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CORSO BIBLICO SULLE LETTERE DI S.PAOLO

Ultimo Aggiornamento: 19/11/2012 19:28
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18/11/2012 21:35
 
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La parola greca dicaiosüne (la giustizia di Dio) già nell'Antico Testamento viene applicata anche all'uomo.

Dio è giusto e l'uomo fatto a sua immagine e somiglianza non può che vivere quaggiù le stesse virtù che Dio possiede su, in cielo. E la giustizia dell'uomo in che cosa consiste? Consiste - come la giustizia divina - nella fedeltà all'Alleanza. L'uomo è giusto quando vive la fedeltà al patto che il Signore ha stipulato con lui.

Al di là di quanto scrive San Paolo sull'Alleanza con Abramo, noi sappiamo che per l'ebraismo si tratta del patto sancito solennemente sul monte Sinai tra Dio e Mosè, e da lui stesso trasmesso al popolo, e che si fonda sulla Legge, cioè sulla Torah.

Allora, l'uomo è giusto quando mette in pratica tutti i comandamenti della Legge.

Ecco le opere!

Teniamo, però, presente l'idea di San Paolo: l'uomo è giusto e la giustizia che possiede richiede che egli metta in pratica gli insegnamenti di Cristo.

 

 

Lettura di Osea 14,10.

Si tratta della ripresa del Salmo 1 - "Le due vie" - in cui si parla della via del giusto e della via dell'empio. E la nostra vita è la via, il cammino che ci viene presentato dal Signore. Ma c'è anche un'altra strada, quella indicataci dai malvagi. Il giusto, cioè colui che è fedele all'Alleanza con il suo Dio, non può che seguire la strada indicata dal Signore.

Ecco, allora, la Torah.

Ricordiamo tutto il simbolismo dell'acqua. La Torah viene paragonata all'acqua che dona la vita e nella quale affondano le radici dell'albero che non seccherà mai. Di conseguenza, il buon ebreo non può che esser giusto. E Gesù che pensa in proposito?

 

Lettura di Mat 5,1-2 Il discorso della montagna

L'evangelista ci presenta Gesù come il nuovo Mosè, la nuova rivelazione di una nuova Legge. E come Mosè sul monte ha ricevuto le tavole della Legge ed ha stipulato l'Alleanza con il Signore, così Gesù sul monte dona ai suoi discepoli la Legge nuova, la sua Legge.

Notiamo che il discorso della montagna non è rivolto alle folle, ma ai discepoli (V 1); non al mondo, ma alla Chiesa. Le parole di Gesù sono per i cristiani che accolgono la nuova Legge. Sappiamo che ci sono cose che Gesù dice a tutti, altre che sono rivolte solo agli Apostoli ed altre ancora riservate ai discepoli. Ecco, il discorso della montagna è rivolto alla Chiesa, ai discepoli.

 

Lettura Mt 5,3-10

Qui compare diverse volte il termine "giustizia" che per il cristiano significa il complesso delle norme proposte da Gesù secondo il suo stile. Chi ha fame e sete di giustizia in realtà ha fame e sete di uno stile di vita rinnovato, ossia dello stile di vita di Gesù. Costui desidera, brama vivere come è vissuto il Cristo. E i "perseguitati per causa della giustizia" (v. 10) sono i primi martiri della Chiesa; sono coloro che vivono secondo lo stile di Gesù e vengono così perseguitati e ammazzati.

Gesù è venuto per dare compimento alla Legge (v. 17)

 

Lettura v. 20 . Ecco due sistemi di vita:

se il nostro non sarà uno stile di vita cristiano, perché si fermerà alla Legge (scribi e farisei), non entreremo nel regno dei cieli.

Per vedere la nuova giustizia alla quale siamo chiamati come discepoli di Gesù, proseguiamo nella lettura del cap. 5.

 

Lettura vv. 21-28.

Il senso del v. 28 è profondissimo. Qui è in gioco la dignità della persona. Nel momento in cui tu guardi una persona per desiderarla quello non è più una persona ma un oggetto. Stai rendendo oggetto una persona che è stata creata per la gloria di Dio. Si tratta di un concetto importante da sottolineare, in quanto nella società attuale si è persa la dignità dell'uomo, della donna e della sessualità.

 

Lettura 5,29-48.

Ecco la giustizia del cristiano!

Riassumendo possiamo dire che Dio rivela la sua giustizia, cioè la sua fedeltà misericordiosa all'Alleanza, soprattutto in Gesù. Gesù Cristo è la rivelazione massima della fedeltà misericordiosa o della misericordia fedele di Dio. Gesù è il rivelatore del Padre. La nuova giustizia per il cristiano consiste nell'adesione a Gesù, il quale non deve essere visto come il portatore di un insieme di dottrine, ma, prima di tutto, come una persona che ci invita a seguirla. Gesù ci dà l'esempio, come nella lavanda dei piedi, perché noi lo imitiamo. Questa è la giustizia di colui che è discepolo.

Tutto ciò si basa sulla constatazione, sull'esperienza delle meraviglie di Dio. Il Signore è sempre fedele e mi dà la forza per realizzare quanto mi propone.

 

Per concludere, potremmo dire che per San Paolo siamo stati resi giusti da Gesù Cristo, che è la giustizia del Padre. E se siamo stati resi giusti, dobbiamo anche vivere da giusti. Noi, giorno per giorno, mettiamo in pratica nella nostra vita quella grazia che ci ha permesso di essere giusti, salvati e giustificati.

 

Ora vorrei approfondire un po' il concetto di fede che torna sempre accanto al concetto di giustizia nelle lettere di Paolo. Che cos'è la fede?

"Fede" in ebraico si dice aman che corrisponde all'Amen che noi pronunciamo spesso a conclusione delle preghiere.

Quando Gesù dice "in verità" nel testo greco abbiamo la parola Amen, la quale significa: è così, è vero, è proprio giusto, è stabile.

Si capisce subito che la prima realtà vera e stabile in assoluto è Dio.

Dio è il vero, Dio è il bene, Dio è la roccia. La parola Amen dal punto di vista della verità e della stabilità si applica anche a Dio.

 

Lettura di Deuteronomio 7,7-10

Nel v. 10 notiamo una certa evoluzione del pensiero.

In un certo brano la Torah dice che Dio si ricorderà per mille generazioni di coloro che lo amano, ma punirà fino alla quarta generazione quello che lo odiano.

Ciò puo' indurci a pensare che il male accaduto a un bambino (quindi ancora innocente) possa essere spiegato risalendo al peccato commesso dal padre, dal nonno o dal bisnonno. E si risale fino alla quarta generazione certi di trovare qualcuno che abbia peccato. E' una brutta concezione di Dio.

 

Al v. 10 il Deuteronomio dice che il Signore "..ripaga nella stessa persona coloro che lo odiano, facendoli perire...".

Come notiamo, si tratta di un'importante evoluzione già all'interno dell'Antico Testamento.

 

 

Dio è "il" fedele, Dio è "il" vero. A Lui si applica l'Amen

 

Quando a parola Aman viene applicata all'uomo indica l'atteggiamento più consono, cioè più vero, che egli deve avere per essere se stesso. E l'atteggiamento più vero dell'uomo è costituito dalla fede, intesa come fiducia in Dio e nei suoi atti salvici.

Questa considerazione risulta interessante dal punto di vista antropologico. Infatti la Bibbia andrebbe studiata non solo per capire chi è Dio, ma soprattutto per capire chi è l'uomo. Se l'uomo vuole essere vero, se vuole esse autenticamente uomo non puo' che avere fede. La fede deve costituire la realtà che lo connatura, perché l'uomo non può che riconoscere Dio, che è il vero, e non puo' che avere fiducia in questo Signore che gli si è rivelato come il Dio della storia, che lo salva nella storia. Allora scopriamo che chi non ha fede non è perfettamente uomo e sta vivendo solo con una parte di se stesso, perché non sta realizzando la parte più vera di sé.

L'uomo crede, pensa, si illude - magari - di non possedere la fede. E questo ribalta tutto: è l'ateismo che diventa un'illusione, non la fede.

Noi dobbiamo avere fiducia in Dio e nei suoi atti salvifici; fiducia che non ci aliena dal mondo, che non ci fa diventare fatalisti. Si tratta di una fiducia nei gesti salvifici di Dio che condiziona e anima tutte le scelte della nostra vita.

Torna evidente l'esempio di Abramo, colui che ebbe fede, che compì una scelta coraggiosa, diretta conseguenza della fiducia in Dio. Allora la fede non puo' che diventare obbedienza alla volontà di Dio, adeguamento alle sue richieste.

 

Lettura del salmo 119

Il salmo ci dice espressamente che il Signore ci ha regalato la "Legge", i suoi decreti, i suoi comandamenti; che per l'uomo non ci possono essere altra felicità, altra giustizia e altra fedeltà se non il mettere in pratica la Legge. E la fede ci induce a riconoscere che la Legge costituisce il dono più grande di Dio. E, poiché ci fidiamo del Signore, la nostra fede diventa fiducia in Lui, obbedienza alla sua Legge.

Quando parliamo di fede non intendiamo semplicemente il credere nell'esistenza di Dio. Per la Bibbia la fede è la fiducia in questo Dio che ci salva; è la conformazione da parte nostra alla salvezza da Lui operata. La fede diventa, allora, accoglienza di Dio e la collaborazione ai suoi atti salvifici.

Vi ricordate quando si parlava del Prologo di Giovanni? Luce e vita.... La fede, da un punto di vista biblico, è la sintesi tra luce e vita, è la fiducia in un Dio che si è rivelato salvatore. Accogliere questo Dio significa realizzare la sua salvezza nella nostra vita quotidiana. E per raggiungere tale obbiettivo, secondo la Bibbia, bisogna compiere delle rinunce.

 

Lettura di Isaia 7

La fede (la fiducia nel Signore) ci richiede di abbandonare i timori e le preoccupazioni per quanto ci succede.

 

 

Lettura di Geremia 17,5-8

Se vogliamo dimostrare la nostra fede dobbiamo rinunciare all'appoggio dell'uomo ("Maledetto l'uomo che confida nell'uomo..." v.5) e affidarci unicamente al Signore. Quando noi cristiani cerchiamo l'appoggio dei potenti commettiamo un'azione in contrasto con la Bibbia.

 

Lettura di 1 Samuele 2. "Cantico di Anna"

Non possiamo confidare nell'uomo, ma confidiamo nel Signore.

"L'arco dei forti si è spezzato

ma i deboli sono rivestiti di vigore" (v. 4)

Il Magnificat rende meglio queste immagini:

"...ha disperso i superbi...

....ha rovesciato i potenti dai troni....

...ha innalzato gli umili (Lc 1, 51-52).

Ben a ragione Geremia esclama "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo...".

 

Lettura del salmo 40 e del salmo 130.

La fede diventa speranza, cioè attesa fiduciosa della salvezza di Dio.

Fede, speranza e carità. Senza la carità non c'è la fede e non c'è nemmeno la speranza.

 

 

 

XX lezione

Lettera ai Romani - continuazione

 

Nelle precedenti lezioni avevamo parlato delle fede e di alcuni elementi che la caratterizzano nell'Antico Testamento. "Fede" deriva dal verbo aman, in ebraico "credere", "avere stabilità", "essere così" (da cui Amen) e diviene, poi, speranza e attesa fiduciosa.

 

Nel Nuovo Testamento la parola "fede" ha come significati "fedeltà", "attendibilità" (che è anche una caratteristica di Dio, il quale rimane fedele al suo patto di alleanza), "fiducia" che si esercita (Dio ha fede nell'uomo). E diventa, poi, una fede che pone Dio come oggetto (l'uomo ha fede in Dio).

In San Paolo soprattutto il termine "fede" esprime un legame inscindibile e vitale (che dà senso alla vita) con Gesù crocifisso e risorto. Nel Nuovo Testamento l'uomo crede che Gesù è stato mandato da Dio: Gesù è l'inviato, il Messia. Il discepolo crede che Cristo è risuscitato dai morti e che Dio manifesta in Lui la sua volontà salvifica. Ricordo che in una bella preghiera eucaristica è detto: "In molti modi e attraverso molte persone Dio ha voluto stabilire la sua alleanza con gli uomini...".

Credere che il Signore manifesti la sua volontà salvifica soprattutto in Gesù Cristo costituisce l'apice della rilevazione.

Teniamo presente che nel dialogo interreligioso si parte dalla fede, la quale ci dice che Gesù Cristo è l'apice della rivelazione divina.

Per l'uomo la sola salvezza è costituita da Cristo crocifisso e risorto.

Allora, questa fede-adesione non costituisce semplicemente un atteggiamento intellettuale, ma soprattutto una virtù che ci permette di diventare "uno" con il Signore Gesù.

 

Lettura della lettera ai Romani 6,1-11.

Ecco, il mistero di una unione inscindibile realizzata nella fede; fede che consiste anche nell'accogliere un progetto di Dio che vuole salvarci attraverso la Croce.

Ecco, perché Marco nel suo sua Vangelo al cap. 1, vv. 14-15 (lettura) riporta le prime parole di Gesù: "...convertitevi e credete al Vangelo". "Metanoeite" in greco significa, infatti, "cambiate mente", "cambiate vita". Chi crede in Cristo, chi è unito inscindibilmente a Lui non può continuare a pensare alle opere del peccato e a compierle.

Ci dobbiamo accorgere che la Croce di Cristo è la sapienza di Dio, la cui logica è diversa da quella semplicemente umana. Dobbiamo sapere che esiste un uomo carnale (psichico) e un uomo spirituale e agire di conseguenza. In Gesù, poi, la fede ha una chiarissima connotazione di fiducia, assoluta, nell'onnipotenza divina. Dio può tutto.

 

Leggiamo in proposito Mt 17,14-20 "L"epilettico indemoniato".

Per Gesù la fede è fiducia assoluta nelle possibilità non dell'uomo ma di Dio. Il Signore puo' tutto.

 

Altro esempio: lettura di Mt 21,18-22

Anche in questo brano riscontriamo la fiducia totale nell'onnipotenza divina.

La frase contenuta nel v. 21 significa che se si possiede la fede si diventa addirittura partecipi dell'onnipotenza di Dio, cioè si è così in sintonia con Lui da poter chiedere le stesse cose che il Signore voleva già operare; si entra tanto in sintonia con Lui da carpirgli i segreti del suo cuore e da permettere che, attraverso la preghiera, questi segreti si realizzino, che la volontà diventi pratica.

Gesù annette un'importanza particolare a questo tipo di fede, tanto da subordinare molto spesso i miracoli alla fede. Mentre in alcuni casi - soprattutto nel Vangelo di Giovanni - che è il miracolo a suscitare la fede (che però è superficiale in quanto si basa sul "do ut des") in altri Vangeli, invece, troviamo ben sottolineato l'atteggiamento di Gesù che per compiere il miracolo chiede la fede. Il miracolo, cioè, non è la causa della fede ma ne costituisce la conseguenza.

 

Lettura di Mc 5,21-43

Risalta la grande fiducia della donna nell'onnipotenza divina; (v.28.).

Il padre della fanciulla ha continuato ad avere fede e la donna aveva una fede talmente grande da credere di poter guarire anche solo toccando il mantello di Cristo. La fede è qui la causa del miracolo ed è richiesta come humus, come terreno nel quale può compiersi il miracolo e portare ad un accrescimento della fede.

Quando s'insinua l'incredulità, viene a mancare il terreno fertile per i miracoli.

 

Lettura di Mt 13,53-58

Spicca in negativo l'incredulità dei suoi; incredulità che non permette a Gesù di trovare il terreno fertile per i miracoli.

E allora - siamo nel Vangelo di Matteo, scritto per i giudeo-cristiani - viene citato come esempio di fede autentica il pagano convertito.

 

Leggiamo ora Mt 8,5-13 in cui è detto che la fede è la cosa più importante nella vita. E il credere che Gesù puo' tutto ci fa vivere meglio.

 

In Paolo, in particolare, "pistis", la fede, si accompagna spesso con un altro termine facilmente individuabile, "karis", la grazia, il dono. La fede è dono e grazia, un dono che ci permette di cogliere meglio tutti gli altri doni elargitici dal Signore.

Per San Paolo, quindi, la fede assume la stessa caratteristica che Gesù richiede, cioè - sempre tenendo Abramo come modello - l'attenersi alle promesse del Signore, alla fiducia assoluta in Lui, al di là di tutte le possibilità umane. Ricordiamo che Abramo crede l'impossibile: Sara avrà un figlio nella sua vecchiaia. Dio ci sprona a credere l'incredibile.

E, allora, la fede, che fonda il nuovo essere cristiano, origina anche opere nuove, ossia una condotta di vita corrispondente a questo nuovo modo di essere.

 

Lettura della Lettera ai Romani 13,11-14 e 14,1-12.

Siamo nel "Kairos", il tempo favorevole, il tempo opportuno.

L'essere creature nuove richiede atteggiamenti nuovi e la consapevolezza di appartenere a Cristo che è morto per tutti.

In una comunità in cui si deve saper accogliere tutti e comprendere anche le debolezze degli altri. E, come, sosteneva Don Bosco, bisogna credere che se anche una mela è completamente marcia i suoi semi sono ancora sani.

La fede è vitale, nel senso che, se resta a livello puramente sentimentale o intellettuale senza tradursi nella vita, è morta. Dobbiamo, quindi, essere comprensivi verso tutti, perché ogni uomo possiede dei doni, anche molto nascosti.

 

Lettura della Lettera ai Romani 9,13

L'ultimo problema che prendiamo in esame nella Lettera ai Romani è quello relativo alla salvezza degli Ebrei. Problema che noi possiamo porci anche per gli appartenenti ad altre religioni.

 

Lettura di Rom 7,1-13

In questo brano San Paolo ribadisce che la Legge non porta alla salvezza (anzi rende schiavi del peccato) ed articola ulteriormente la sua posizione.

L'idea fondamentale è che quando un uomo vive nell'ignoranza non può nemmeno essere considerato peccatore. La persona amorale è ben diversa dalla persona immorale, perché la prima non sa quali siano i comportamenti che costituiscono peccato.

E secondo San Paolo l'uomo fino a quando vive nell'ignoranza non puo' essere definito peccatore. Solo quando viene posto un comandamento (ecco, "la Legge") e lo si conosce ma non lo si osserva, allora si è nel peccato.

La Legge ha fatto conoscere semplicemente il peccato ma non ha fornito alcuna possibilità per contrastarlo. Quindi la Legge non è cattiva in sé, anzi è santa, ma la sua conoscenza ha imprigionato l'uomo nel peccato.

 

Lettura della Lettera ai Romani 7,14-23

La Legge evidenzia il peccato.

Paolo ci dice che la natura umana ("la carne") è peccaminosa. E ciò nasce da Adamo, da quella macchia originale che il primo uomo ha trasmesso a tutta l'umanità; nasce da quell'orgoglio, insito nella natura umana, che ha portato il primo uomo a disubbidire a Dio.

Allora, per San Paolo la tentazione fondamentale è proprio quella narrata nella Genesi: se mangerete del frutto dell'albero diverrete come Dio. L'uomo ha la tentazione di superare continuamente se stesso volendo diventare come Dio.

 

 

 

XXI lezione

Lettera ai Romani - continuazione

 

Nella lezione precedente era stato introdotto il discorso sulla salvezza degli Ebrei, che avevano rifiutato Cristo.

 

Lettura della Lettera ai Romani 8,1-17

La legge dell'Antico Testamento, che sottolineava soltanto il peccato, ora è superata dala legge dello Spirito (pneuma).

Il termine sarx (carne) in San Paolo vuole significare essenzialmente "peccato". La carne viene qui intesa come desiderio di allontanarsi da Dio. E il peccato ha desideri contrari allo Spirito.

Nei versetti 14-17 appaiono i bellissimi orizzonti che si presentano a chi ha incontrato Cristo, ossia ad una persona che vive nello Spirito e ha abbandonato la carne, una persona per la quale veramente e finalmente si è realizzata la salvezza.

Ecco, allora, il problema di Paolo: che accadrà agli "altri" che non hanno incontrato Cristo?

 

Lettura Romani 8,31-39

Abbiamo letto un brano stupendo.

Si ha l'impressione che alcuni si siano voluti separare dall'amore divino.

Riprendiamo in considerazione il problema di Paolo: il Signore, che è fedele alle promesse, ha forse rigettato il suo popolo? Ha deciso, cioè, che non debbano più contare le promesse fatte al popolo ebraico? Si tratta del grande problema della fedeltà di Dio a se stesso, alle promesse fatte.

 

Possiamo individuare un primo tentativo di risoluzione del problema da parte di Paolo in Romani 9,6-13 (lettura).

In questo brano l'Apostolo inizia la sua dimostrazione dando uno sfoggio invidiabile della sua conoscenza delle Scritture, acquisita in Gerusalemme alla migliore scuola rabbinica, quella di Gamaliele.

Innanzi tutto le promesse di Dio non sono da intendersi secondo la carne, cioè secondo legami puramente umani. Quando il Signore promette ad Abramo una discendenza non pensa a Isacco, cioè alla discendenza secondo la carne. Infatti le promesse divine devono essere intese in senso spirituale, in quanto la discendenza che verrà da Abramo sarà secondo la fede, non certamente per le opere e per l'appartenenza a un determinato popolo.

Ricordiamo che oggi i discendenti di Abramo sono gli appartenenti alle tre grandi religioni monoteiste: cristianesimo, ebraismo e islamismo. Abbiamo veramente superato la discendenza secondo la carne.

 

Lettura della Lettera ai Romani 9,14-24.

Obiezione: ma Dio, allora, è ingiusto? Se ha promesso tanto al popolo ebraico, perché non mantiene?

Ecco la risposta di Paolo: ma come possiamo noi giudicare? Per comprendere il comportamento di Dio non dobbiamo metterci dal punto di vista della giustizia ma da quello della misericordia. E il Signore ama come vuole....

E' bello il paragone dei due vasi ("Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: "Perché mi hai fatto così?" v.20)

E' bello che i vasi siano fatti della stessa pasta ed è bello che ci siano persone diverse tra di loro, chiamate da Dio a operare diversamente. Ed è ancora più bello applicare questo concetto alla Chiesa nella quale ognuno ha la sua importanza.

Ora qualcuno potrebbe obiettare che San Paolo sta parlando di predestinazione. In un certo senso si, in altro senso no.

Veramente l'apostolo dice che Dio ha un progetto per ognuno di noi; sta poi a ciascuno (così come al popolo ebraico) accoglierlo o rifiutarlo. Se non altro il Signore, dice San Paolo, progetta di portarci tutti in paradiso. E in questa chiave si puo' anche leggere la sofferenza. Mi sento qualche volta di sostenere che la sofferenza è l'ultima arma che lasciamo a Dio per portarci in paradiso, per convertire un'anima a sé, per piegare la durezza di un cuore che lo rifiuta continuamente. E con la sofferenza qualche persona che possiede già il dono della fede puo' sublimarsi.

Quindi non si tratta, come si potrebbe pensare, di una predestinazione, perché Dio ha progettato per noi la felicità e la gioia, il cui ultimo stadio è proprio il paradiso. Tocca a noi accogliere o meno il progetto divino.

San Paolo, poi, ci vuole dire che l'amore proveniente da Dio chiama alcuni, non sappiamo perché, a fare da tramite affinché tutti ricevano il suo invito. Ecco, il senso del popolo eletto: la Chiesa funge da mediatrice della chiamata; una chiamata che il Signore rivolge a tutta l'umanità ma attraverso una sua piccola porzione che Egli stesso si è scelto.

Dio ha promesso benefici a qualcuno (non le promesse secondo la carne) nell'ambito di un suo amore che noi non possiamo sindacare.

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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