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Risposta a obiezione sul pensiero di s.Agostino

Ultimo Aggiornamento: 03/07/2013 14:40
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03/07/2013 14:30
 
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I limiti del procreazionismo, l’antimanicheismo e l’impostazione teologica

    Dobbiamo subito dire che, nonostante le apparenze, Agostino non afferma la naturalità unica del procreazionismo; egli è sensibile all’affermazione dell’importanza del bonum prolis, ma solo sino ad un certo punto, giacche esiste anche un’altra faccia del problema. Anzitutto nonostante il simbolismo agrario, presente in alcuni testi e familiare alla Stoa (88), e l’interpretazione del sesso femminile come adiutorium viro che si presenta creato nonnisi causa prolis, noi non ci troviamo di fronte ad una mentalità stoica. Due sono le ragioni che lo escludono: l’assenza in Agostino di un concetto di lex naturae autonoma rispetto alla legge di Dio (89) (sì che il simbolismo non risulta essere più di uno stilema letterario) e lo stesso contesto in cui ilnonnisi causa prolis è tracciato. Vogliamo dire che Agostino in quel contesto intende affermare due cose: ad un primo livello che la mulier considerata comefoemina ha un unico fine, quello generativo (cosa che non esclude la considerazione della donna sotto altri aspetti non naturalistici) (90); ad un secondo che l’interpretazione spiritualistica del rapporto uomo-donna nel Paradiso sostenuta da alcuni autori ecclesiastici, e precedentemente da lui stesso nel De Genesi contra Manichaeos (398), deve essere abbandonata (91).

    In secondo luogo la predominanza accordata albonum prolis nei passi citati è comprensibile solo all’interno della polemica antimanichea. È stato osservato che Agostino in quel contesto dialettico non avrebbe potuto combattere l’antigenerazionismo dei manichei, motivato dal rifiuto della bontà della creazione, se non avesse insistito sulla generazione della prole come il costitutivo dell’atto sessuale (92). Questa preoccupazione di salvaguardare la bontà ontologica del creato attraverso l’esaltazione della generazione è confermata, negli ultimi scritti, dal giudizio che dà dei manichei nel De haeresibus e ci permette di comprendere alcuni testi che hanno ingiustamente scandalizzato (93). 

    In terzo luogo, oltre a queste rettificazioni, bisogna notare che in Agostino esiste un limite interno al biologismo; non solo perché ad Agostino interessa non tanto la procreazione dei figli quanto la loro educazione (94), ma anche perché il limite assiologico della procreazione sta nell’uso della sessualità. In altri termini è proprio la visione non naturalistica, ma teologica che il dottore ha del matrimonio ad impedirgli la considerazione puramente biologica di esso. Penso che non si sia tenuto conto, in questa prospettiva, del valore che vengono ad assumere le locuzioni del tipo cura ordinate procreandi, iusta copulatio sexuum, modus filiis procreandis accomodatus ed altre (95). In esse Agostino nel momento in cui parla di ordine e giustizia esprime ad un tempo la propria visione teologica del matrimonio e il momento di ingiustizia che si compie nella fornicazione. L’onanismo coniugale non va visto esclusivamente sotto l’aspetto dell’intemperanza, ma anche sotto quello dell’ingiustizia poiché esso è contro il bene comune dell’amicalis societas tra gli uomini (96). Il limite al biologismo puro, dunque, sta in Agostino sia sotto il segno teologico, sia sotto quello sociale. Certo non si puô disattendere ii richiamo che in tutti questi passi è fatto verso ii bonum prolis. Si pensi per esempio alla ripetizione della formula liberorum procreandorum causa (che potrebbe perô esprimere meno un’idea sul fine del matrimonio che un gusto per l’esagerazione e l’antitesi alla posizione manichea); ma appunto si tratta di uno degli elementi del quadro e non ii solo. Oltre tutto, e qui passiamo ad un altro tema, la valutazione stessa dell’importanza del bonum prolis non dipende solo dalla polemica antimanichea, ma anche in larga misura dalla dottrina escatologica ed ascetica di Agostino. 

L’influsso della teologia della storia

    Nonostante i giudizi di Harnack, di Burckhardt o di Overbeck siano abbastanza esagerati (97), non si può negare che il cristianesimo abbia una valenza fortemente ascetica per quanto riguarda i primi secoli. Che questa ascesi abbia punti di contatto con il deprezzamento del corpo tipico di alcune correnti del paganesimo razionalista e della filosofia platonica sembra altrettanto innegabile (98). Non si potrebbe altrimenti capire larga parte della produzione che trova il suo sbocco nell’Historia Lausiaca del monaco Palladio e negliApophtegmata Patrum degli asceti del deserto del III e IV secolo (99). La mortificazione del corpo raggiunge i suoi punti più alti nella Vita Antonii di sant’Atanasio. È noto anche, d’altronde, che questa mortificatio non è quella pensata da Paolo, per il quale il corpo entra nell’opera di redenzione effettuata da Cristo (100). 

    Ora non si dice una cosa nuova notando come una delle chiavi di lettura dell’incontro Agostino-cristianesimo passi attraverso l’esperienza narrata nelle Confessioni, dove Ponticiano racconta ad Agostino ed Alipio proprio del monaco egiziano Antonio e di come due suoi amici alla lettura della Vita avessero abbracciato la via contemplativa. Qualche riga più avanti è lo stesso Agostino che, ricordandosi dell’esempio di Antonio convertitosi ascoltando per caso un passo del Vangelo, decide di abbandonare il disordine passato alla lettura di un brano di Paolo (101). Se però le cose stanno così, non sembra esagerato affermare che questo fatto avvenuto ai primi d’agosto del 386 (102) lo abbia spinto ad una adesione al cristianesimo venata di tensione ascetica e conseguentemente escatologica (103) Questa spinta è molto chiara nelle prime opere e ad essa è parallela l’esaltazione del bonum prolis. È opportuno vedere tuttavia il grado di reciproco rimando che hanno l’escatologia e l’ascetica in Agostino per comprendere il limite di tale esaltazione.

    Il quadro generale è quello di una teologia della storia (104). Dal momento della creazione il matrimonio è finalizzato a quella comunità definitiva che è la civitas Dei. Più esattamente il matrimonio, inteso comequoddam seminarium civitatis, ha lo scopo di mettere al mondo i membri dell’umanità definitiva (105) il tema dell’uomo come angelo di supplenza, stabilito per sostituire gli angeli decaduti, tema di larga risonanza nel Medioevo e pur presente in Agostino (106), viene a coniugarsi nell’Ipponate con il tema della città celeste, a cui il matrimonio stesso è finalizzato. L’assenza di sistematicità del suo pensiero, perô, finisce per sovrapporre alcuni filoni che è bene tenere distinti. 

    Ad un primo livello infatti la ragione primordiale della creazione dell’uomo è la città celeste e conseguentemente il matrimonio è visto necessariamente nel suo aspetto generativo. Errerebbe, dice Agostino, chi considerasse il coniugium istituito soltanto per supplire al ritmo naturale delle morti (107). Il suo vero scopo è completare il numero degli eletti della suprema civitas e, per questa operazione, la generazione, il bonum prolis, è necessario a titolo di mezzo (108). La generazione diventa allora la funzione più importante se si pensa, come è stato osservato, che nella prospettiva della filosofia agostiniana il numero è costitutivo dell’essenza di una cosa (109) e il bonum prolis è quel bene che permette di raggiungere lanumerositas perfecta che costituirà la Città. Un testo riassuntivo chiarissimo di questa tesi (bisogna fare figli perché si completi il numero del Regno) si trova nel De Genesi ad litteram e illumina di rimando il senso precedentemente trattato della donna come adiutor, dal punto di vista sessuale, dell’uomo (110). 

    Ad un secondo livello, però, cominciano delle distinzioni. Anche se è la stessa condotta morale che ha ispirato i patriarchi sino alla venuta di Cristo e i cristiani del tempo della chiesa (e cioè una legge di castità) i compiti reciproci sono differenti. Nel quadro generale del matrimonio naturale orientato alla Città, bisogna distinguere i due tempi fondamentali della storia della salvezza: da Abramo a Gesù, dalla venuta di Gesù alla fine della storia. I patriarchi che ebbero la continentia in habitu (111) preparavano attraverso la generazione dei figli l’avvento futuro di Cristo (112). In loro non vi fu un desiderio carnale di figli, ma la finalizzazione del matrimonio alla generazione annunciava l’avvenire e rivelava l’economia profetica (113). Anche per quanto riguarda le donne, altra da quella d’adesso fu ladispensatio dei tempi profetici: da loro sarebbero nati i profeti del Cristo e quello stesso popolo da cui doveva nascere la carne di Cristo (114). 

    In questa prospettiva, allora, si giustifica la stessa poligamia dei patriarchi. Essi non furono mulierosi, ma risposero ad un comando di Dio, officio pietatis, per un dovere religioso, non vinti dalla passione (115); la stessa pluralità delle spose e figura della pluralità delle chiese, venute dalle diverse nazioni, che si sottomette ranno all’unico sposo, Gesù Cristo (116). Questo matrimonio che ha avuto per fine la generazione è un modello per i cristiani. 

    Se la considerazione della vita coniugale dei patriarchi per Agostino è modello di vita unitivo-generativa, di esaltazione del bonum prolis, questo evidentemente dipende dalla visione generale dell’eschaton cui tende l’intera storia, cioè il Regno; e la venuta del Regno si determina appunto in concreto con la nascita di Cristo, il fine a cui hanno teso i matrimoni nel primo tempo della storia della salvezza. Ma che cosa ne è del matrimonio da Gesù alla Parusia? 

    Dobbiamo osservare, a questo punto, un curioso rovesciamento che mantiene però paradossalmente intatta l’importanza del bonum prolis in queste opere della fase antimanichea. Se da Abramo a Gesù valeva in concreto il principio generale del «bisogna fare figli per il Regno di Dio», con conseguente emergenza della generazione tra i beni del matrimonio, da Gesù al Regno vale questo principio: «non importa generare figli, perché tanto il Regno è venuto». Più esattamente le argomentazioni sono tre: Cristo e già venuto e dunque è tempus continendi (117), ma non ancora definitivamente e dunque continua l’officium societatis humanae della propagazione della specie (118), d’altro canto anche qui in terra è possibile anticipare la venuta definitiva perché il vergine vive già nel Regno di Dio (119). In quest’ultima mossa, escatologia e verginità (o ascesi) si legano; tuttavia anche qui il bonum prolisrimane importantissimo in quanto il richiamo escatologico si rivolge indistintamente al celibe e allo sposato, ed il secondo deve osservare una charitas coniugalis che preterisce gli altri aspetti della vita sessuale (almeno tendenzialmente), eccezion fatta per quello generativo (120). E così siamo al terzo livello di lettura di quella teologia della storia in cui Agostino inquadra il ruolo del matrimonio generativo: il primo, generale, era quello del matrimonio ordinato alla Città, il secondo era quello del matrimonio ordinato alla prima venuta di Cristo, il terzo è quello della vita coniugale ordinata alla seconda venuta. E questo livello ci permette di comprendere ulteriormente i limiti dell’accusa di biologismo ad Agostino. 

L’escatologia e la dottrina matrimoniale

    La stretta escatologica che ci permette di situare senza sopravvalutarla l’ammonizione liberorum procreandorum causa come finalità esclusiva del matrimonio, è agevolmente desumibile dai testi. Agostino puntualizza il suo pensiero in questa fase, sino alle soglie della controversia pelagiana, con tre citazioni scritturistiche, una tratta dall’Ecclesiaste, un’altra da Paolo e l’ultima da Matteo (121). Si tratta, come ben si vede, soprattutto dalle ultime due, di riferimenti obbligati per la tensione escatologica dei Padri. Quel che più conta, però, e vedere come questi riferimenti si collocano lungo l’arco delle opere. 

    La prima tappa rilevante è costituita dal De sermone Domini in monte. Nel contesto di un discorso sull’indissolubilità, Agostino dichiara fortunati tanto i matrimoni allietati dalla prole che quelli dove, terrena prole contempta, i coniugi abbiano deciso di pari consenso di rimanere continenti e aggiunge che nell’ipotesi di un matrimonio vissuto spiritualmente «et illud servatur quod per Apostolum dicitur: Reliquum est ut qui habent uxores, tam quam non habentes sint» (122). Nel capitolo seguente della stessa opera, poi, allarga il tema del discorso, mostrando come l’esigenza che il Regno pone all’uomo è l’abbandono di tutte le cose temporali tra le quali l’attaccamento al padre, alla madre, alla moglie poiché, come sta scritto, «in resurrectione neque nubent, neque uxores ducent», sì che alla domanda rivolta al cristiano se egli voglia moglie nel Regno la risposta non potrà che essere negativa. Il vero cristiano amerà nella donna la creatura di Dio, ma odierà il congiungimento carnale, il che significa «diligere in ea quod homo est, odisse quod uxor est» (123). 

    Questa spinta ascetica fortissima, basata sul carattere transitorio dell’unione carnale e collegata all’appello escatologico di 1 Cor. 7,29 e di Mt. 22,30, si può cogliere in un’altra opera della giovinezza, posteriore di soli quattro anni al De sermone, il De Genesi contra Manichaeos. Qui il tema del rapporto che ha la vita matrimoniale con il Regno e con l’ingiunzione diMt. 22,30 influenza la stessa concezione che Agostino si fa delle relazioni coniugali prima della caduta. È possibile, dice il Santo, interpretare il comando genesico «crescete e moltiplicatevi» spiritualiter, cioè nel senso che il congiungimento del maschio e della femmina sarebbe stato fecondo di frutti spirituali e che dunque ante peccatum l’uomo e la donna vivessero in completa castità: «Quod ideo sic credendum est, quia nondum erant filii saeculi huius antequam peccarent. Filii enim saeculi huius generant et generantur, sicut Dominus dicit, cum in comparatione futurae vitae quae nobis promittitur carnalem istam generationem contemnendam esse demonstrat» (124). La citazione diLc. 20,34-36, corrispondente di Mt. 22,30, indica come in questa fase Agostino quasi omologasse lo stato coniugale prelapsario con quello del Regno. 

    Anche nel De bono coniugali e nel De bono viduitatisl’inflessione escatologica è presente. Manca il riferimento a Mt. 22,30, ma non quello di 1 Cor. 7,29. Il testo delDe bono coniugali, ripreso quasi letteralmente in un altro passo del De bono viduitatis (125), risponde alla domanda di un ipotetico obiettore: se tutti si astenessero dal concubito come potrebbe continuare a sussistere il genere umano? La risposta di Agostino è senza mezze misure: «Utinam omnes hoc vellent... Multo citius Dei civitas compleretur et acceleraretur terminus saeculi»; del resto, aggiunge, è proprio quanto esortava 1’Apostolo là dove dice: «Fratelli, il tempo è breve... » (126). L’esaltazione della vita ascetica e la limitazione del matrimonio agli incontinenti si riflettono anche nell’altro passo del De bono viduitatis. Chi vive in questo tempo finale, che è tale perché oggi c’è già con la venuta di Cristo il principio della fine, non potrà pretermettere il grido di Paolo: «qui habent uxores tamquam non habentes sint» (127). 

    Nelle opere successive si rarefanno le citazioni a Mt.22,30 e a 1 Cor. 7,29. In modo particolare, la prima, salvo due eccezioni, nel De Genesi ad litteram e nelSermo CXXXII, scompare del tutto (128), Le opere della controversia pelagiana, che pure trattano con insistenza il tema dei rapporti coniugali, non la registrano neppure una volta. Il passo dell’Epistola ai Corinti nel suo valore escatologico è ripreso ancora dal De coniugiis adulterinise dal De nuptiis. In entrambi i casi si afferma la necessità attuale della continenza, perche il tempo è breve ed è necessario vivere l’unione matrimoniale con l’orecchio teso alla venuta definitiva (129). Nel Contra Julianum il passo di Paolo ritorna altre due volte, ma la prima è una citazione da un’opera di Ambrogio, la seconda si limita a commentare il solo versetto «qui utuntur hoc mundo» al di fuori di un riferimento al matrimonio (130). È assente nelle due ultime opere di Agostino il Contra duas epistulas Pelagianorum e il Contra Julianum opus imperfectum.

    Se riassumiamo i risultati sin qui rilevati in questa sezione, dobbiamo notare prima di tutto che la linea ascetica e la linea escatologica si appartengono; dove sta l’una sta l’altra (131). Questo comporta la considerazione che Agostino sta al vertice della linea procreazionistica solo sino ad un certo punto, non soltanto per i limiti fissati dalla polemica antimanichea, ma anche per quelli dettati dal suo escatologismo. Ilbonum prolis come fine prevalente a cui ridurre l’attività coniugale dipende ad un tempo, ed è giustificato, da una parte dalla teologia della storia che comanda di accelerare il numero predestinato degli eletti, dall’altra dalla vicinanza del Regno di Dio che, nell’esigenza che pone di una verginità indilazionabile sia per i celibi che per gli sposati, disattende qualunque concessione alla sessualità normale mantenendo indirettamente la preminenza del fine generativo. 

    Naturalmente tutte le espressioni agostiniane di svalutazione del l’aspetto unitivo della vita sessuale che hanno tanto scandalizzato alcuni moderni e sollevato accuse di sessuofobia, rimangono inesplicabili se non le si àncora alla grande tensione escatologica dell’agostinismo. Nel santo, queste espressioni esprimono meno un’idea su quello che è i’essenza del matrimonio che non piuttosto la gioia di appartenere ad una nuova creazione, di cui la verginità è un simbolo e che non può non influire sulla stessa importanza delbonum prolis.

    In secondo luogo bisogna dire che la rarità di citazioni escatologiche a partire dalla controversia pelagiana non è casuale. Qualcuno potrebbe pensare che il fatto che esse vengano meno non sia sufficiente, come tutti gliargumenta ex silentio, per concludere che, a partire da quella controversia, Agostino ha uno spostamento d’accento tale da includere una visione positiva della realtà sessuale e del piacere ad essa collegato. Si deve rispondere però che, a prescindere dall’esame (che faremo) di testi abbastanza significativi sulla delectatio, l’importanza che Agostino dà alle citazioni in cui è chiamata in causa la dottrina delle relazioni tra uomo e donna nella resurrezione e contemporanea, nei testi che precedono la controversia antipelagiana, ad una certa dottrina di quello che doveva essere il rapporto coniugale prima della caduta. Sia il De Genesi contra Manichaeos sia il De bono coniugali che il De sermone Domini in Monte si collocano in un periodo in cui il coito prima della caduta viene negato da Agostino e le citazioni di Mt. 22,30, che con il neque nubent negano le relazioni sessuali nel Regno, potrebbero aver fatto da sottofondo a questa interpretazione del matrimonio edenico (132). 

    Se le cose stessero così, si potrebbe ipotizzare che ad una diversa considerazione di quelle che sarebbero state le relazioni coniugali nel Paradiso (cioè ad un riconoscimento che, anche se non ci fosse stato il peccato, esse sarebbero state coitali) possa aver corrisposto in Agostino un mancato utilizzo dei passi tradizionali neotestamentari di riferimento a contenuto escatologico. In altri termini: si potrebbe pensare che sulla spinta della controversia pelagiana Agostino abbia valutato in modo differente il tema del matrimonio nel Paradiso e, per una sorta di simul stant aut cadunt, abbia messo in sordina l’iniziale orientamento escatologico per quanto riguarda i rapporti matrimoniali. Al venir meno delle citazioni neotestamentarie e alla diversa valutazione del matrimonio nel Paradiso si dovrà aggiungere, al momento opportuno, per avere un quadro più completo della parabola compiuta in materia di etica sessuale dal santo, anche la considerazione esplicitamente positiva della delectatio.
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È Lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri.. Ef 4,11
 
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