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L'EVOLUZIONE ALL'ESAME DI STUDIOSI CATTOLICI

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2017 19:57
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01/05/2013 18:18
 
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IL POLIGENISMO DI K. RAHNER S. J

Forzare analiticamente qualche lato soltanto dei problemi non è acutezza, ma unilateralità e superficialità disgregatrici della solida indagine teologica. 

Sentiamo K. Rahner, sulla problematica del poligenismo, particolarmente sintomatica di tutta una metodologia analitica, in Concilium 6, 1967. 

«Se si determina nella maniera giusta il genere letterario di Gen. 1-3... l'Antico Testamento non contiene affermazione alcuna sul monogenismo» (74). - E' una petizione di principio. Si assume come «giusto genere letterario» quello che si concilia con il preconcetto evoluzionismo e poligenismo. Tale «giusto genere» invece deve essere determinato tenendo ben presente il Magistero, secondo il quale «gli undici primi capitoli del Genesi... appartengono al genere storico in un vero senso... [riferendo] con parlare semplice e metaforico... sia le principali verità... per la nostra salvezza, sia anche una narrazione popolare della origine del genere umano e del popolo eletto» (Hum. G., 39: D-S 3898) (9). E tra tali «principali verità» il Magistero ha ripetutamente ribadita - come si è visto nell'ultimo punto del paragrafo precedente - quella strettamente collegata col peccato originale, ossia il monogenismo

«Quando Paolo... usa l'espressione dell'unico primo uomo Adamo [bisogna vedere se non ripeta]... la formulazione dell'Antico Testamento [senza offrire quindi] per sé nessuna dottrina inequivocabile sul monogenismo» (75). - Invece: sia la natura di approfondimento teologico dei testi paolini, sia la Tradizione, sia il Magistero, non possono lasciare dubbio prudente sul valore chiarificatore dei testi paolini, a conferma della affermazione monogenista dell'Antico Testamento.

Come avrebbe potuto esprimersi S. Paolo - secondo il R. - per indicare che intendeva positivamente confermare, con l'infallibile autorità della divina ispirazione, il senso letterale della formulazione dell'Antico Testamento? 

«Il concilio di Trento... [presuppone] un solo Adamo fisico... ma parlando del peccato originale, ripete semplicemente le formulazioni della Scrittura e della Tradizione e non ha voluto dare alcuna definizione del monogenismo... Non si può parlare di un dogma formale sul monogenismo a partire dal Concilio di Trento... Anche per quanto riguarda il magistero ordinario». - Quanto al «dogma formale» del Concilio bisognerebbe distinguere l'implicito dall'esplicito. Inoltre, come può essere negata, in proposito, resistenza del «Magistero ordinario»?

Comunque, oltre al dogma, c'è la dottrina teologicamente sicura, la noncuranza della quale impedisce di «sentire con la Chiesa» e disgrega la mentalità teologica e il senso dell'ortodossia, snervandoli con un problematicismo di timbro razionalista. E non si tratta di un «sentire con la Chiesa» libero, ma obbligatorio in coscienza, come è detto, per es., esplicitamente, per gli insegnamenti non definitori delle Encicliche, nella Hum. G. (19, 20).

Tornando alla definizione del Tridentino, è perfettamente vero che l'intenzione definitoria esplicita riguarda il peccato originale e non il monogenismo; ma riguarda essenzialmente oltre il fatto anche il modo, gli effetti, la trasmissione, per i quali l'affermazione monogenistica costituisce un fattore essenziale e inseparabile dall'affermazione della caduta. Il Concilio quindi, assumendo interamente la sostanziale narrazione del Genesi, ne fornisce l'ispirata interpretazione

Il R. riconoscerebbe come «dottrina implicita» tridentina il monogenismo, solo se questo risultasse indispensabile per salvare la dottrina tridentina «sul peccato originale». - Basta invece che sia indispensabile per salvare il modo di trasmissione, definito dal Concilio. E lo è perché il monogenismo si inserisce essenzialmente in tale modo.

In tutto il resto dell'articolo il R. prosegue aprioristicamente a ritenersi vincolato solo quanto al fatto e non quanto al modo, trascurando il tenore ovvio delle affermazioni tridentine e tutti gli altri insegnamenti del Magistero - ultimamente confermati dallaProfessione di Fede di Paolo VI (30 giugno 1968) - relativi non solo al fatto, ma anche almodo.

Anzi, preoccupato solo della dogmaticità - del fatto, invita il Magistero a non «intromettersi nella discussione sul poligenismo» (87; cfr. 77). Egli sapeva però che già il Magistero si era ripetutamente intromesso. E' quindi un implicito rimprovero che fa al Magistero. Siamo davanti a una specie di capovolgimento delle parti: non è il «Magistero, che nella Chiesa rappresenta la persona di Gesù Cristo Maestro» (Paolo VI al Convegno dei teologi, ottobre 1966), a guidare i teologi, ma viceversa. 

Per prendere lo slancio verso la libertà di affermare anche il poligenismo, R. così presenta la dottrina della Hum. G. (37) sull'evoluzionismo: «La Chiesa... considera libera la teoria dell'evoluzione antropologica» (78); e R. dà il giusto riferimento: D-S 3896. - Ma il vero testo esprime invece tutt'altro che pura libertà, limitandosi a dire che la Chiesa «non prohibet» che il problema «de humani corporis origine... pertractetur», pronti sempre a rimettersi «Ecclesiae iudicio», non essendo il problema estraneo «divinae revelationis fontibus» ed esigendo quindi «maximam moderationem et cautelam».

Dopo tale inesatta premessa il R. passa non a imparare, ma ad insegnare come la Chiesa debba coerentemente contenersi su tale argomento: «la teologia rifletta seriamente se la Chiesa [concessa tale presunta libertà per l'evoluzionismo]... possa... condannarelogicamente il poligenismo». Ma R. si guarda dal citare il n. successivo della Hum. G., in cui il poligenismo viene escluso. Il R. inoltre conosce bene gli altri numerosi interventi del Magistero contro di esso. Sarebbe stato dunque un Magistero illogico

Dall'evoluzionismo infatti, secondo il R. verrebbe necessariamente il poligenismo, a cominciare fatalmente dalla prima coppia, in cui già sono due: «ogni altra soluzione sarebbe solo un compromesso pigro e inaccettabile» (78). Direi che la «pigrizia» è piuttosto di chi non vuole adeguatamente distinguere. Il monogenismo scientifico si è sempre riferito a «una coppia» (e non a un solo individuo); esso ha trovato validissime conferme nell'antropologia comparata, e non è esatto dire che «la maggioranza schiacciante degli scienziati» è poligenista (ivi 77). 

Il monogenismo filosofico, anche quando ammette l'evoluzionismo, reclama, alla soglia dell'intelligenza, l'intervento estrinseco del Creatore, per la creazione e infusione dell'anima spirituale, intervento che, convenientemente, può ammettersi compiuto su una sola coppia. Il monogenismo teologico aggiunge il dato della rivelazione e perfeziona l'origine monogenica con la speciale derivazione della donna dall'uomo, derivazione che, nel quadro dell'intervento ormai necessario e diretto del Creatore, non crea logicamente alcuna difficoltà.

Non ho lo spazio per seguire il grande teologo negli ulteriori tentativi per giustificare una solidarietà umana anche nell'ipotesi poligenista e per inquadrarvi il peccato originale. Tutto comunque è minato dalla errata premessa di risolvere il mistero della caduta originale, che è un dramma inserito nell'economia soprannaturale, staccandosi dagli essenziali dati scritturali, dalla tradizione, dal magistero, ossia dalla rivelazione. 
 
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