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LA CHIESA E IL COLONIALISMO

Ultimo Aggiornamento: 15/03/2013 15:09
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15/03/2013 15:04
 
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4. 1500-1900: LA CHIESA IN DIFESA DEGLI INDIGENI

Dal 1500 in poi la storia è costellata di uomini, pontefici, vescovi e sacerdoti cattolici che usarono la loro vita per difendere le popolazioni indigene e creare un’etica morale nei colonizzatori. Ne elenchiamo solo alcuni:

De Montesinos. Nel 1510, il frate domenicano Antonio de Montesinos (1475-1540), fu assieme a frate Pedro de Córdoba (1482-1521) uno dei primi religiosi ad essere spedito nel Nuovo Mondo, approdando sull’isola di Hispaniola. Ben presto venne a conoscenza della condizione degli indiani e del trattamento disumano ricevuto da parte dei coloni e decise così di denunciare immediatamente e pubblicamente tutte le forme di riduzione in schiavitù e l’oppressione dei popoli indigeni delle Americhe[14]. Sono rimasti famosi i suoi sermoni del 21 e 28 dicembre 1511: «Allo scopo di farvi conoscere i vostri peccati contro gli Indiani sono venuto su questo pulpito, io che sono la voce di Cristo che grida nel deserto di quest’isola e perciò dovete ascoltarla. Questa voce dice che voi siete in peccato mortale, che voi vivete e morite nel peccato mortale, a causa della crudeltà e della tirannia che voi usate nel trattare con queste genti innocenti. Ditemi, per quale diritto o giustizia tenete questi Indiani in tale crudeltà e orribile schiavitù? Sulla base di quale autorità avete dichiarato una guerra detestabile a questa gente, che viveva tranquillamente e pacificamente nella propria terra? Quanta conoscenza avete voi conquistatori sulla dottrina e sul Dio creatore? Sul battesimo, sul partecipare alla messa e santificare le feste e la domenica? Non sono uomini questi? Non hanno anime razionali? Non siete tenuti ad amarli come amate voi stessi?”State certi che in questo stato non potete salvare nessuno e nemmeno mantenere la fede in Gesù Cristo»[15]. Le forti accuse, il rimprovero verso un comportamento anti-cristiano e la rivendicazione della responsabilità cristiana causarono forte disagio nei conquistatori e nei funzionari che erano presenti, tra cui il governatore Diego Colombo. In molti reagirono contro i monaci, impedendo loro di pronunciarsi nuovamente su questi temi e chiedendo di ritrattare pubblicamente le dichiarazioni. Accadde anche, però, che uno dei più arrabbiati amministratori presenti,Bartolomé de Las Casas, venne così profondamente colpito da questi sermoni che optò per una vera conversione e divenne il primo ecclesiastico a prendere gli ordini sacri nel Nuovo Mondo. Las Casas diventò nel tempo uno dei più attivi difensori dei diritti dei popoli indigeni d’America[16], ma ne parleremo più sotto.

Il re Ferdinando II d’Aragona, invece, scoperto l’accaduto si lamentò duramente con la congregazione dei domenicani in Spagna e chiese sanzioni per i religiosi sull’isola, minacciando perfino di espellerli. Nel frattempo ai frati vennero negati i mezzi di sussistenza. Nonostante le intimidazioni i Domenicani non si fermarono, sostenendo che la loro dottrina era il risultato dello studio della verità e della lettura del Vangelo. Il re arrivò così ad annunciare che nessun religioso avrebbe più messo piede sull’Isola[17]De Montesinos decise di tornare nuovamente in Spagna col proposito di informare le autorità reali sulla vera situazione dei popoli indigeni e sui motivi che lo avevano spinto a predicare così duramente. Re Ferdinando ordinò al suo Consiglio di esaminare approfonditamente le questione e convocò una comissione di teologi e giuristi (il “Consiglio di Burgos”). I frutti di questo studio furono la promulgazione della Leggi di Burgos (1512), primo codice di ordinanze per la protezione delle popolazioni indigene (verrà rispettato molto poco), nel quale si prevedeva che il re di Spagna aveva titoli di padronanza del Nuovo Mondo, ma senza il diritto di sfruttare l’indiano, il quale era un uomo libero e poteva possedere sue proprietà. Si limitarono inoltre le richieste lavorative che i coloni spagnoli potevano avanzare, le donne in gravidanza furono esentate dal lavoro, fu proibita ogni tipo di punizione, si obbligò al rispetto delle autorità locali, aumentarono le condizioni igieniche ecc. Si ordinò anche l’obbligo di catechizzare gli indios e venne condannata la bigamia. Come già detto, quest’obbligo era dovuto sopratutto a causa dei cruenti riti sacrificali che gli indigeni praticavano continuamente a causa della loro religione, con tanto di cannibalismo e incisione delle vertebre dei bambini[18]. Per perpetuare la memoria di frate De Montesinos e ricordare la sua lotta per la giustizia per gli indigeni del Nuovo Mondo, venne creata una grande statua in suo onore nella città di Santo Domingo (Repubblica Dominicana)[19]

Paolo III. Il 2 giugno 1537, papa Paolo III (1468-1549), scontrandosi con le autorità laiche, emanò la memorabile bolla Veritas Ipsa, con la quale spazzò via tutti gli appetiti schiavistici sulle popolazioni del Nuovo Mondo, proclamando che “Indios veros nomine esse” e scomunicando tutti coloro che ridurranno in schiavitù gli indios o li spoglieranno dei loro beni (in realtà lo fece già nella lettera al Cardinale di Toledo del 29 maggio 1537). Condannò le tesi razziste, riconobbe agli indiani, cristiani o no, la dignità di persona umana, e avanzò il divieto di ridurli in schiavitù. Il papa definì i coloni dei “violenti” e i portatori di potenti interessi coloniali addirittura «manutengoli di Satana, desiderosi di soddisfare la loro avidità, e costringere gli Indios occidentali e meridionali e altri popoli, che ci sono venuti a conoscenza in questi ultimi tempi, a servirli come fossero animali bruti, sotto il pretesto che non hanno la fede. Con l’autorità apostolica e attraverso questo documento stabiliamo e dichiariamo che i predetti Indios, e tutti gli altri popoli, anche se non appartenenti alla nostra religione, non si possono privare della libertà e del dominio della loro proprietà, e che è lecito ad essi godere della loro libertà e dei loro beni e acquisirne, né che si debbono ridurre in schiavitù. Se qualche cosa sarà fatta in contrario dichiariamo nulla e invalida alla detta fede in Cristo»[20]. Gli storici ritengono che la bolla abbia avuto un forte impatto sul “dibattito di Valladolid” e che questi principi divennero la posizione ufficiale di Carlo V del Sacro Romano Impero e re di Spagna[21]Secondo molti studiosi la bolla di Paolo III servì ed ebbe l’effetto di annullare tre bolle precedenti, quelle di papa Niccolò V, la “Dum Diversas” (1453) e la“Romanus Pontifex (1455) e quella di papa Alessandro VI, la “Inter Caetera” (1493), attraverso le quali si autorizzavano formalmente le conquiste coloniali e la schiavitù[22]. Questi pontefici, comunque, fecero vergognare la Chiesa anche per molte altre azioni immorali, contro la tradizione cristiana, il celibato sacerdotale e la dottrina della Chiesa stessa. Vennero presto dimenticati e le loro tombe praticamente ignorate.

Francesco da Vitoria. Frate Francesco da Vitoria (1492-1546) si preoccupò subito di elaborare le basi teologiche e filosofiche in difesa dei diritti umani delle popolazioni indigene colonizzate, divenendo così uno dei fondatori del “diritto internazionale” che regola i rapporti tra le nazioni[23] e fondatore della filosofia politica globale[24]. Vennero così consolidati i diritti degli indios, tra i quali la nativa libertà, la loro dignità umana, la capacità giuridica e il diritto di rifiutare la conversione. Le sue opinioni (e quelle del vescovo Las Casas) vennero ascoltate da un tribunale spagnolo nel 1542 e vennero così promosse le Leyes Nuevas (1542), che misero gli indiani sotto la diretta protezione della Corona (ne parleremo più sotto).

Bartolomé de Las Casas. Il vescovo cattolico spagnolo Bartolomé de Las Casas (1484–1566) è stato ufficialmente nominato “Protettore degli Indios”[25]Tascorse infatti 50 anni della sua vita a combattere attivamente la schiavitù e l’abuso violento dei colonizzatori verso le popolazioni indigene. In particolare cercò di convincere le autorità spagnole ad adottare una politica più umana di colonizzazione. I suoi sforzi hanno portato diversi miglioramenti dello status giuridico degli indigeni e una maggiore attenzione sull’etica del colonialismo. Las Casasè spesso visto come uno dei primi sostenitori dei diritti universali dell’uomo[26]. Subito dopo la conversione, avvenuta -come già accennato- ascoltanto i sermoni di frate Antonio di Montesinos a favore della libertà e dignità degli Indios nel Nuovo Mondo, entrò nel 1515 nell’ordine domenicano ed iniziò immediatamente la sua instancabile battaglia a favore degli indigeni: condannò senza eccezioni il colonialismo, il sistema dell’encomienda e l’espansionismo degli europei, viaggiò nelle terre americane e attraversò molte volte l’oceano per portare in Spagna le sue proteste. Nei suoi testi, Las Casas offre una puntuale descrizione delle qualità fisiche, morali e intellettuali degli indios, finalizzata alla difesa dell’umanità degli abitanti del Nuovo Mondo, contro la tesi della loro irrazionalità e bestialità avanzata da altri suoi contemporanei, soprattutto di cultura umanista[27]. Condannò la violenza e l’imposizione, ma non la proposta, del cristianesimo. Anzi, proprio dal cristianesimo Las Casas trasse quella spinta universalistica e quell’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini che ne animano l’opera e che lo spingeranno a denunciare anche le violenze dei portoghesi in terra d’Africa[28]Il religioso riuscì ad influenzare l’imperatore Carlo V, il quale -lo abbiamo già detto- promulgò le Leyes Nuevas (1542): divieto di schiavizzare gli indiani e abolire l’encomienda, buon trattamento degli indiani, divieto di lavorare senza la propria volontà e senza il risarcimento dovuto ecc. Quando poi sostanziosi numeri di schiavi africani vennero introdotti nelle regioni spagnole del Nuovo Mondo -ha spiegato lo storico Anthony Gill dell’Università di Washington-, vescovi locali riuscirono a far accettare alla corte spagnola il Còdigo Negro Espanol (Codice Nero Spagnolo, o anche The Black Code), che mitigò in gran parte le effettive condizioni di schiavitù[29]. Entrambe queste azioni crearono comunque forti conflitti tra autorità civili e religiose. I successori di Las Casas, nominati “Protettori degli Indios”, furono: il frate domenicano Julián Garcés (1452-1542), il vescovo Francisco Marroquín (1499-1563)Hernando de Luque (1483-1532) ecc[30]. L’opposizione della Chiesa e dei suoi vescovi riuscì a porre fine all’impudente schiavitù dei nativi, anche se sopravvissero molte pratiche di sfruttamento.

Gregorio XIVI. In un decreto datato 18 aprile 1591, papa Gregorio XIV (1535-1591) ordinò che i nativi delle Filippine, costretti in schiavitù dagli europei, fossero lasciati liberi e, sotto pena di scomunica, comandò che si interrompesse la tratta degli schiavi[31].

Ordine della Santissima Trinità. Nel 1599, papa Clemente VIII (1536-1605) approvò la Congregazione dei fratelli riformati e scalzi dell’Ordine della Santissima Trinità, istituita per osservare la Regola diSan Giovanni di Matha in tutto il suo rigore. Giovanni di Matha (1150-1213) fondò infatti nel XII° secolo un nuovo progetto di vita religiosa nella Chiesa, concentrandosi sull’opera di liberazione dalla schiavitù, in particolare il riscatto dei cristiani caduti prigionieri dei mori (il nome per intero è Ordine della Santissima Trinità e redenzione degli schiavi). L’ordine esiste ancora oggi e da quando è stato fondato ha riscattato circa 900.000 schiavi. I trinitari nel XVI e XVII secolo riuscirono anche a costruire degli ospedali per gli schiavi a Tunisi e ad Algeri[32].

Battaglia di Mbororè: Gesuiti e Nativi contro i colonialisti europei. Dopo la fondazione del Collegio di San Paolo di Piratininga nell’attuale Brasile (1554), che originò il nucleo attorno al quale sarebbe sorta la città di San Paolo, arrivarono dall’Europa avventurieri, disertori e naufraghi per sfruttare a fondo il nuovo territorio. Il bisogno di manodopera a basso costo crebbe notevolmente e i coloni cominciarono ad organizzare delle bandeiras, cioè vere e proprie spedizioni per catturare schiavi indigeni. Si spinsero fino nell’attuale Paraguay, proprio mentre i padri Gesuiti iniziavano la loro opera di evangelizzazione degli indios guaraní. Lo scopo delle missioni, chiamate “riduzioni”, era quello di creare una società con i benefici e le caratteristiche della società cristiana europea, però priva dei vizi e degli aspetti negativi. In meno di tre generazioni gli indigeni delle “Riduzioni” si svilupparono enormemente (come abbiamo già detto all’inizio). I nativi erano liberi da ogni servitù, vennero create chiese, case per le vedove e gli orfani e scuole. Il governo civile era gestito dagli indigeni stessi, mentre l’amministrazione della giustizia restava a carico dei gesuiti. I reati erano rari e di conseguenza le pene minime. Non si ricorreva quasi mai alla prigionia o a condanne all’esilio, ritenuta la somma disgrazia. Ogni famiglia riceveva un terreno, ereditario, che forniva il sostegno principale, le altre aree erano “proprietà di Dio” i cui frutti spettavano alla comunità. Nei villaggi i missionari introdussero nuove tecniche di agricoltura e di allevamento del bestiame, insegnarono elementi di architettura, scultura, pittura, incisione, poesia, musica, teatro, oratoria e scienze. L’educazione laica e religiosa era considerata indispensabile. I Gesuiti migliorarono la lingua guaranì creando una scrittura con caratteri latini e produssero opere letterarie. Una buona parte degli indigeni fu alfabetizzata in guaranì, castellano e latino. Vennero stampati calendari, tavole astronomiche e spartiti[33].

Tra il 1628 e il 1631 i capi bandeirantes ordinarono diverse incursioni nelle missioni del Guayrá catturando migliaia di schiavi (vennero uccisi o schiavizzati almeno 60.000 indios battezzati). Le incursioni lasciarono una scia di esodi di intere città, migliaia di morti, famiglie distrutte, orfani, vedove e carestie e per i padri gesuiti e i principali cacique (capi tribù dei nativi) non poteva esistere altra soluzione che quella di organizzare una resistenza armata[34]Nel 1638 i padri Antonio Ruiz de Montoya e Francisco Díaz Taño partirono per la Spagna con l’obbiettivo di informare re Filippo IV dei drammatici eventi accaduti nelle missioni. Il sovrano rispose inviando una Cedola Reale (21 maggio 1640) con la quale permise ai guaraní di usare armi da fuoco per la propria difesa. I Gesuiti fornirono anche istruzione militare agli indigeni, grazie a religiosi ex militari (Juan CárdenasAntonio Bernal e Domingo Torres), formando così un vero e proprio esercito “missionario” di 4.000 elementi armati ed addestrati. Le truppe guaraní attaccarono i bandeirantes a Caazapaguazú, facendoli fuggire precipitosamente[35].Intanto padre Francisco Díaz Taño, reduce dalle sue ambasciate a Madrid e a Roma, tornò con la bolla pontificia Commissum Nobis (1639)di Urbano VIII, che condannava duramente le bandeiras e il traffico di indigeni (ne parleremo sotto). Ciò comportò la reazione della Camera Municipale di San Paolo, che espulse tutti i gesuiti della città ed organizzò un’ulteriore spedizione contro gli Indios. I missionari crearono un esercito ancora più numeroso, attrezzato ed organizzato. Le forze bandeirantes attaccarono l’11 marzo 1641, nella cosiddetta battaglia di Mbororé, ma si trovarono di fronte un esercito enorme. Si ritirarono definitivamente e la vittoria consolidò le riduzioni gesuite e frenò l’avanzata colonialista portoghese[36].

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