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SCRITTI PATRISTICI PER LA LITURGIA FESTIVA (anno C)

Ultimo Aggiornamento: 12/01/2017 10:17
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04/09/2013 07:31
 
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XXIII DOMENICA

 

Lettura: Sapienza 9,13-19

Filemone 9b-10.12-17

Luca 14,25-33

 

1. Amore di Dio prima dell`inclinazione naturale

 

Dice Gesú: "In verità vi dico: non c`è nessuno che avrà abbandonato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi per me e per il Vangelo, che non riceva il centuplo"(Mc 10,29). E non vi turbino queste parole né quanto, con accenti ancor piú duri, è scritto altrove: "Chi non odia suo padre e sua madre ed i suoi figli, persino anzi la sua stessa vita, non potrà divenire un mio seguace" (Lc 14,26). Non ci turbino giacché il Dio della pace, colui che ingiunge di amare anche i propri nemici, non ci invita certo all`odio ed alla separazione dalle persone a noi piú care. In realtà, se occorre amare i propri nemici, risulta chiaro che, risalendo da essi, è necessario amare anche coloro che ci sono piú prossimi per vincoli di sangue. Se, al contrario, occorre nutrire odio nei confronti di coloro che ci sono vicini per legami di parentela, il ragionamento che ne consegue, in tal caso, insegnerebbe a respingere ancor di piú i propri nemici. Cosicché i due discorsi si confuterebbero a vicenda. Essi, invece, non si confutano affatto, giacché con lo stesso stato d`animo e la stessa disposizione e la stessa limitazione nutrirebbe odio verso il padre ed amore nei confronti del nemico chi non si vendicasse del nemico e non onorasse il padre piú di Cristo.

Infatti, con il primo discorso (in cui vien detto di amare il proprio nemico), Cristo vieta di odiarlo e di fargli del male nel secondo, invece (in cui si dice di odiare il proprio padre), egli raccomanda di guardarsi da quel falso rispetto nei confronti dei propri cari allorché questi si mostrino d`impedimento alla salvezza. Nel caso in cui, perciò, qualcuno avesse un padre od un figlio od un fratello empio e d`ostacolo per la propria fede e d`impedimento nella prospettiva della vita celeste, non rimanga unito a lui né condivida i suoi pensieri, ma, a motivo dell`inimicizia dello spirito, sciolga pure la parentela della carne.

Fingiti una controversia: immagina che tuo padre, standoti a fianco, ti dica: «Io ti ho dato la vita e ti ho allevato: seguimi e prendi parte assieme a me a quest`azione ingiusta e non obbedire alla legge di Cristo», aggiungendo tutte le altre cose che potrebbe dire un uomo blasfemo e morto spiritualmente. Dalla parte opposta, ascolta, invece, il Salvatore: «Io ti ho donato la seconda vita, mentre tu avevi ricevuto l`amara vita del mondo ed eri destinato a morire; io ti ho liberato, ti ho curato, ti ho riscattato; sarò io a fornirti la vita che non avrà mai fine, la vita eterna, la vita superiore a quella del mondo; ti mostrerò il volto di quel buon padre che è Dio. Non chiamare nessuno "padre" su questa terra. I morti seppelliscano i loro morti, ma tu, invece, vieni dietro a me, giacché io ti condurrò dove potrai riposare e dove potrai gustare beni ineffabili e indescrivibili che mai nessun occhio vide né orecchio udí e che mai entrarono nel cuore degli uomini; beni verso i quali gli angeli stessi ambiscono di protendersi, onde contemplare quelle meraviglie allestite da Dio per i suoi santi ed a beneficio di coloro che lo amano. Sono io che ti nutro e, a mo` di pane, ti offro me stesso: chiunque mi avrà gustato, non correrà piú il pericolo di morire; giorno per giorno, poi, mi offro a te come bevanda d`immortalità. Io sono maestro di insegnamenti celesti. Per te ho lottato con la morte. Sono stato io a scontare, al posto tuo, quella pena di morte che tu avevi meritato a causa degli antichi peccati e della disobbedienza a Dio».

Ascoltando, dall`una come dall`altra parte discorsi come questi, decidi per il tuo bene e scegli il partito della salvezza. Se un fratello, perciò, ovvero un figlio od una sposa o chiunque altro ti dice qualcosa di simile alla fine sia Cristo a vincere su di te, al di sopra di tutti: è lui, infatti, che lotta per te.

 

(Clemente di Ales., Quis dives, 22 s.)

 

 

2. Costruire la torre dell`umiltà

 

"Chi di voi, volendo edificare una torre, non fa i conti, per vedere se ne ha abbastanza per portarla a termine, perché non gli capiti che, gettate le fondamenta, non possa continuare e comincino a portarlo in giro dicendo: Costui ha cominciato una costruzione e non l`ha potuta terminare" (Lc 14,28-30). Dobbiamo programmare tutto ciò che facciamo. Ecco, secondo la parola di Gesú Cristo, se uno vuol costruire una torre, prepara il danaro necessario. Se, dunque, vogliamo costruire la torre dell`umiltà, dobbiamo prepararci contro gli ostacoli di questo mondo. E la differenza tra un edificio terreno e un edificio celeste è questa: che l`edificio terreno lo si costruisce raccogliendo il danaro che serve, quello celeste invece distribuendo e donando il danaro. Per quello i fondi li facciamo, raccogliendo ciò che non abbiamo; per il celeste, invece, lasciando anche quello che abbiamo. Questi fondi non li ebbe quel ricco che, avendo molti possedimenti, chiese al Signore: "Buon maestro, che debbo fare per acquistare la vita eterna?" (Mt 19,16). Il quale, sentendo che avrebbe dovuto lasciar tutto, se ne andò via rattristato e divenne piccolo di cuore proprio perché aveva larghi possedimenti. Poiché amava in questa vita lo sfoggio della grandezza, anche nel tendere alla vita eterna non volle abbracciare la ricchezza dell`umiltà. Bisogna poi considerare le parole: "Comincino a portarlo in giro", perché, come dice Paolo: "Siamo sotto gli occhi del mondo, degli angeli e degli uomini" (1Cor 4,9). E in tutto ciò che facciamo dobbiamo tener presenti i nostri avversari, che ci seguono e son felici dei nostri insuccessi. Di essi il Profeta dice: "Dio mio, confido in te, non dovrò vergognarmi e non avranno a burlarmi i miei nemici" (Sal 24,2)... Il re che, andando a combattere contro un altro re, s`accorge che non ce la può fare, manda una commissione per trattare la pace. Con quali lacrime allora dobbiamo sperare il perdono, noi che in quel tremendo confronto col nostro Re ci presentiamo in condizioni di inferiorità... Mandiamogli come ambasceria le nostre lacrime, le opere di misericordia, sacrifichiamo sul suo altare vittime di espiazione, riconosciamo che non possiamo stare in giudizio con lui, misuriamo la sua forza, chiediamo la pace. Questa è l`ambasceria che calma il nostro Re. Pensate quanta bontà ci sia nel suo tardare a venire. Mandiamo la nostra ambasceria, donando, offrendo vittime sacre. Giova moltissimo, per ottener perdono, la vittima dell`altare, offerta con lacrime, perché lui che non muore piú ancora nel mistero s`immola per noi. Ogni volta che offriamo l`ostia della sua Passione, rinnoviamo la nostra assoluzione.

 

(Gregorio Magno, Hom., 37, 6)

 

 

3. Martirio delle sante Perpetua e Felicita e dei loro compagni

 

Cosí, dunque, essa racconta: Quando noi vivevamo fra i nostri persecutori, desiderando mio padre piegarmi con le sue parole e, spinto dal suo amore, persistendo nel tentativo di farmi apostatare: «Padre - gli dissi -, vedi, ad esempio, questo vaso o quell`orciolo?».

«Lo vedo», mi rispose.

Io proseguii: «Puoi tu forse chiamarli con un altro nome diverso da quello che essi sono?».

«No», mi rispose.

Ed io allora gli dissi: «Cosí non posso io essere chiamata con un nome diverso da ciò che sono: cristiana». Mio padre allora, irritato da queste mie parole, mi si scagliò addosso, come volesse strapparmi gli occhi. Tuttavia si limitò a maltrattarmi poi se ne andò, vinto, e portandosi via i suoi diabolici argomenti. Per quei pochi giorni che mio padre fu assente ringraziai il Signore e la sua assenza mi era di sollievo. Proprio nello spazio di quei pochi giorni fummo battezzati, e lo Spirito mi suggerí che all`acqua battesimale non avevo da chiedere altra grazia che la pazienza della carne (nelle sofferenze del martirio).

Dopo pochi giorni fummo incarcerati: ebbi tanta paura, perché non avevo mai conosciuto tenebre come quelle. O giorno terribile, quello! C`era un caldo soffocante per l`ammucchiamento delle persone; i soldati ci maltrattavano ed io, poi, ero anche tormentata dal pensiero del piccolo figlio (che avevo dovuto lasciare). Allora Terzo e Pomponio, diaconi benedetti, che ci assistevano, ottennero, a prezzo d`oro, che per poche ore fossimo messi in un luogo migliore per poter almeno respirare. Usciti dal carcere, ognuno pensava alle sue necessità, ed io potei allattare il mio bambino che già veniva meno per la fame. Mentre mi curavo di lui, parlavo con mia madre, confortavo mio fratello e ad entrambi raccomandavo mio figlio. Ero piena di dolore perché li vedevo soffrire per causa mia. In queste angustie passai molti giorni; poi ottenni di poter tenere con me, in carcere, mio figlio. Fui subito risollevata e acquistai nuove forze per il lavoro e la sollecitudine per mio figlio. Il carcere allora divenne subito per me un palazzo, al punto che preferivo rimanervi che trovarmi in alcun altro posto...

Pochi giorni dopo corse voce che saremmo stati interrogati. Giunse allora dalla città anche mio padre, consumato dal dolore. Venne a me per dissuadermi, dicendomi: «Figlia mia, abbi pietà dei miei capelli bianchi: abbi pietà di tuo padre, se sono degno d`esser da te chiamato padre. Se con queste mani ti ho allevata fino a questo fiore della tua età; se ti ho preferito a tutti i tuoi fratelli, non gettarmi nell`obbrobrio degli uomini. Guarda i tuoi fratelli, guarda tua madre e la tua zia materna, guarda il figlio tuo, che, morta tu, non potrà sopravvivere. Deponi il tuo folle proposito, non distruggerci tutti: nessuno di noi infatti potrà piú parlare liberamente, se tu dovessi subire un`ignominiosa condanna».

Cosí parlava come padre, spinto dal suo amore, e nel mentre mi baciava le mani e si prostrava ai miei piedi: e fra le lagrime non figlia mi chiamava, ma signora. Io soffrivo per il caso di mio padre, il solo di tutta la mia famiglia che non riusciva a rallegrarsi del mio martirio. Cercai di consolarlo, dicendogli: «Sul palco sarà quel che Dio vorrà. Sappi, infatti, che noi non siamo posti nel nostro potere, ma in quello di Dio».

Se ne andò profondamente addolorato.

Un altro giorno, mentre stavamo mangiando, fummo condotti via per l`interrogatorio. Giungemmo al foro. Subito, nelle vie vicine, si sparse la voce del nostro arrivo e si radunò una folla immensa. Salimmo sul palco. Interrogati, gli altri confessarono la fede. Venne anche il mio turno. In quel momento apparve mio padre con in braccio mio figlio e, trattenendomi, mi supplicava: «Abbi pietà di questo bambino».

E il procuratore Ilariano, che allora aveva ricevuto lo "ius gladii", in luogo del defunto proconsole Minucio Timiniano: «Abbi pietà - disse - delle canizie di tuo padre; abbi pietà della tenera età di tuo figlio. Sacrifica per la salute dell`imperatore».

Ed io risposi: «No, non lo faccio».

Ilariano mi chiese: «Sei cristiana?».

Io risposi: «Sí, sono cristiana».

E poiché mio padre continuava a starmi accanto per farmi desistere, Ilariano ordinò che fosse allontanato e... bastonato. Soffrii per lui: fu come se quei colpi cadessero su di me, tanto mi dolsi della sua triste vecchiaia.

Allora Ilariano pronuncia la sentenza contro tutti noi e ci condanna alle fiere; e noi pieni di gioia tornammo nel carcere.

 (Acta Martyrum, I, Città Nuova, Roma 1974, pp. 127-131)

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