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L'INFERNO: Cosa insegna la Scrittura e la Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 14/12/2012 16:34
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14/12/2012 16:31
 
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LOTTA TRA BENE E MALE

"Siate sobri, vigilate! Il vostro avversario, il diavolo, come un leone ruggente va in giro, cercando qualcuno da divorare" (1Pt 5,8). Fedele alla dottrina della Sacra Scrit­tura, la Chiesa insegna che gli spiriti decaduti, come pure gli uomini decaduti, esistono realmente e si comportano maliziosamente nel mondo. La Chiesa non insegna il ter­rore di Satana. Essa raccomanda soltanto un santo timore di Dio, e il timore di compiere il male deliberatamente. In­fatti, l'influsso di Satana è subordinato in modo decisivo alla potenza di Dio. Come il Concilio Vaticano II ha più volte ripetuto, Cristo "ci ha liberati dal potere di Satana" (SC 6, cf GS 2,22; AG 3,9). Grazie all'opera redentrice di Cristo, il demonio può nuocere soltanto a coloro che libe­ramente gli permettono di farlo. I Vangeli parlano di pos­sessioni diaboliche, mostrano Cristo in atto di espellere de­moni e di istruire i suoi apostoli a fare altrettanto. Più gra­ve, però, del male fisico che Satana potrebbe causare, è il male morale. La Sacra Scrittura presenta Satana anche co­me una fonte di tentazione (Mt 4,1-11).

E' "il seduttore perfido e astuto, che si insinua in noi at­traverso i sensi, l'immaginazione, la concupiscenza, la lo­gica utopica, i contatti sociali disordinati nel dare e pren­dere la vita, per introdurre deviazioni...". La stessa storia mondiale è sotto l'influsso del demonio. "Tutta intera la storia umana è, infatti, pervasa da una lotta tremenda con­tro le potenze delle tenebre; la lotta, cominciata fin dal­l'origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fi­no all'ultimo giorno (cf Mt 24,13). San Paolo dice: "la no­stra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di car­ne, ma contro i Principati e le Potestà, i dominatori di que­sto mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abi­tano nelle regioni celesti" (Ef 6,12).

Chi percepisce le profondità insondabili e amare del mi­stero del male difficilmente è portato ad un ottimismo super­ficiale, a credere, cioè, che il male è soltanto un difetto accidentale del mondo in evoluzione verso giorni migliori. Ci sono tracce di malizia così profonda da lasciare perplessi. L'oscuro mistero di Satana è che vi sono nel mondo degli esseri personali che agiscono, poco conosciuti a noi, pieni di malizia e sempre pronti a compiere il male, irrevocabil­mente allontanatisi da Dio e a Lui ostili (cf Mt 25,41).

Che la storia umana sia segnata spesso da corsi tragi­ci ed irrazionali è dovuto in parte a tali influenze. Dio ri­mane il Signore di ogni cosa. Qualunque potere ha il de­monio trova i suoi limiti nei disegni della Provvidenza. Alla fin fine, tutte le cose sono state fatte per concorrere al bene di coloro che amano Dio. Satana e gli altri spiriti caduti sono essi pure semplici creature. È Dio che li ha creati, benché non li ha fatti per essere malvagi o sorgen­te di male. "Il Diavolo, infatti, e gli altri demoni sono sta­ti creati da Dio buoni per loro natura, ma essi da se stessi divennero cattivi".

La struttura rimane. Dio ha fatto ogni cosa buona. Ha proibito la malizia e l'egoismo, ma ha fatto anche le per­sone libere, e non costringe nessuno a rimanergli fedele. Quelli che orgogliosamente resistono a Dio si pervertono e portano il male nell'universo. Dio permette il male, non già perché è impotente ad impedirlo, ma perché Egli, l'On­nipotente, ama la libertà. Egli è capace di ricavare i mag­giori beni da ogni sorta di mali, come il maggior bene del­la fedeltà di fronte alle avversità, della pazienza, della ca­rità resa perfetta in prove amare.

"L'uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di in­quietudine, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge co­me l'ombra e mai si ferma. Tu, sopra un tale essere tie­ni aperti i tuoi occhi e lo chiami a giudizio presso di te? Chi può trarre il puro dall'immondo? Nessuno. Se i suoi giorni sono contati, se hai fissato un termine che non può oltrepassare, distogli lo sguardo da lui e lascialo stare finché abbia compiuto, come un salariato, la sua giorna­ta! Poiché anche per l'albero c'è speranza: se viene ta­gliato, ancora ributta e i suoi germogli non cessano di crescere; se sotto terra invecchia la sua radice e al suolo muore il suo tronco, al sentore dell'acqua rigermoglia e mette rami come nuova pianta. L'uomo invece, se muo­re, giace inerte; quando il mortale spira, dov'è? Potran­no sparire le acque del mare e i fiumi prosciugarsi e disseccarsi, l'uomo che giace più non si alzerà, finché durano i cieli non si sveglierà, né più si desterà dal suo sonno" (Gb 14, 1-12).

 

GLORIA DI DIO E’ L’UOMO VIVENTE

"Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi, il figlio del­l'uomo perché te ne curi?" (Sal 8,5). L'uomo è un gran mi­stero per lui stesso. Spesso esalta se stesso come norma as­soluta di tutte le cose, oppure si abbassa fino al punto di disperare (GS 129. Con la sua arte e la sua industria egli ha operato meraviglie che allietano l'immaginazione; nel­lo stesso tempo, però, la storia umana è anche un intreccio di peccati e di dolori, un implacabile susseguirsi di maro­si che corrodono il rispetto dell'uomo verso se stesso. Gran­dezza e miseria, santità e colpa, speranze e timori contras­segnano il mistero della sua realtà. Ma la fede cattolica pro­clama che "tutto quanto esiste sulla terra deve essere rife­rito all'uomo come a suo centro e a suo vertice" (GS 12). Ancor più, l'uomo è oggetto dell'amore di Dio stesso. "L'hai fatto poco meno di un dio, e di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue ma­ni; tutto hai posto sotto i suoi piedi" (Sal 8,6-7).

Nel primo capitolo della Genesi, là dove il primo rac­conto della creazione del mondo raggiunge il suo vertice, Dio è raffigurato nell'atto di creare l'uomo quale corona e gloria di tutto quello che aveva fatto. "Allora Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza e do­mini..." (Gn 1, 26). Gran parte della Sacra Scrittura dalle prime pagine poetiche della Genesi, che annunciano tante verità fondamentali riguardanti l'umanità, sino ai Vangeli, nei quali gli uomini conoscono in Cristo molto più a fon­do il segreto della loro natura, non è che una delucidazio­ne del significato dell'uomo. Poiché l'uomo è `l'immagi­ne di Dio', ciò che abbiamo detto di Dio ci aiuta a scopri­re che cosa noi siamo; quello che noi sappiamo dell'uma­nità, ammaestrati e aiutati dalla fede, ci istruisce nei ri­guardi di Dio. Sia nel proprio essere individuale che nella sua realtà sociale l'uomo riflette Dio che l'ha fatto.

In ogni uomo vivente si fondono intimamente la realtà fisica e quella spirituale. Fatto "con polvere del suolo" (Gn 2,7), degli stessi elementi di cui si compone la terra, l'uo­mo è il portavoce e il sacerdote di tutta la realtà materia­le. L'uomo sintetizza in sé, per la sua stessa condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che que­sti, attraverso di lui, toccano il loro vertice e prendono vo­ce per lodare in libertà il Creatore. L'uomo è essenzial­mente una creatura corporea, e non gli è lecito disprezza­re la sua vita corporale. Come il corpo di Cristo è perfet­tamente santo per i cristiani. così pure vi è una sacralità nella dimensione corporea di ogni vita umana.

L' uomo tuttavia è maggiormente immagine di Dio nel­le sue qualità specificamente umane. È il principio spiri­tuale di ciascun uomo che fa di lui la carne vivente che e­gli è. È questo principio spirituale, o anima, che lo rende aperto alla comprensione e all'Amore infinito che l'ha chiamato alla vita. L'uomo non è un composto di corpo e di spirito, quasi si trattasse di due esseri distinti; non è sol­tanto un'anima che ha un corpo. Anima e corpo formano una singola persona vivente. L' anima non è estranea al corpo, al contrario, essa è il principio vitale che fa sì che il corpo sia la carne umana, una carne che deve essere ca­ra all'uomo ed è parte del suo essere.

Nel Cristianesimo non c'è l'odio per la materia. Esso è una religione d'incarnazione. L'anima dell'uomo non è materiale, ma è creata per dare vita umana al corpo che costituisce con essa l'uomo vivente. L'anima dell'uo­mo non preesiste al corpo. Dio crea immediatamente ogni anima individuale al momento stesso in cui la persona u­mana comincia ad essere. Nemmeno è destino dell'uomo di vivere per sempre semplicemente come un'anima, al­lorché la morte dissolve il corpo. È vero, l'anima conti­nua ad esistere come realtà spirituale dopo la morte di u­na persona e Dio chiama a sé gli uomini e sostiene in lui il loro essere e la loro gioia prima della risurrezione fina­le (cf Fil 1,23). Ma la salvezza di un uomo non è la sal­vezza dell'anima soltanto, ma quella di tutto l'uomo, ed essa sarà completa soltanto nella risurrezione del corpo, e nella vita di uomini pienamente viventi, riuniti insieme nella gioia del Signore.

 

L'INFERNO ESISTE?

Nella Costituzione Lumen gentium, il concilio Vatica­no Il ricorda con parole della Scrittura l'alto destino ver­so il quale siamo incamminati: "Con verità siamo chia­mati, e lo siamo, figli di Dio, ma ancora non siamo ap­parsi con Cristo nella gloria (cf Col 3, 4), nella quale sa­remo simili a Dio perché lo vedremo qual è. Oltre ad af­fermare questo destino glorioso, il Concilio non manca di segnalare il grande rischio che corre l'uomo, se usa male della libertà: "Siccome poi non conosciamo né il giorno né l'ora bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente affinché, finito l'unico corso della nostra vi­ta terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nu­ziale ed essere annoverati tra i beati" (cf Mt 25,31-46), né ci si comandi, come ai servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno nelle tenebre esteriori dove "ci sarà pianto e stridore dei denti".

Prima di regnare con Cristo glorioso, noi tutti compa­riremo "davanti al tribunale di Cristo, perché ciascuno ri­trovi ciò che avrà fatto quando era nel suo corpo sia in be­ne che in male", e alla fine del mondo "ne usciranno, chi ha operato il bene a risurrezione di vita, e chi ha operato il male a risurrezione di condanna" (Gv 5,29).

Tutti risusciteremo, come insegna il Signore nelle pa­role riferite da san Giovanni: "chi ha operato il bene a ri­surrezione di vita; chi ha operato il male, a risurrezione di condanna": alcuni per il cielo e altri per l'inferno. La ve­rità di fede dell'inferno, rivelata varie volte nel Nuovo Te­stamento, dev'essere accettata alla luce di un'altra verità centrale della nostra fede: il Signore ha manifestato il suo desiderio che "tutti gli uomini siano salvati e arrivino al­la conoscenza della verità".

Davanti alla realtà dell'inferno e al concetto che l'uo­mo ha di Dio, spesso sorge la perplessità nel cuore del­l'uomo. "Se Dio desidera così" la salvezza dell'uomo, pos­siamo domandarci con Giovanni Paolo II, "se Dio per questa causa dona suo Figlio..., può l'uomo essere dannato, può essere respinto da Dio? Può Dio, il quale ha tanto a­mato l'uomo, permettere che costui lo rifiuti così da dover essere condannato a perenni tormenti? E, tuttavia, le paro­le di Cristo sono univoche. In Matteo egli parla chiara­mente di coloro che andranno al supplizio eterno". Come si coniugano queste due verità? Come possiamo afferma­re la nostra fede in un Dio che è Amore e che desidera sal­vare, e che è al tempo stesso Giustizia definitiva e non am­mette che restino impuniti i crimini degli uomini? Non so­no domande nuove: hanno turbato i pensatori nel corso del­la storia, da Origene, nel III secolo, fino ai nostri giorni.

Domande alle quali si risponde facendo ricorso alla Rive­lazione e accettando l'esistenza del mistero: il mistero del­l'Amore di Dio e della sua Giustizia, e il mistero del pec­cato e dell'indurimento del cuore dell'uomo.

Nella parabola del ricco epulone e del povero Lazza­ro il Signore affronta un argomento che ha preoccupato nei secoli precedenti: come mai a volte all'empio le cose vanno bene in questa vita e al giusto vanno male. Nel­l'Antico Testamento viene progressivamente rivelata la soluzione al problema: anzitutto viene affermato che qui in terra, alla fine, il Signore fa giustizia. E la risposta che troviamo, per esempio, nel Salmo 36: "Sono stato fan­ciullo e ora sono vecchio, non ho mai visto il giusto ab­bandonato, né i suoi figli mendicare il pane... Ho visto l'empio trionfante... Sono passato e più non c'era, l'ho cer­cato e più non si è trovato". Nel libro di Giobbe, gli ami­ci insistono sul fatto che le sofferenze di Giobbe dipen­dono dai suoi peccati: soffri?, dunque hai peccato, per que­sto vieni castigato. Nella seconda parte si fa un passo a­vanti: un altro personaggio, Elifaz, parla del mistero del­la provvidenza divina: non possiamo chiedere spiegazio­ni a Dio, che è troppo grande perché lo possiamo com­prendere. E Giobbe, da parte sua, manifesta la sua spe­ranza nell'aldilà, dove si risolve il problema della retri­buzione. Nella parabola del ricco epulone, il Signore usa l'espressione "seno di Abramo".

Nell'Antico Testamento era stata data una rivelazione progressiva sulla sorte di coloro che muoiono: in princi­pio si afferma l'esistenza dello Sheol, dove riposano i mor­ti, tanto i giusti quanto gli ingiusti; i profeti stabiliscono come dei gradi nello Sheol: gli empi stanno nella sua par­te più profonda. Al tempo della predicazione di Cristo, gli ebrei sapevano dai salmi che il giusto spera da Dio la li­berazione dallo Sheol, che non è più un dormitorio comune ma significa l'inferno in senso stretto.

Già dal libro della Sapienza la diversa sorte degli uni e degli altri nell'aldilà era stata posta in maniera sempre più chiara: il destino dell'empio è la morte la permanen­za nello Sheol; i giusti hanno la vita eterna in comunione con Dio. Questi stanno nel seno di Abramo, che non è un luogo di tormento, ma di gioia. È importante anche l'af­fermazione di Daniele: anche l'empio risusciterà. Gli uni risusciteranno "alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna".

 

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Vagliate tutto, conservate ciò che vale. (S.Paolo)
 
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