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L'INFERNO: Cosa insegna la Scrittura e la Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 14/12/2012 16:34
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14/12/2012 16:32
 
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ASTIENITI DAL FARE IL MALE

Chi ha conosciuto Dio, non deve più operare mal­vagiamente, ma compiere il bene. Astieniti dal male e non farlo; non astenerti dal bene ma fal­lo. Poiché se ti astieni dal fare il bene, commetti peccato grave; se invece ti astieni dal fare il male, compi una gran­de giustizia. Astieniti pertanto da ogni malvagità operando il bene. Ci dobbiamo astenere dall'adulterio e dalla for­nicazione, dal bere smodato, dalle malvagie delizie, dal­le molte vivande, dallo sfoggio di ricchezza; dalla mil­lanteria e arroganza e superbia, dalla menzogna e maldi­cenza e simulazione, dal rancore e da ogni bestemmia. Queste azioni sono di tutte le più cattive nella vita degli uomini. Bisogna pertanto che il servo di Dio si astenga da queste azioni; poiché chi non si astiene da queste non può vivere per Dio. Molte cose vi sono, dalle quali biso­gna che il servo di Dio si astenga: furto, menzogna, falsa testimonianza, avarizia, mala passione, inganno, vana­gloria, ostentazione e quanto vi è di simile a queste cose. Ascolta invece le cose dalle quali bisogna che tu non ti a­stenga, ma le faccia. Dal bene non astenerti, ma fallo. Le azioni dei buoni, le quali bisogna che tu compia, né te ne astenga, sono anzitutto la fede, il timore del Signore, la carità, la concordia, le parole di giustizia, la verità, la pa­zienza; nulla di più buono di queste cose vi è nella vita degli uomini. Se uno osserva queste cose né si astiene da esse, beato diventa nella Sua vita.

Ascolta poi quelle che a queste fanno corona: assistere le vedove, visitare gli orfani e gli indigenti, essere ospitale, non contrastar nessuno, essere pacifico, starsene al di sot­to di tutti gli uomini, onorare i vecchi, praticare la giusti­zia, conservare la fraternità, sopportare l'oltraggio, esser paziente, non aver rancore, consolare i travagliati nell'a­nimo, non disdegnare quelli che hanno abbandonato la fe­de, ma rimetterli nella retta via e renderli fiduciosi, am­monire i peccatori, non opprimere i debitori e i bisogno­si

(Mand.8, 2-12). (da Il Pastore di Erma - scritto circa 100 anni dopo la morte di Cristo)

 

IL DESTINO DEI GIUSTI E DEGLI EMPI

Sono 23 i luoghi nei quali i Vangeli fanno riferimento al fuoco dell'inferno, con espressioni che non attenuano la se­rietà del castigo annunciato nell'Antico Testamento. Come insegna con evidenza la parola del ricco epulone, il destino dei giusti e degli ingiusti, nella fase escatologica, è diffe­rente: "Ecco lui "Lazzaro" è consolato e tu "il ricco" sei in mezzo ai tormenti". La medesima verità viene insegnata in molti altri passi, per esempio: "Così sarà alla fine del mon­do. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e strido­re di denti".

Un'altra pagina che afferma la diversa sorte dei giusti e de­gli ingiusti, è il cosiddetto discorso escatologico (capitoli 24 e 25 di san Matteo): "Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti ed egli se­parerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sini­stra". Nel Nuovo Testamento, servendosi costantemente di ter­mini usati dall'Antico Testamento, il Signore e gli apostoli fanno riferimento alla condizione di dannazione eterna con di­verse espressioni, oltre a inferno: Geenna, abisso, fornace ar­dente, tenebre esteriori, luogo di tormenti, morte seconda, ecc. Giovanni Paolo II, in linea con la tradizione teologica e ma­gisteriale, ne offre una linea interpretativa: "Le immagini con le quali la Sacra Scrittura ci presenta l'inferno devono essere interpretate correttamente. Esprimono l'estrema frustrazione e vuoto di una vita senza Dio. L' inferno, più che un luogo, in­dica la situazione a cui giunge colui che liberamente e defini­tivamente si allontana da Dio, fonte di vita e di gioia".

Con dichiarazioni della Sacra Scrittura così perentorie, la fede nell'esistenza dell'inferno nel corso della storia del­la Chiesa è stata costante: i Padri apostolici riprendevano le formule del Nuovo Testamento; e i primi simboli della fede affermavano l'esistenza della condanna, come per e­sempio quello detto Quicumque o Simbolo atanasiano, nel quale si afferma: "E quanti operarono il bene, andranno al­la vita eterna; quanti, invece, il male, nel fuoco eterno".

Nei primi secoli, solo alcuni gnostici negarono l'esi­stenza dell'inferno, sostenendo invece che coloro che non si salvano, saranno annientati. Ma questo "non stare con Cristo" il Signore non lo spiega come annientamento, ben­sì come tormento e dolore eterno. Gli avventisti e i testimo­ni di Geova, basandosi su un'esegesi assai poco fondata, difendono oggi, come anticamente alcuni gnostici, l'an­nientamento totale di quanti non fanno parte del numero degli eletti. Fra i successivi documenti magisteriali sono da evidenziare le definizioni sull'esistenza dell'inferno date dal Concilio Lateranense IV (anno 1215) (nel quale viene definita anche l'eternità delle pene), dal Concilio di Lione (anno 1274) e da quello di Firenze (anno 1439) (in cui viene dichiarato che la condanna inizia immediata­mente dopo la morte).

Le più importanti affermazioni dogmatiche sull'inferno sono raccolte nella Bolla Benedictus Deus di Benedetto XII (anno 1336), nella quale si legge: "Noi inoltre definiamo che, secondo la generale disposizione di Dio, le anime di coloro che muoiono in peccato mortale attuale, subito do­po la loro morte discendono all'inferno, dove sono tor­mentate con supplizi infernali". Come osserva il cardinale Joseph Ratzinger, la dottrina dell'inferno si scontra con la nostra idea di Dio e dell'uomo, ma è fortemente radicata nell'insegnamento di Gesù. Tanto che non è possibile al­cuna incertezza: è un dogma di fede con una base molto so­lida nel Vangelo e negli scritti apostolici, sia quanto all'e­sistenza dell'inferno che all'eternità delle pene.

Dicono fra loro sragionando: "La nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio, quando l'uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi. Siamo nati per ca­so e dopo saremo come se non fossimo stati. È un fumo il soffio nelle nostre narici, il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore. Una volta spentasi, questa, il corpo diventerà cenere e lo spirito si dissiperà come aria legge­ra. Il nostro nome sarà dimenticato con il tempo e nessu­no si ricorderà delle nostre opere. La nostra vita passerà come le tracce di una nube, si disperderà come nebbia scacciata dai raggi del sole e disciolta dal calore. La no­stra esistenza è il passare di un'ombra e non c'è ritorno al­la nostra morte, poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro. Su, godiamoci i beni presenti, facciamo uso del­le creature con ardore giovanile! Inebriamoci di vino squi­sito e di profumi, non lasciamoci sfuggire il fiore della pri­mavera, coroniamoci di boccioli di rose prima che avviz­ziscano; nessuno di noi manchi alla nostra intemperanza. Lasciamo dovunque i segni della nostra gioia perché que­sto ci spetta, questa è la nostra parte" (Sap 2,1-9).

 

LA PENA ETERNA

Monsignor De Ségur (1881) nel suo libro L'Enfer rac­conta il seguente episodio che apprese direttamente da un parente della dama a cui il fatto si riferisce: "In quel tem­po, Natale del 1859, ella era ancora viva. Si trovava a Lon­dra nell'inverno dal 1847 al 1848, vedova sui 29 anni, ric­ca e appassionata dei divertimenti. Fra le eleganti persone che frequentavano il suo salotto, si faceva notare un gio­vane signore le cui continue visite la compromettevano non poco. Una notte, la signora stava leggendo a letto un ro­manzo. Udito suonare il tocco dell'orologio, spense le can­dele e stava per addormentarsi, quando s'accorse che una luce strana, pallida, sembrava avvicinarsi. Con stupore e sgomento vide aprirsi lentamente la porta ed entrare nella camera quel giovane signore, il quale prima che ella po­tesse pronunciare parola, le si avvi­cinò, le strinse il braccio sinistro al polso e con ac­cento disperato le disse: "Vi è l'in­ferno". Per lo spavento e per il dolore di quella stretta, la signora svenne. Rinvenu­ta chiamò la ca­meriera. Costei, entrando, sentì un forte odore di bruciato, e avvi­cinatasi alla pa­drona che a sten­to poteva parlare, vide che aveva in­torno al polso una scottatura così profonda che le carni si erano quasi consumate. Osservò pure che dalla porta del salone fino al letto e dal letto alla porta c'era sul tappeto impressa l'orma di un passo d'uo­mo che aveva bruciato il panno da parte a parte. L'indo­mani, l'infelice signora venne a sapere, con spavento, come quella notte, verso l'una, quel giovane era caduto u­briaco fradicio e che i servi l'avevano raccolto e portato nella sua camera dove improvvisamente morì". All'epoca in cui quel vicino parente della signora narrava il tragico caso, la sventurata portava ancora al polso sinistro una lar­ga fascia in forma di braccialetto che non toglieva mai.

 

DAL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

1033. "Non possiamo essere uniti a Dio se non sce­gliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: "Chi non ama ri­mane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna" (1Gv 3,15). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli. Morire in peccato mortale senza essersene pen­titi e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva au­to-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola "inferno".

1034. Gesù parla ripetutamente della "Geenna", del "fuoco inestinguibile", che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e do­ve possono perire sia l'anima che il corpo. Gesù an­nunzia con parole severe che egli "manderà i suoi an­geli, i quali raccoglieranno... tutti gli operatori di ini­quità e li getteranno nella fornace ardente" (Mt 13,41­42), e che pronunzierà la condanna: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!" (Mt 25,41).

1035. La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esi­senza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la mor­te discendono immediatamente negli inferi, dove subi­scono le pene dell'inferno, "il fuoco eterno". La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eter­na da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.

1036. Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli in­segnamenti della Chiesa riguardanti l'inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l'uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino e­terno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione. "Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per es­sa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla Vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!" (Mt 7,13-14).

Siccome non conosciamo né il giorno né l'ora, bi­sogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo as­siduamente, affinché, finito l'unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si co­mandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove "ci sarà pianto e stridore di denti".

1037. Dio non predestina nessuno ad andare all'in­ferno; questo è la conseguenza di una avversione vo­lontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle pre­ghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la mi­sericordia di Dio, il quale non vuole "che alcuno peri­sca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi" (2Pt 3,9): Accetta con benevolenza, o Signore, l'offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: di­sponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dan­nazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti.

 

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