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CRITICA STORICA ALLA BIBBIA

Ultimo Aggiornamento: 26/10/2014 21:29
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01/05/2013 18:29
 
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LOGICA ED ESEGESI BIBLICA 
RAZIONALITÀ E COMPETENZA ESEGETICA SPECIFICA 

L'approfondimento critico, nella scienza biblica come in ogni campo scientifico, richiede preparazione culturale specializzata ed è naturale che soltanto gli esegeti di professione possano affrontare, con piena competenza, certi problemi. Nessun approfondimento critico d'altra parte è possibile senza limpidezza intellettuale e rigorosa razionalità.

Questa razionalità è necessaria tanto nelle scienze positive che nelle scienze speculative, pur avendo rispettivamente portata e tonalità diverse. La razionalità richiesta infatti dalle ricerche positive storiche, filologiche, testuali, ecc. ha un carattere più circoscritto e concreto ed esige più larghezza di erudizione che non la razionalità richiesta dalla speculazione. E' un po' come nel confronto tra la fisica sperimentale e quella razionale. I poderosi problemi ideologici e teologici implicati nella esegesi biblica impongono all'esegeta il doppio approfondimento della ricerca positiva e speculativa.

La competenza specifica biblica però è primariamente caratterizzata dalla ricerca positiva, che deve garantire testi, materiale, generi letterari per la comprensione, le deduzioni, le sintesi, i confronti speculativi (con riflessi reciproci di questi ultimi sulla stessa ricerca positiva).

La speculazione razionale sui testi e sui problemi biblici non richiede uguale specifica competenza biblica e può essere compiuta da ogni pensatore e studioso, che abbia ricevuto dai competenti biblisti la sostanziale informazione positiva. Gli ottimi esegeti di professione d'altra parte sanno bene quanto possa essere loro dannoso d'indebolire, in conseguenza del progressivo allenamento alla ricerca positiva, l'acutezza e completezza della abitudine speculativa.

Mi propongo pertanto delle riflessioni puramente razionali, che, in linea logica, possono illuminare qualche problema e dirimere qualche controversia o per lo meno focalizzarla e precisarla nella sua reale portata.

BIBBIA E LIBRI PROFANI: IDENTICO METODO CRITICO 

Parlando dello studio critico della Bibbia intendo qui prescindere dalle finalità e dai significati spirituali del libro sacro, limitandomi a considerare il libro in sé, nel suo testo autentico e nel suo significato letterale (su cui debbono sempre appoggiarsi gli altri significati). Tale libro è stato scritto immediatamente da uomini, per gli uomini, ed è comparso nel corso della storia umana, come tutti gli altri libri. Debbono quindi valere per esso le medesime norme di critica scientifica che valgono per gli altri libri. Anzi il rigore critico, data l'importanza degli argomenti e i loro supremi riflessi nella vita, deve essere maggiore. 

I capisaldi del giusto metodo critico consistono nella esatta ricostruzione del testo, nel suo ambientamento locale e temporale, nella comprensione del genere letterario, nell'approfondimento filologico, nella identificazione e nella piena conoscenza dell'autore, nella piena focalizzazione del protagonista, nell'ampia considerazione del contesto e nel ricorso alle altre solide testimonianze e autorità estrinseche. Ciò vale tanto per il Vangelo e per tutta la Bibbia, quanto per la vita di Napoleone. 

Ma ecco che nel caso della Bibbia si scopre il fatto essenziale e originale che l'autoreprincipale è Dio, che il protagonista principale - prima adombrato e poi esplicitamente descritto - è il divino Redentore, che il pieno contesto dottrinale (al quale si ricollega lo stesso contesto storico) è l'armonia del dogma cattolico, che l'autorità estrinseca è la Chiesa infallibile. 

Colpisce anche subito la perfetta coerenza logica di tale scoperta. Al libro che parla infatti di Dio, del Verbo Eterno Incarnato, dei segreti di Dio (in sé e in relazione all'uomo), non può convenire che un autore principale divino. Al libro, d'altra parte, fatto per parlare agli uomini, con linguaggio umano, conviene un autore strumentale umano. Alla sproporzione conseguente tra comunicazione divina e imperfetto strumento umano non può rimediare che un divino e infallibile magistero scritturale quale si ha solo nella Chiesa. 

Fatta tale scoperta ne segue immediatamente un processo effettivo di indagine esegetica biblica profondamente e specificamente diverso da quello di ogni altro libro: profondamente diverso proprio perché identicamente critico, e quindi coerente alla speciale trascendenza dei suddetti capisaldi. Ne segue anche che i risultati per un cattolico e per un miscredente o non cattolico - ugualmente studiosi ed ugualmente dotati - non possono spesso essere i medesimi, essendo diversi per essi quei fondamentali capisaldi critici. Invece non vi può essere differenza, per es., per uno studio di matematica o di un fatto storico profano. 

Non vi sarà differenza, anche quanto alla Bibbia, per le acquisizioni critiche sicure e di base, testuali, archeologi che, ecc., o anche ideologiche più generali (10), mentre potrà esservi, oltre che per la piena interpretazione, per le acquisizioni solo probabili anche di base, intervenendo rispettivamente per un cattolico e un non cattolico riferimenti contestuali ed ideologici e realtà obiettive diverse, capaci di modificare le valutazioni di probabilità. 

Non vi è nessun pericolo, d'altra parte, per un critico cattolico, di cadere in un circolo vizioso assumendo come guida, per la interpretazione della Scrittura, quei dati soprannaturali e divini e quel Magistero che debbono fondamentalmente dedursi dalla S. Scrittura stessa. Infatti la deduzione di tale guida nasce da primordiali e sicure valutazioni sostanziali del testo, considerato ancora come puro documento storico. Tali valori di guida vengono poi utilizzati - logicamente quindi in un secondo tempo - per l'approfondimento e il completamento particolareggiato esegetico. 

IMMUTABILE PRINCIPIO FONDAMENTALE DELL'ERMENEUTICA 

Oltre settanta anni fa Leone XIII, riallacciandosi alle norme di S. Agostino, enunciò nella Enc. Providentissimus (18 nov. 1893) il seguente principio fondamentale della interpretazione biblica: «a litterali et veluti obvio sensu minime discedendum, nisi qua eum vel ratio tenere prohibeat vel necessitas cogat dimittere» (EB 112). Pio X, per tramite della Pont. Comm. Bibl. (1909) ribadì il principio (EB 328); e così Pio XII (EB 525). 

Nonostante le prospettive enormemente allargate della scienza esegetica moderna e nonostante le apparenze contrarie, tale principio è restato e resterà immutabile: valeva al tempo della condanna di Galileo e dopo la chiarificazione dell'equivoco; valeva quando igiorni della creazione del mondo, narrata dal Genesi, si interpretavano in senso letterale, come vale oggi, e così via. Tale principio infatti non fa che esprimere il logico criterio che si segue sempre davanti al discorso di una persona seria e verace. Le parole vanno cioè intese secondo il loro senso proprio, finché non vi sia la fondata prova del contrario. La presunziore sta quindi sempre per il senso letterale: proprio l'opposto di quello che sarebbe se fosse il discorso di un noto commediante o mentitore. 

La Chiesa non ha quindi propriamente modificato i suoi fondamentali principi esegetici. Solo che l'evoluzione scientifica e l'approfondimento degli strumenti critici hanno fornito le prove che prima mancavano - ossia la «ratio» e la «necessitas» - d'interpretare certe affermazioni in senso non letterale. La richiesta di Giosuè che si fermasse il sole non poteva essere interpretata se non in senso letterale - come cioè se il sole e non la terra fosse in movimento - nell'epoca in cui vigeva la scienza astronomica tolemaica, mentre oggi l'espressione resta vera nell'ovvio senso metaforico della apparenza sensibile, secondo il modo del parlare comune degli uomini. 

Che dire dell'inconveniente che, frattanto, cioè prima dell'affiorare delle ragioni per abbandonare il senso letterale, tali testi avevano suggerito l'errore? E' un fatto accidentale del tutto naturale. Ciò è dipeso dalla normale limitatezza e ignoranza umana, che lo Spirito Santo non ha il compito di correggere su questioni estranee alla fede e al costume. Fuori di questo campo il pensiero umano doveva ovviamente essere lasciato alla normale evoluzione, affinché la Scrittura non si trasformasse - miracolisticamente e inopportunamente - in un trattato di scienze fisiche, tanto più che, anticipando i tempi della umana evoluzione scientifica, esso sarebbe risultato incomprensibile. 

Quando invece le affermazioni riguardavano l'oggetto della rivelazione, come nella promessa dell'Eucaristia e nella sua istituzione, Gesù ebbe cura di usare quelle insistenti e chiare espressioni, che escludevano positivamente il senso figurato e garantivano il senso letterale. 

Il medesimo fondamentale principio di ermeneutica vale identicamente per l'A. e il N.T. La ragione della più larga possibilità del senso non letterale, o non pienamente storico, o solo didascalico nelle narrazioni dell'A.T. sta nel genere e nelle circostanze di quelle narrazioni, ben diverse da quelle del N.T.

In questo infatti la narrazione si concretizza, con particolare precisione, intorno alla figura storica e all'insegnamento di Gesù, fatta da testimoni oculari o molto vicini, con esplicita dichiarazione di esattezza - necessaria d'altra parte per dar credito a tutta quella storia - e mentre esistevano altri testimoni, amici e nemici, che avevano, per motivi opposti, tutto l'interesse, in caso di errore, o di nascosti rivestimenti didascalici, o di adornamenti puramente popolari, o di tacite e incontrollate citazioni, di smentirli. 

POSSIBILITÀ, PROBABILITÀ, PRESUNZIONE 

In tutti i settori della critica biblica, dalla ricostruzione del testo originale al problema dei singoli scrittori, alla determinazione del genere letterario più o meno storico, alla interpretazione miracolosa o meno di alcuni fatti, ecc., non sempre si può raggiungere la certezza. In tali casi si contrappongono sul piano ipotetico soluzioni opposte o per lo meno diverse, le quali si possono sempre fondamentalmente raggruppare in più favorevoli alle sentenze tradizionali o più innovatrici. Razionalmente le tesi più innovatrici debbono essere preferite solo quando rappresentano un progresso e un approfondimento nella conquista della verità biblica: non cioè il nuovo per il nuovo, ma il nuovo - almeno probabilmente - per il più vero. 

Mentre però nel caso della certezza la scelta è fuori discussione, negli altri casi essa può essere influenzata da fattori talora imponderabili, non esclusi quelli psicologici e di tonalità mentale generale. In sede critica questo rilievo mi sembra di notevole importanza. La razionalità infatti richiede che anche tale tonalità psicologica e mentale rientri nella coerenza logica, tenuta ben presente la natura dell'oggetto di studio: altrimenti essa verrebbe a influenzare irrazionalmente e quindi erroneamente le preferenze e le scelte. 

Ora un fatto da considerare con molta attenzione è il facile combaciamento di molte tesi innovatrici e nuove interpretazioni con le soluzioni meno soprannaturali. Soprattutto poi colpisce lo stato d'animo, talora esplicitamente manifestato, della soddisfazione per tali soluzioni, come per la bramata e riuscita evasione dalle strettoie dell'antica mentalità, troppo legata al prodigioso, al miracoloso, al soprannaturale: evasione che sarebbe vittoria della razionalità. E' l'orientamento ben noto e diffusissimo della demitizzazione

Prescindendo pertanto dai singoli casi, ognuno dei quali andrebbe trattato a parte, e restando a tale orientamento generale, esso non risulta razionalmente coerente. L'oggetto infatti di tutta la Scrittura, prima preparato (A. T.) e poi descritto (N. T.), è, nel quadro della misericordia divina e della redenzione, il divino Redentore, Gesù, cioè la realtà più sublimemente soprannaturale e miracolosa che si possa immaginare: il Verbo Eterno Incarnato. Ora in un libro che ha così sublime principale protagonista è presumibiletrovare non scarsezza, ma piuttosto abbondanza di elementi soprannaturali e miracolosi.

Non è questione - ripeto - dei casi particolari, ognuno dei quali andrà risolto a suo modo, ma è questione di presumibilità e di coerente orientamento mentale. Sotto tale aspetto l'esegesi antica, più favorevole alle interpretazioni soprannaturali, finisce per essere più razionale e coerente. 

Il massimalismo soprannaturale nella Scrittura - quando sia poggiato ogni volta su solidi motivi - è presumibilmente più vero del minimismo naturalistico, armonizzando meglio con il sublime massimalismo della persona di Gesù. Se si propone una spiegazione naturale del passaggio del Mar Rosso, che salvò gli ebrei, della stella che guidò i Magi a Betlemme, della pesca inaspettatamente sovrabbondante nel mare di Tiberiade, e così via, non c'è che da studiare il testo ed il contesto per decidere. Ma l'errore sta nel fare tale studio con preconcetto atteggiamento preferenziale verso la spiegazione naturale e innovatrice, mentre invece l'orientamento preferenziale deve piuttosto essere razionalmente lo opposto.

Per esemplificare questa erronea posizione psicologica e questo difetto di razionalità si rifletta al gaudio di alcuni dotti per la scoperta di una sorgente a diverso grado termico, nel fondo del lago di Gennesaret, vicino alla quale si sono trovati densi banchi di pesci. Subito è stata felicemente divulgata la notizia come scientifica conferma di Lc 5, 6 e Gv 21, 6, cioè delle pesche miracolose, compiute sovrabbondantemente dagli Apostoli, per indicazione e comando di Gesù, dopo i precedenti lunghi tentativi infruttuosi. La scoperta cioè doveva rendere testimonianza di verità alla narrazione evangelica, come se l'ipotesi miracolosa, più conforme al senso letterale e al contesto, potesse altrimenti creare difficoltà. Ma non era avvenuto il fatto per ordine dell'Uomo-Dio Gesù? 

Si può obiettare che la preferenza delle soluzioni naturali, quando sia possibile trovarle anche con piccolo fondamento, è razionalmente fondata sul principio generale che la presunzione deve stare sempre per il naturale e che il soprannaturale non va affermato senza positive sicure prove: non è il naturale, ma il soprannaturale che va provato. 

Ma la logica applicazione di questo giusto principio deve tener conto della diversità del protagonista. Quando si tratta di un semplice uomo e anche di un santo (tanto più se non ancora proclamato tale) la presunzione sta effettivamente sempre per la soluzione naturale. Ma quando si tratta della preparazione e della comparsa del Verbo Eterno Incarnato e poi della sua vita e delle sue opere la presunzione s'inverte, per la prevedibile coerenza tra le opere manifestative e la grandezza del divino protagonista («operatio sequitur esse»). In tale caso cioè si deve trovare difficoltà non ad ammettere il soprannaturale, sufficientemente presentato come tale, ma a non ammetterlo. Non debbono meravigliare i prodigi che accompagnarono la natività, ecc., bensì dovrebbe meravigliare che non vi fossero stati.

Non è quindi logico abbandonare metodicamente le antiche soluzioni esegetiche, più favorevoli al miracoloso e al soprannaturale, ogni qualvolta si presenti la pura possibilità - talora anche scarsissima - di spiegazioni naturali. Anzi non è logico nemmeno quando la possibilità corrisponda a probabilità, a meno che si tratti di probabilità largamente maggiore. Ma anche in questo caso il vero rigore critico richiede di affermare tale misura di probabilità; non di trasformare - almeno praticamente - la probabilità in certezza, radiando definitivamente la tesi più soprannaturale e tradizionale. Questa resta invece ancora possibile, con il suo grado di probabilità, finché non risulti la certezza del contrario. 

In tale valutazione delle tesi contrastanti si deve riconoscere quindi, per ragioni critiche, una posizione in qualche modo privilegiata e preferenziale per quelle più soprannaturali e tradizionali, così da avere per queste - logicamente - anziché diffidenza, benevolenza. 

Ciò è vero anche per un altro motivo che si potrebbe dire di carattere giuridico pratico.Giuridicamente quelle tesi godono della condizione preferenziale di ciò che è posseduto,che ha maturato la riflessione di tanti Padri e scrittori cattolici, e che su materia di fede e morale (a prescindere dalla autenticità) può esprimere la dottrina universalmente posseduta dalla Chiesa e quindi infallibile (eventualmente non come Scrittura, ma come pensiero della Chiesa). Praticamente poi si deve attentamente osservare che l'abbandono di una interpretazione ritenuta antiquata, ma ancora possibile, è di solito irreversibile. Si crea il pericolo di perdere definitivamente un fatto e una conoscenza soprannaturali, che (non trattandosi per l'opposta tesi di prova certa) potrebbero in realtà essere veri. 

A tale riguardo non v'è simmetria tra i due opposti pericoli, di mantenere cioè una erronea interpretazione soprannaturale o di perderne una vera. La seconda eventualità infatti costituisce la perdita di un tesoro vero, di divino valore e costituisce quindi una iniziativa e una perdita positive, praticamente irrimediabili; mentre la prima, conservando la illusione di avere un tesoro che non vi è, corrisponde a un difetto di iniziativa (con riflessi tuttavia per accidens vantaggiosi, per i più forti richiami ai valori divini, che superano sempre ogni nostra affermazione) difetto che comunque potrà essere sempre rimediato. 
 
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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