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L'EVOLUZIONE ALL'ESAME DI STUDIOSI CATTOLICI

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2017 19:57
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01/05/2013 18:10
 
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FILOSOFIA ED EVOLUZIONE 

La Humani Generis. - Dal 1950, quando uscì l'Enciclica Humani Generis di Pio XII, non vi sono stati apporti scientifici o filosofici capaci di spostare i termini e la soluzione del grande problema dell'evoluzionismo delle specie viventi. Ciò che è cambiato è lo stato d'animo, la psicologia, l'orientamento, la moda scientifica, che si sono andati sempre più generalizzando - anche in campo cattolico - in senso favorevole all'evoluzionismo biologico. 

Non è vero che la H. G. si mantenga simmetricamente neutra di fronte alle due opposte opinioni, cioè lasci completamente liberi. Essa soltanto «non proibisce che... sia oggetto di ricerche e di discussioni...  la dottrina dell'evoluzionismo... sull'origine del corpo umano», lamentandosi che «però alcuni oltrepassano questa libertà di discussione, agendo in modo come fosse dimostrata già, con totale certezza, la stessa ori­gine del corpo umano dalla materia organica preesistente» (37); l'Enciclica non eleva simmetricamente un lamento inverso; essa inoltre nega il diritto a tale «medesima libertà» (38) a riguardo «dell'altra ipotesi, cioè del poligenismo» (il quale però sgorga fatalmente dall'ipotesi evoluzionista). 

Esigenza imprescindibile dell'evoluzione. - Per il P. Filippo Selvaggi S. J., in un importante articolo della Civiltà Cattolica (20 genn. 1968), il problema, sul piano filosofico, pare invece risolto: «l'evoluzione, in tutta la sua estensione, dalla materia inanimata fino all'uomo [salvo, come dirà solo dopo, la necessaria infusione dell'anima]... prima che un dato o un'ipotesi scientifica, è una esigenza imprescindibilepresupposta dalla scienza in quanto tale e un principio filosofico richiesto dalla stessa ragione» (114). 

Dunque piena e solenne adesione all'evoluzionismo, «come se - lamentava la H. G. - nelle fonti della divina Rivelazione non vi fosse nulla che esiga in questa materia la più grande moderazione e cautela» (H. G. 37). P. S. inoltre, nonostante il dichiarato intento di restare soltanto sul piano filosofico, si appella esplicitamente anche alla scienza.

I dati di osservazione che giustificherebbero tale adesione sarebbero, secondo l'illustre articolista, l'ordinata «molteplicità gerarchica degli esseri materiali dagli elementi fino all'uomo», la «fondamentale unità - statica e dinamica - degli ultimicomponenti materiali» [si poteva anche parlare della ancor più significativa unitàstrutturale: basta pensare alla presenza universale, nel mondo vivente, della cellula e alla funzione universale del principale costituente del suo nucleo, il DNA] e la «successione progressiva di forme dei viventi nel tempo» svelata dalla paleontologia.

Ora è evidente - prosegue P. S. - che «ogni fenomeno naturale, universale e costante, deve avere anche una causa naturale, cioè un principio intrinseco nell'essere e nell'attività delle cose della natura» (113), in modo che tutto ordinatamente si svolga mediante il gioco delle cause seconde, senza l'intrusione dell'intervento immediato di Dio, salvo sapienti giustificazioni di tale immediato intervento divino, come «ad esempio, nella storia salvifica soprannaturale dell'umanità» (114). Ciò senza escludere, ovviamente, l'intervento diretto universale di Dio per la metafisica necessità della iniziale creazione, della continua conservazione dell'essere primo delle creature e dell'influsso della Causa prima e del motore primo in ogni attività delle cause seconde. 

La realtà dell'evoluzione sarebbe anche confermata dal fatto che essa è fuori discussione per la pura realtà materiale terrestre e astronomica. Ora sarebbe strano che in essa non rientrassero «proprio i viventi, che nel loro essere individuale sono soggetti ad una evoluzione continua e profonda di forme e di strutture dalla nascita alla morte, nella vita la cui essenza è il movimento e il cambiamento» (113).

P. S. passa poi a risolvere la grande obiezione filosofica contro l'evoluzionismo, che fa leva sull'inammissibile passaggio «dal meno ontologico al più ontologico» (115), che violerebbe il principio di causalità. La risoluzione consiste nell'inserire e livellare il passaggio da specie a specie più perfetta nel generale fenomeno del divenire di tutte le cose in movimento ed in trasformazione. Questo generale divenire implica sempre un passaggio dal meno al più ontologico e trova la sua ragione sufficiente nel trascendente influsso dell'Essere infinito, causa prima di ogni realtà e azione creata, cioè nell'influsso universale meta fisico della Causa prima, sopra accennato.

Vano sarebbe invece - precisa P. S. - l'appello che «spesso si fa» dagli evoluzionisti alla «virtuale» presenza nell'essere inferiore dello essere superiore, «come il seme contiene virtualmente la pianta» (115). P. S. non si ferma qui a distinguere l'ontogenesi (sviluppo dell'individuo dal germe) dalla filogenesi (produzione di specie superiore dalla inferiore), bensì, alla luce del livellamento suddetto, osserva genericamente che «questa virtualità intrinseca dell'essere inferiore non solo si ridurrebbe ad una qualità occulta, che offre solo una soluzione verbale, ma non risolverebbe affatto la difficoltà, giacché la semplice virtualità intrinseca dell'inferiore rimane sempre ontologicamente inferiore rispetto alla perfezione formale e al suo attuale possesso» (11. 5). 

Esposto così il fondamentale pensiero dell'illustre scrittore, passo a qualche modesta riflessione in merito, riprendendo uno ad uno i capoversi suddetti, in successivi corrispondenti punti. Come P. S. così anch'io prescinderò dal problema teologico. 

I dati di osservazione. - Cominciamo dai dati assunti quali punto di partenza. Essi in realtà non fanno che esprimere il sapiente ordine che vige nel creato - nello spazio e nel tempo - ordine rivelatore della sapienza del Creatore. Pertanto, astrazione fatta da altre considerazioni, tale dato di osservazione non depone a favore dell'ipotesi evoluzionista più che non deponga a favore di quella creazionista. 

Anzi il pieno ordine che si riscontra, nello spazio e nel tempo, rende meno presumibile una evoluzione spontanea della cieca materia e più attendibile un opportuno intervento diretto del sapientissimo Creatore. Il costruttore di un edificio prepara il materiale, adattandolo volta a volta alle successive esigenze, comincia dal lavoro grossolano delle fondamenta e ordinatamente su su si eleva e progredisce verso la finale perfezione. 

A rigore, nel caso del mondo vivente, l'intervento fondamentale, immediato ed estrinseco del Creatore potrebbe anche concepirsi limitato soltanto ai tre gradini principali, della vita, della sensazione e della intelligenza. Potrebbe poi anche ammettersi che il Creatore della prima cellula vivente abbia creato delle strutture così mirabili di cromosomi del nucleo, cioè delle catene di geni costituenti i cromosomi (e quindi delle strutture del DNA costitutivo dei geni), tali che tempestive modificazioni dei geni stessi (o per nuovi diretti interventi estrinseci o per speciali e penetranti fenomeni ambientali) implicassero il successivo prodursi delle specie. 

Queste, in tale ipotesi, sarebbero state già virtualmente precontenute in quei costituenti iniziali, come virtualmente sono precontenute nei corpuscoli della nostra cellula germinale le singole parti meravigliosamente organizzate del nostro corpo. Tra poco spiegherò ulteriormente il vero significato di virtualità. Comunque non si tratterebbe più di evoluzione spontanea della materia, ma la comparsa successiva delle specie, via via più perfette, potrebbe paragonarsi alla successiva accensione degli stadi d'un unico razzo fabbricato e lanciato fin dall'inizio dal Creatore. 

L'esperienza contro l'evoluzione. - V'è, d'altra parte - a prescindere da altre considerazioni - un dato d'osservazione che costituisce la nota prova sperimentale del succedersi di perfezioni direttamente create (o virtualmente, all'inizio, o nel corso dei tempi). Non basta infatti rilevare genericamente il comparire nel tempo delle specie sempre più perfette. Bisogna anche notare l'assenza completa, negli strati paleontologici, di stadi di transizione tra una specie perfetta e l'altra, che inevitabilmente dovrebbero esservi nella ipotesi della spontanea evoluzione.

Tali stadi, rispetto all'equilibrio biologico ed ecologico (d'ambiente) dovrebbero comparire come non ancora adatti, ossia rudimentali. Non si tratterebbe di anelli intermedi, costituenti vere specie perfette (come sarebbero, per fare un paragone meccanico, la motocicletta, tra la bicicletta e l'automobile), ma di specie avviate a quella superiore senza averne ancora acquistato la piena idoneità (come, nel passaggio da un carro a una automobile, l'aggiunta dei pneumatici e poi del motore, ecc.). 

Un grande equivoco è racchiuso poi nella affermazione, in sé giustissima, che «ogni fenomeno naturale, universale e costante» deve avere la sua intrinseca spiegazione. Ciò equivale a dire che le creature hanno (subordinatamente alla causa prima) una loro propria attività di cause seconde, il che è come affermare la verità delle cose (per il cui dinamismo quindi giustamente Laplace cercava, la spiegazione immediata in esse e non in Dio).

Ma ciò riguarda le operazioni delle cose, non la loro storica comparsa, per la quale vale sempre l'alternativa o della derivazione da altre cose o della creazione diretta da Dio. Ora, per gli individui, la cui nascita è sperimentabile, risulta provata la derivazione; per le specie invece, la cui apparizione non è sperimentabile, non si può postulare senz'altro la derivazione se non si vuol cadere nella petizione di principio di dare per provato ciò che devesi dimostrare. Vi è anzi il dato di osservazione suddetto che suggerisce il contrario. 

Il fatto che l'ipotetico intervento di Dio per la produzione delle nuove specie (intervento direttamente svolto nel tempo, o attuato inizialmente nella creazione di tutte le virtualità) sfugga a qualsiasi diretta esperienza - il che costituisce per gli evoluzionisti un motivo per negarlo - non costituisce alcuna difficoltà contro tale ipotesi stessa per tre fondamentali motivi: il primo perché tale produzione riguarda tempi non direttamente sperimentabili; il secondo perché anche il radicale interventoestrinseco di Dio che sta continuamente avvenendo per la conservazione dell'essere primo di tutto l'universo creato si compie senza alcun rilievo sperimentale; il terzo perché pure senza alcun rilievo sperimentale deve necessariamente ammettersi l'intervento estrinseco creativo di Dio per la produzione dell'anima spirituale umana, nel «fenomeno naturale universale e costante» della nascita di ogni uomo. 

Sicuri interventi di Dio. - Quest'ultimo punto è particolarmente istruttivo. P. S., che prima aveva solo esemplificato un possibile intervento creativo di Dio «nella storia salvifica soprannaturale dell'umanità» (114), facendo quasi pensare che non fosse da parlarne nel piano naturale che è invece quello in questione, poi ammette la creazione e infusione della «anima di ogni uomo che viene al mondo», come «dottrina oggi comunemente ammessa dai filosofi e teologi cattolici» (poteva anche dirla, con la H. G., 37, di «fede cattolica»; cfr. D-S 685, 902, 1440). 

Anche l'illustre evoluzionista P. Vittorio Marcozzi S. J. decisamente lo afferma (cfr.L'evoluzione oggi, 1966, p. 256). Ora, tale fatto innegabile è in evidente contrasto con la vera e piena concezione evoluzionista che ne risulta profondamente infirmata. Più coerentemente infatti - anche se, come al solito, confusamente - esso è negato da Teilhard de Chardin (cfr. Le Phén Hum. 78, 149, 188, 210; L'Appar. de l'H. 192; cfr. B. de Solages, Teilhard de Ch., 270); e si sa quanto sia reticente in proposito il dolorosamente celebre Catechismo olandese (cfr. 449 s., 554 s., 562). 

E quale è la ragione per ammettere, in questo fenomeno della generazione umana, che avviene continuamente sotto i nostri occhi, l'intervento estrinseco di Dio? E' la considerazione filosofica della immaterialità intrinseca e assoluta del pensiero. Questo non può quindi derivare dalla materia. Analogamente, se si considera soprattutto latrascendenza dei fondamentali gradini della vita e della sensazione rispetto, specificamente, alle pure forze fisico-chimiche della materia (non dico, genericamente, alla materia), debbo escludere il loro spontaneo sorgere evolutivo, in conseguenza del puro gioco di tali forze. Debbo quindi postulare un intervento estrinseco che sollevi la materia al di sopra del suo puro dinamismo fisico chimico

Per la vita, ad es., la trascendenza rispetto al puro dinamismo fisico-chimico risulta e dalla mirabile organizzazione del vivente (quale tanto più risalta nei viventi superiori che l'ipotesi evoluzionista deve ugualmente ritenere frutto spontaneo della evoluzione) e dal dinamismo vitale che sospinge la materia verso stati più complessi emeno probabili (contro la tendenza fisico-chimica verso stati più probabili, corrispondenti alla degradazione energetica) e dall'equilibrio attivo immanente

Per la sensazione la trascendenza è ovviamente maggiore, per il pensiero è assoluta. 

Ammessi questi interventi per questi fondamentali gradini non apparisce più alcuna difficoltà ad ammetterli anche nei passaggi, almeno i più importanti, da una specie all'altra. 

L'appello di P. S. al bellissimo testo di S. Tommaso (C. G. III, c. 22) circa la «potenzialità della materia» all'«anima vegetativa», ecc., per cui «l'uomo è il fine di tutta la generazione naturale» (112), non reca alcun contributo all'ipotesi evoluzionista, perché l'Angelico, con perfetta logica (benché con la ingenuità scientifica consona al tempo) postula per il passaggio dalla materia inanimata alla vita l'influsso dei corpi celesti (concepiti come incorruttibili, ossia bensì ancora materiali, ma in un piano superiore a quello fisico chimico terreno) in quanto strumenti degli spiriti angelici che li muovono (cfr. Summa Th. 1, 70, 3 c. ad 2, ad 3). 

Evoluzione cosmica e biologica. - La conferma dell'evoluzionismo biologico che P. S. poi trae dal parallelo che vi sarebbe tra la innegabile evoluzione della materia cosmica inanimata e la profonda evoluzione continuamente sperimentata negli «individui» viventi, che continuamente nascono, vivono e muoiono, lascia davvero perplessi. Il confronto infatti sottolinea piuttosto l'opposto. 

Il problema dell'evoluzionismo non è un problema puramente di trasformazione, più o meno profonda, delle cose. Nessuno sogna che tutte le cose materiali non siano in continua trasformazione. Chi nega l'evoluzionismo nega soltanto che tale trasformazione assuma spontaneamente, per il puro, cieco gioco del dinamismo fisico-chimico, la via del dinamismo mirabilmente organizzato sempre più perfetto e immanente (con le tre caratteristiche cioè, opposte a quelle del piano puramente fisico-chimico: della organizzazione, del meno probabile e dell'immanenza ). 

Le trasformazioni del materiale geocosmico pertanto le vediamo (anche solo considerandole nell'ordine macroscopico, che è sufficiente a caratterizzarle) costantemente orientate verso la degradazione energetica e la maggiore stabilità, con la modificazione continua dei soggetti (azioni non immanenti). Quando esplode la bomba atomica avviene lo stesso. Quando invece in seno alla materia si pone la realtà individua di un seme vivente, l'orientamento del dinamismo materiale viene come capovolto, pur restando, in tutti gli scambi, sul piano fisico-chimico i consueti bilanci energetici. 

La materia viene cioè condotta da quel principio vivente al servizio del seme in sviluppo, sollevandosi con un continuo flusso metabolico, contro il suo spontaneo orientamento, alle forme meno probabili e meno stabili della mirabile organizzazione del vivente maturo. Proprio quel sempre rinnovato ciclo in ogni individuo - nascita, vita e morte ­confrontato con la linea stabile delle trasformazioni geofisiche, mette in risalto tale elevazione della materia allo stato meno probabile e meno stabile della organizzazione vivente. Risalta quindi la differenza essenziale e la inconciliabilità delle due evoluzioni. 
 
Potenzialità e virtualità. - Risulta sottolineata anche la essenziale differenza tra lapotenzialità alla trasformazione della materia inanimata e la virtualità alla trasformazione del seme vivente. Mentre la prima corrisponde ad una disponibilità a qualunque deterministico influsso, accozzamento e combinazione casuale (sempre nella linea della degradazione energetica e del più probabile), la seconda implica un determinato preciso programma secondo la specie, che nel previsto intervallo di tempo dovrà identicamente realizzarsi nella produzione e nella temporanea conservazione dell'individuo maturo. Nella cellula germinale cioè è come concentrata la memoria di tutto il deterministico sviluppo futuro. In essa era predeterminata la meraviglia del mio occhio e lo stupefacente intreccio dei miliardi di cellule del mio cervello, il colore dei capelli, tutto. 

Ma, come dicevo, tutti i bilanci delle reazioni fisico-chimiche che porteranno un corpuscolo di materia esterna a diventare una molecola del cristallino del mio occhio si compiranno secondo le ordinarie leggi fisico­chimiche. Se il principio vitale (al primo gradino, anima vegetativa) le modificasse, si porrebbe sul loro stesso piano, e la vita si appiattirebbe al livello della pura realtà fisico-chimica, dal cui cieco determinismo mai potrebbe sgorgare la mirabile organizzazione del vivente, con tutte le sue originali proprietà. Invece non le modifica e non vi si aggiunge perché le trascende, sapendole però utilizzare per la costruzione vitale.

Non è concepibile quindi che la vita derivi da una autonoma evoluzione delle forze fisico-chimiche stesse. L'autore del creato o ve l'ha nascosta fin dall'inizio (cosa però difficilmente ammissibile dato lo stato disgregato della primitiva materia, antecedente ad ogni evoluzione complessificatrice) o l'ha prodotta al momento opportuno.

Considerazioni proporzionatamente analoghe possono valere per gli altri gradini e perfezionamenti. 
 
Influsso universale e specifico della Causa prima. - Quanto alla necessità dell'influsso della Causa prima per giustificare metafisicamente ogni acquisizione ontologica e ogni movimento - come pure afferma P. S. - non v'è alcun dubbio.

Tale considerazione generica però viene a nascondere il vero problema dell'evoluzione. L'affermazione della metafisica necessità dell'influsso della causa prima per ogni divenire è cioè insignificante quanto al nostro problema, appunto perché riguarda qualsiasi trasformazione, in qualunque modo si concepisca, secondo l'ipotesi evoluzionista o no. Tale influsso superiore infatti è necessario per qualsiasi divenire, ossia per qualsiasi movimento e qualsiasi azione creata: è tanto richiesto cioè, per es., per la spontanea formazione delle stalattiti, come per l'opera dello scultore che trae la statua dal marmo, o come per il processo evolutivo ontogenetico, dall'embrione all'adulto.
 
Il problema dell'evoluzione pertanto non può essere posto in tali termini trascendenti. Esso riguarda le azioni delle cause seconde e si concretizza nella domanda se la materia con le pure sue forze fisico-chimiche (certo, ricevute e conservate, insieme al suo essere, dal Creatore, rese capaci di esercizio e quindi di accrescimento ontologico per la mozione del Motore primo, e accompagnate nell'azione dal concorso della Causa prima) può elevarsi da sé al superiore piano della vita, ecc. Si tratta cioè di sapere se la materia, come da sé (con il suddetto ausilio generale e immancabile della Causa prima) può cambiare di stato fisico e combinarsi chimicamente in tanti modi, così possa diventare vivente ed ascendere poi fino alle forme superiori di vita, fino all'uomo pensante.

Si ricordi pertanto, al riguardo, quanto abbiamo già visto. Come non dall'esperienzadiretta, ma dalla considerazione della totale superiorità del pensiero si esclude la possibilità che esso possa sgorgare dalla materia dovendosi quindi postulare la diretta creazione dell'anima spirituale, così, proporzionatamente, considerando la superiorità dei dinamismi vitale e sensorio (e degli altri essenziali superamenti specifici) rispetto al puro dinamismo fisico-chimico, si deve escludere la possibilità che essi possano sgorgare da questo e si deve postulare qualche idoneo, diretto ed estrinseco intervento elevatore di Dio (o svoltosi nel tempo o virtualizzato fin dall'inizio). 
 
Virtualità filogenetica e ontogenetica. - Da questa mancata impostazione del problema dell'evoluzione sul piano attivo delle cause seconde sembra che derivi anche la svalutazione che P. S. fa della soluzione che alcuni evoluzionisti danno del problema ontologico corrispondente, ipotizzando una iniziale presenza virtuale degli esseri superiori negli inferiori di partenza, come la pianta è virtualmente precontenuta nel seme: «giacché - osserva P. S. - la semplice virtualità intrinseca dell'inferiore rimane sempre antologicamente inferiore rispetto alla perfezione formale e al suo attuale possesso» (115).
 
Questo è vero; ma la proporzionata causa, metafisicamente necessaria, del passaggio dalla virtualità alla attualità è data precisamente dall'influsso trascendente generale della Causa prima. Quanto invece al piano fisico delle cause seconde, tale passaggio avverrà mediante l'esercizio delle attività virtualmente contenute nell'inferiore, al semplice contatto e influsso dell'idoneo ambiente fisico chimico. Così, per il caso dello individuo, cioè dell'ontogenesi, il chicco di grano che precontiene virtualmente (non solo potenzialmente) la spiga, attende solo, per sbocciare, i succhi del terreno e il calore.
 
Quella soluzione dunque per la filogenesi, supposta (prescindendo dal modo) una veravirtualità di preesistenza (e non solo potenzialità), filosoficamente sarebbe valida. Ma essa equivarrebbe a un vero e proprio creazionismo iniziale, distruggendo il vero concetto di evoluzione. La soluzione cioè sarebbe filosoficamente valida, per lafilogenesi come per la ontogenesi, essendo tolta in entrambe la vera evoluzione.
 
Per il seme, ciò che non può attribuirsi al puro effetto delle forze fisico chimiche (per la contrapposizione suddetta delle caratteristiche) e che deve quindi essere virtualmente precontenuto non è il passaggio alla attività germinale, ma il complessodi quelle caratteristiche vitali (che i vitalisti attribuiscono all'anima vegetativa). E' questo complesso che, al contatto fisico chimico ambientale saprà guidare il metabolismo della materia fino alla produzione della spiga matura. Così sarebbe per la specie. 

Né si può parlare, riguardo all'anima vegetativa, di «qualità occulta, che offre solo una soluzione verbale», come non lo si può dire dell'anima sensitiva e infine dell'anima intellettiva: con la differenza che le prime due si distanziano successivamente solo dalle proprietà fisico­chimiche della materia, mentre la terza si distanzia semplicemente e totalmente dalla materia stessa, essendo quindi sussistente e spirituale. Né posso qui fermarmi ulteriormente sulla questione. 
 
Concretamente tale virtualità, per tutte le specie future, dopo la primordiale creazione della vita, potrebbe concepirsi, come ho già accennato sopra, come racchiusa nella struttura dei geni dei cromosomi, già preparata a subire, nel corso dei tempi geologici, in condizioni particolari, le attualizzazioni corrispondenti alle successive specie. Sarebbe come un razzo a stadi successivi, tutto creato inizialmente dal Creatore cosmico.
 
Chi volesse escludere, d'altra parte, la possibilità naturale della intrinseca e trasmissibile modificazione della struttura cromosomica capace di determinare l'ordinato succedersi delle specie viventi, potrebbe postulare tempestivi interventi estrinseci del Creatore. Saremmo comunque sempre nel vero creazionismo. 
 
Dove invece il concetto astratto di virtualità sembra perdere la sua concretezza e possibilità è per l'inizio della vita, ossia per il mirabile formarsi della prima struttura cellulare. 

Essa richiede necessariamente il colpo di pollice del Creatore. 
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