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Risposta a obiezione sul pensiero di s.Agostino

Ultimo Aggiornamento: 03/07/2013 14:40
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03/07/2013 14:31
 
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«Secundum veniam»

    Affrontiamo a questo punto, prima di passare al tema della bontà del corpo e della sensibilità, una questione sulla quale molti commentatori hanno fatto leva nella loro critica ad Agostino. Il santo interpreta il passo di 1 Cor. 7,6 («hoc autem dico secundum indulgentiam, non secundum imperium») che Paolo colloca dopo un ammonimento agli sposi (in cui dice che i coniugi a causa del pericolo di adulterio non devono defraudarsi del diritti coniugali) in un modo notevolmente diverso rispetto a quello che è il senso comunemente accettato del passo (133), Salvo un’unica eccezione (134), Agostino cita il passo di Paolo adottando al posto della lezionesecundum indulgentiam quella di secundum veniam(135), interpretandolo così: l’uso della sessualità all’interno del matrimonio, quand’anche non si escluda maliziosamente la generazione, se è dettato dalla motivazione di soddisfare la concupiscenza più che da quella di avere una discendenza venialem habet culpam(136), poiché, argomenta il santo, là dove si concede un perdono (venia) è evidente che è stata commessa una colpa (137). Sotto questo aspetto anche autori solitamente ben intenzionati non hanno potuto fare a meno di segnalare il rigorismo del santo ben al di là dell’indicazione paolina e della posteriore dottrina morale cattolica (138). 

    Questa serie di testi sembrerebbe confermare in modo irrefutabile il biologismo agostiniano e confinare la sua dottrina nel rigorismo più acceso, se non fossero necessarie alcune precisazioni. La prima, di ordine generale, precomprende la colpa di cui ci si macchia (nell’immodico carnis usu) nell’ambito delle colpe non gravi ma lievi, dal momento che viene rimessa grazie alla bontà del bonum nuptiale (139). Le nozze dunque intercedono e in un certo senso riparano la gravità iniziale della colpa. La seconda verte sul costitutivo proprio che rende colpevole (seppure di colpa veniale) il matrimonio ultra generandi necessitatem: esso non sembra essere dato dall’oltrepassamento dei limiti biologici-generativi (oltrepassamento che avviene in due casi: realizzando l’atto sessuale concupiscentiae satiandae causa senza escludere la prole, ma riducendola a valore subordinato; oppure realizzando l’atto sessuale nei giorni agenesiaci e cioè senza alcuna intenzione procreativa), bensì dall’inversione del rapporto gerarchico esistente tra la ragione e la libido(140). In effetti, in entrambi i due casi segnalati non esiste una violazione dell’ordine naturale, ma poiché ogni atto deve essere regolato secondo un modus debito che è l’ordine della ragione, l’immoderatior appetitus segnala che è la concupiscenza postparadisiaca a dirigere gli atti e non più una ragione conforme alla gerarchia oggettiva delle cose (141). In questo modo, ripete spesso Agostino valendosi di un esempio, si inverte l’ordine oggettivo delle cose che dice di mangiare per vivere, non di vivere per mangiare (42). 

    La precisazione però più importante verte sul significato di quel venialis che Agostino unisce ai termini di culpa e peccatum. Qualcuno ha osservato che lo stesso santo ha avuto dubbi circa la connotazione precisa del passo di Paolo secundum indulgentiamaccantonato rispetto alla lezione accolta: secundum veniam (143). E molti commentatori hanno concluso che con ogni probabilità più che peccato veniale o colpa veniale col termine si indicasse una imperfezione, tanto più che un peccato, per quanto veniale, non può essere concesso o permesso (144). 

    Per quanto siano esatte queste osservazioni, soprattutto là dove indicano l’assenza di una teologia del peccato veniale in Agostino, ritengo necessario fare alcune aggiunte: prima di tutto che Agostino indica nella disposizione soggettiva il centro della gravità del peccato, e dunque che solo i peccata malitiae sono sottoposti alla penitenza ecclesiastica (145). I peccata infirmitatis, come sono i peccata venialia, cioè i peccati commessi per ignoranza o debolezza, vengono rimessi dai rimedi privati della preghiera e dell’elemosina, in modo particolare dalla quinta invocazione del Pater noster (146). In secondo luogo la stessa definizione di peccati veniali limita automaticamente la colpabilità del coito non generativo poiché essi sono illa peccata sine quibus non hic vivitur (147), i peccati senza di cui l’uomo non può vivere, come Agostino più volte ripete (148), indicando con chiarezza l’origine antipelagiana di questa dottrina: «In hoc bello laborantes quamdiu tentatio est vita humana super terram non ideo sine peccato non sumus, quia hoc quod eo modo peccatum dicitur, operatur in membris re pugnans legi mentis... » (149). È la legge del peccato di Rom. 7,23 che inclina al male e che Agostino, a partire dalle parole di Paolo, rivolge all’uomo pur immerso nel lavacro battesimale, in polemica con l’impeccabilità pelagiana (150). In terzo luogo la stessa definizione di peccatum come profondamente diversa da quella di crimen. Il primo appartiene intrinsecamente alla condizione umana, che è quella in senso lato delle passioni; quando ci sarà l'apátheia non ci saranno più neppure i peccati, ma questa sarà la condizione paradisiaca (151). Non così il secondo (il crimen) che rappresenta invece il peccato grave ed oggettivo (152). In questo senso, vista alla luce della parabola agostiniana, la relazione sessuale esercitata non in vista della prole (ma neppure escludendola) non può essere considerata né veniale népeccato in un senso prossimo a quello dei moderni, e sembra escludere recisamente le accuse roventi di esagerato rigorismo. 

Il corpo e la sensibilità

    Quale possa essere la concezione agostiniana del corpo lo si deduce facilmente dalla posizione che il santo ha di fronte alla creazione del mondo. Nel De civitate DeiAgostino si pone tre domande circa l’esistenza del mondo: chi lo ha fatto, per mezzo di che cosa è stato fatto e per quale ragione. Alla terza domanda risponde: il mondo è stato fatto perché era buono e più avanti aggiunge che non esiste una ragione più nobile (ed autosufficiente) di quella di dare origine al bene da parte di un Dio che è buono (153). È chiaro che questa posizione dal piano ontologico ha riflessi su quello etico, ed è inevitabile che in primo luogo la linea di difesa venga tracciata contro il dualismo manicheo. 

    A nostro avviso, prima della polemica antipelagiana, la difesa del corpo negli scritti antimanichei è già tutta implicita nel De continentia dove Agostino, facendo proprio il theologumenon totum sanatum quod assumptum, afferma la diversità e non l’alterità tra i due composti dell’uomo (154). Ma già in questo scritto Agostino avverte la possibile duplicità del termine caro. Esso non sta soltanto ad indicare l’uomo (e come tale è da intendersi positivamente) ma anche, secondo il linguaggio paolino, le opere della carne con un’implicita valenza etica negativa, rappresentando esse un disordine morale (155). 

    Nel Contra Faustum Agostino compie un passo ulteriore nella rivalutazione del corporeo e della sensibilità comparando una prima volta l’amore coniugale con la preoccupazione verso il proprio corpo e una seconda volta con l’amore di Cristo verso la chiesa (156). In questa prospettiva l’amore verso il proprio corpo, l’amore verso il coniuge, l’amore di Cristo verso la chiesa risultano impenetrati: il bonum corporis si riflette sul bonum coniugii che a sua volta ha il modello nella relazione sponsale tra Cristo e la chiesa. 

    Le opere successive confermano evidentemente questa linea di condotta. Poiché il male non ha realtà sostanziale bisogna ammettere che, in quanto tale, la natura è buona; Agostino ripete con pathos questa affermazione lungo l’arco di tutta la sua vita e questa tesi cardinale è così nota da non esigere di soffermarcisi (157). Più interessante è sapere come questa scoperta del corpo, con forme alla tesi della bontà di natura, venga accolta negli scritti antipelagiani. 

    Senza entrare nel merito, per ora, sul senso della controversia con Giuliano di Eclana sul malum concupiscentiae, dobbiamo rilevare che sin dall’inizio della disputa Agostino si vale di un argomento teso sostanzialmente a confermare il proprio giudizio positivo sul corpo: la distinzione tra sensibilità e concupiscenza. E questo ha tanto maggior valore in quanto l’esaltazione pelagiana dell’homo-natura poteva spingerlo su posizioni per reazione rigoristiche. 

    Già in una lettera scritta verso la fine del 410, Agostino aveva spiegato che nel passo di Paolo, dove si afferma il mutuo diritto dei coniugi sul corpo, il termine corpo stava ad indicare la sessualità (158) e nella grande opera incompiuta contro Giuliano aveva posto i limiti della nomenclatura su cui esisteva contenzione con il vescovo di Eclana. Dio, dice Agostino, riconosce le cose che sono sue «sicut et ipsum sexum et corpus et spiritum», così come il diavolo, concesse queste cose a Dio, riconosce il suo vero proprio, e cioè ciò per cui «caro concupiscit adversus spiritum» (159). Qualche riga più avanti il santo specifica ancor più esattamente quali sono le caratteristiche del sexum che appartengono all’ambito creativo di Dio. La diversitas, in virtù della quale la femmina si distingue dal maschio (dunque gli organi genitali e la diversa struttura fisica); lacommixtio, grazie a cui i due sessi si uniscono per generare la prole (dunque l’atto sessuale); la fecunditas, cioè il dato oggettivo dei figli (160); nessuna di queste cose può essere riconosciuta come pertinente a Satana, e tutte in insieme costituiscono il bonum corporis che non cessa di essere tale anche se viene usato male come fanno gli impudichi (161). 

    In questo quadro si colloca il tema più volte ripreso della bontà del senso. Non solo il sesso ma anche la sensibilità, costituita dai cinque sensi della vista, dell’udito, del gusto, dell’odorato e del tatto è buona. Una cosa però sono la vivacitas, l’utilitas, la necessitasdel senso (che indicano rispettivamente: la capacità di cogliere, sulla base dell’evidenza del senso, la verità delle cose, la capacità di discernere ciò che è appetibile da quello che non lo è, ed infine la capacità di avvertire l’esterno anche quando non lo vogliamo) e un’altra lalibido sentiendi con cui deve essere indicata la forza che ci trascina, volenti o nolenti, a soffermarci sul piacere (162). Il senso, dice Agostino, non è la concupiscenza; anzi per essere più esatti è ciò mediante cui noi sentiamo l’oscillazione del desiderio così come nelle passioni del corpo il senso non è il dolore che ci affligge ma ciò che ci permette di sentire il dolore (163). 

    Per distinguere più chiaramente i sensus carnis daicarnalis concupiscentiae motus (164) Agostino rimanda a più riprese al passo di Mt. 5,28 dove si afferma che colui che guarda una donna ad concupiscendum eam ha già peccato in cuor suo. Non il vedere, che è atto del corpo e come tale buono, è male, ma il vedere ad concupiscendum è il segno della colpa morale (165). In un altro passo Agostino applica questa distinzione al senso del tatto (che come tale è il senso discriminante le superfici piane o aspre) dalla concupiscenza della carne che desidera indifferentemente il lecito e l’illecito, mentre invece, osserva il santo, deve essere sempre in ultima analisi l’intelligenza a giudicare ciò che deve essere desiderato (166). 

    Se tiriamo le somme avendo in mente anche al termine di questo excursus il nostro tema dell’etica sessuale, risulta chiaro che sia il corpo in generale, sia la sfera particolare della sensibilità non soggiacciono in Agostino sotto alcuna condanna. Certamente nel nostro discorso si è insinuato un concetto nuovo: quello diconcupiscentia, una variabile indipendente che non sembra coincidere con nessuno dei dati sinora presi in esame. Evidentemente la concupiscenza non è la sensibilità, né il corpo, né il sesso; essa non sembra appartenere alla natura dell’uomo in quanto tale, poiché «aliud est sensus carnis, aliud [est] concupiscentia carnis quae sentitur sensu et mentis et carnis» (167); con questa affermazione il piano della natura pura è sorpassato, un atto della concupiscenza non è tale se non per l’intervento dell’intelligenza e della coscienza dell’uomo (168). Ma con questo passo, come ognun vede, siamo di fronte al concetto teologico di concupiscenza, decisivo per comprendere l’attitudine di Agostino nei confronti della sessualità, e ci ritroviamo nel pieno della controversia anti-pelagiana. 

Concupiscenza e peccato originale nella disputa con Giuliano

    Qualcuno ha detto che in ultima analisi il centro della disputa tra Giuliano ed Agostino verte sulla natura di Dio (169). A noi sembra invece che, nel momento stesso in cui Giuliano si distingue dai suoi compagni di lotta affermando che il desiderio sessuale rientra ineccepibilmente nella natura umana (Pelagio, invece, aveva ravvisato nell’appetito sessuale qualcosa di cattivo e pericoloso) (170), finisce per costringere Agostino ad una presa di posizione talmente vasta ed esaustiva da far considerare le sue ultime opere come interamente consacrate al tema della libido. Ciò che ci interessa, naturalmente, di questa dottrina dellaconcupiscentia sono i suoi riflessi sull’etica matrimoniale.

    Il quadro più generale che permette di comprendere questa dottrina è quello del peccato originale. Molto tempo prima della controversia pelagiana Agostino aveva elaborato la propria dottrina sulla condizione paradisiaca dell’uomo prima della caduta. Esente da malattie, libero (nel senso di: dotato della capacità di non peccare), con doni intellettuali superiori (171), immortale (solo se avesse continuato a nutrirsi dell’Albero della Vita) (172), quest’uomo, nondimeno, cadde. Agostino nello stesso De Genesi ad litteramesclude subito che la colpa di Adamo e di Eva sia stata una colpa carnale, un’anticipazione del tempo della loro unione, e considera «ridicola» tale ipotesi, mentre accetta come probabile quella che suppone il peccato come un’ipertrofia dell’appetito della scienza del bene e del male (173). Più tardi preciserà questo peccato come un peccato di orgoglio, una volontà determinata di essere come dèi. L’uomo si è allontanato dal Creatore, si è preferito a Dio stesso (174). 

    Agostino non ha dubbi sulla realtà del peccato originale confermata da tutta una serie di passi scritturali (soprattutto Rom. 5, 12 dove come l’Ambrosiaster legge in quo) (175), dalla prova formale della tradizione, addotta dalle testimonianze di un gruppo di padri (176), dall’antichissima prassi del battesimo dei bambini per la remissione dei peccati (177) ed infine da quelle ferite inferte alla natura umana (ignoranza, malattia, dolore, necessità di morire) su cui campeggia la concupiscentia(178). La concupiscentia carnis, dunque, intesa da Agostino come il desiderio sessuale, è uno degli effetti, il più vistoso forse, del peccato, è filia peccati. Ma in che cosa più esattamente consiste questa concupiscenza e qual è il suo rapporto con il matrimonio? 

    Nel proemio antipelagiano del De nuptiis Agostino riassume icasticamente i limiti della materia del contendere. Poiché i cattolici ritengono necessario il battesimo degli infanti in quanto nati da una commixtioche trasmette l’originale peccatum, i pelagiani li accusano di essere dei manichei, dei damnatores nuptiarum (179). Agostino rifiuta recisamente questa calunnia e si affanna a rispondere con una ripetitività sconcertante che una cosa è il bonum nuptiarum e un’altra è il peccato originale che da esse si trasmette (180). I bambini sono sotto il dominio della colpa non a causa di quel bene che sono le nozze, ma a causa di quel male (il male della concupiscenza) di cui le nozze usano bene circondandolo di pudore (181). 

    Giuliano, da buon filosofo pagano in veste cristiana, vuole razionalizzare il discorso di Agostino. Se le nozze sono state definite buone, se l’uomo come loro frutto è buono, vuol dire che il bene nasce dal bene e si deve concludere necessariamente che non c’è male originale che possa corrompere il bonum concupiscentiae (182). Agostino risponde frequentemente a tale obiezione con queste parole: quando si afferma che Satana non può riconoscere nulla di suo nella sfera degli atti sessuali (né la commixtio né la diversitas, né la fecunditas) si dice limitatamente a queste cose il vero ma si dimentica di nominare quella concupiscentia che secondo le parole di1 Gv. 2, 16 ex mundo est (183). 

    Per Giuliano la passione della concupiscenza è unaaffectio naturalis, come tale innocente, moralmente buona se essa si tiene nel giusto mezzo regolato dalla ragione; diventa malvagia soltanto quando travalica il ragionevole (184). Per Agostino invece è una constatazione immediata che la concupiscenza ha a che vedere con il peccato originale al punto da non essere più soltanto filia peccati ma addirittura lo strumento di propagazione del peccato originale (185). Sono almeno tre le caratteristiche che indicano la concupiscenza come legata al peccato originale: primo, l’indomabilità (186) che è intrinseca alla libido (poena inobedientiae con cui l’uomo paga la sua disobbedienza a! comandamento dell’Eden) (187); secondo, la vergogna che vi si collega (che e la vergogna provata dai protoparenti) (188); terzo l’innaturalità della sua presenza, che dimostra come dopo il peccato originale la natura umana sia stata viziata anche se l’uomo come tale rimane opus Dei(189).

    Date queste tre caratteristiche della concupiscentia, per quanto riguarda i rapporti coniugali diventa ormai chiaro il centro dell’opposizione tra Agostino e Giuliano. Un testo del Contra Julianum riassume il contrasto nel suo momento incandescente; dice Giuliano: «Concupiscentia naturalis qui modum tenet bono bene utitur; qui modum non tenet, bono male utitur»; risponde Agostino: «Concupiscentiae carnalis qui modum tenet, malo bene utitur; qui modum non tenet, malo male utitur» (190). 

    La contrapposizione polare tra naturalis e carnalisindica che qui la linea di demarcazione è tracciata tra unaconcupiscentia naturalis, nel suo aspetto fisiologico e psicologico, ed una concupiscentia carnalis nel suo aspetto morale di tendenza disordinata e dunque, in ultima analisi, nel suo aspetto teologico. In questo caso la valenza teologica data alla concupiscenza sta nei continui richiami di Agostino a 1 Gv. 2, 16 (la triplice concupiscenza che non viene dal Padre) e a Gal. 5, 17 (la carne che concupisce contro lo spirito) (191). L’uso del matrimonio, pertanto, non deve tanto rispettare le leggi biologico-generative, quanto tener conto che, a causa del peccato originale, quaggiù la vita matrimoniale può essere viziata dal malum concupiscentiae.

    Il malum concupiscentiae, dunque, è quel vizio per cui la carne concupisce contro lo spirito (192), non è unasubstantia naturae malae (193); è il male che viene all’uomo in virtù dell’antico peccato e non può essere considerato un dono di Dio (come lo dimostrano ampiamente i casi di Adamo e di Abramo erroneamente interpretati da Giuliano) (194). Il malum concupiscentiaenon è per tanto propriamente un peccatum, ma semmai è mater peccati nel senso che spinge continuamente al peccato (195). Inoltre non è propriamente un peccatumperché se fosse tale sarebbe assoluta mente da evitare (196) mentre invece di questo male si può fare un buon uso, come Agostino ripete innumerevoli volte (197). Se esso viene chiamato peccatum, osserva anche qui invariabilmente Agostino, è perché è apparso con il peccato ed opera il peccato, così come si può chiamare «mano» l’opera di uno scrittore perché scritta dalla sua mano (198). Infine la concupiscenza, o quel male che e la concupiscenza, non si limita, come è stato detto prima, alla concupiscentia carnis, alla concupiscenza sessuale propriamente detta («quasi nos concupiscentiam carnis in solam voluptatem genitalium dicamus aestuare», come se noi dicessimo che la concupiscenza si ecciti per raggiungere il solo piacere dei genitali) (199), ma si esprime anche in ogni rivolta di qualsiasi senso contro lo spirito (200), fino a comprendere sotto il proprio nome ogni rivolta dello spirito dell’uomo contro lo Spirito di Dio (201). 

    Se ci spingiamo a collazionare questi risultati dobbiamo osservare: 1. che per Agostino il peccato originale si trasmette per generazione e non per imitazione (202); 2. che le nozze in quanto tali sono buone; 3. che la concupiscentia può e deve essere usata bene all’interno del matrimonio (203); 4. che laconcupiscentia rientra in una categoria di peccato che è il peccato spirituale (che non può essere ridotto ad una dimensione materiale; l’insieme, per esempio, dei peccati attuali) (204); 5. che il termine caro non è semplicemente il corpo, ma la vita di tutto l’uomo sotto la legge del corpo, così come spiritus non è semplicemente l’anima, lo spirito dell’uomo, ma designa la vita di tutto l’uomo secondo la legge dello spirito (205). Quest’ultimo aspetto ci apre la strada ad una serie di considerazioni decisive per quanto riguarda il cosiddetto pessimismo sessuale agostiniano. 

«Concupiscentia carnis» e «delectatio»

    Si osservi infatti, espressa dalle parole di Giuliano, questa tipica incomprensione di Agostino presente in tanta parte della cultura moderna: il santo condannerebbe la delectatio, il piacere sessuale, che egli considererebbe come l’essenza del peccato (206); questo piacere avrebbe origine diabolica e, secondo Agostino, sarebbe stato mischiato da Satana insieme al corpo umano (207); sostenendo questa posizione Agostino verrebbe a negare proprio ciò che in tesi ha affermato, e cioè la bontà di tutto il composto umano, mostrandosi sotto questo aspetto meno coerente dei manichei e più odiabile di loro, perché, mentre essi condannano tutte le creature, Agostino, ritenendo adiafora la vita sessuale degli animali, condanna le migliori creature, cioè gli uomini (208). 

    Ma questa non è la posizione di Agostino. Il santo può ammettere che la concupiscentia carnis, dal punto di vista fisiologico si localizza nei genitali (209), può ammettere che essa è quella per cui obscenae partes corporis excitantur (210), oppure che è quella per quam iactus seminum carnalium provocatur (211) ma dicendo tutto questo, pur tenendo presente l’intimo legame tra gli organi sessuali e la libido, non compie una totale identificazione tra la voluptas o la delectatio da una parte e la concupiscentia o la libido dall’altra. Per Agostino l’atto sessuale non è peccato (212) (in certi casi anzi esso è doveroso) (213), come non lo è neppure il piacere concomitante ad esso. Non solo esiste infatti tutta una serie di testi in cui si esprime un invito positivo all’esercizio della vita sessuale (214), ma anche (se si osserva attentamente) si rinviene una concezione di concupiscenza che non si identifica con il seme-sperma (215) né con l’atto sessuale (216), e neppure si identifica con il piacere derivantene (e questo contro molte incomprensioni del suo pensiero) (217). 

    È vero che non sempre Agostino distingue bene tra laconcupiscentia carnis in quanto tale ed il piacere sessuale, ma non mancano i passi in cui la coscienza di questa distinzione è emergente. Si prenda per esempioDe bono coniugali XVI, 18 dove vien detto: «Quod est enim cibus ad salutem hominis, hoc est concubitus ad salutem generis: et utrumque non est sine delectatione carnali quae tamen, modificata et temperantia refrenante in usum naturalem redacta, libido esse non potest». Da questo brano si possono evincere importanti considerazioni: 1. l’omologia tra i piaceri carnali (quello sessuale non è di una qualità morale diversa); 2. la distinzione netta tra delectatio e libido(l’una non può essere l’altra, anche se non può essere senza l’altra); 3. la necessità di regolare il piacere perché non tanto il piacere è condannato quanto la ricerca esclusiva del piacere, cioè la concupiscenza. 

    Sullo stesso piano si trovano le righe che Agostino scrive nel medesimo capitolo del De bono coniugali a proposito del matrimonio dei patriarchi: «Proinde sicut patres Novi Testamenti ex officio consulendi alimenta sumentes, quamvis ea cum delectatione naturali carnis acciperent, nullo modo tamen comparabantur delectationi eorum qui immolaticio [carne consacrata agli idoli] vescebantur aut eorum qui quamvis licitas escas tamen immoderatius assumebant, sic patres temporis Veteris Testamenti consulendi officio concumbebant quorum delectatio illa naturalis nequaquam usque ad irrationalem aut nefariam libidinem relaxata nec turpitudini stuprorum nec coniugatorum intemperantiae conferenda est». Qui la contrapposizione tra la delectatio naturalis (che sia della carne è dimostrato dallo svolgimento del paragone) e l'irrationalis libido è evidente. L'intemperantia è l'immoderatius uso della comunione sessuale, che rivela pertanto la propria schiavitù nei confronti della libido. Non si deve dimenticare inoltre la precisione terminologica: la delectatio rientra nella sfera naturale e la libido si caratterizza per la sua rivolta contro la ragione. Il quadro di riferimento è sempre il confronto con l'uso del cibo e il piacere naturale connesso, sia nel precedente passo che in questo, con il peccato di gola (238). 

    Questo rapporto tra gioie lecite e gioie illecite, ancora sulla base dello stesso esempio, è indicato in un altro passo agostiniano, il Sermo CLIX II,2: «Delectat gustum cibus non prohibitus; delectat gustum etiam epulae sacrilegorum sacrificiorum. Hoc licite, illud illicite. Delectant coniugales amplexus: delectant etiam meretricium. Hoc licite, illud illicite. Videtis ergo, charissimi, esse in istis corporis sensibus licitas et illicitas delectationes». Dal contesto appare chiaramente che non è il piacere legato all’atto matrimoniale ad essere illecito, bensì che la sanzione morale verte sulle condizioni in cui l’atto sessuale si svolge. 

    Ancora su questa linea di condotta in cui la delectatioin quanto tale non è oggetto di condanna (ma lo sono o l’abbandonarsi al piacere o le circostanze moralmente aberranti in cui il piacere stesso è colto) sono un passo della Retractationes dove Agostino commenta proprio il sopracitato passo del De bono coniugali distinguendo tra la libido e il bonus et rectus usus libidinis (in questo caso libido è usato nel doppio significato di concupiscenza e di piacere sessuale) (219) e un passo del De nuptiis et concupiscentia dove Agostino indica che a rendere l’atto peccaminoso non è il piacere del corpo concomitante (lavoluptas corporis) ma l’inversione del rapporti morali oggettivi, quando è la voluptas a dettar legge alla volontà e non viceversa (220). 

Prime conclusioni 

    L’importanza di queste considerazioni per il nostro tema dell’etica sessuale matrimoniale non dovrebbe sfuggire. Ciò che è in causa nel discorso agostiniano non è un pessimismo sessuale che combatte tanto il piacere quanto l’atto: ciò che gli preme rilevare è che a causa della concupiscenza avviene un disordine de gli atti matrimoniali, per cui non si osserva più (o si tende a non osservare) la gerarchia dei valori, ma si antepone la ricerca del piacere a ogni altra cosa. vero, anche lavoluptas viene da Agostino talvolta considerata negativamente (mai perô un peccato) favorendo la sua sovrapposizione ed identificazione con la libido, e questo laddove ad Agostino sembra che l’eccessivo piacere sessuale finisca per ottenebrare l’attività intellettuale e per sospenderla (221). Tuttavia il quadro generale è sufficientemente sbalzato: la delectatio non è laconcupiscentia carnis (anche se sono in rapporto tra loro), come la concupiscentia carnis, benché in rapporto con la libido, non è la libido, nel suo senso più ampio e teologico che e descritto una volta per tutte da Agostino così: «Libido recte definitur: appetitus animi quo aeternis bonis quaelibet temporalia praeponuntur» (222). E che la delectatio o la satisfactio carnis siano da Agostino distinte dalla concupiscenza attualmente presente in questo mondo è così vero che, quando si propone il modello di matrimonio nel Paradiso avanti la caduta, concede che vi sia stato l’atto sessuale, che vi sia stata la delectatio, ma non concede mai che vi sia stata la concupiscenza qualis nunc est, nel suo aspetto di rivolta contro la ragione. Se poi si intende per libido qualcosa che comunque sta sotto il controllo della ragione, Agostino concede addirittura nelle sue ultime opere antipelagiane che questa libido abbia avuto un suo posto nel Paradiso.

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