelle tenebre se vuole avere la luce necessaria per intraprendere questo cammino di unione con Dio.
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