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SALITA DEL MONTE (S.Giovanni della Croce)

Ultimo Aggiornamento: 01/08/2013 19:19
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01/08/2013 18:49
 
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CAPITOLO 12
Ove si risponde a un’altra domanda, dicendo quali sono gli appetiti sufficienti a provocare nell’anima i suddetti danni.
1. Potrei dilungarmi molto su questa materia della notte dei sensi, analizzando ancora altri danni che causano gli appetiti, non solamente sotto gli aspetti già considerati, ma altresì sotto molti altri. Tuttavia, per lo scopo che mi sono prefisso, basta quanto è stato detto. Mi sembra, infatti, d’aver spiegato sufficientemente perché la mortificazione degli appetiti si chiami notte e quanto sia opportuno entrare in essa per andare a Dio. Per concludere questa parte, rimane solo da risolvere qualche dubbio che potrebbe sorgere nella mente del lettore su ciò che ho detto, prima di affrontare il modo di entrare in questa notte.
2. Anzitutto ci si potrebbe chiedere se basti un qualsiasi appetito a produrre e causare nell’anima i due mali sopracitati, cioè quello privativo, che priva l’anima della grazia di Dio, e quello positivo, che provoca in essa i cinque danni principali, dei quali, appunto, ho parlato. In secondo luogo ci si potrebbe chiedere se sia sufficiente qualsiasi appetito, per quanto piccolo e di qualsiasi genere, a causare tutti questi cinque danni insieme, oppure se alcuni appetiti causino determinati danni, e altri danni diversi; per esempio, se alcuni causino tormento, altri stanchezza, altri tenebra, ecc.
3. Per rispondere al primo dubbio circa il danno positivo, dico che solo gli appetiti volontari, aventi per oggetto il peccato mortale, possono privare l’anima di Dio e lo fanno totalmente. Essi, infatti, privano l’anima della grazia in questa vita e nell’altra della gloria, cioè del possesso di Dio. Al secondo dubbio rispondo affermando che sia gli appetiti in materia di peccato mortale sia quelli volontari in materia di peccato veniale o di imperfezione sono sufficienti a provocare nell’anima tutti questi danni positivi insieme. Li chiamo positivi, sebbene in un certo senso siano privativi, perché si riferiscono all’anima che si volge alle cose create, come il privativo di riferisce al suo allontanamento da Dio. Ma c’è una differenza: gli appetiti, aventi per oggetto il peccato mortale, causano cecità totale, tormento, sporcizia e debolezza, ecc.; mentre quelli aventi per oggetto i peccati veniali o l’imperfezione non causano questi mali in forma assoluta e in sommo grado, perché non privano l’anima della grazia, da cui dipende la loro presenza. La morte della grazia è, infatti, la vita degli appetiti. Tuttavia essi provocano nell’anima qualcosa di tali mali gradualmente, a mano a mano che diminuisce in essa la grazia. In questo modo, più un appetito riduce l’azione della grazia, più grave è il tormento, la cecità e l’impurità che procura all’anima.
4. Va notato, però, che, sebbene ciascun appetito causi tutti questi mali che ho chiamato positivi, tuttavia ve ne sono alcuni che ne provocano uno in modo principale e diretto, dal quale poi derivano tutti gli altri. Sebbene sia vero che un appetito sensuale causi tutti questi mali, è altrettanto vero che principalmente e propriamente esso insudicia l’anima e il corpo. Tutti questi danni li provoca anche l’appetito dell’avarizia, ma principalmente e direttamente esso genera afflizione. Allo stesso modo, sebbene un appetito di vanagloria, come gli altri, sia causa di tutti quegli effetti, principalmente e direttamente, però, esso provoca tenebre e cecità. Infine, sebbene un appetito di gola generi i suddetti mali, principalmente provoca tiepidezza nella virtù. Lo stesso vale per gli altri appetiti.
5. Qualsiasi atto volontario degli appetiti produce, dunque, nell’anima tutti questi effetti insieme, perché è direttamente contrario agli atti di virtù che producono nell’anima gli effetti contrari. Come un atto di virtù produce nell’anima e genera allo stesso tempo soavità, pace, consolazione, luce, purezza e forza, così un appetito disordinato causa tormento, fatica, stanchezza, cecità e debolezza. Tutte le virtù crescono quando se ne pratica una, e tutti i vizi, insieme agli effetti da essi lasciati nell’anima, crescono con l’aumentare di uno di essi. E sebbene nel momento in cui si soddisfa quell’appetito non si riescano a vedere tutti questi mali, perché il piacere provato non lo consente, tuttavia prima o poi se ne avvertono le conseguenze. Tale verità viene chiaramente insegnata nell’Apocalisse, quando l’angelo comanda a san Giovanni di mangiare un libro, che gli sembrò dolce nella bocca e amaro nelle viscere (Ap 10,9-10). Infatti, quando l’appetito viene soddisfatto è dolce e sembra buono, ma dopo se ne avvertono i suoi amari effetti. Questo lo può ben dire chi si lascia trasportare dalle passioni. Non ignoro, tuttavia, che esistono persone tanto cieche e insensibili da non sentire tale amarezza, perché, non curandosi di andare a Dio, non si preoccupano degli ostacoli che li separano da lui.
6. Qui non tratterò degli appetiti secondo natura, che sono involontari, né dei pensieri che rimangono allo stadio di moti primi, né di altre tentazioni alle quali non si acconsente, perché tutti questi non recano nessuno dei mali suddetti all’anima. La persona che li subisce, a causa della passione e del turbamento che in quel momento le provocano, può pensare che la stiano sporcando e accecando, ma non è così; anzi, le procurano i vantaggi contrari. Opponendo resistenza ad essi, infatti, acquista fortezza, purezza, luce, consolazione e molti altri beni, secondo quanto il Signore ha insegnato a san Paolo: La virtù si manifesta pienamente nella debolezza (2Cor 12,9). Quanto agli appetiti volontari, essi provocano tutti i mali di cui abbiamo parlato e molti altri. Per questo la preoccupazione principale dei maestri di spirito è quella di mortificare nei loro discepoli qualsiasi appetito, invitandoli a privarsi della soddisfazione dei loro desideri, per liberarli da una miseria così grande.
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